La Voce del Leone Napoli - Una città senza tempo
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La Voce del Leone contatti: Facebook.com/giornalinoLaVocedelLeone Anno XIV n°4 Gennaio 2020 Blog: La-voce-del-leone 1.webnode.it IN QUESTO NUMERO: 4-6 Curiosità 7-8 Il Duomo 9-10 Santa Chiara Il Centro Storico 2-3 Editoriale 12 16-17 Il Teatro San Carlo Il Decumano Maggiore 11 18 L'Ospedale delle Bambole 13-15 Una storia magica... La Cappella Sansevero 19 -20 La Napoli più segreta Le nostre rubriche: 21-23 Le Grandi Biografie a cura di Andrea Verdiani 24 L'ultima pagina a cura della Redazione
Pag.2 Editoriale Napoli,una città senza tempo. Il titolo di questo numero,secondo noi, è ben rappresentato dall'immagine in copertina: Pulcinella che passeggia per via San Gregorio Armeno,la strada dei presepi. Vorrei soffermarmi su di essa per capire meglio la famosa maschera partenopea e il quartiere degli artigiani del presepe. Qualcuno sostiene che Pulcinella rappresenta il carattere dei napoletani,i quali riescono sempre ad affrontare i loro problemi con un sorriso,prendendosi gioco dei potenti pubblicamente,svelando tutti i retroscena. Non so se la cosa sia vera, ma è pur sempre un dato di fatto che Pulcinella richiami alla mente Napoli e viceversa. Cerchiamo di capire il perché. Le origini di Pulcinella sono molto antiche;sembra che vadano ricercate per alcuni studiosi addirittura nel IV secolo a. C.. Infatti essi sostengono che Pulcinella discenda da Maccus, personaggio delle Atellane romane, un tipo di servo dal naso lungo e dalla faccia bitorzoluta con guance rosse,ventre prominente vestito con una camicia larga e bianca. Altri invece lo fanno discendere da “Pulcinello”,un piccolo pulcino per via del naso adunco ;altri,ancora, lo identificano con un contadino di Acerra,Paolo Cinella, che nel Seicento si unì ad una compagnia di attori girovaghi in qualità di buffone. Ufficialmente la maschera di Pulcinella è stata inventa a Napoli da un attore,Silvio Fiorillo, agli inizi del XVII secolo;mentre il suo costume moderno sarebbe da attribuire ad un certo Antonio Petito che l'avrebbe ideata nell'Ottocento. In effetti Fiorillo indossava un cappello bicorno e portava barba e baffi. La storia dice che l'attore si fosse ispirato a Paolo Cinella,un contadino di Acerra reso famoso da un ritratto che era stato attribuito,inizialmente,al pittore Ludovico Carracci. A proposito del nome di questa maschera esistono due teorie. La prima sostiene che l'origine sia legata all'ermafroditismo intrinseco nel personaggio ovvero un diminutivo femminilizzato di pollo-pulcino,del quale in un certo senso imita la voce. La seconda teoria,invece,parte da un cognome molto diffuso in Campania,Pulcinello o Polsinelli,che si sarebbe “corrotto”linguisticamente nel tempo. Pulcinella come personaggio del teatro della commedia dell'arte nasce ufficialmente con una commedia del comico Silvio Fiorillo: “La Lucilla costante con le ridicole disfide e prodezze di Policinella”, scritta nel 1609 ma pubblicata soltanto nel 1632 dopo la morte dell'autore. Parliamo adesso di Via San Gregorio Armeno e del presepe. L'arte presepiale napoletana ha origini settecentesche,e lo testimoniano sia i costumi indossati dai vari personaggi del presepe sia l'ambientazione; a questo proposito va ricordato lo splendido presepe di corte risalente al XVIII secolo che si trova nella sala ellittica della Reggia di Caserta. Tuttavia l'arte presepiale è sicuramente molto più antica, perché si parla di un presepe a Napoli in un atto notarile del 1021 in cui si parla
Pag.3 della chiesa di Santa Maria “ad praesepe”e in un testo del 1324 si parla di una “cappella del presepe di casa d'Alagni” ad Amalfi. Ad ogni modo è San Gaetano da Thiene che viene indicato come “l'inventore” del presepe napoletano dato che a partire dal 1534,anno del suo arrivo a Napoli, si fece promotore dell'allestimento d presepi nelle chiese e nelle case private in prossimità del Santo Natale. Nel 1640, grazie a Michele Perrone, i manichini conservarono testa ed arti di legno, ma furono realizzati con un'anima in filo di ferro rivestito di stoppa che consentì alle statue di assumere pose più plastiche. Verso la fine del Seicento nacque la teatralità del presepio napoletano, arricchita dalla tendenza a mescolare il sacro con il profano, a rappresentare in ogni arte la quotidianità che animava piazzette, vie e vicoli. Apparvero nel presepio statue di personaggi del popolo come i nani, le donne con il gozzo, i pezzenti, i tavernai, gli osti, i ciabattini, ovvero la rappresentazione degli umili e dei derelitti: le persone tra le quali Gesù nasce. Particolarmente significativa fu l'aggiunta dei resti di templi greci e romani per sottolineare il trionfo del cristianesimo sorto sulle rovine del paganesimo, secondo un'iconografia già ben radicata in pittura. Tuttavia l'arte presepiale di Via San Gregorio Armeno ha radici ancora più antiche di quelle che abbiamo ricordato. Infatti se prendiamo in considerazione il valore devozionale che i cristiani danno al presepe dobbiamo tener conto che laddove si trova la chiesa di San Gregorio Armeno,più conosciuta dai napoletani come chiesa di Santa Patrizia, sorgeva un Tempio dedicato a Cerere e le offerte votive che i fedeli di allora portavano alla divinità spesso erano costituite da statuette,molto diverse da quelle di oggi ovviamente, che venivano prodotte in loco da abilissimi artigiani. Quindi la secolare maestria dei maestri artigiani di San Gregorio Armeno ha radici veramente antiche e non deve stupirci più di tanto il fatto che oggi questa stretta viuzza,a due passi dal duomo,sia visitata quotidianamente da frotte di turisti i quali non possono lasciare Napoli senza aver acquistato almeno una statuetta oppure un corno rosso......a questo proposito non voglio scrivere nulla. Scoprite da voi,se lo desiderate,il significato scaramantico che viene attribuito a quest'oggetto rosso fiammante e magari anche le origini di questa superstizione. Non mi resta che augurarvi una buona lettura. Patrizia Davini
Pag.4 Napoli tra Storia e Leggenda Vi raccontiamo tutto ciò che c'è da sapere su Napoli. Venite con noi! 1.Neapolis (Νεάπολις) fu fondata nel 475 a.C. ed in origine era nota come Partenope, un piccolo insediamento creato da coloni greci. La sirena Partenope,appunto, è tutt’altro poiché, pur avendo fattezze femminili, è alata ed è un’ancella della déa degli Inferi Ecate. Secondo la leggenda, Partenope, vinta da Ulisse, spiaggiò sull’isolotto di Megaride – dove ora sorge il Castel dell’ Ovo, non a caso di memoria virgiliana –, e morendo fondò la città che porta il suo nome. 2.Il Castel dell’Ovo deve il suo nome a Virgilio. Narra la leggenda, nata a quanto pare nel Medioevo, che il poeta e mago Virgilio nascose da qualche parte nelle segrete un uovo. Ad esso sarebbe legato il destino non soltanto del castello ma dell’intera Napoli e finché esso non si romperà, le catastrofi staranno alla larga. La stanza in cui sarebbe conservato questo uovo-amuleto è sigillata da pesanti serrature in modo da prevenirne il furto o il danneggiament 3.Napoli è città di poeti. Qui sono sepolti i grandi poeti Virgilio e Giacomo Leopardi. C'è un'importantissima scuola di poesia in vernacolo ed in italiano. 4.Se“tutte le strade portano a Roma”, a Napoli,“tutte le strade portano in Galleria”.La Galleria Umberto I, infatti, ha ben quattro ingressi:Via San Carlo, Via Santa Brigida, Via Toledo e Vico Rotto San Carlo. Il numero quattro è ricorrente nella costruzione e nella storia: sulle colonne ai lati dell’arco di sinistra c’è una rappresentazione in marmo delle quattro parti che compongono il globo terrestre. Partendo da sinistra si possono riconoscere l’Europa, l’Africa, l’Asia e una figura che dovrebbe rappresentare le nuove scoperte. L’Europa è rappresentata da una
Pag. 5 figura di una donna che impugna una lancia, l’Asia invece è raffigurata da una donna che stringe una coppa. L’Africa è un figura che ha con se un casco di banane e ha una mano sopra un sfinge. La quarta figura ha tra le mani un grosso volume di tavole geografiche con su scritto “Colombo”, una chiara allusione alle nuove scoperte geografiche. Non solo Geografia, ma anche Fisica e Chimica rappresentate nelle nicchie sovrastanti e proseguendo il giro ci sono altre quattro statue che raffigurano le stagioni, e altre due rappresentati la Scienza e il Lavoro. 5.In Via dei tribunali 39, è possibile ammirare la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco risalente agli inizi del 1600. Nella zona inferiore della chiesa, sono custodite le ossa dei morti di peste e di indigenti bisognosi di sepoltura. Ancora oggi è possibile vedere dei corpi appesi alle pareti con dei ganci per favorire la perdita dei liquidi del corpo e favorire il processo di mummificazione. Ma la curiosità più grande è rappresentata dal miracoloso teschio di Lucia, una ragazza morta di tisi a soli 16 anni e che oggi è considerata la “protettrice” delle donne che non riescono a trovare marito o impossibilitate ad avere figli. 6. Il 21 dicembre viene considerato l’anniversario della fondazione della città di Napoli. 7.Il 7 settembre 1860 Giuseppe Garibaldi arriva a Napoli con l’esercito dei mille e viene accolto dalla folla. L’Eroe dei Due Mondi arrivò a Napoli a bordo di un treno accompagnato da tutte le personalità che erano andate a Salerno per accoglierlo. In testa al corteo Liborio Romano, Ministro di Polizia e Salvatore De
Pag.6 Crescenzo, capo della camorra dell’epoca, detto “Tore ‘e Criscienzo”, i cui uomini mantennero l’ordine pubblico. Dopo aver percorso via Marina, essere passato dinanzi il Maschio Angioino ed essersi fermato al Duomo per ascoltare il “Te Deum“e a Largo di Palazzo, l’attuale piazza del Plebiscito, per fare un breve discorso, Garibaldi si diresse fino a Palazzo Doria D’ Angri, dal cui balcone proclamò l’annessione delle province meridionali al Regno sabaudo. 8.Settantasei anni fa, 27 settembre 1943, iniziò la rivolta della popolazione grazie alla quale l’esercito nazista fu costretto a scappare liberando dall’occupazione la città di Napoli, prima che arrivasse l’esercito americano sbarcato a Salerno 19 giorni prima. Questo episodio,che si concluse il 30 settembre 1943,è ricordato come le “Quattro giornate di Napoli”. 9.Edoardo Bennato nasce a Napoli il 23 luglio del 1946. Si avvicina presto alla musica anche grazie all’incoraggiamento della madre e all’amore immediato per il rock’n’roll, conosciuto grazie ai soldati americani di stanza nel capoluogo partenopeo. Il suo primo album è del 1973, dal titolo “Non farti cadere le braccia”, edito con la Ricordi. Seguiranno altri brani registrati in studio, diverse colonne sonore, varie raccolte, numerosissimi singoli e DVD, senza contare le canzoni da lui scritte per altri artisti e la discografia estera, a totalizzare una carriera lunghissima, applaudita da critici e fan di tutta Italia e non solo. E’ stato il primo italiano a riempire lo stadio San Siro di Milano, con una grande esibizione il 19 luglio 1980. E’ tuttora in attività e molto seguito, grazie al suo stile irriverente e ironico che ha saputo conquistare anche le generazioni successive alla sua. Ilaria Ciappi Margherita Corti
Pag.7 La cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta La cattedrale metropolitana di Santa Maria Assunta è una basilica monumentale nonché duomo e sede dell'arcidiocesi della città di Napoli. La grande basilica sorge lungo il lato est della via omonima, in una piazzetta contornata da portici. Si tratta di una delle più importanti chiese della città da un punto di vista artistico dato che essa è, di fatto, la sovrapposizione di più stili che vanno dal gotico puro del Trecento fino al neogotico ottocentesco; ma lo è anche sotto il profilo devozionale poiché ospita, tre volte l'anno, il rito dello scioglimento del sangue di san Gennaro. L’edificazione della cattedrale fu voluta da Carlo d’Angiò nel 1294, nel luogo dove sorgevano due antiche basiliche: Santa Restituta e Santa Stefania, per far posto alla nuova costruzione, quest’ultima fu completamente demolita, mentre la basilica di Santa Restituta fu ridotta al ruolo di cappella laterale. L'interno in stile gotico, ha un impianto a croce latina e a tre navate. Il soffitto della navata principale è a cassettoni in legno intagliato e dorato, mentre le navate laterali hanno volte a crociera e decorazioni barocche. Le decorazioni a stucchi che decorano tutta la chiesa sono della fine del Seicento. La facciata del Duomo, alta circa 50 m, è dotata di tre portali; la porta di destra viene dischiusa soltanto per le festività che celebrano San Gennaro e in alcuni casi straordinari. Durante la seconda guerra mondiale i bombardamenti alleati danneggiarono le strutture e pertanto, tra il 1969 e il 1972, vennero effettuati restauri e consolidamento strutturale dell’intero edificio. Durante i lavori vennero portati alla luce resti archeologici romani, greci e alto-medievali oggi opportunamente fruibili e con reperti raccolti e organizzati. Uno dei più recenti restauri è stato apportato alla cappella del Succorpo e ha permesso il recupero del cassettonato marmoreo del Cinquecento. La facciata angioina, distrutta insieme al campanile del terremoto del 1349, fu ricostruita in stile gotico. Le navate laterali, con le loro cappelle e nicchie, testimoniano i vari passaggi nell’arte e nell’architettura napoletana nel corso dei secoli.
Pag.8 Il Cardinale Oliviero Carafa, il 10 dicembre del 1497, diede avvio alla realizzazione di una cripta, sottostante l’altare maggiore della cattedrale, che doveva avere il compito di custodire le Sacre reliquie di San Gennaro. I lavori della cripta furono assegnati a Tommaso Malvisto che, non potendo alzare il soffitto della tribuna che era già piuttosto alto rispetto al piano del transetto, dovette scavare in profondità. Questa tecnica favorì la costruzione di un ambiente dalle armoniose forme rinascimentali. Questa struttura, con le sue rifiniture in marmo e la concordanza delle proporzioni, destò sin dalla sua inaugurazione, grandi elogi e ammirazione. Come accennato prima, la Reale Cappella del Tesoro di San Gennaro è in stile barocco e fu edificata su richiesta dei napoletani per un voto a San Gennaro. Si tratta di una delle massime espressioni artistiche della città, sia per la concentrazione ed il prestigio delle opere in esso custodite, sia per il numero di artisti di fama internazionale che hanno partecipato alla sua realizzazione. Il legame di Napoli e dei napoletani con San Gennaro va ben oltre la semplice devozione per il Santo Patrono. Il Tesoro di San Gennaro si trova nel Museo dedicato al Santo, all’interno del Duomo di Napoli, e raccoglie reliquie e oggetti preziosi, diventati oracoli di fede. Il Tesoro comprende anche statue, candelabri e argenti vari che i devoti hanno gelosamente protetto durante i numerosi saccheggi della città. Secondo la tradizione, il sangue di san Gennaro si sarebbe sciolto per la prima volta ai tempi di Costantino I, quando il vescovo Severo trasferì le spoglie del santo dall'Agro Marciano, dove era stato sepolto, a Napoli. Durante il tragitto avrebbe incontrato la nutrice Eusebia con le ampolline del sangue del santo: alla presenza di Eusebia, il sangue nelle ampolle si sarebbe sciolto. La prima notizia documentata dell'ampolla contenente la presunta reliquia del sangue di san Gennaro risale soltanto al 1389, nel corso delle manifestazioni per la festa dell'Assunta di quell'anno, vi fu l'esposizione pubblica delle ampolle contenenti il cosiddetto "sangue di San Gennaro". Il 17 agosto vi fu una grandissima processione per assistere al miracolo: il liquido conservato nell'ampolla si era liquefatto "come se fosse sgorgato quel giorno stesso dal corpo del santo. Chiara Giacomini
Pag.9 La Basilica di Santa Chiara Nel cuore del centro storico di Napoli sorge l’antico complesso di Santa Chiara, la cui costruzione ebbe inizio nel 1310, per soddisfare il desiderio del sovrano del tempo,re Roberto d’Angiò, e di sua moglie,Sancia di Maiorca. Furono realizzati: due conventi, uno femminile per le Clarisse e l’altro maschile per i Frati Minori; una basilica; e ben quattro chiostri. Il 4 agosto del 1943 la chiesa fu quasi del tutto distrutta da un bombardamento aereo; ma fu ricostruita e restaurata secondo l’originario stile gotico e riaperta al culto dieci anni dopo. Oggi si presenta nelle sue originarie forme gotiche, con una semplice facciata nella quale è incastonato un antico rosone traforato;ma nel 1742 la chiesa aveva subito delle modifiche ad opera dell’architetto Vaccaro,il quali vi aggiunse degli enormi rivestimenti che donarono al complesso un aspetto barocco. Il Chiostro del monastero ha subito nel corso dei secoli varie trasformazioni. La più importante è stata eseguita ,sempre dal Vaccaro, tra il 1739 e il 1742 con la realizzazione di due viali che, incrociandosi, hanno diviso il giardino in quattro settori. Fiancheggiano i viali dei pilastri, a pianta ottagonale, rivestiti da maioliche con festoni vegetali. I pilastri maiolicati sono collegati tra loro da sedili sui quali, con la stessa tecnica, sono rappresentate scene tratte dalla vita quotidiana settecentesca. Le pareti dei quattro lati del chiostro sono interamente coperte da affreschi seicenteschi raffiguranti santi,allegorie e scene dell'Antico Testamento. All’interno della struttura si può inoltre ammirare: un museo che conserva alcuni tesori scampati al bombardamento del 1943; uno stabilimento termale romano del I secolo d. C. e un tradizionale presepe con pastori. Proseguendo la visita,all’uscita del Chiostro, si accede alla sala dove è conservato il presepe con pastori vestiti con stoffe del Settecento e dell’ Ottocento. In esso sono rappresentati personaggi e scene di vita quotidiana. Ovviamente, nel rispetto della tradizione presepiale dell’epoca,tutto è riprodotto con cura minuziosa e la rappresentazione non si limita alla sacra famiglia ma si allarga, fino a raffigurare la bellezza di Napoli. In questo contesto realistico i personaggi sacri sono comunque rappresentati secondo i canoni della tradizione figurativa cristiana. La natività, posta al centro della scena, non è ambientata in una stalla, bensì in un monumento romano a simboleggiare la nascita della nuova era cristiana sulle macerie del paganesimo. La scenografia è realizzata in cartapesta, sughero e legno, mentre i pastori hanno il corpo di filo di ferro e stoppa, i volti in terracotta e gli arti fatti di legno.
Pag.10 Il Chiostro Maiolicato del monastero ha subito nel corso dei secoli varie trasformazioni. La più importante è stata eseguita dal Vaccaro, tra il 1739 e il 1742. La struttura trecentesca, composta da archi a sesto acuto, poggianti su pilastrini in piperno, è rimasta invariata, mentre il giardino è stato completamente modificato. Come detto prima, Il Vaccaro ha realizzato due viali che, incrociandosi perpendicolarmente, dividono l’area in quattro settori: due strutturati come un giardino all’italiana, con siepi e fontane; gli altri due dedicati alla coltivazione. Fiancheggiano i viali i pilastri ottagonali rivestiti da maioliche con festoni vegetali e collegati tra loro da sedute interamente maiolicate sui cui schienali sono raffigurate scene popolari. Vi è un unico schienale relativo alla vita nel monastero, su di esso è raffigurata una clarissa intenta a cibare i gatti presenti nel chiostro. Le decorazioni delle maioliche si devono agli artigiani Donato e Giuseppe Massa, che hanno armonizzato il Chiostro con tutti gli elementi architettonici e naturali circostanti. Le pareti dei quattro lati del chiostro furono decorate nella prima metà del secolo da un autore ignoto, probabilmente appartenente alla scuola di Belisario Corenzio. Dall’ingresso al chiostro la prima parte della parete a destra è senza affreschi perché furono distrutti dal bombardamento. Al termine di due dei bracci del Chiostro è posto l’ingresso del Museo dell’Opera francescana. Suddiviso in quattro sale, il museo restituisce uno spaccato di storia napoletana, dall’antichità al XX secolo, e conserva alcuni tesori del monastero scampati al bombardamento del 1943. Nella Sala archeologica del museo sono raccolti i reperti archeologici rinvenuti durante i restauri effettuati dai Frati Minori negli anni Cinquanta . Da questa,proseguendo sulla sinistra, si accede all’area archeologica esterna, dove si conservano i resti di un impianto termale del I secolo d. C. . Nella Sala della Storia sono ricostruite le vicende del complesso monumentale nel corso dei secoli e si trovano i busti dei due sovrani fondatori, Roberto e Sancia e le immagini della chiesa, prima e dopo bombardamento, e le fasi della ricostruzione. Nella Sala dei Marmi si trovano statue e decorazioni marmoree recuperate dopo il bombardamento della chiesa, nonché una parte dei fregi che ornavano le celle delle clarisse e gli stemmi nobiliari presenti nelle cappelle laterali della chiesa. La sala dei reliquiari , posta su di un piano soppalcato, conserva paramenti sacri, corredi liturgici, reliquie e porta reliquiari . Inoltre vi è conservato il busto ligneo dell’Ecce Homo, opera rinascimentale di Giovanni da Nola. Sul fondo della sala è possibile vedere la tipologia delle stanze utilizzate dalle monache . La visita del Complesso di Santa Chiara si conclude con l’Area Archeologica, dove si trovano resti di uno stabilimento termale romano scoperto nel dopoguerra, che presumibilmente, apparteneva a una villa patrizia., che testimoniano ciò che rimane delle antiche Thermae di Neapolis, di struttura simile a quelle di Pompei e di Ercolano,risalenti alla fine del I secolo d. C., e dei relativi condotti idrici che facevano parte dell’acquedotto del Serino. L’edificio era composto da due livelli: uno costituito dagli ambienti termali veri e propri. Parte della struttura è ancora interrata, ma sono visibili la cisterna e lo spogliatoio. Sofia Massimiani
Pag.11 L'Ospedale delle Bambole L'Ospedale delle bambole è un museo di Napoli. In esso sono raccolti giocattoli e bambole d'epoca. Luigi Grassi fondò nel 1895 un piccolo laboratorio per la costruzione delle sue scenografie e per la riparazione ed il restauro delle attrezzature usate negli spettacoli teatrali. Effettuava inoltre interventi anche su giocattoli, oggetti di culto delle chiese di Napoli, burattini e varie maschere. In seguito all'accumulo di svariati pezzi di ricambio presenti in negozio e siccome il Grassi operava con addosso sempre un camice bianco, la gente iniziò a chiamare quel posto 'o spitale d'é bambule (l'ospedale delle bambole). Fu in seguito alla riparazione di una bambola rotta ed alle doti del Grassi come aggiustatore, che la bottega divenne un punto di riferimento per l'intera città, per la riparazione delle bambole, in un'epoca in cui non esisteva ancora il consumismo di massa. L’ospedale delle bambole è una realtà solida, sopravvissuta alle “intemperie” della Storia ed è diventato quasi un mito per i napoletani. Il lavoro in bottega è stato tramandato di padre in figlio e oggi è la quarta generazione che si occupa dell'attività. A dirigerla è Tiziana Grassi,una delle discendenti di Luigi che ha ampliato l’ospedale. Domenico Vaia
Pag.12 Il Teatro San Carlo «Non c'è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea.» (Stendhal) Il teatro di San Carlo di Napoli fu fondato nel 1737 da re Carlo III di Borbone e da lui prese il nome. Fu progettato dell'architetto Giovanni Antonio Medrano e inaugurato 41 anni prima della Scala di Milano e 55 anni prima della Fenice di Venezia, motivo per cui rappresenta oggi il più antico teatro d’opera in Europa ed è tra i più capienti d' Italia potendo accogliere 3000 spettatori. Fu costruito in soli otto mesi, per un costo complessivo di 75 mila ducati. Il Teatro, vanta la prima pianta a ferro di cavallo, modello del classico teatro all’italiana, che fu replicata successivamente in molti teatri d’Italia e d’Europa, come ad esempio nel Teatro di Corte della Reggia di Caserta e nel Teatro alla Scala di Milano. I colori dominanti, all’interno della sala, sono il rosso fuoco e l’oro. Sul palco reale, uno dei più belli e sontuosi d’Europa, è situato lo stemma sabaudo voluto dai Savoia dopo l’unità d’Italia, in sostituzione del preesistente stemma del Regno delle Due Sicilie che, fu ripristinato sotto l’arco di proscenio. Sul soffitto è situata una grande tela che misura 500 metri quadrati, realizzata da Antonio, Giovanni e Giuseppe Cammarano e che raffigura Apollo che presenta a Minerva i più grandi poeti del Mondo e una scena in cui il dio indica ad Atena (il “Sole”) le arti. Tra le figure presenti ci sono anche quelle di Dante, Beatrice, Virgilio ed Omero. Il Teatro di San Carlo è dalla sua fondazione il fulcro dell’opera lirica e del balletto classico ,in Italia e in Europa,tanto da aver richiamato in passato personalità di fama internazionale, tra cui Paganini, Bellini, Bach, Händel, Mozart. È in questo teatro che nacque la Scuola Napoletana, punta di diamante del mondo musicale europeo, i cui maestri principali furono Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello, che diressero l’Orchestra del San Carlo. Nel 1812 nacque al Teatro di San Carlo la Scuola di Danza più antica d’Italia. Khysthyna Klyushyk
Pag.13 La Cappella Sansevero Quando il bello incontra lo straordinario Questo piccolo gioiello di quella “grande perla” chiamata Napoli,fino a qualche anno fa fa era semisconosciuto dai più ma adesso rappresenta una delle mete imperdibili per tutti coloro che visitano la città partenopea,siano essi semplici turisti,studiosi o semplici curiosi. Faccio una piccola premessa che è anche un avvertimento. Ho inserito nell'articolo delle immagini parecchio evocative che vi potrebbero guastare la sorpresa qualora vi venisse in mente di visitare questo museo,ma lo devo fare per forza! La costruzione della cappella ha inizio nel 1593 ma è completamente terminata nel 1767 dalla famiglia dei principi di Sansevero. La cappella,oggi sconsacrata, è un magnifico esempio di arte barocca e caparbio ingegno scultoreo degli artisti incaricati delle opere scultoree che la rendono unica. Le statue più importanti sono: Il Cristo velato,Il Disinganno e La Pudicizia. Inizio a parlare dell'ultima,La Pudicizia,per poi finire con il Cristo velato La Pudicizia fu scolpita da Antonio Corradini nel 1752,famoso scultore veneto conosciuto ed apprezzato per le sue opere commissionate da molte Corti europee,soprattutto quella austriaca. La statua è un'allegoria alla Sapienza e presenta riferimenti alla dea egizia Iside,ma ha le sembianze di Cecilia Gaetani,l”incomparabile” madre del principe Raimondo,il committente dell'opera. Il caparbio uso dello scalpello da parte del Corradini rende il velo che ricopre la donna leggero ed elegante e stupisce la “naturalezza” con la quale ne segue il corpo. E che dire di quella specie di umidità che lo fa aderire ancora di più facendolo assomigliare ad una seconda pelle. La donna poi appare dotata di una forza insospettabile che le fa rompere,quasi stracciare,la lapide intitolata “Pace eterna”;il suo volto,velato,fa trasparire pochi tratti ma la rende ancora più affascinante. Quello che colpisce di questo monumento è la velocità della sua esecuzione. Non c'è dato saperlo,ma lo scultore è stato quasi spinto a velocizzarsi facendo persino un errore nel momento della rifinitura della statua,come sembra testimoniare una “zeppetta” posta sotto il piede destro. Tuttavia questa velocità di esecuzione dona a questa opera una spinta in più,infatti la pudicizia della giovane Cecilia,morta pochi mesi dopo aver partorito il figlio Raimondo,è ben raccontata nella lapide spezzata che ammonisce l'osservatore a godere del tempo che la vita riserva e a non buttarlo.
Pag.14 Ora parliamo dell'opera intitolata Il Disinganno di Francesco Queirolo . Questa scultura è dedicata al padre di Raimondo,Antonio,il quale dopo la prematura scomparsa della giovane moglie Cecilia,partì in cerca di avventure cadendo nel peccato, per poi tornare dai figli ormai anziano per chiederne il perdono e farsi assolvere dalle sue colpe. Questa statua,infatti,ritrae un uomo che cerca di liberarsi da una gigantesca rete,metafora del peccato, che lo avvolge aiutato da un genietto alato sulla fronte del quale è posta una fiammella che rappresenta il “lume della Ragione”. La rete che avvolge il corpo muscoloso sembra reale, tanto da spingere chi guarda ad aiutare l'uomo scolpito a liberarsene;che dire poi del dettaglio della mano che si interseca con le maglie e sembra volerla lanciare lontano. Stupisce la grande maestria del Queirolo nel creare uno spazio fisico tra la rete e la gamba sinistra e soprattutto appare incredibile la precisione con la quale i nodi e la trama della rete sono stati eseguiti. Si racconta che ,al momento della rifinitura della statua, nessuno dei collaboratori dell'artista abbia voluto prendersene la responsabilità lasciando allo stesso Queirolo il compito di farlo. Il Disinganno colpisce l'attenzione del visitatore al punto di distoglierlo persino dall'osservazione del monumento più famoso: Il Cristo Velato. Appunto! Al centro della cappella c'è questa statua magnifica scolpita da Giuseppe Sammartino. Questa magnifica scultura è aliena. Non crederesti che sia possibile. Per forza c'è qualcuno sotto quel velo! Sì,la mano di un grande scultore. Che posso dire. Non ho sufficienti parole per descriverla.
Pag.15 Il Cristo è appoggiato su di un materasso ed è aiutato nel suo sonno eterno da alcuni cuscini,tanto realistici che ti vien voglia di toccarli. Sono dettagliati al millimetro. Il Cristo è stato appena deposto dalla croce,come testimoniano i chiodi e la pinza e la corona di spine ai suoi piedi. Il lenzuolo copre completamente il corpo che giace esanime e ne mette in mostra le piaghe. Le sembianze del volto mostrano una serenità impensabile. Il velo avvolge le membra con leggerezza ma aderisce al punto tale da mettere in evidenza i particolari della tradizione,come i buchi nelle mani e nei piedi e la ferita nel costato dà vita alla sua muscolatura ed al viso. Il volto stupisce per l'espressione accentuata dalle “pieghe” del lenzuolo che discendono sulla fronte libera dai capelli che lascia scendere lo sguardo fino all'incrocio degli occhi mettendo in risalto la sottile linea della palpebra. Quest'opera non è più difficile da realizzare de Il Disinganno, né la sua realizzazione è stata più rapida di quella de La Pudicizia ; ma è un assoluto capolavoro. È la testimonianza della bravura di questo artista che è riuscito nell'impresa non facile di scolpire il corpo del Cristo deposto dalla croce dandogli la levità e la serenità di un uomo dormiente. La centralità di questa statua all'interno della Cappella Sansevero non è solo dovuta alla sua collocazione,anzi!! Chi entra non riesce a distogliere lo sguardo da essa ed infatti le altre sculture presenti,comprese quelle di cui ho parlato, risultano quasi ignorate da chi entra. Vi raccomando di ricordarvi che questa...queste magnifiche opere lo sono non per la loro singolarità,bensì nel loro insieme. Il Cristo Velato è bello non solo perché emette una luce magnifica,ma perché ha bisogno di quella luce e l'intera cappella la cattura . Da sola quest'opera è splendida;ma con le altre testimonia il tempo che passa,che non si ferma né con la morte,perfino del figlio di Dio,né con il peccato. Insomma la Cappella Sansevero rappresenta un monito per tutti a far tesoro del tempo ed ad apprezzarlo come un dono divino. Pietro Vezzaro
Pag.16 La Napoli più vera Il Decumano Maggiore Il Decumano Maggiore è una delle strade più importanti del centro storico di Napoli. Costruito dai Greci nella vecchia Neapolis, rappresenta insieme agli due decumani il centro storico di Napoli, è stato dichiarato ufficialmente Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco nel 1995. Il Decumano inizia da Piazza Bellini e continuando per via San Pietro a Majella e via dei Tribunali incrocia via Duomo, per poi giungere fino al Castel Capuano. Sul Decumano troviamo una moltitudine di siti di interesse storico-artistico, Iniziando da Piazza Bellini possiamo ammirare i resti delle mura greche del IV secolo a.C. e l'ex Convento di Sant'Antonio a Port'Alba. Su via San Pietro a Majella, troviamo la Chiesa di San Pietro a Majella e il Conservatorio. Andando oltre troviamo la Cappella dei Pontano e la Chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta. Su via Tribunali, dopo la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, incrociamo Piazza San Gaetano, che sorge sull'antica agorà greca, sulla quale si affacciano la Basilica di San Lorenzo Maggiore e la Basilica di San Paolo Maggiore. Vicino all'incrocio con Via Duomo troviamo la bellissima Chiesa dei Girolamini e il palazzo Pio Monte della Misericordia. Al termine del decumano troviamo Castel Capuano e Piazza Enrico de Nicola con Porta Capuana. Oggi il decumano maggiore è una delle strade più importanti del centro storico di Napoli e corrisponde all'odierna via dei Tribunali seguendo ancora interamente l'antico asse viario greco. Proprio perché si tratta di una struttura stradale originaria dell'antica Grecia, sarebbe più opportuno parlare di plateia e non di "decumano”. Il decumano maggiore inizia grosso modo da Port'Alba e piazza Bellini (dove sono presenti le prime mura greche del centro storico di Napoli) continuando per via San Pietro a Majella e per via dei Tribunali, la quale incrocia con via Duomo per poi terminare al Castel Capuano.
Quest'ultimo è il motivo per il quale la strada è stata chiamata sin dal Cinquecento strada dei Tribunali. Infatti, il castel Capuano, sin dagli inizi del XVI secolo, per volontà di Don Pedro di Toledo, assunse il ruolo di tribunale della città. In posizione centrale di via dei Tribunali si può incontrare piazza San Gaetano, la quale sorge sull'area in cui insisteva in epoca greca l'agorà della città, divenuta poi in epoca romana il forum. Sempre sulla piazza, a testimonianza di ciò, ci sono gli ingressi per il sottosuolo di Napoli e per gli scavi di San Lorenzo, i quali offrono importanti resti della Neapolis greca. Il percorso fu duramente deturpato all'altezza di piazza Miraglia con la costruzione del vecchio Policlinico alla fine del XIX secolo, distruggendo un'enorme quantità di edifici storici, per lo più chiostri, arrecando danni al patrimonio artistico-architettonico che caratterizzava la via. Tra gli edifici principali che si trovano lungo il decumano ne citiamo alcuni (da ovest verso est): ·Chiesa di Santa Maria della Mercede e Sant'Alfonso Maria de' Liguori · Complesso di Sant'Antonio delle Monache a Port'Alba · Conservatorio di San Pietro a Majella · Chiesa di San Pietro a Majella · Cappella dei Pontano · Chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta · Palazzo Filippo d'Angiò · Basilica di San Paolo Maggiore · Basilica di San Lorenzo Maggiore · Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco · Pio Monte della Misericordia · Chiesa di Santa Maria della Pace Il Monumento a San Gaetano e l'Obelisco di San Gennaro. Domenico Vaia
Pag.18 Una storia magica di abilità e amore “C’è in un grande negozio di giocattoli una gaiezza straordinaria che lo rende preferibile a un bell’appartamento borghese. Non vi si trova forse, in miniatura, tutta la vita, e molto più colorata, pulita e lucente della vita reale.” (Charles Baudelaire) L'Ospedale delle Bambole fu fondato alla fine del XIX secolo da uno strano personaggio di nome Luigi Grassi, famoso per il suo baffo arrotolato all’insù e per il suo curioso ciuffo chiamato bananina. Era scenografo di alcuni teatri di corte e di teatrini per ragazzi. L’idea di un Ospedale che potesse raccogliere ogni tipo di giocattolo e ripararlo venne a Luigi durante una giornata di lavoro nella sua bottega in Via S. Biagio dei Librai, quando una donna entrò con una bambola rotta tra le mani. A quella vista l’artigiano, che era solito indossare un camice bianco per non sporcarsi, riassicurò la donna promettendole che la bambola sarebbe tornata di nuovo in vita. Quando la cliente tornò a prendere la bambola si accorse della bravura di Grassi. Ben presto il negozietto acquistò sempre più clienti che avevano bisogno di aggiustare le bambola delle proprie figlie. E fu così che, un giorno, la bottega venne chiamata l'ospedale delle bambole in napoletano: "o’ spitale d’è bambule". L'ospedale esiste ancora oggi e si occupa di bambole di tutti i tipi partendo da quelle fatte di porcellana a quelle di legno, inoltre vengono riparati anche i peluche. La struttura è divisa in vari reparti infatti quando una bambola viene riparata passa da un reparto all'altro un esempio può essere il reparto chiamato "centro estetico" dove viene dato alle bambole un aspetto migliore di quello che avevano. Questo posto però non è solo un negozio dove vengono riparate le bambole ma è diventato con il tempo un'attrazione molto importante situata nel cuore di Napoli. Proprio per questo ci sono le apposite guide turistiche che portano i vari visitatori a vedere l'ospedale delle bambole che è diventato uno dei più importanti in Europa. I turisti affermano che andare a visitare questo posto può essere considerato come un viaggio nel tempo. È,insomma ,qualcosa di magico che insegna molte tradizioni di cui nessuno di noi immagina l'esistenza. Valentina Leo Genny Nebiu
Pag.19 La NAPOLI più segreta Sotto le chiese, i palazzi, i monumenti, i castelli, sotto la vita quotidiana che anima la città, si nasconde un’altra Napoli, fatta di cunicoli, gallerie e percorsi, scavati nel tufo migliaia di anni fa. È la Napoli del sottosuolo che, attraverso le sue cavità, emula la Napoli della superficie conservando la memoria di un passato antichissimo, quello dell’epoca greca e romana, ma anche più recente. Le gallerie e le cavità furono inizialmente costruite dai greci per estrarre il tufo indispensabile per rafforzare le mura della città, mentre i romani le usarono per raccogliere acqua piovana, formando una complessa rete di acquedotti che portò acqua nelle case fino al 1885. Napoli sotterranea è una tappa obbligata a Napoli. Un substrato ricco di storia e legato alla riscoperta di un patrimonio raro, se non unico nel suo genere. Opere di grande ingegneria civile, lasciate a lungo in abbandono e oggi recuperate a nuova vita grazie al sapiente lavoro di Napoli Sotterranea. Da oltre 30 anni, l’Associazione Napoli Sotterranea offre escursioni nei luoghi più affascinanti e suggestivi del ventre della città. I suoi membri sono impegnati nel recupero e nella valorizzazione, ai fini della pubblica fruizione, del sottosuolo. Chi visita questi luoghi se ne innamora, si emoziona. I primi manufatti di scavi sotterranei risalgono a circa 5.000 anni fa, quasi alla fine dell'era preistorica. Successivamente, nel III secolo a. C., in periodo greco, vennero aperte le prime cave sotterranee per ricavare i blocchi di tufo necessari alle mura e ai templi della loro Neapolis e scavarono in numerosi ambienti per creare una serie di ipogei funerari. Forse i Greci erano attratti proprio dalle rocce gialle del monte Echia, un piccolo vulcano spento che si trova proprio dietro piazza Plebiscito. Lo sviluppo imponente del reticolo dei sotterranei iniziò in epoca romana: i romani infatti in epoca augustea dotarono la città di gallerie viarie (grotta di Cocceio e grotta di Seiano) e soprattutto di una rete di acquedotti complessa, alimentata da condotti sotterranei provenienti dalle sorgenti del Serino, a 70 km di distanza dal centro di Napoli. A tratti, sulle pareti, si notano ancora tracce dell'intonaco idraulico, utilizzato dagli ingegneri dell'antichità per impermeabilizzare le gallerie. Questi luoghi così affascinati hanno avuto anche degli utilizzi secondari e furono ,generalmente,utilizzati per l' estrazione del tufo;ma ve ne furono anche altri illeciti
Pag.20 o scorretti, legati a furti e a scarico di materiali di scarto. Una delle due ipotesi storico-letterarie più accreditate collega strettamente il personaggio di fantasia del folclore napoletano detto Munaciello al suo sottosuolo, in quanto sostiene che la leggenda della sua esistenza fosse stata alimentata dagli utilizzi illeciti degli addetti alla pulizia del sistema idrico (detto pozzari), che utilizzavano gli accessi privati dei pozzi per accedere alle abitazioni e compiere furti o intrattenere relazioni con le donne della casa. Nel Novecento le Istituzioni hanno fatto ampio utilizzo di alcuni sotterranei come deposito di veicoli sequestrati, motivo per cui vennero trovate diverse vetture e motocicli, tuttora in parte conservati in loco a scopo dimostrativo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, i cunicoli furono usati dai cittadini per proteggersi dai bombardamenti. Nel sottosuolo si trova, quindi, il vero ventre della città e, grazie ad archeologi e speleologi che hanno reso accessibili le sue fondamenta, ci sono oggi percorsi di visita esclusivi che portano il visitatore tra passato antico e recente. I sotterranei furono utilizzati anche come rifugi antiaerei per proteggersi dai bombardamenti che colpirono la città durante la seconda guerra mondiale. Le cavità furono illuminate e sistemate dal Genio militare per accogliere decine e decine di persone che al suono della sirena si affrettavano a scendere per le scale che scendevano in profondità. A questo scopo furono realizzati: 1)scale di accesso, per facilitare l'ingresso e l'uscita delle centinaia di persone che vi avrebbero dovuto accedere rapidamente;2) un pavimento pianeggiante, ottenuto spianando e compattando i detriti, e ricoprendoli con uno strato di terra battuta uniforme (di conseguenza l'altezza della cavità risulta ridotto, anche di diversi metri). I detriti non vennero rimossi perché sarebbe stata un'operazione molto più impegnativa;3) la chiusura dei pozzi, di modo che non potesse succedere che un ordigno aereo potesse penetrare nelle cavità e causare gravissimi danni e innumerevoli vittime. I pozzi vennero chiusi in superficie e murati lateralmente lungo il percorso di discesa;4) servizi igienici e,naturalmente una rete di illuminazione elettrica. Per ricordare quei tempi così difficili sono stati lasciati resti di arredi, graffiti e vari oggetti in ottimo stato di conservazione,che testimoniano ,ancora oggi, la grande paura dei bombardamenti e i numerosi periodi della giornata vissuti nei rifugi, facendo riemergere uno spaccato di vita importante e altrettanto tragico della storia cittadina. Domenico Vaia
Pag.21 Le grandi biografie “Il principe della risata” Antonio De Curtis, certamente più conosciuto come Totò, nasce a Napoli il 15 febbraio 1898, in via Santa Maria Antesaecula (rione Sanità). La madre, Anna Clemente, lo registra all'anagrafe come Antonio Clemente, ma quando nel 1921 sposa il marchese Giuseppe De Curtis e questi, poi, riconosce Antonio come suo figlio. Totò, tuttavia, non è soddisfatto del titolo paterno e così, quando nel 1933 il marchese Francesco Maria Gagliardi lo adotta trasmettendogli i suoi titoli gentilizi l’attore appare appagato, anche se ufficialmente il fatto non è registrato. Solo dal 1946 il tribunale di Napoli gli riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di: Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo. All'educazione di Antonio provvede la madre la quale, per chiamarlo più in fretta, gli affibbia il celebre nomignolo di Totò. Il giovane, particolarmente vivace e pieno di vita, all'età di quattordici anni lascia gli studi e diventa aiutante di mastro Alfonso, un pittore di appartamenti. L'amore per il teatro è l’altra causa importante del precoce abbandono scolastico. Nel collegio “Cimino”, dove egli studia, è colpito con un pugno, molto forte e per altro involontario, da uno dei precettori subendo un trauma che finì per deformargli il naso e il mento. In seguito questo difetto determinò l'atrofizzazione della parte sinistra del naso e quindi quella particolare asimmetria che caratterizzava il volto del comico in maniera così inconfondibile. Totò inizia dunque a recitare giovanissimo in piccoli e scalcinati teatri di periferia proponendo al pubblico imitazioni e macchiette accolte inizialmente con poco entusiasmo. A soli sedici anni ha l'amara impressione che la sua passione non possa avere sbocchi significativi e così si arruola come volontario nell'Esercito, in cui ben presto si trova però a soffrire per le differenze gerarchiche che quella carriera comporta. Con un escamotage riesce a farsi ricoverare evitando di finire in prima linea allo scoppio della Grande Guerra. Da quanto racconta la leggenda, sembra che sia stata proprio l'esperienza nell'esercito a ispirargli il motto "Siamo uomini o caporali?", diventato celebre
Pag.22 simbolo della differenza tra i “piccoli uomini” pedantemente attaccati alle forme e quelli che usano l'elasticità mentale e la capacità di comprendere per affrontare la vita. Nel 1922 Giuseppe De Curtis si trasferisce a Roma con la famiglia e qui il giovane Antonio riesce a farsi assumere,per poche lire, nella compagnia comica di Giuseppe Capece. Quando Totò qualche mese dopo chiede un aumento Capece lo licenzia e così egli decide allora di presentarsi al Teatro Ambra Jovinelli dove l'impresario,Giuseppe Jovinelli, che ha grande fiducia nel giovane attore lo fa debuttare con tre macchiette di Gustavo De Marco:Il bel Ciccillo,Vipera e Paraguay. È il successo! In breve tempo i manifesti riportano il suo nome a caratteri cubitali e fioccano le scritture nei teatri più famosi. La vera consacrazione avviene a Napoli, in particolare grazie agli spettacoli della rivista "Messalina". Intanto nasce la figlia Liliana dall'unione con Diana Bandini Rogliani, sposata nel 1935 e dalla quale divorzia quattro anni dopo,in Ungheria. I due comunque ma vivranno insieme fino al 1950. La forza di Totò sta principalmente nel forte carisma, cosa che lo differenzia notevolmente dagli altri attori. Nei suoi spettacoli non si limita a far ridere ma trascina letteralmente il pubblico in un vortice di battute e situazioni,entusiasmandolo fino al delirio. Il suo volto rappresenta davvero una maschera unica anche grazie alla capacità di utilizzare quell'asimmetria che caratterizza il suo mento per sottolineare i momenti di comicità. Bisogna dire ,però, che se il successo popolare fu eccezionale e indiscutibile, la stampa non gli risparmiò critiche, più o meno giustificate, ma sicuramente contrassegnate da un'eccessiva severità, dimostrando in questo di non capire il suo genio comico fino in fondo. Nonostante ciò per molti anni Totò fu padrone del palcoscenico recitando accanto ad attori famosissimi quali Anna Magnani e i fratelli De Filippo, continuando poi la sua carriera, com'è fisiologico, anche nel mondo del Cinema. Nel 1937 aveva debuttato nel cinema con "Fermo con le mani" ,ma la sua carriera cinematografica proseguì per trent’anni, fino al 1967, interpretando circa cento di film. Fra i riconoscimenti ottenuti nella Settima Arte, si possono citare la Maschera d'argento (nel 1947), cui fa seguito nel 1951 il Nastro d'argento per l'interpretazione nel film "Guardie e ladri" di Steno e Monicelli.
Pag.23 Totò ha scritto anche diverse canzoni, fra le quali la celeberrima "Malafemmina". Nel 1952 s’innamora di Franca Faldini cui resterà legato fino alla fine. Nel 1956 torna al teatro con la rivista di Nelli e Mangini “A prescindere”. Gli impegni della tournée gli impediscono di curare una broncopolmonite virale che gli provoca una grave emorragia all'occhio destro, l'unico da cui vedesse dopo il distacco della retina avvenuto per l'altro occhio vent'anni prima. Tra le sue passioni c’è anche la poesia e, infatti, è rimasta famosa una raccolta intitolata "'A livella" che fa seguito alla biografia "Siamo uomini o caporali?" di alcuni anni prima. Nel 1966 il Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici gli assegna il secondo "Nastro d'argento" per l'interpretazione del film "Uccellacci e uccellini", di Pier Paolo Pasolini, un grande intellettuale cui si deve per certi versi lo "sdoganamento" di Totò. Per questo film Totò riceve anche una menzione speciale al festival di Cannes. Ormai quasi cieco partecipa al film "Capriccio all'italiana" in due episodi: “Il mostro” e “Che cosa sono le nuvole” (sempre di Pier Paolo Pasolini). A Roma, dove egli risiede da molti anni, Il 15 aprile 1967, intorno alle tre e mezzo del mattino, dopo un susseguirsi di attacchi cardiaci, Totò si spegne. Il 17 aprile la salma è trasportata nella chiesa di Sant'Eugenio in Viale delle Belle Arti per le esequie, le prime, perché quello stesso giorno nel pomeriggio il feretro parte per Napoli dove giunge alle 16:30. Occorrono due ore per raggiungere la chiesa del Carmine Maggiore dove ,accolto da una folla enorme, viene celebrato il secondo rito funebre .Viene poi sepolto nella tomba di famiglia, nel Cimitero del Pianto. La sua Napoli,però,non si è ancora rassegnata alla morte di Totò e il Rione Sanità, nel quale egli era nato sessantanove anni prima, in occasione del trigesimo vuole dimostrargli tutto il suo affetto con un terzo funerale che ha luogo il 22 maggio. Nonostante la bara, ovviamente, sia vuota alla cerimonia partecipano circa 250.000 persone,com’era successo un mese prima. Andrea Verdiani
Maradona ha rappresentato per Napoli qualcosa di molto importante: è stato il riscatto, il vanto della città. Quello che ha fatto lui a Napoli lo hanno fatto solo i Borboni e Masaniello. Pino Daniele La Voce del Leone Redazione Ciappi I. ; Corti M.; De Luca J. Giacomini C.; Guadagno N. Klyusyk C.; Leo V. ; Massimiani S.; Nebiu G.;Vaia D. Caporedattore Collaborazioni esterne Pietro Vezzaro Fabrizio Giacomini;Andrea Verdiani Caporedattore Emerito Marco Nesi
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