La Voce del Leone Napoli - Una città senza tempo

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La Voce del Leone Napoli - Una città senza tempo
La Voce del Leone
           I.I.S. “Roncalli”

     Anno XIV n°4 Gennaio 2020

    Napoli
Una città senza tempo
La Voce del Leone Napoli - Una città senza tempo
La Voce del Leone
                         contatti: Facebook.com/giornalinoLaVocedelLeone
Anno XIV n°4     Gennaio 2020      Blog: La-voce-del-leone 1.webnode.it

  IN QUESTO NUMERO:

4-6 Curiosità             7-8 Il Duomo                9-10 Santa Chiara

                       Il Centro Storico

2-3 Editoriale           12                           16-17
                          Il Teatro San Carlo          Il Decumano Maggiore
 11                                                   18
L'Ospedale delle Bambole 13-15                          Una storia magica...
                         La Cappella Sansevero        19 -20
                                                       La Napoli più segreta

 Le nostre rubriche:

 21-23     Le Grandi Biografie     a cura di Andrea Verdiani

 24        L'ultima pagina         a cura della Redazione
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                                     Editoriale

Napoli,una città senza tempo. Il titolo di questo numero,secondo noi, è ben
rappresentato dall'immagine in copertina: Pulcinella che passeggia per via San
Gregorio Armeno,la strada dei presepi. Vorrei soffermarmi su di essa per capire
meglio la famosa maschera partenopea e il quartiere degli artigiani del presepe.
Qualcuno sostiene che Pulcinella rappresenta il carattere dei napoletani,i quali
riescono sempre ad affrontare i loro problemi con un sorriso,prendendosi gioco dei
potenti pubblicamente,svelando tutti i retroscena. Non so se la cosa sia vera, ma è
pur sempre un dato di fatto che Pulcinella richiami alla mente Napoli e viceversa.
Cerchiamo di capire il perché.
Le origini di Pulcinella sono molto antiche;sembra che vadano ricercate per alcuni
studiosi addirittura nel IV secolo a. C.. Infatti essi sostengono che Pulcinella
discenda da Maccus, personaggio delle Atellane romane, un tipo di servo dal naso
lungo e dalla faccia bitorzoluta con guance rosse,ventre prominente vestito con una
camicia larga e bianca. Altri invece lo fanno discendere da “Pulcinello”,un piccolo
pulcino per via del naso adunco ;altri,ancora, lo identificano con un contadino di
Acerra,Paolo Cinella, che nel Seicento si unì ad una compagnia di attori girovaghi in
qualità di buffone. Ufficialmente la maschera di Pulcinella è stata inventa a Napoli
da un attore,Silvio Fiorillo, agli inizi del XVII secolo;mentre il suo costume moderno
sarebbe da attribuire ad un certo Antonio Petito che l'avrebbe ideata
nell'Ottocento. In effetti Fiorillo indossava un cappello bicorno e portava barba e
baffi. La storia dice che l'attore si fosse ispirato a Paolo Cinella,un contadino di
Acerra reso famoso da un ritratto che era stato attribuito,inizialmente,al pittore
Ludovico Carracci.
A proposito del nome di questa maschera esistono due teorie. La prima sostiene
che l'origine sia legata all'ermafroditismo intrinseco nel personaggio ovvero un
diminutivo femminilizzato di pollo-pulcino,del quale in un certo senso imita la voce.
La seconda teoria,invece,parte da un cognome molto diffuso in Campania,Pulcinello o
Polsinelli,che si sarebbe “corrotto”linguisticamente nel tempo. Pulcinella come
personaggio del teatro della commedia dell'arte nasce ufficialmente con una
commedia del comico Silvio Fiorillo: “La Lucilla costante con le ridicole disfide e
prodezze di Policinella”, scritta nel 1609 ma pubblicata soltanto nel 1632 dopo la
morte dell'autore.
Parliamo adesso di Via San Gregorio Armeno e del presepe. L'arte presepiale
napoletana ha origini settecentesche,e lo testimoniano sia i costumi indossati dai
vari personaggi del presepe sia l'ambientazione; a questo proposito va ricordato lo
splendido presepe di corte risalente al XVIII secolo che si trova nella sala ellittica
della Reggia di Caserta. Tuttavia l'arte presepiale è sicuramente molto più antica,
perché si parla di un presepe a Napoli in un atto notarile del 1021 in cui si parla
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della chiesa di Santa Maria “ad praesepe”e in un testo del 1324 si parla di una
“cappella del presepe di casa d'Alagni” ad Amalfi.
Ad ogni modo è San Gaetano da Thiene che viene indicato come “l'inventore” del
presepe napoletano dato che a partire dal 1534,anno del suo arrivo a Napoli, si fece
promotore dell'allestimento d presepi nelle chiese e nelle case private in prossimità
del Santo Natale.
Nel 1640, grazie a Michele Perrone, i manichini conservarono testa ed arti di legno,
ma furono realizzati con un'anima in filo di ferro rivestito di stoppa che consentì
alle statue di assumere pose più plastiche. Verso la fine del Seicento nacque la
teatralità del presepio napoletano, arricchita dalla tendenza a mescolare il sacro
con il profano, a rappresentare in ogni arte la quotidianità che animava piazzette,
vie e vicoli. Apparvero nel presepio statue di personaggi del popolo come i nani, le
donne con il gozzo, i pezzenti, i tavernai, gli osti, i ciabattini, ovvero la
rappresentazione degli umili e dei derelitti: le persone tra le quali Gesù nasce.
Particolarmente significativa fu l'aggiunta dei resti di templi greci e romani per
sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine del paganesimo, secondo
un'iconografia già ben radicata in pittura.
 Tuttavia l'arte presepiale di Via San Gregorio Armeno ha radici ancora più antiche
di quelle che abbiamo ricordato.
Infatti se prendiamo in considerazione il valore devozionale che i cristiani danno al
presepe dobbiamo tener conto che laddove si trova la chiesa di San Gregorio
Armeno,più conosciuta dai napoletani come chiesa di Santa Patrizia, sorgeva un
Tempio dedicato a Cerere e le offerte votive che i fedeli di allora portavano alla
divinità spesso erano costituite da statuette,molto diverse da quelle di oggi
ovviamente, che venivano prodotte in loco da abilissimi artigiani.
Quindi la secolare maestria dei maestri artigiani di San Gregorio Armeno ha radici
veramente antiche e non deve stupirci più di tanto il fatto che oggi questa stretta
viuzza,a due passi dal duomo,sia visitata quotidianamente da frotte di turisti i quali
non possono lasciare Napoli senza aver acquistato almeno una statuetta oppure un
corno rosso......a questo proposito non voglio scrivere nulla. Scoprite da voi,se lo
desiderate,il significato scaramantico che viene attribuito a quest'oggetto rosso
fiammante e magari anche le origini di questa superstizione.

 Non mi resta che augurarvi una buona lettura.

                                                         Patrizia Davini
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                        Napoli tra Storia e Leggenda

Vi raccontiamo tutto ciò che c'è da sapere su Napoli.
Venite con noi!
1.Neapolis (Νεάπολις) fu fondata nel 475 a.C. ed in origine era nota come
   Partenope, un piccolo insediamento creato da coloni greci. La sirena
   Partenope,appunto, è tutt’altro poiché, pur avendo
   fattezze femminili, è alata ed è un’ancella della déa
   degli Inferi Ecate. Secondo la leggenda, Partenope,
   vinta da Ulisse, spiaggiò sull’isolotto di Megaride –
   dove ora sorge il Castel dell’ Ovo, non a caso di
   memoria virgiliana –, e morendo fondò la città che
   porta il suo nome.
2.Il Castel dell’Ovo deve il suo nome a Virgilio.
   Narra la leggenda, nata a quanto pare nel Medioevo,
   che il poeta e mago Virgilio nascose da qualche parte
   nelle segrete un uovo. Ad esso sarebbe legato il
   destino non soltanto del castello ma dell’intera
   Napoli e finché esso non si romperà, le catastrofi staranno alla larga. La stanza
   in cui sarebbe conservato questo uovo-amuleto è sigillata da pesanti serrature
   in modo da prevenirne il furto o il danneggiament
3.Napoli è città di poeti. Qui sono sepolti i grandi poeti Virgilio e Giacomo
   Leopardi. C'è un'importantissima scuola di poesia in vernacolo ed in italiano.
4.Se“tutte le strade portano a Roma”, a Napoli,“tutte le strade portano in
   Galleria”.La Galleria Umberto I, infatti, ha ben quattro ingressi:Via San Carlo,
   Via Santa Brigida, Via Toledo e Vico Rotto San Carlo. Il numero quattro è
                                                                  ricorrente nella
                                                                  costruzione e nella
                                                                  storia: sulle colonne
                                                                  ai lati dell’arco di
                                                                  sinistra c’è una
                                                                  rappresentazione in
                                                                  marmo delle quattro
                                                                  parti che
                                                                  compongono il globo
                                                                  terrestre. Partendo
   da sinistra si possono riconoscere l’Europa, l’Africa, l’Asia e una figura che
   dovrebbe rappresentare le nuove scoperte. L’Europa è rappresentata da una
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    figura di una donna che impugna una lancia, l’Asia invece è raffigurata da una
    donna che stringe una coppa. L’Africa è un figura che ha con se un casco di banane
    e ha una mano sopra un sfinge. La quarta figura ha tra le mani un grosso volume di
    tavole geografiche con su scritto “Colombo”, una chiara allusione alle nuove
    scoperte geografiche. Non solo Geografia, ma anche Fisica e Chimica
    rappresentate nelle nicchie sovrastanti e proseguendo il giro ci sono altre
    quattro statue che raffigurano le stagioni, e altre due rappresentati la Scienza e
    il Lavoro.
    5.In Via dei tribunali 39, è possibile ammirare la Chiesa di Santa Maria delle
    Anime del Purgatorio ad Arco risalente agli inizi del 1600. Nella zona inferiore
    della chiesa, sono custodite le ossa dei morti di peste e di indigenti bisognosi di
    sepoltura. Ancora oggi è possibile vedere dei corpi appesi alle pareti con dei ganci
    per favorire la perdita dei liquidi del corpo e favorire il processo di
    mummificazione. Ma la curiosità più grande è rappresentata dal miracoloso teschio
    di Lucia, una ragazza morta di tisi a soli 16 anni e che oggi è considerata la
    “protettrice” delle donne che non riescono a trovare marito o impossibilitate ad
    avere figli.

    6. Il 21 dicembre viene considerato l’anniversario della fondazione della città
       di Napoli.

    7.Il 7 settembre 1860 Giuseppe Garibaldi arriva a Napoli con l’esercito dei mille
    e viene accolto dalla folla. L’Eroe dei Due Mondi arrivò a Napoli a bordo di un
    treno accompagnato da tutte le personalità che erano andate a Salerno per

    accoglierlo. In testa al corteo Liborio Romano, Ministro di Polizia e Salvatore De
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Crescenzo, capo della camorra dell’epoca, detto “Tore ‘e Criscienzo”, i cui uomini
mantennero l’ordine pubblico. Dopo aver percorso via Marina, essere passato
dinanzi il Maschio Angioino ed essersi fermato al Duomo per ascoltare il “Te
Deum“e a Largo di Palazzo, l’attuale piazza del Plebiscito, per fare un breve
discorso, Garibaldi si diresse fino a Palazzo Doria D’ Angri, dal cui balcone
proclamò l’annessione delle province meridionali al Regno sabaudo.

8.Settantasei anni fa, 27 settembre 1943, iniziò la rivolta della popolazione
                                                grazie alla quale l’esercito nazista
                                                fu costretto a scappare liberando
                                                dall’occupazione la città di Napoli,
                                                prima che arrivasse l’esercito
                                                americano sbarcato a Salerno 19
                                                giorni prima. Questo episodio,che
                                                si concluse il 30 settembre 1943,è
                                                ricordato come le “Quattro
                                                giornate di Napoli”.

9.Edoardo Bennato nasce a Napoli il 23 luglio del
1946. Si avvicina presto alla musica anche grazie
all’incoraggiamento della madre e all’amore immediato
per il rock’n’roll, conosciuto grazie ai soldati americani
di stanza nel capoluogo partenopeo.
Il suo primo album è del 1973, dal titolo “Non farti
cadere le braccia”, edito con la Ricordi.
Seguiranno altri brani registrati in studio, diverse
colonne sonore, varie raccolte, numerosissimi singoli e
DVD, senza contare le canzoni da lui scritte per altri
artisti e la discografia estera, a totalizzare una
carriera lunghissima, applaudita da critici e fan di
tutta Italia e non solo.
E’ stato il primo italiano a riempire lo stadio San Siro
di Milano, con una grande esibizione il 19 luglio 1980.
E’ tuttora in attività e molto seguito, grazie al suo stile irriverente e ironico che
ha saputo conquistare anche le generazioni successive alla sua.

                                                    Ilaria Ciappi
                                                    Margherita Corti
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             La cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta

 La cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta è una basilica monumentale
 nonché duomo e sede dell'arcidiocesi della città di Napoli. La grande basilica sorge
 lungo il lato est della via omonima, in una piazzetta contornata da portici. Si tratta
                                        di una delle più importanti chiese della città da
                                        un punto di vista artistico dato che essa è, di
                                        fatto, la sovrapposizione di più stili che vanno
                                        dal gotico puro del Trecento fino al neogotico
                                        ottocentesco; ma lo è anche sotto il profilo
                                        devozionale poiché ospita, tre volte l'anno, il rito
                                        dello scioglimento del sangue di san Gennaro.
                                       L’edificazione della cattedrale fu voluta da Carlo
                                       d’Angiò nel 1294, nel luogo dove sorgevano due
                                       antiche basiliche: Santa Restituta e Santa
                                       Stefania, per far posto alla nuova costruzione,
                                       quest’ultima fu completamente demolita, mentre
 la basilica di Santa Restituta fu ridotta al ruolo di cappella laterale. L'interno in
 stile gotico, ha un impianto a croce latina e a tre navate. Il soffitto della navata
 principale è a cassettoni in legno intagliato e dorato, mentre le navate laterali hanno
 volte a crociera e decorazioni barocche. Le decorazioni a stucchi che decorano tutta
 la chiesa sono della fine del Seicento. La
 facciata del Duomo, alta circa 50 m, è dotata di
 tre portali; la porta di destra viene dischiusa
 soltanto per le festività che celebrano San
 Gennaro e in alcuni casi straordinari. Durante la
 seconda guerra mondiale i bombardamenti alleati
 danneggiarono le strutture e pertanto, tra il
 1969 e il 1972, vennero effettuati restauri e
 consolidamento strutturale dell’intero edificio.
 Durante i lavori vennero portati alla luce resti
 archeologici romani, greci e alto-medievali oggi
 opportunamente fruibili e con reperti raccolti e organizzati. Uno dei più recenti
 restauri è stato apportato alla cappella del Succorpo e ha permesso il recupero del
 cassettonato marmoreo del Cinquecento. La facciata angioina, distrutta insieme al
 campanile del terremoto del 1349, fu ricostruita in stile gotico. Le navate laterali,
 con le loro cappelle e nicchie, testimoniano i vari passaggi nell’arte e
 nell’architettura napoletana nel corso dei secoli.
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Il Cardinale Oliviero Carafa, il 10 dicembre del 1497, diede avvio alla realizzazione
di una cripta, sottostante l’altare maggiore della cattedrale, che doveva avere il
compito di custodire le Sacre reliquie di San Gennaro. I lavori della cripta furono
                              assegnati a Tommaso Malvisto che, non potendo alzare il
                              soffitto della tribuna che era già piuttosto alto rispetto
                              al piano del transetto, dovette scavare in profondità.
                              Questa tecnica favorì la costruzione di un ambiente dalle
                              armoniose forme rinascimentali. Questa struttura, con le
                              sue rifiniture in marmo e la concordanza delle
                              proporzioni, destò sin dalla sua inaugurazione, grandi
                              elogi e ammirazione. Come accennato prima, la Reale
                              Cappella del Tesoro di San Gennaro è in stile barocco e
                              fu edificata su richiesta dei napoletani per un voto a San
                              Gennaro. Si tratta di una delle massime espressioni
artistiche della città, sia per la concentrazione ed il prestigio delle opere in esso
custodite, sia per il numero di artisti di fama internazionale che hanno partecipato
alla sua realizzazione. Il legame di Napoli e dei napoletani con San Gennaro va ben
oltre la semplice devozione per il Santo Patrono. Il Tesoro di San Gennaro si trova
nel Museo dedicato al Santo, all’interno del Duomo di Napoli, e raccoglie reliquie e
oggetti preziosi, diventati oracoli di fede. Il
Tesoro comprende anche statue, candelabri e
argenti vari che i devoti hanno gelosamente
protetto durante i numerosi saccheggi della città.
Secondo la tradizione, il sangue di san Gennaro si
sarebbe sciolto per la prima volta ai tempi di
Costantino I, quando il vescovo Severo trasferì le
spoglie del santo dall'Agro Marciano, dove era
stato sepolto, a Napoli. Durante il tragitto avrebbe incontrato la nutrice Eusebia con
le ampolline del sangue del santo: alla presenza di Eusebia, il sangue nelle ampolle si
sarebbe sciolto. La prima notizia documentata dell'ampolla contenente la presunta
reliquia del sangue di san Gennaro risale soltanto al 1389, nel corso delle
manifestazioni per la festa dell'Assunta di quell'anno, vi fu l'esposizione pubblica
delle ampolle contenenti il cosiddetto "sangue di San Gennaro". Il 17 agosto vi fu una
grandissima processione per assistere al miracolo: il liquido conservato nell'ampolla
si era liquefatto "come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo.
                                                               Chiara Giacomini
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                               La Basilica di Santa Chiara
Nel cuore del centro storico di Napoli sorge l’antico complesso di Santa Chiara, la cui
costruzione ebbe inizio nel 1310, per soddisfare il desiderio del sovrano del tempo,re
Roberto d’Angiò, e di sua moglie,Sancia di Maiorca. Furono realizzati: due conventi, uno
femminile per le Clarisse e l’altro maschile per i Frati Minori; una basilica; e ben quattro
                                           chiostri. Il 4 agosto del 1943 la chiesa fu quasi del
                                           tutto distrutta da un bombardamento aereo; ma fu
                                           ricostruita e restaurata secondo l’originario stile
                                           gotico e riaperta al culto dieci anni dopo. Oggi si
                                           presenta nelle sue originarie forme gotiche, con una
                                           semplice facciata nella quale è incastonato un antico
                                           rosone traforato;ma nel 1742 la chiesa aveva subito
                                           delle modifiche ad opera dell’architetto Vaccaro,il
                                           quali vi aggiunse degli enormi rivestimenti che
                                           donarono al complesso un aspetto barocco. Il
                                           Chiostro del monastero ha subito nel corso dei secoli
                                           varie trasformazioni. La più importante è stata
                                           eseguita ,sempre dal Vaccaro, tra il 1739 e il 1742
con la realizzazione di due viali che, incrociandosi, hanno diviso il giardino in quattro settori.
Fiancheggiano i viali dei pilastri, a pianta ottagonale, rivestiti da maioliche con festoni
vegetali. I pilastri maiolicati sono collegati tra loro da sedili sui quali, con la stessa tecnica,
sono rappresentate scene tratte dalla vita quotidiana settecentesca. Le pareti dei quattro
lati del chiostro sono interamente coperte da affreschi seicenteschi raffiguranti
santi,allegorie e scene dell'Antico
Testamento. All’interno della struttura
si può inoltre ammirare: un museo che
conserva alcuni tesori scampati al
bombardamento del 1943; uno
stabilimento termale romano del I
secolo d. C. e un tradizionale presepe
con pastori. Proseguendo la
visita,all’uscita del Chiostro, si accede
alla sala dove è conservato il presepe
con pastori vestiti con stoffe del
Settecento e dell’ Ottocento. In esso sono rappresentati personaggi e scene di vita
quotidiana. Ovviamente, nel rispetto della tradizione presepiale dell’epoca,tutto è riprodotto
con cura minuziosa e la rappresentazione non si limita alla sacra famiglia ma si allarga, fino a
raffigurare la bellezza di Napoli. In questo contesto realistico i personaggi sacri sono
comunque rappresentati secondo i canoni della tradizione figurativa cristiana. La natività,
posta al centro della scena, non è ambientata in una stalla, bensì in un monumento romano a
simboleggiare la nascita della nuova era cristiana sulle macerie del paganesimo. La
scenografia è realizzata in cartapesta, sughero e legno, mentre i pastori hanno il corpo di
filo di ferro e stoppa, i volti in terracotta e gli arti fatti di legno.
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Il Chiostro Maiolicato del monastero ha subito nel corso dei secoli varie trasformazioni. La
più importante è stata eseguita dal Vaccaro, tra il 1739 e il 1742. La struttura trecentesca,
composta da archi a sesto acuto, poggianti su pilastrini in piperno, è rimasta invariata,
mentre il giardino è stato completamente modificato. Come detto prima, Il Vaccaro ha
realizzato due viali che, incrociandosi perpendicolarmente, dividono l’area in quattro settori:
due strutturati come un giardino all’italiana, con siepi e fontane; gli altri due dedicati alla
coltivazione. Fiancheggiano i viali i pilastri ottagonali rivestiti da maioliche con festoni vegetali
e collegati tra loro da sedute interamente maiolicate sui cui schienali sono raffigurate scene
popolari. Vi è un unico schienale relativo alla vita nel monastero, su di esso è raffigurata una
clarissa intenta a cibare i gatti presenti nel chiostro. Le decorazioni delle maioliche si
devono agli artigiani Donato e Giuseppe Massa, che hanno armonizzato il Chiostro con tutti
gli elementi architettonici e naturali circostanti. Le pareti dei quattro lati del chiostro
                                       furono decorate nella prima metà del secolo da un autore
                                       ignoto, probabilmente appartenente alla scuola di Belisario
                                       Corenzio. Dall’ingresso al chiostro la prima parte della parete
                                       a destra è senza affreschi perché furono distrutti dal
                                       bombardamento. Al termine di due dei bracci del Chiostro è
                                       posto l’ingresso del Museo dell’Opera francescana. Suddiviso
                                       in quattro sale, il museo restituisce uno spaccato di storia
                                       napoletana, dall’antichità al XX secolo, e conserva alcuni
                                       tesori del monastero scampati al bombardamento del 1943.
                                       Nella Sala archeologica del museo sono raccolti i reperti
                                       archeologici rinvenuti durante i restauri effettuati dai Frati
                                       Minori negli anni Cinquanta . Da questa,proseguendo sulla
                                       sinistra, si accede all’area archeologica esterna, dove si
                                       conservano i resti di un impianto termale del I secolo d. C. .
Nella Sala della Storia sono ricostruite le vicende del complesso monumentale nel corso dei
secoli e si trovano i busti dei due sovrani fondatori, Roberto e Sancia e le immagini della chiesa,
prima e dopo bombardamento, e le fasi della ricostruzione. Nella Sala dei Marmi si trovano
statue e decorazioni marmoree recuperate dopo il bombardamento della chiesa, nonché una
parte dei fregi che ornavano le celle delle clarisse e gli stemmi nobiliari presenti nelle cappelle
laterali della chiesa. La sala dei reliquiari , posta su di un piano soppalcato, conserva paramenti
sacri, corredi liturgici, reliquie e porta reliquiari . Inoltre vi è conservato il busto ligneo
dell’Ecce Homo, opera rinascimentale di Giovanni da Nola. Sul fondo della sala è possibile
vedere la tipologia delle stanze utilizzate dalle monache . La visita del Complesso di Santa
Chiara si conclude con l’Area Archeologica, dove si trovano resti di uno stabilimento termale
romano scoperto nel dopoguerra, che presumibilmente, apparteneva a una villa patrizia., che
testimoniano ciò che rimane delle antiche Thermae di Neapolis, di struttura simile a quelle di
Pompei e di Ercolano,risalenti alla fine del I secolo d. C., e dei relativi condotti idrici che
facevano parte dell’acquedotto del Serino. L’edificio era composto da due livelli: uno
costituito dagli ambienti termali veri e propri. Parte della struttura è ancora interrata, ma
sono visibili la cisterna e lo spogliatoio.

                                                                    Sofia Massimiani
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                         L'Ospedale delle Bambole

L'Ospedale delle bambole è un museo di Napoli.
In esso sono raccolti giocattoli e bambole d'epoca.
Luigi Grassi fondò nel 1895 un piccolo laboratorio per la costruzione delle sue
scenografie e per la riparazione ed il restauro delle attrezzature usate negli
spettacoli teatrali.
Effettuava inoltre interventi anche su giocattoli, oggetti di culto delle chiese di
Napoli, burattini e varie maschere.
In seguito all'accumulo di svariati pezzi di ricambio presenti in negozio e siccome il
Grassi operava con addosso sempre un camice bianco, la gente iniziò a chiamare
quel posto 'o spitale d'é bambule (l'ospedale delle bambole).
Fu in seguito alla riparazione di una bambola rotta ed alle doti del Grassi
come aggiustatore, che la bottega divenne un punto di riferimento per l'intera
città, per la riparazione delle bambole, in un'epoca in cui non esisteva ancora
il consumismo di massa.

L’ospedale delle bambole è una realtà solida, sopravvissuta alle “intemperie” della
Storia ed è diventato quasi un mito per i napoletani.
Il lavoro in bottega è stato tramandato di padre in figlio e oggi è la quarta
generazione che si occupa dell'attività. A dirigerla è Tiziana Grassi,una delle
discendenti di Luigi che ha ampliato l’ospedale.

                                                               Domenico Vaia
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                                Il Teatro San Carlo
    «Non c'è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro,
                    ma ne dia la più pallida idea.» (Stendhal)
Il teatro di San Carlo di Napoli fu fondato nel 1737 da re Carlo III di Borbone e
                          da lui prese il nome. Fu progettato dell'architetto Giovanni
                          Antonio Medrano e inaugurato 41 anni prima della Scala di
                          Milano e 55 anni prima della Fenice di Venezia, motivo per cui
                          rappresenta oggi il più antico teatro d’opera in Europa ed è
                          tra i più capienti d' Italia potendo accogliere 3000
                          spettatori. Fu costruito in soli otto mesi, per un costo
                          complessivo di 75 mila ducati. Il Teatro, vanta la prima pianta
                          a ferro di cavallo, modello del classico teatro all’italiana, che
                          fu replicata successivamente in molti teatri d’Italia e
                          d’Europa, come ad esempio nel Teatro di Corte della Reggia
                          di Caserta e nel Teatro alla Scala di Milano. I colori
dominanti, all’interno della sala, sono il rosso fuoco e l’oro. Sul palco reale, uno dei più
belli e sontuosi d’Europa, è situato lo stemma sabaudo voluto dai Savoia dopo l’unità
d’Italia, in sostituzione del preesistente stemma del Regno delle Due Sicilie che, fu
ripristinato sotto l’arco di proscenio. Sul
soffitto è situata una grande tela che
misura 500 metri quadrati, realizzata da
Antonio, Giovanni e Giuseppe Cammarano
e che raffigura Apollo che presenta a
Minerva i più grandi poeti del Mondo e
una scena in cui il dio indica ad Atena (il
“Sole”) le arti. Tra le figure presenti ci
sono anche quelle di Dante, Beatrice,
Virgilio ed Omero. Il Teatro di San Carlo è dalla sua fondazione il fulcro dell’opera
lirica e del balletto classico ,in Italia e in Europa,tanto da aver richiamato in passato
personalità di fama internazionale, tra cui Paganini, Bellini, Bach, Händel, Mozart. È
in questo teatro che nacque la Scuola Napoletana, punta di diamante del mondo
musicale europeo, i cui maestri principali furono Domenico Cimarosa e Giovanni
Paisiello, che diressero l’Orchestra del San Carlo. Nel 1812 nacque al Teatro di San
Carlo la Scuola di Danza più antica d’Italia.
                                                      Khysthyna Klyushyk
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                                 La Cappella Sansevero
                          Quando il bello incontra lo straordinario

Questo piccolo gioiello di quella “grande perla” chiamata Napoli,fino a qualche anno fa fa era
semisconosciuto dai più ma adesso rappresenta una delle mete imperdibili per tutti coloro
che visitano la città partenopea,siano essi semplici turisti,studiosi o semplici curiosi.
Faccio una piccola premessa che è anche un avvertimento. Ho inserito nell'articolo delle
immagini parecchio evocative che vi potrebbero guastare la sorpresa qualora vi venisse in
mente di visitare questo museo,ma lo devo fare per forza!
La costruzione della cappella ha inizio nel 1593 ma è completamente terminata nel 1767 dalla
famiglia dei principi di Sansevero. La cappella,oggi sconsacrata, è un magnifico esempio di
arte barocca e caparbio ingegno scultoreo degli artisti incaricati delle opere scultoree che la
rendono unica. Le statue più importanti sono: Il Cristo velato,Il Disinganno e La Pudicizia.
Inizio a parlare dell'ultima,La Pudicizia,per poi finire con il Cristo velato
La Pudicizia fu scolpita da Antonio Corradini nel 1752,famoso scultore veneto conosciuto ed
apprezzato per le sue opere commissionate da molte Corti europee,soprattutto quella
austriaca.
La statua è un'allegoria alla Sapienza e presenta riferimenti alla dea egizia Iside,ma ha le
                                                    sembianze di Cecilia Gaetani,l”incomparabile”
                                                    madre del principe Raimondo,il committente
                                                    dell'opera. Il caparbio uso dello scalpello da
                                                    parte del Corradini rende il velo che ricopre
                                                    la donna leggero ed elegante e stupisce la
                                                    “naturalezza” con la quale ne segue il corpo.
                                                    E che dire di quella specie di umidità che lo
                                                    fa aderire ancora di più facendolo
                                                    assomigliare ad una seconda pelle. La donna
                                                    poi appare dotata di una forza insospettabile
                                                    che le fa rompere,quasi stracciare,la lapide
                                                    intitolata “Pace eterna”;il suo volto,velato,fa
                                                    trasparire pochi tratti ma la rende ancora
                                                    più affascinante. Quello che colpisce di
                                                    questo monumento è la velocità della sua
                                                    esecuzione. Non c'è dato saperlo,ma lo
                                                    scultore è stato quasi spinto a velocizzarsi
                                                    facendo persino un errore nel momento della
                                                    rifinitura della statua,come sembra
                                                    testimoniare una “zeppetta” posta sotto il
                                                    piede destro. Tuttavia questa velocità di
                                                    esecuzione dona a questa opera una spinta in
più,infatti la pudicizia della giovane Cecilia,morta pochi mesi dopo aver partorito il figlio
Raimondo,è ben raccontata nella lapide spezzata che ammonisce l'osservatore a godere del
tempo che la vita riserva e a non buttarlo.
Pag.14

Ora parliamo dell'opera intitolata Il Disinganno di Francesco Queirolo .
Questa scultura è dedicata al padre di Raimondo,Antonio,il quale dopo la prematura
scomparsa della giovane moglie Cecilia,partì in cerca di avventure cadendo nel peccato, per
poi tornare dai figli ormai anziano per chiederne il perdono e farsi assolvere dalle sue colpe.
                                               Questa statua,infatti,ritrae un uomo che cerca
                                               di liberarsi da una gigantesca rete,metafora
                                               del peccato, che lo avvolge aiutato da un
                                               genietto alato sulla fronte del quale è posta una
                                               fiammella che rappresenta il “lume della
                                               Ragione”.
                                               La rete che avvolge il corpo muscoloso sembra
                                               reale, tanto da spingere chi guarda ad aiutare
                                               l'uomo scolpito a liberarsene;che dire poi del
                                               dettaglio della mano che si interseca con le
                                               maglie e sembra volerla lanciare lontano.
                                               Stupisce la grande maestria del Queirolo nel
                                               creare uno spazio fisico tra la rete e la gamba
                                               sinistra e soprattutto appare incredibile la
                                               precisione con la quale i nodi e la trama della
                                               rete sono stati eseguiti.
                                               Si racconta che ,al momento della rifinitura
                                               della statua, nessuno dei collaboratori
                                               dell'artista abbia voluto prendersene la
                                               responsabilità lasciando allo stesso Queirolo il
compito di farlo.
Il Disinganno colpisce l'attenzione del visitatore al punto di distoglierlo persino
dall'osservazione del monumento più famoso: Il Cristo Velato.
 Appunto! Al centro della cappella c'è questa statua magnifica scolpita da Giuseppe
Sammartino.
Questa magnifica scultura è aliena. Non crederesti che sia possibile.
Per forza c'è qualcuno sotto quel velo! Sì,la mano di un grande scultore.
Che posso dire. Non ho sufficienti parole per descriverla.
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Il Cristo è appoggiato su di un materasso ed è aiutato nel suo sonno eterno da alcuni
cuscini,tanto realistici che ti vien voglia di toccarli. Sono dettagliati al millimetro.

Il Cristo è stato appena deposto dalla croce,come testimoniano i chiodi e la pinza e la corona
di spine ai suoi piedi.
Il lenzuolo copre completamente il corpo che giace esanime e ne mette in mostra le piaghe.
Le sembianze del volto mostrano una serenità impensabile. Il velo avvolge le membra con
leggerezza ma aderisce al punto tale da mettere in evidenza i particolari della
tradizione,come i buchi nelle mani e nei piedi e la ferita nel costato dà vita alla sua
muscolatura ed al viso. Il volto stupisce per l'espressione accentuata dalle “pieghe” del
lenzuolo che discendono sulla fronte libera dai capelli che lascia scendere lo sguardo fino
all'incrocio degli occhi mettendo in risalto la sottile linea della palpebra.
Quest'opera non è più difficile da realizzare de Il Disinganno, né la sua realizzazione è
stata più rapida di quella de La Pudicizia ; ma è un assoluto capolavoro.
È la testimonianza della bravura di questo artista che è riuscito nell'impresa non facile di
scolpire il corpo del Cristo deposto dalla croce dandogli la levità e la serenità di un uomo
dormiente.
La centralità di questa statua all'interno della Cappella Sansevero non è solo dovuta alla sua
collocazione,anzi!! Chi entra non riesce a distogliere lo sguardo da essa ed infatti le altre
sculture presenti,comprese quelle di cui ho parlato, risultano quasi ignorate da chi entra.
Vi raccomando di ricordarvi che questa...queste magnifiche opere lo sono non per la loro
singolarità,bensì nel loro insieme.
Il Cristo Velato è bello non solo perché emette una luce magnifica,ma perché ha bisogno di
quella luce e l'intera cappella la cattura .
Da sola quest'opera è splendida;ma con le altre testimonia il tempo che passa,che non si
ferma né con la morte,perfino del figlio di Dio,né con il peccato. Insomma la Cappella
Sansevero rappresenta un monito per tutti a far tesoro del tempo ed ad apprezzarlo come
un dono divino.

                                                               Pietro Vezzaro
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                         La Napoli più vera
                              Il Decumano Maggiore
Il Decumano Maggiore è una delle strade più importanti del centro storico di Napoli.
Costruito dai Greci nella vecchia Neapolis, rappresenta insieme agli due decumani il
centro storico di Napoli, è stato dichiarato ufficialmente Patrimonio dell'Umanità
dell'Unesco nel 1995. Il Decumano inizia da Piazza Bellini e continuando per via San
Pietro a Majella e via dei Tribunali incrocia via Duomo, per poi giungere fino al Castel
Capuano.

Sul Decumano troviamo una moltitudine di siti di interesse storico-artistico,
Iniziando da Piazza Bellini possiamo ammirare i resti delle mura greche del IV secolo
a.C. e l'ex Convento di Sant'Antonio a Port'Alba. Su via San Pietro a Majella,
troviamo la Chiesa di San Pietro a Majella e il Conservatorio. Andando oltre troviamo
la Cappella dei Pontano e la Chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta. Su via
Tribunali, dopo la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad
Arco, incrociamo Piazza San Gaetano, che sorge sull'antica agorà greca, sulla quale
si affacciano la Basilica di San Lorenzo Maggiore e la Basilica di San Paolo
Maggiore. Vicino all'incrocio con Via Duomo troviamo la bellissima Chiesa dei
Girolamini e il palazzo Pio Monte della Misericordia. Al termine del decumano
troviamo Castel Capuano e Piazza Enrico de Nicola con Porta Capuana. Oggi il
decumano maggiore è una delle strade più importanti del centro storico di Napoli e
corrisponde all'odierna via dei Tribunali seguendo ancora interamente l'antico asse
viario greco. Proprio perché si tratta di una struttura stradale originaria dell'antica
Grecia, sarebbe più opportuno parlare di plateia e non di "decumano”. Il decumano
maggiore inizia grosso modo da Port'Alba e piazza Bellini (dove sono presenti le
prime mura greche del centro storico di Napoli) continuando per via San Pietro a
Majella e per via dei Tribunali, la quale incrocia con via Duomo per poi terminare al
Castel Capuano.
Quest'ultimo è il motivo per il quale la strada è stata chiamata sin dal Cinquecento
strada dei Tribunali. Infatti, il castel Capuano, sin dagli inizi del XVI secolo, per
volontà di Don Pedro di Toledo, assunse il ruolo di tribunale della città. In posizione
centrale di via dei Tribunali si può incontrare piazza San Gaetano, la quale sorge
                                   sull'area in cui insisteva in epoca greca l'agorà della
                                   città, divenuta poi in epoca romana il forum. Sempre
                                   sulla piazza, a testimonianza di ciò, ci sono gli
                                   ingressi per il sottosuolo di Napoli e per gli scavi di
                                   San Lorenzo, i quali offrono importanti resti della
                                   Neapolis greca. Il percorso fu duramente deturpato
                                   all'altezza di piazza Miraglia con la costruzione del
                                   vecchio Policlinico alla fine del XIX secolo,
                                   distruggendo un'enorme quantità di edifici storici,
                                   per lo più chiostri, arrecando danni al patrimonio
                                   artistico-architettonico che caratterizzava la via.
                                   Tra gli edifici principali che si trovano lungo il
                                   decumano ne citiamo alcuni (da ovest verso est):
·Chiesa di Santa Maria della Mercede e Sant'Alfonso Maria de' Liguori
· Complesso di Sant'Antonio delle Monache a Port'Alba
· Conservatorio di San Pietro a Majella
· Chiesa di San Pietro a Majella
· Cappella dei Pontano
· Chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta
· Palazzo Filippo d'Angiò
· Basilica di San Paolo Maggiore
· Basilica di San Lorenzo Maggiore
· Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco
· Pio Monte della Misericordia
· Chiesa di Santa Maria della Pace
Il Monumento a San Gaetano e l'Obelisco di San Gennaro.

                                                               Domenico Vaia
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                   Una storia magica di abilità e amore

“C’è in un grande negozio di giocattoli una gaiezza straordinaria che lo rende preferibile
 a un bell’appartamento borghese. Non vi si trova forse, in miniatura, tutta la vita, e
       molto più colorata, pulita e lucente della vita reale.” (Charles Baudelaire)

L'Ospedale delle Bambole fu fondato alla fine del XIX secolo da uno strano
personaggio di nome Luigi Grassi, famoso per il suo baffo arrotolato all’insù e per il
suo curioso ciuffo chiamato bananina. Era scenografo di alcuni teatri di corte e di
teatrini per ragazzi.
L’idea di un Ospedale che potesse raccogliere ogni tipo di giocattolo e ripararlo
                                             venne a Luigi durante una giornata di
                                             lavoro nella sua bottega in Via S. Biagio dei
                                             Librai, quando una donna entrò con una
                                             bambola rotta tra le mani. A quella vista
                                             l’artigiano, che era solito indossare un
                                             camice bianco per non sporcarsi, riassicurò
                                             la donna promettendole che la bambola
                                             sarebbe tornata di nuovo in vita. Quando la
                                             cliente tornò a prendere la bambola si
accorse della bravura di Grassi. Ben presto il negozietto acquistò sempre più clienti
che avevano bisogno di aggiustare le bambola delle proprie figlie. E fu così che, un
giorno, la bottega venne chiamata l'ospedale delle bambole in napoletano: "o’ spitale
d’è bambule".
L'ospedale esiste ancora oggi e si occupa di bambole di tutti i tipi partendo da quelle
fatte di porcellana a quelle di legno, inoltre vengono riparati anche i peluche.
La struttura è divisa in vari reparti infatti quando una bambola viene riparata passa
da un reparto all'altro un esempio può essere il reparto chiamato "centro estetico"
dove viene dato alle bambole un aspetto migliore di quello che avevano. Questo posto
però non è solo un negozio dove vengono riparate le bambole ma è diventato con il
tempo un'attrazione molto importante situata nel cuore di Napoli. Proprio per questo
ci sono le apposite guide turistiche che portano i vari visitatori a vedere l'ospedale
delle bambole che è diventato uno dei più importanti in Europa.
I turisti affermano che andare a visitare questo posto può essere considerato come
un viaggio nel tempo. È,insomma ,qualcosa di magico che insegna molte tradizioni di
cui nessuno di noi immagina l'esistenza.
                                                               Valentina Leo
                                                               Genny Nebiu
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                            La NAPOLI più segreta
Sotto le chiese, i palazzi, i monumenti, i castelli, sotto la vita quotidiana che anima la
città, si nasconde un’altra Napoli, fatta di cunicoli, gallerie e percorsi, scavati nel
tufo migliaia di anni fa. È la Napoli del sottosuolo che, attraverso le sue cavità, emula
la Napoli della superficie conservando la memoria di un passato antichissimo, quello
dell’epoca greca e romana, ma anche più recente.
Le gallerie e le cavità furono inizialmente costruite dai greci per estrarre il tufo
indispensabile per rafforzare le mura della città, mentre i romani le usarono per
                                                        raccogliere acqua piovana,
                                                        formando una complessa rete di
                                                        acquedotti che portò acqua nelle
                                                        case fino al 1885. Napoli
                                                        sotterranea è una tappa
                                                        obbligata a Napoli. Un substrato
                                                        ricco di storia e legato alla
                                                        riscoperta di un patrimonio raro,
                                                        se non unico nel suo genere.
                                                        Opere di grande ingegneria
                                                        civile, lasciate a lungo in
                                                        abbandono e oggi recuperate a
                                                        nuova vita grazie al sapiente
lavoro di Napoli Sotterranea. Da oltre 30 anni, l’Associazione Napoli Sotterranea
offre escursioni nei luoghi più affascinanti e suggestivi del ventre della città. I suoi
membri sono impegnati nel recupero e nella valorizzazione, ai fini della pubblica
fruizione, del sottosuolo. Chi visita questi luoghi se ne innamora, si emoziona. I primi
manufatti di scavi sotterranei risalgono a circa 5.000 anni fa, quasi alla fine dell'era
preistorica. Successivamente, nel III secolo a. C., in periodo greco, vennero aperte
le prime cave sotterranee per ricavare i blocchi di tufo necessari alle mura e ai
templi della loro Neapolis e scavarono in numerosi ambienti per creare una serie di
ipogei funerari. Forse i Greci erano attratti proprio dalle rocce gialle del monte
Echia, un piccolo vulcano spento che si trova proprio dietro piazza Plebiscito. Lo
sviluppo imponente del reticolo dei sotterranei iniziò in epoca romana: i romani
infatti in epoca augustea dotarono la città di gallerie viarie (grotta di Cocceio e
grotta di Seiano) e soprattutto di una rete di acquedotti complessa, alimentata da
condotti sotterranei provenienti dalle sorgenti del Serino, a 70 km di distanza dal
centro di Napoli. A tratti, sulle pareti, si notano ancora tracce dell'intonaco
idraulico, utilizzato dagli ingegneri dell'antichità per impermeabilizzare le gallerie.
Questi luoghi così affascinati hanno avuto anche degli utilizzi secondari e furono
,generalmente,utilizzati per l' estrazione del tufo;ma ve ne furono anche altri illeciti
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o scorretti, legati a furti e a scarico di materiali di scarto. Una delle due ipotesi
storico-letterarie più accreditate collega strettamente il personaggio di fantasia del
folclore napoletano detto Munaciello al suo sottosuolo, in quanto sostiene che la
leggenda della sua esistenza fosse stata alimentata dagli utilizzi illeciti degli addetti
alla pulizia del sistema idrico (detto pozzari), che utilizzavano gli accessi privati dei
pozzi per accedere alle abitazioni e compiere furti o intrattenere relazioni con le
donne della casa. Nel Novecento le Istituzioni hanno fatto ampio utilizzo di alcuni
sotterranei come deposito di veicoli sequestrati, motivo per cui vennero trovate
                                                       diverse vetture e motocicli,
                                                       tuttora in parte conservati in loco
                                                       a scopo dimostrativo. Durante la
                                                       Seconda Guerra Mondiale, i
                                                       cunicoli furono usati dai cittadini
                                                       per proteggersi dai
                                                       bombardamenti. Nel sottosuolo si
                                                       trova, quindi, il vero ventre della
                                                       città e, grazie ad archeologi e
                                                       speleologi che hanno reso
                                                       accessibili le sue fondamenta, ci
                                                       sono oggi percorsi di visita
esclusivi che portano il visitatore tra passato antico e recente. I sotterranei furono
utilizzati anche come rifugi antiaerei per proteggersi dai bombardamenti che
colpirono la città durante la seconda guerra mondiale. Le cavità furono illuminate e
sistemate dal Genio militare per accogliere decine e decine di persone che al suono
della sirena si affrettavano a scendere per le scale che scendevano in profondità. A
questo scopo furono realizzati: 1)scale di accesso, per facilitare l'ingresso e l'uscita
delle centinaia di persone che vi avrebbero dovuto accedere rapidamente;2) un
pavimento pianeggiante, ottenuto spianando e compattando i detriti, e ricoprendoli
con uno strato di terra battuta uniforme (di conseguenza l'altezza della cavità
risulta ridotto, anche di diversi metri). I detriti non vennero rimossi perché sarebbe
stata un'operazione molto più impegnativa;3) la chiusura dei pozzi, di modo che non
potesse succedere che un ordigno aereo potesse penetrare nelle cavità e causare
gravissimi danni e innumerevoli vittime. I pozzi vennero chiusi in superficie e murati
lateralmente lungo il percorso di discesa;4) servizi igienici e,naturalmente una rete
di illuminazione elettrica. Per ricordare quei tempi così difficili sono stati lasciati
resti di arredi, graffiti e vari oggetti in ottimo stato di conservazione,che
testimoniano ,ancora oggi, la grande paura dei bombardamenti e i numerosi periodi
della giornata vissuti nei rifugi, facendo riemergere uno spaccato di vita importante
e altrettanto tragico della storia cittadina.
                                                           Domenico Vaia
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                                Le grandi biografie

                           “Il principe della risata”
Antonio De Curtis, certamente più conosciuto come Totò, nasce a Napoli il 15
febbraio 1898, in via Santa Maria Antesaecula (rione Sanità).
                             La madre, Anna Clemente, lo registra all'anagrafe come
                             Antonio Clemente, ma quando nel 1921 sposa il
                             marchese Giuseppe De Curtis e questi, poi, riconosce
                             Antonio come suo figlio. Totò, tuttavia, non è
                             soddisfatto del titolo paterno e così, quando nel 1933 il
                             marchese Francesco Maria Gagliardi lo adotta
                             trasmettendogli i suoi titoli gentilizi l’attore appare
                             appagato, anche se ufficialmente il fatto non è
                             registrato. Solo dal 1946 il tribunale di Napoli gli
                             riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di:
                             Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno
                             Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio,
altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di
Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di
Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e
di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo.
All'educazione di Antonio provvede la madre la quale, per chiamarlo più in fretta, gli
affibbia il celebre nomignolo di Totò. Il giovane, particolarmente vivace e pieno di
vita, all'età di quattordici anni lascia gli studi e diventa aiutante di mastro Alfonso,
un pittore di appartamenti. L'amore per il teatro è l’altra causa importante del
precoce abbandono scolastico. Nel collegio “Cimino”, dove egli studia, è colpito con un
pugno, molto forte e per altro involontario, da uno dei precettori subendo un trauma
che finì per deformargli il naso e il mento. In seguito questo difetto determinò
l'atrofizzazione della parte sinistra del naso e quindi quella particolare asimmetria
che caratterizzava il volto del comico in maniera così inconfondibile. Totò inizia
dunque a recitare giovanissimo in piccoli e scalcinati teatri di periferia proponendo al
pubblico imitazioni e macchiette accolte inizialmente con poco entusiasmo. A soli
sedici anni ha l'amara impressione che la sua passione non possa avere sbocchi
significativi e così si arruola come volontario nell'Esercito, in cui ben presto si trova
però a soffrire per le differenze gerarchiche che quella carriera comporta. Con un
escamotage riesce a farsi ricoverare evitando di finire in prima linea allo scoppio
della Grande Guerra. Da quanto racconta la leggenda, sembra che sia stata proprio
l'esperienza nell'esercito a ispirargli il motto "Siamo uomini o caporali?", diventato
celebre
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simbolo della differenza tra i “piccoli uomini” pedantemente attaccati alle forme e
quelli che usano l'elasticità mentale e la capacità di comprendere per affrontare la
vita. Nel 1922 Giuseppe De Curtis si trasferisce a Roma con la famiglia e qui il
giovane Antonio riesce a farsi assumere,per poche lire, nella compagnia comica di
Giuseppe Capece. Quando Totò qualche mese dopo chiede un
aumento Capece lo licenzia e così egli decide allora di
presentarsi al Teatro Ambra Jovinelli dove
l'impresario,Giuseppe Jovinelli, che ha grande fiducia nel
giovane attore lo fa debuttare con tre macchiette di Gustavo
De Marco:Il bel Ciccillo,Vipera e Paraguay.
È il successo!
In breve tempo i manifesti riportano il suo nome a caratteri
cubitali e fioccano le scritture nei teatri più famosi. La vera
consacrazione avviene a Napoli, in particolare grazie agli spettacoli della rivista
"Messalina". Intanto nasce la figlia Liliana dall'unione con Diana Bandini Rogliani,
sposata nel 1935 e dalla quale divorzia quattro anni dopo,in Ungheria. I due
comunque ma vivranno insieme fino al 1950.
La forza di Totò sta principalmente nel forte carisma, cosa che lo differenzia
notevolmente dagli altri attori. Nei suoi spettacoli non si limita a far ridere ma
trascina letteralmente il pubblico in un vortice di battute e
situazioni,entusiasmandolo fino al delirio. Il suo volto rappresenta davvero una
maschera unica anche grazie alla capacità di utilizzare quell'asimmetria che
caratterizza il suo mento per sottolineare i momenti di comicità. Bisogna dire ,però,
che se il successo popolare fu eccezionale e indiscutibile, la stampa non gli risparmiò
                                          critiche, più o meno giustificate, ma
                                          sicuramente contrassegnate da un'eccessiva
                                          severità, dimostrando in questo di non capire
                                          il suo genio comico fino in fondo. Nonostante
                                          ciò per molti anni Totò fu padrone del
                                          palcoscenico recitando accanto ad attori
                                          famosissimi quali Anna Magnani e i fratelli
                                          De Filippo, continuando poi la sua carriera,
                                          com'è fisiologico, anche nel mondo del
                                          Cinema. Nel 1937 aveva debuttato nel
cinema con "Fermo con le mani" ,ma la sua carriera cinematografica proseguì per
trent’anni, fino al 1967, interpretando circa cento di film. Fra i riconoscimenti
ottenuti nella Settima Arte, si possono citare la Maschera d'argento (nel 1947), cui
fa seguito nel 1951 il Nastro d'argento per l'interpretazione nel film "Guardie e
ladri" di Steno e Monicelli.
Pag.23

Totò ha scritto anche diverse canzoni, fra le quali la celeberrima "Malafemmina".
Nel 1952 s’innamora di Franca Faldini cui resterà legato fino alla fine.
Nel 1956 torna al teatro con la rivista di Nelli e Mangini “A prescindere”.
Gli impegni della tournée gli impediscono di curare una broncopolmonite virale che gli
provoca una grave emorragia all'occhio destro, l'unico da cui vedesse dopo il distacco
della retina avvenuto per l'altro occhio vent'anni prima.
Tra le sue passioni c’è anche la poesia e, infatti, è rimasta famosa una raccolta
intitolata "'A livella" che fa seguito alla biografia "Siamo uomini o caporali?" di alcuni
anni prima.
Nel 1966 il Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici gli assegna il secondo
"Nastro d'argento" per l'interpretazione del film "Uccellacci e uccellini", di Pier
Paolo Pasolini, un grande intellettuale cui si deve per certi versi lo "sdoganamento" di
Totò. Per questo film Totò riceve anche una menzione speciale al festival di Cannes.
Ormai quasi cieco partecipa al film "Capriccio all'italiana" in due episodi: “Il mostro”
e “Che cosa sono le nuvole” (sempre di Pier Paolo Pasolini).
A Roma, dove egli risiede da molti anni, Il 15 aprile 1967, intorno alle tre e mezzo del
mattino, dopo un susseguirsi di attacchi cardiaci, Totò si spegne.
Il 17 aprile la salma è trasportata nella chiesa di Sant'Eugenio in Viale delle Belle
Arti per le esequie, le prime, perché quello stesso giorno nel pomeriggio il feretro
parte per Napoli dove giunge alle 16:30.

 Occorrono due ore per raggiungere la chiesa del Carmine Maggiore dove ,accolto da
 una folla enorme, viene celebrato il secondo rito funebre .Viene poi sepolto nella
 tomba di famiglia, nel Cimitero del Pianto. La sua Napoli,però,non si è ancora
 rassegnata alla morte di Totò e il Rione Sanità, nel quale egli era nato sessantanove
 anni prima, in occasione del trigesimo vuole dimostrargli tutto il suo affetto con un
 terzo funerale che ha luogo il 22 maggio. Nonostante la bara, ovviamente, sia vuota
 alla cerimonia partecipano circa 250.000 persone,com’era successo un mese prima.
                                                              Andrea Verdiani
Maradona ha rappresentato per Napoli qualcosa di molto importante: è
stato il riscatto, il vanto della città. Quello che ha fatto lui a Napoli lo
                 hanno fatto solo i Borboni e Masaniello.
                                                      Pino Daniele

           La Voce del Leone
               Redazione
       Ciappi I. ; Corti M.; De Luca J.
          Giacomini C.; Guadagno N.
            Klyusyk C.; Leo V. ;
       Massimiani S.; Nebiu G.;Vaia D.

           Caporedattore                      Collaborazioni esterne
           Pietro Vezzaro                 Fabrizio Giacomini;Andrea Verdiani

                            Caporedattore Emerito
                                 Marco Nesi
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