"VAJONT : un viaggio nella memoria" - Accademia Centro Studi "MARIA CALLAS" - (P. FERRI)
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Accademia Centro Studi “MARIA CALLAS” “VAJONT : un viaggio nella memoria” (L’Accademia in visita a Longarone) Agosto 2009 Scritto dal Direttore Artistico (P. FERRI)
L’arrivo a Longarone Oggi 5 agosto 2009 ore 14.00 finalmente arriviamo a Longarone, dal lato in cui siamo giunti non scorgiamo la diga, per questo dopo aver telefonato alla Sig. Coletti ed aver preso appuntamento per le 18.00, ci incamminiamo sulla strada che conduce sul luogo del disastro. ECCOLA!! Ci si para davanti, un tuffo al cuore immediato mi coglie al punto di far fatica a condurre la mia auto al parcheggio più vicino. Sono ora davanti a lei, un cippo di pietra
ricorda quanti addetti ai lavori perirono quella notte e precedentemente per la sua costruzione. Un muro a doppio arco altissimo che sbarra il canale di accesso alla valle, freddo ,ferito sul suo lato destro dal passaggio dell’acqua quella notte,ma in piedi come un titano che provato non cade . Un muro che mi dà la sensazione di divisione fra la vita e la morte o meglio la zona franca dove nulla e’ successo dato che e’ rimasto in piedi, mentre alla sua sinistra in alto si scorgono Erto da una parte e Casso dall’altra e giù Longarone o meglio dove era Longarone. E’ una visione terribile, anche se non si era presenti quella notte, non si fa fatica a immaginare quello che e’ successo , i segni sono dappertutto, in alto le rocce portano ancora le tracce delle “unghiate” ricevute dall’onda,più in alto Erto e Casso paesi ormai quasi fantasmi e irrimediabilmente segnati dal passaggio dell’acqua l’uno e da quello del tempo l’altro, in basso la frana che si e’ staccata dal monte Toc che porta ancora la ferita a forma di “M” lunga più di mille metri ,uno
Un pugno forte nello stomaco per chi come me e tanti altri conoscono la drammaticità’ degli eventi di quella notte. Ma quanto fu alta l’onda? Tanto , tantissimo altro che sasso caduto in un bicchiere, qui e’ caduta la metà di un monte in 260 metri d’acqua, vi rendete conto? Andate alla diga, guardate con i vostri stessi occhi e constaterete come me che non c’e’ nessuna foto , inquadratura , filmato che possa rendere conto a ciò che vi si parerà dinanzi. Guardate il materiale franoso venuto giù dal Toc, ha creato di fronte un’altra piccola montagna , e sotto alla diga? Dove doveva esserci l’acqua, ci sono pietre e terreno in cumuli enormi, questo e’ il sasso caduto dal Toc secondo alcuni giornalisti? Metafora o idiozia come dicevo prima? Scelgo per la seconda dopo aver visto. Sconvolto da quanto osservato e dal fatto che i turisti fai da te astanti, fanno domande alle guide presenti senza rendersi conto di ciò che dicono , domande assurde che non vale la pena nemmeno di trascrivere, ci rimettiamo in macchina per giungere alla sede del Comitato Sopravvissuti del Vajont, proprio di fronte al Comune di Longarone. L’amaro in bocca, il senso di rabbia , il chiedersi perché nessuno ha mai informato a pieno la gente come quei turisti di prima mi accompagnano verso il centro di Longarone , la Coletti ci attende. L’ incontro Siamo di fronte al palazzo del Comune di Longarone, luogo dell’appuntamento con la Sig. Coletti , mancano pochi minuti alle 18.00. In una Longarone vuota di gente in strada, qualcuno si ferma solo per entrare nel bar vicino, sono lavoratori che finite le loro faccende , si concedono un “cordiale” prima di tornare dai propri cari. Si ferma una macchina , ne scende una signora , e’ lei finalmente la Coletti ce l’ho di fronte , attraverso la strada per andarle incontro senza quasi rendermene conto, ci incontriamo e ci salutiamo come se ci conoscessimo da sempre, così e’ Micaela una donna semplice ma ricca di un carisma eccezionale.L’accompagna Gino Mazzorana, il segretario del Comitato Sopravvissuti del Vajont, splendida persona Gino , dipendente dell’Enel apparentemente di poche parole, ma di una cordialità e sincerità come quella che si trova o si trovava dalle nostre parti. Mi sento a casa , Longarone e Napoli non sono mai state così vicine per me, Micaela e Gino ci invitano a entrare nella loro Sede.
E’ un fronte strada proprio di forte al Comune che miracolosamente si e’ salvato in parte dalla furia delle acque, Micaela ci spiega che e’ tutto rimasto come allora, i serramenti , il pavimento, gli interni. Mi si gela il sangue a pensare come Micaela possa entrarci pensando di sicuro ogni volta a quella notte, mi spiega che e’ stata trovata poco più’ in la, come anche Gino , proprio di fronte. Gino ha perso nella tragedia un fratellino di tre anni, la mamma e il papà, si velano i suoi occhi nel raccontarlo, , sto prendendo ancora di più coscienza della loro tragedia, basta guardarli . Micaela scopre il suo vero dramma, e’ provata ancora dopo tanti anni, dice di sentirsi a casa solo qui, in questa sede di una Longarone che non riconosce più. In effetti, nel guardare le foto del vecchia città, nulla e’ più uguale, il dramma continua nel racconto, la paura continua di notte, lo svegliarsi di continuo, le visite dagli psicologi, ma il vero centro del dramma Micaela me lo svela con una sola frase “il senso di colpa per essere sopravvissuta”. Gino apre una bottiglia e brindiamo al nostro incontro, io mi accorgo che sono molto provato moralmente da quanto sto ascoltando, la nostra Presidente Marilena Perrogino, ha gli occhi velati. Cosa hanno fatto!! Cosa e’ stato fatto a queste persone!! Nessuno credo possa mai riparare a questi torti che hanno subito. Gino , il caro amico Gino ormai sento che anche lui appartiene alle persone a me più care e delle quali mi onoro di avere la sua amicizia, lui e’ in silenzio mentre Micaela parla, ma il suo sguardo parla chiaro, da’ la sensazione che stia rivivendo attimo per attimo quella tragedia. Consegniamo io e la presidente dell’ Accademia, la targa ricordo a nome nostro e di tutti i nostri Soci , Coletti e Mazzorana ci omaggiano di libri e medaglie relative al disastro . Arriva un signore anziano, una persona che ha l’aspetto di un saggio sia per la sua età che per il suo aspetto, si chiama Bepi Zanfron. E’ stato il fotografo ufficiale inviato per i maggiori quotidiani all’epoca a documentare la tragedia, inoltre e’ stato il fotografo e l’accompagnatore della Tina Merlin. Mi parla della sua sofferenza di quei giorni, lui uomo di quella terra, costretto a documentarne l’epilogo tragico della scomparsa, lui amico di molti e uno dei primi soccorritori alternando la sua macchina fotografica alle sue mani che scavano , deve purtroppo fotografare anche per conto delle autorita’ , quei corpi che gli uomini dell’esercito stanno estraendo dal fango, o meglio quello che resta nella speranza di una certa identificazione. Lui che ha estratto Micaela e Gino dalla melma e dalle rovine di quella Longarone che fu e che egli stesso fa rivivere sulle pagine del suo libro attraverso quelle foto d’archivio scattate durante una vita dedicata a questa nobile arte. Piange anche lui il Bepi nel ricordare quei tristi giorni, si commuove nell’incrociare lo sguardo di Micaela che ascolta le sue parole. Bepi ci omaggia del suo libro con dedica scritta di suo pugno davanti a noi a testimonianza della sua amicizia e stima. Forse penso, mentre il Bepi scrive, questo e’ il miracolo del VAJONT, queste persone forti e deboli della loro esperienza, aprono il cuore a quanti se ne interessano anche se sconosciuti , solo per parlarne, per dare sfogo ai loro ricordi , solo questi gli sono rimasti ed e’ giusto per loro farli affiorare e per noi farne tesoro, il loro cuore che aspetta ognuno di noi per farlo riflettere su quanto sia pericoloso e inutile sfidare la natura e per fare in modo che ci si attivi per se stessi e per loro, questo ripeto e’ il vero miracolo, il VAJONT deve diventare la ribellione verso chi approfitta e specula sulla vita altrui. 2000 persone morte non possono essere state strappate alla vita invano, deve servire a qualcosa questa carneficina questo e’ il cruccio della Coletti, di Gino di Bepi e ora più’ che prima anche umilmente e rispettosamente il nostro. Al di là del ricordo c’e’ molto da fare a Longarone dopo piu’ di 40 anni, bisogna che il paese conservi la sua identità’ di quello che era, molti a detta di Micaela, rifiutano perfino parlarne della diga anche se e’ li, tutti i giorni ben visibile in alto di fronte alla nuova chiesa che non ha nulla della vecchia antica del 1600 che c’era prima, un ‘opera ultra moderna che non da’ assolutamente nulla ne al ricordo, ne alle vittime a mio modesto parere, un opera che forse sarebbe stata più apprezzata e capita in un luogo diverso da lì’. Bisogna che Longarone sia rivista nel suo concetto della memoria storica, tranne qualche vecchia foto sparsa sulle piazze che il vecchio sindaco Dott. De CESERO ha fatto mettere , nulla se non il museo gestito fra l’altro dalla pro-loco e non direttamente dal Comune e che noi visitiamo grazie alla collaborazione di un funzionario che anche se fuori orario, va a casa più tardi per farci vedere il museo resta di quella memoria. Ora e’ tardi, ci sarà tempo dopo, a cena per parlarne ancora con questi splendidi amici, si va dal Sindaco nuovo di Longarone: ROBERTO PADRIN. Ci accoglie fuori dal Comune, e’ un ragazzo dalla faccia pulita onesta, uno di quelli che secondo me fa politica perché essa e’ un mezzo non un fine per raggiungere la gente, non credo di essere di parte nel dire queste cose data la lontananza che separa Longarone da Napoli, il Sindaco Padrin non potrebbe mai avere i nostri voti, ma la nostra stima si, in ogni momento.
Arrivati nel suo ufficio , i convenevoli anche qui non hanno nessun carattere di ufficialità , e’ l’incontro fra persone che si accingono a diventare amici, anche gli assessori presenti di cui non ricordo i nomi, non me ne vorranno, sono cordiali , sinceri e facce oneste. Consegniamo la targa al Sindaco, ovviamente come rappresentante della comunità di Longarone, rimane molto colpito, si vede , sorride con stima leggendo quanto scritto, si legge nei suoi occhi quasi un momento di commozione . Anche lui ci fa’ dono di pubblicazioni sul Vajont e ci invita a essere presenti con le nostre attività di musica e canto a Longarone l’anno prossimo a ridosso dell’anniversario della tragedia, onorati e commossi accettiamo senza indugio. CI SAREMO.
Ci congediamo dal Sindaco il quale ci invita per la sera dopo, il Prefetto di Belluno lascia l’incarico per altra destinazione, la Giunta di Longarone e i rappresentanti delle associazioni si riuniscono per salutarla. Il piacevole invito ci coglie di sorpresa, non ci aspettavamo di partecipare a un evento così importante che riguarda i longaronesi, sono felice di quello che sto vivendo credo che la sincerità, la bonta d’animo , l’onestà di chi ha sofferto privato dei suoi affetti, delle sue cose e dei suoi credo, sia unica nel genere umano e io ,insieme alla Presidente Perrogino e nostro figlio Matteo , ne stiamo vivendo i benefici : il nostro cuore si riempie di affetto e amore per questa gente. Matteo, mio figlio di appena dieci anni appena usciti dal palazzo comunale mi fa’: “papà , grazie di avermi portato a Longarone con te e la mamma , ho capito perché ci tenevi tanto, e voglio parlare del VAJONT a scuola ” , non ho la forza di rispondergli , ma solo quella di abbracciarlo forte . Micaela, Gino e Bepi ci invitano a visitare Erto , ci muoviamo. Ormai e’ sera , Erto si presenta ai nostri occhi quasi come uno spettro che anziché far paura , fa riflettere ancora sulla forza della natura, sulla stupidità umana , le case chiaramente attraversate dalla furia delle acque, portano i segni e il vuoto lasciato dalle pietre mancanti andate a finire chissà dove e che hanno provocato enormi buchi che fanno intravedere l’interno di dove una volta c’erano forse riunite le famiglie nella loro intimità violata e violentata in quella notte tragica, su un muro una frase di Mauro Corona che
riassume il concetto degli ertani. Giungiamo in un ristorantino piccolo ma stupendo , tenuto e rifatto sulle macerie della casa natale di Marco Corona titolare dell’esercizio. Simpatico e cordiale Corona ci offre tutte quelle che sono le specialità della
zona , vera delizia per il nostro palato . Uomo tenace Marco, si vede anche in lui la voglia di continuare a far vivere Erto , lo riassume nello spiegarmi i sacrifici fatti per la ricostruzione della casa nella quale ci troviamo e condisce il tutto con questa stupenda frase”ora che ho rifatto la casa del mio povero babbo , posso anche morirci qui non mi interessa più nulla “ . Dio nella sua infinita misericordia, credo che lo abbia voluto premiare, durante i lavori di consolidamento, al piano di sopra e’ venuto alla luce un affresco che rappresenta la crocefissione di Cristo , e’ datato 1600. Mi chiedo : e’ un caso o Dio ha voluto ricordare agli ertani e a Marco che nella sofferenza e nella passione c’e’ la salvezza dell’anima? Ci congediamo da Marco Corona dopo aver bevuto un bicchiere della sua fantastica grappa e con la promessa da parte mia che avrei parlato di lui e del suo ristorantino a tutti, se vi capita andateci questa non vuole essere pubblicità , ma riconoscenza per la splendida accoglienza e l’ottima cena consumata. Grazie anche a te Marco , a presto. Fuori dal ristorante di Corona, ci salutiamo con Micaela , Gino e Bepi e’ oltre mezzanotte , la stanchezza fisica del viaggio si fa sentire , si va a letto . Mi addormento quasi subito, ma la suggestione e l’essere qui a Longarone , mi fanno rifare lo stesso sogno che non facevo più da tanto, quello che mi ha portato qui , il motivo ispiratore per l’interessamento sul VAJONT: una donna incinta che non conosco mi sorride e insieme a tante altre persone con le braccia tiene ferma la diga mentre l’acqua li travolge , la donna si chiama SINTA , caso o coincidenza che molti anni dopo , una delle vittime e per giunta incinta del film di Martinelli “VAJONT” si chiami proprio cosi? Questa cosa sono riuscito solo in parte a raccontarla a Gino e Micaela, non so perché ,ma ora ho deciso di rivelarla a chi legge . Chi e’ questa donna e’ esistita veramente a Longarone? Forse Micaela avrebbe saputo rispondermi ,ma forse preferisco non saperlo perché ella incarna nel mio sogno quella che e’ stata la sofferenza di tutti i morti di Longarone , la donna che urla attraverso e dentro di me la sua sete di giustizia e non importa se e’ esistita o e’ frutto solo della mia psiche, quello che conta e’ che mi ha fatto compiere gesti e atti a favore di questa gente che va aiutata da tutti noi .Non chiedono soldi, medaglie o riconoscimenti , ma solo che non si dimentichi mai in virtù di quanto ho scritto nelle righe precedenti e che si possa conoscere finalmente la verità’ vera, quella ancora occulta. Di buon mattino ci si rincontra con Micaela e Gino, Bepi non c’e’ lavora alle sue cose. Andiamo in macchina a Casso che fortunatamente e’ rimasta indenne al disastro, solo la scuola in cima all’invaso e stata parzialmente distrutta, c’erano dei bambini che dormivamo e che non si salvarono. Da li Gino ci conduce di nuovo giù ’ alla valle fino alla frana, scendiamo lungo di essa, la tocchiamo. Un misto di pietre e terra si una frana insomma, ma come già detto dalle proporzioni enormi. Arriviamo quasi a toccare il monte toc quando Gino mi fa notare come gli alberi rimasti inclinati quella notte sul fronte franoso, continuino a crescere in odo obliquo, anzi qualcuno addirittura in orizzontale; terrificante,
uno scenario quasi da paura. Penso mentre calpesto la frana a quanti forse ci siano ancora sotto mai ritrovati, e penso soprattutto all’idea balorda di alcuni che vorrebbero sfruttare l’acqua rimasta nell’invaso , offendendo così ancora Longarone nel cuore delle sue vittime, (vedi articoli su questa pagina del sito).Per farmi capire bene l’entità della frana, Gino mi dice che da studi fatti, occorrerebbero 100 camion al giorno per 100 anni per rimuovere tutto ciò che il toc ha buttato giù’. Dopo la risalita, Gino ci guida sulla strada che fa il giro su tutto quello che doveva essere l’invaso , da una parte sul muro c’e’ scritta la quota:762 metri s.l.m. e cosa si vede invece? Una piccola pozza d’acqua si insomma, un piccolissimo laghetto che e’ quello che resta dell’acqua che e’ fuoriuscita dall’invaso . Anche questa visione rende ancora più chiara l’entità della tragedia. Una sosta per consumare un panino nel locale della figlia di Gino, stupenda ragazza che somiglia molto al suo papà , con degli occhi profondi e azzurri come il nostro mare . Nel pomeriggio andiamo nel cimitero di Longarone, non so come definirlo ,cippi bianchi tutti uguali col nome inciso bianco su bianco quindi illeggibile se non da molto vicino. Pensate che per trovare i propri cari, la gente e’ costretta a digitare il nome su un computer all’interno del cimitero, che indica la fila e il numero i fosso: ALLUCINANTE!!!!!!!
Al suo interno, i nomi incisi su grandi lastre di tutti i morti e’ una parete lunga 2000 nomi. Gino mi mostra alcuni oggetti appartenuti al suo papà , il portafogli , l’orologio e la foto , oggetti che aveva addosso al
momento del suo ritrovamento , dopo alcuni mesi. Le foto del vecchio cimitero che Micaela mi mostra, quelle si danno l’impressione di un luogo di pietà’ e misericordia come un cimitero dovrebbe essere, questo che ci si presenta di fronte da più il senso di un sacrario al milite ignoto, quando qui di ignoto non c’e’ nulla ,ma solo la consapevolezza che 2000 persone sono state immolate nel nome di un progresso che nessuno in questa valle voleva. Gino e Micaela vanno via lasciandoci con qualche turista fai da te come quelli di prima alla diga e con le chiavi per poter chiudere dopo. E’ il momento nel quale da solo e al centro del cimitero , viene fuori tutta la mia commozione sopra quei cippi, prego per quelle anime in assoluto silenzio, e chiedo al Signore di illuminare il cammino a Micaela e Gino lungo il percorso della loro sofferenza. Una turista si avvicina e mi chiede “quanti morti sono? Erano tutti nella diga?” Non so perché ,ma non sopporto quelle domande inutili e senza senso, credo che una persona prima di recarsi in un posto così pieno di storia e di sofferenza, debba un attimo documentarsi anche per capire ciò’ che osserva , se no che ci va a fare? Per cui la invito ad andare nel museo di Longarone nel quale troverà tutte le risposte alle sue curiosità che io non posso soddisfare nel giro di pochi minuti, il VAJONT e i suoi morti sono una storia complessa ,le dico . Chiedo al gruppo di turisti di uscire dal cimitero perché devo chiudere . La sera puntuali alle 19.30 siamo fuori al Comune di Longarone per assistere al saluto del Prefetto che va via. Sua Eccellenza Provvidenza Raimondo ,
esile ,ma di una cultura e di una dolcezza uniche al mondo . Quando veniamo presentati a lei, ha parole di stima e cordialità nei nostri confronti. Insieme a lei ci vengono presentati tutti gli illustri presenti, direttori di associazioni, assessori ,rappresentanti delle forze dell’ordine che sarebbe lungo elencare, ma che ho sentito il dovere di ringraziare quella sera chiedendo al Sindaco la parola. E’ strano per me , essendo attore e regista oltre che presentatore, sentirmi emozionato in quel contesto, ma Longarone e il Vajont mi hanno preso la mano , faccio fatica a reggere. Dopo l’incontro , Gino e Micaela ci portano a mangiare una pizza in un ristorante di proprietà di un nostro conterraneo , di Ravello per la precisione, forse Gino e Micaela pensavano di farci respirare un po’ d’aria di casa, ma ignoravano che per noi ormai Longarone e loro soprattutto ci hanno già pensato a far ciò. Ci salutiamo definitivamente con Gino e Micaela dandoci un arrivederci per il prossimo anno, lo facciamo davanti alla sede del comitato , dove nella vetrina fa mostra di se, collocata da Gino ,la nostra targa ricordo. Grazie Gino , grazie Micaela ,grazie Bepi ,grazie Sindaco grazie veramente a tutti, di vero cuore. Ma consentitemi di spendere le ultime righe per Micaela e Gino: amici miei , che Dio vi conservi nella vostra purezza e nobiltà d’animo e l’augurio che vi facciamo tutti noi, e’ quello che i vostri sforzi siano premiati e soprattutto vi appaghino un po’ delle sofferenze che vi portate dentro da quella maledetta notte del 9 ott.1963. Micaela , concedimi per questa volta di darti del tu : TI VOGLIO E TI VOGLIAMO BENE!!!
Gino , anche tu concedimi questa libertà’: ti stimiamo e ti vogliamo bene ,anche a te un saluto particolare dal nostro Matteo, ormai per lui sei un mito.
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