La violenza sui minori: il minore sessualmente abusato - Diritto.it

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La violenza sui minori: il minore sessualmente
abusato
Autore: Clotilde De Franco
In: Diritto penale

PREMESSA

I maltrattamenti e le violenze all'infanzia sono sempre esistiti nella storia dell'umanità senza però che se
ne avesse la consapevolezza che, in tempi recenti, si sta sviluppando. Da alcuni anni, infatti, il tema
relativo all'abuso sessuale sui minori è stato oggetto di sempre maggior attenzione nel nostro paese. Sono
state promosse finalmente iniziative volte alla sensibilizzazione collettiva su questo problema e sono stati
svolti convegni nazionali ed internazionali per professionisti e specialisti riguardanti gli aspetti sociali,
giuridici e psicologici di una questione così delicata e complessa.

Tutto ciò ha portato, come conseguenza, allo sviluppo di una "cultura dell'infanzia" ed ha orientato
l'impegno dei vari professionisti necessariamente verso la protezione dei diritti del minore, rivolgendo così
l'attenzione al "problema sommerso" dei maltrattamenti, delle violenze e negligenze nei loro confronti
(child abuse).

Nei paesi in cui i tradizionali modelli di vita sono mutati si è modificato conseguentemente sia il ruolo
dell'infanzia, sia i modi e gli strumenti per tutelarla. Grazie allo sviluppo delle scienze psicologiche e
pedagogiche ormai viene riconosciuta al bambino la capacità, fin dall'età fetale, di sperimentare emozioni
che hanno un valore strutturante e di formazione per la sua vita futura, riconoscendogli una maggiore
dignità di persona umana con gli stessi diritti dell'adulto. Attualmente, nel mondo occidentale, si assiste
ad una riduzione delle nascite: il bambino sta diventando una sorta di "razza protetta" e, a livello
internazionale, ha assunto enfasi la necessità della tutela e della promozione dei suoi diritti. Ma,
purtroppo, accanto allo sviluppo di questa cultura dell'infanzia si assiste con sempre maggiore frequenza

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all'aumento dei casi di violenza, come prodotto dei cambiamenti sociali e familiari. Secondo gli esperti del
settore, infatti, tale aumento delle violenze è dovuto all'attività di sensibilizzazione compiuta e alla
maggior capacità degli operatori di rilevare e segnalare i casi di abuso.

Da questa trasformazione culturale è derivata anche una diversa valutazione degli abusi che, da atti
criminosi ed antisociali, sono stati interpretati come espressione di un disagio emotivo che riguarda non
solo l'abusato, ma anche l'abusante e tutta la famiglia del minore, con un coinvolgimento, accanto
all'ambito del diritto, di quello delle "emozioni" e della clinica psicologica e psichiatrica. La "diversa
ottica" con cui viene osservato il bambino ed i soprusi che egli può subire, insieme alla diffusione della
nuova cultura e dei nuovi stili di vita, hanno tolto il limite secondo cui il maltrattamento infantile era
circoscritto a quello fisico e sessuale, per sottoporlo così ad un'interpretazione più ampia in cui vengono
presi in considerazione anche la trascuratezza e gli abusi psicologici. Si è passati dalle prime descrizioni
della "sindrome del bambino battuto" all'individuazione di forme di violenza più difficilmente riconoscibili
ma a volte molto più gravi e devastanti non solo a livello fisico, ma soprattutto nello sviluppo emozionale e
psichico del minore.

Di solito la violenza che viene compiuta su un bambino non è unica ma, contemporaneamente o in tempi
successivi, convergono su di lui varie forme di maltrattamento. È per questo che è più esatto parlare di
"abuso all'infanzia" come derivazione dal termine inglese child abuse, in quanto onnicomprensivo di tutte
le forme di maltrattamenti e violenze. Con questo termine si aderisce anche alla definizione data dal
Consiglio d'Europa, secondo il quale gli abusi sono tutti «gli atti e le carenze che turbano gravemente il
bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale, le cui
manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un
familiare o di altri che hanno cura di lui».

Il progressivo emergere di questo tipo di reati ha posto alle istituzioni, e più in generale alla collettività,
nuovi problemi a molteplici livelli - psicologico, sociale, normativo, giuridico e giudiziario - che, a loro
volta, hanno generato ulteriori problematiche di tipo organizzativo, formativo e di coordinamento tra
operatori di diversa cultura ed etica professionale (dagli operatori del diritto, magistrati ed avvocati, agli
psicologi, assistenti sociali ed educatori).

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Con questo studio ho cercato di delineare l'articolato percorso che porta all'accertamento di un caso di
abuso sessuale e le conseguenti fasi del processo penale e "dell'intervento riparativo", dedicando
particolare attenzione alle deposizioni normative che tutelano il minore-vittima.

Nel primo capitolo sono stati evidenziati il cambiamento sociale e culturale riguardante l'infanzia,
maturato negli ultimi decenni, e le varie forme di violenza sui minori, che si sono conseguentemente
delineate nella letteratura psicologica. Maggiore attenzione è stata posta allo studio dell'abuso sessuale
(in particolare intrafamiliare), sia dal punto di vista della difficoltà di elaborare una definizione condivisa
da tutti gli operatori del settore, sia da quello della realtà statistica del fenomeno, sia sotto l'aspetto della
disciplina normativa.

Nel secondo capitolo è stato individuato l'iter da seguire di fronte ad un presunto abuso sessuale a danno
di un minore e le problematiche esistenti. In particolare è stata valutata la testimonianza del bambino
nell'audizione protetta, sia considerando le caratteristiche del racconto infantile, sia affrontando il
problema dei possibili errori diagnostici che possono commettere gli specialisti nel vagliare l'attendibilità
delle sue parole.

Dallo studio dell'attività pratica svolta contro gli abusi all'infanzia è emerso, come importante problema, la
mancanza di protocolli di intervento per gli operatori, su base nazionale e specifici per i vari settori
(esistono infatti in Italia solo linee-guida generali per le attività da svolgere in situazioni di abuso sessuale
sui minori), elaborati e validati attraverso le ricerche ed il lavoro dei vari esperti sul campo, che sarebbero
utili al fine di evitare interventi inefficaci o inopportuni. Infatti ciò che è necessario evitare è
l'improvvisazione nell'intervento e i conseguenti errori di diagnosi e riparazione.

Tutto questo crea una forte problematica: la scelta della giusta procedura da utilizzare per raccogliere e
valutare la testimonianza del minore presunta vittima di abuso, in mancanza di analitiche linee-guida. Tale
questione va considerata per poter attuare una tutela effettiva del bambino, a cui occorre risparmiare i
ripetuti colloqui o interrogatori da parte dei vari professionisti, e per garantirgli nel migliore modo
possibile una crescita serena. Spesso, infatti, al trauma dell'abuso si aggiunge quello dell'intervento post-

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factum, in cui il bambino viene interrogato più volte ed in modo angosciato da genitori o insegnanti,
dall'assistente sociale, dallo psicologo, dal personale di polizia e dal magistrato.

È stato dunque presentato il documento (elaborato in Gran Bretagna) contenente le linee-guida da seguire
per una corretta modalità d'intervista del minore sottoposto all'esame testimoniale nel caso di sospetto
abuso sessuale e la procedura rappresentativa di esso: la Step-Wise Interview o Intervista Graduale. Sono
stati anche considerati i criteri utilizzati per valutare la veridicità del resoconto testimoniale: l'analisi del
contenuto (CBCA) e l'esame della validità (SVA) della deposizione del minore. Tali criteri non possono
essere considerati come test dai quali deriva un risultato scientificamente esatto ma, se vengono utilizzati
con un determinato livello di competenza, possono fornire informazioni molto importanti sul caso da
valutare. Ho inoltre applicato personalmente la tecnica del CBCA ad un caso italiano di un minore
presunta vittima di abuso sessuale.

Nel terzo capitolo sono stati individuati i percorsi di intervento terapeutico a tutela del minore
sessualmente abusato e della sua famiglia, a seconda che la violenza sia stata compiuta dal genitore o da
una persona diversa. Se si sospetta che l'abuso sia stato compiuto da un genitore, l'impedire il contatto
con il genitore stesso e, in alcuni casi, provvedere ad allontanare il bambino dalla famiglia, affidandolo a
centri di accoglienza o istituzioni, rappresenta in alcune situazioni un provvedimento salutare per il
minore. Ma in vari altri casi i provvedimenti presi sono molto più estremi e radicali rispetto a quanto la
situazione richiederebbe.

Questo fa dunque capire che non possono essere applicate rigide regole a tutti i casi di abuso sessuale su
minori, in quanto ogni situazione ha le sue specificità che devono essere considerate per l'applicazione
delle adeguate decisioni. Inoltre bisogna ricordare che spesso capita che certi comportamenti di un
bambino, che in realtà sono relativamente normali, vengano interpretati da un adulto come indicatori di
abuso sessuale, e questo specialmente in situazioni di conflitto tra coniugi, in cui uno dei due viene
sospettato dall'altro di aver compiuto atti sconvenienti (e penalmente perseguibili) nei confronti del
figlio/a. Si tratta di situazioni abbastanza comuni, in cui i figli diventano le vittime della coppia dei
genitori, che spostano su di essi i conflitti presenti tra loro.

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Nel quarto capitolo ho cercato di porre a confronto tre diverse realtà italiane riguardo all'abuso sessuale
sui minori: Milano, considerata "un'isola felice" per l'organizzazione e specializzazione degli operatori
raggiunte; Firenze, in cui si sta cercando di migliorare il coordinamento tra i servizi (soprattutto tra il
Tribunale ordinario e quello per i minorenni); Potenza, capoluogo della regione Basilicata, dove fino a
pochi anni fa questo tipo di violenze non erano registrate, non per l'assenza del fenomeno ma per una
situazione socio-ambientale fatta di silenzi ed omissioni, che oggi sta cambiando.

Nell'ultimo capitolo ho riportato gli atti processuali più rilevanti relativi alla vicenda di una minore di 16
anni sessualmente abusata dal padre, della quale ho seguito in prima persona l'iter giudiziario nel
2000-2001 e della cui testimonianza ho fatto un commento sulla base delle tecniche di intervista
consigliate dagli esperti e alla luce degli studi psicologici sulle conseguenze derivanti da un tale trauma.

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1.La cultura dell'infanzia: dal "bambino battuto" al "bambino abusato"

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Storicamente la società non è mai stata particolarmente sensibile al maltrattamento dei minori.
Nell'antichità erano praticati correntemente i sacrifici dei bambini e neonati destinati agli dei; dall'antica
Grecia alla Cina, l'uccisione di bambini deformi o non desiderati era comunemente accettata e praticata.

Nell'antica Roma l'ordinamento giuridico stabiliva il diritto di vita o di morte del pater familias sui propri
figli. Tale condizione di sottomissione, propria dei minori nella famiglia patriarcale, rispecchiava due
opinioni: anzitutto quella per cui i bambini erano proprietà dei genitori e si riteneva naturale che questi
ultimi avessero pieno diritto di trattare i figli come pensavano fosse giusto, e conseguentemente quella
secondo cui i genitori erano considerati responsabili dei figli, per cui un trattamento severo veniva
giustificato dalla convinzione che potesse essere necessaria una punizione fisica per mantenere la
disciplina, trasmettere le buone maniere e correggere le cattive inclinazioni (1. Laila Fantoni su
www.altrodiritto.it).

Il concetto di "protezione" del bambino comparì la prima volta nell'anno 529 d.C., quando Giustiniano
promulgò una legge che prevedeva l'istituzione di case per orfani e bambini abbandonati. Nel Medioevo il
concetto di nucleo familiare, inteso come entità adatta ad offrire protezione ed educazione al fanciullo, era
ben diverso da oggi, in quanto nell'ambito socio-culturale e tradizionale del tempo era normale
l'allontanamento del bambino dalla famiglia in età assai precoce (verso i sette anni); da quell'età in poi i
compiti educativi erano affidati ad istituzioni al di fuori della famiglia. Nella scuola, oltre che in famiglia,
le pesanti punizioni corporali costituivano lo strumento pedagogico più utilizzato.

I fanciulli furono probabilmente la categoria che risentì più fortemente delle grandi trasformazioni della
società europea dal XVII al XIX secolo. Il progressivo impoverimento delle classi popolari e il diffondersi
dell'urbanesimo aumentarono enormemente il numero dei minori abbandonati, orfani o illegittimi, la
maggior parte dei quali veniva raccolta da mendicanti e costretta all'accattonaggio e al furto. Spesso i
bambini venivano storpiati o mutilati per suscitare maggiore compassione e quindi ottenere elemosine più
generose (2. G. Martone, Storia dell'abuso all'infanzia, in F. Montecchi, Gli abusi all'infanzia, La Nuova
Italia Scientifica, Roma, 1994, pag. 23)

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Nel XVIII secolo, l'attenzione nei confronti dell'infanzia divenne maggiore sia in Inghilterra - dove famosi
romanzieri inglesi (Scott e Dickens) denunciarono il comportamento della società verso i minori e, grazie
alle loro opere, venne sensibilizzata la coscienza pubblica - sia in Francia - dove, in seguito alla
Rivoluzione francese, la Costituzione del 1793 proclamò che "il bambino non possiede che diritti". Ma,
nonostante questi sviluppi, la protezione dei minori non venne attuata per ancora un secolo.

Nel XIX secolo sorsero in Europa numerosi istituti per orfani e bambini abbandonati dove essi vivevano in
una condizione di grave disagio psichico e fisico. La gravità dei maltrattamenti subiti da questi bambini
istituzionalizzati può essere ricavata dai dati che emergono dai registri di questi istituti, che evidenziano
un decesso per stenti, incuria e maltrattamento fisico ogni quattro ricoverati.

La denuncia di tale situazione sensibilizzò la pubblica opinione e il maltrattamento dei minori venne
considerato finalmente un problema sociale.

All'inizio del Novecento pedagogia, psicologia e sociologia cominciarono a porsi il problema dell'infanzia e
dei suoi bisogni. Al bambino furono riconosciuti esigenze e bisogni affettivi e psicologici, fu affermato che
i diritti dei minori devono essere tutelati non solo dai genitori, ma da tutta la società. In quest'ottica, nel
1925 fu approvata a Ginevra la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, in cui è affermato che il minore deve
essere posto in condizione di svilupparsi in maniera normale sia sul piano fisico che spirituale, che i
bambini hanno il diritto di essere nutriti, curati, soccorsi e protetti da ogni forma di sfruttamento.

In seguito, nel 1959, è stata proclamata dall'Assemblea generale dell'ONU la Carta dei diritti del fanciullo,
nella quale è stato ribadito il diritto di nascita (con cure adeguate alla madre e al bambino nel periodo pre
e post-natale), il diritto all'istruzione, al gioco o alle attività ricreative, la protezione dalle discriminazioni
razziali o religiose e il poter vivere in un clima di comprensione e tolleranza.

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Tali obiettivi non sono stati ancora completamente raggiunti e nel gennaio 1986 il Parlamento europeo ha
approvato una Risoluzione nella quale si ritrovano le stesse raccomandazioni del precedente documento,
con una particolare attenzione al problema dell'abuso sull'infanzia e sulla necessità di protezione del
minore. Il Consiglio d'Europa, nel gennaio 1990, ha espresso la necessità di misure preventive a sostegno
delle famiglie in difficoltà e misure specifiche di informazione, di individuazione delle violenze, di aiuto e
terapia a tutta la famiglia e di coordinamento tra i vari servizi.

Nella metà del XX secolo la professione medica ha iniziato ad essere coinvolta seriamente nel problema
dell'abuso all'infanzia.

Determinante è stato il contributo di Kempe, che nel 1962 ha parlato di "sindrome del bambino battuto",
precisando gli elementi clinici e radiologici utili alla diagnosi. L'autore si è soffermato sull'importanza
dell'interrogatorio ai genitori, che sembrano avere una totale amnesia dell'episodio che li ha portati ad
aggredire il proprio figlio. (3. C.H. Kempe, F. Silverman, Steel, Droegemuller, H. Silver, The battered child
syndrome, in Journal Am. Med. Ass., 181, 1962, pp. 17-24.)

Successivamente un altro autore, Fontana, che si è molto occupato del fenomeno, estese il concetto di
maltrattamento alle condizioni di malnutrizione, di mancanza di cure familiari e al maltrattamento
psicologico. Egli vide nel maltrattamento solo la punta emergente del fenomeno "abuso", ipotizzando che
un bambino vittima di violenza può anche non presentare alcun segno di trauma fisico.

Successivamente, ancora, Kempe suggerì di abbandonare la definizione di battered child e cambiarla in
child abuse and neglect, concetto che esprime meglio gli aspetti del maltrattamento in tutta la loro
estensione. (4. C.H. Kempe, F. Silverman, Steel, Droegemuller, H. Silver, The battered child syndrome, in
Journal Am. Med. Ass., 181, 1962, pp. 17-24.)

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2. Lo studio del fenomeno dell'abuso sessuale in Italia

In Italia la prima denuncia dell'esistenza, anche nel nostro Paese, del fenomeno "maltrattamento"
comparve nella letterattura clinica, nel 1962, in seguito alle ricerche compiute da Rezza e De Caro.
Queste prime ricerche vennero guardate con sospetto e ironia e si cercò di circoscrivere il problema
dell'abuso e della violenza sui bambini al mondo anglosassone, come se la nostra società ne fosse stata
immune. D'altra parte, sebbene mancassero ricerche epidemiologiche sul tema e la letteratura italiana
fosse quasi inesistente, i dati clinici confermavano l'esistenza di numerosi casi di violenza. Solo a partire
dagli anni Ottanta i grandi mezzi di comunicazione hanno iniziato ad occuparsi ampiamente dei
maltrattamenti all'infanzia e più in generale della violenza intrafamiliare. Secondo Francesco Montecchi,
neuropsichiatra infantile:

Le ragioni di questo ritardo, significativo in Italia ma diffuso in tutti i paesi mediterranei, sono certamente
molteplici e vanno dal carattere tradizionalmente "chiuso", proprio della struttura familiare, alla diffusa
riluttanza e difesa sociale ad ammettere l'esistenza di un fenomeno riprovevole ed imbarazzante. Ancora
più difficile risultava poi accettare che si trovassero dei bambini maltrattati non solo in seno a famiglie
con cattive condizioni socio-economiche, o con problemi di etilismo o patologie psichiatriche, ma anche in
famiglie le cui condizioni sociali, strutture coniugali e comportamenti esterni apparivano normali, o
addirittura benestanti. (4.- 5. F. Montecchi, Gli abusi all'infanzia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994,
pp. 18-19)

Il problema è stato circoscritto in un primo momento soprattutto agli Istituti per l'Infanzia, sollecitando
inchieste e rilevazioni; in seguito venne studiato in una prospettiva sociologica, sottolineando il
sovraccarico di richieste e compiti che gravano sulla famiglia. Dopo i primi contributi scientifici ed alcuni
fatti di cronaca, in molte parti d'Italia, si formarono varie Associazioni, volte a prevenire il fenomeno
dell'abuso sessuale sui minori, che furono molto attive nell'organizzazione di convegni e nel cercare di
creare i primi contatti tra i vari operatori del settore. Da tali convegni emerse poi la necessità di chiarire il
significato del concetto "abuso sessuale".

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3. La violenza sui minori

3.1 La classificazione

La classificazione della violenza, considerata dagli esperti quella più completa tra le varie esistenti, è stata
proposta da Francesco Montecchi, il quale ritiene che "pur nell'artificiosità degli schemi e delle
classificazioni, queste ci permettono di discriminare e riconoscere il fenomeno per poterlo prevenire e
curare, nonché per poter promuovere e difendere la nuova cultura dell'infanzia, e offrire una più vasta
capacità di attenzione ai problemi e alle esigenze più profonde dell'anima infantile da parte delle varie
categorie di professionisti che si occupano di famiglia e di bambini". (6.F. Montecchi, Gli abusi all'infanzia,
La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994, pp. 18-19)

    1.

         Maltrattamento:

            a.

                 fisico: è la forma più manifesta e facilmente riconoscibile;

            b.

                 psicologico: è forse l'abuso più difficile ad essere individuato, se non quando ha già
                 determinato gli effetti devastanti sullo sviluppo della personalità del bambino; in notevole
                 incremento negli ultimi anni con lo stile di vita della società consumistica e materialistica e la

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crisi della famiglia.

    2.

         Patologia della fornitura di cure. Un tempo identificata nella incuria, in realtà viene individuata non
         solo nella carenza di cure, ma anche nella inadeguatezza delle cure fisiche e psicologiche offerte,
         considerandole sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Si possono distinguere le
         seguenti forme:

            a.

                 incuria: cioè la carenza di cure fornite (la cosiddetta violenza per omissione);

            b.

                 discuria: quando le cure, seppur fornite, sono distorte ed inadeguate se rapportate al
                 momento evolutivo del bambino;

            c.

                 ipercura: quando viene offerto, in modo patologico, un eccesso di cure. In questo gruppo è
                 compresa la sindrome di Münchhausen per procura, il medical shopping e il chemical abuse.

    3.

         Abuso sessuale. Tale forma di abuso è onnicomprensiva di tutte le pratiche sessuali manifeste o
         mascherate a cui vengono sottoposti i minori e comprende:

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a.

                 abuso sessuale intrafamiliare. Non riguarda solo quello comunemente considerato tra padri o
                 conviventi e figlie femmine, ma anche quello tra madri o padri e figli maschi, nonché forme
                 mascherate in inconsuete pratiche igieniche; è attuato da membri della famiglia nucleare
                 (genitori, compresi quelli adottivi e affidatari, patrigni, conviventi, fratelli) o da membri della
                 famiglia allargata (nonni, zii, cugini ecc.; amici stretti della famiglia);

            b.

                 abuso sessuale extrafamiliare. Interessa indifferentemente maschi e femmine e riconosce
                 spesso una condizione di trascuratezza intrafamiliare che porta il bambino ad aderire alle
                 attenzioni affettive che trova al di fuori della famiglia; è attuato, di solito, da persone
                 conosciute dal minore (vicini di casa, conoscenti ecc.).

A questa classificazione si può aggiungere una distinzione ancora più ampia:

    1.

            a.

                 abuso istituzionale, quando gli autori sono maestri, bidelli, educatori, assistenti di comunità,
                 allenatori, medici, infermieri, religiosi, ecc., cioè tutti coloro ai quali i minori vengono affidati
                 per ragioni di cura, custodia, educazione, gestione del tempo libero, all'interno delle diverse
                 istituzioni e organizzazioni;

            b.

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abuso da parte di persone sconosciute (i cosiddetti "abusi di strada");

            c.

                 sfruttamento sessuale a fini di lucro da parte di singoli o di gruppi criminali organizzati(quali
                 le organizzazioni per la produzione di materiale pornografico, per lo sfruttamento della
                 prostituzione, agenzie per il turismo sessuale);

            d.

                 violenza da parte di gruppi organizzati(sette, gruppi di pedofili, ecc.).

Non è affatto infrequente che vengano attuate da parte di più soggetti forme plurime di abuso (ad
esempio, abuso intrafamiliare e contemporaneo sfruttamento sessuale a fini di lucro; abuso da parte di
adulti della famiglia e di conoscenti, ecc.).

3.2 Le radici della violenza

I cosiddetti "rischi o fattori di violenza" (soprattutto familiare) sono stati individuati utilizzando il "modello
ecologico di Bronfenbrenner",secondo quattro livelli di analisi:

        le caratteristiche individuali;

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il contesto sociale immediato;

        il contesto ambientale più ampio;

        il contesto sociale e culturale.

Riguardo alle caratteristiche individuali, il basso livello di autostima, lo scarso controllo dell'impulso,
l'affettività negativa e l'eccessiva risposta allo stress sicuramente aumentano la probabilità che un
individuo possa divenire perpetratore di violenza familiare. Anche la dipendenza da alcool e droghe gioca
un ruolo importante sia come fattore di rischio sia come elemento predisponente alla violenza.

In relazione al contesto sociale immediato, le caratteristiche del sistema familiare hanno importanti
implicazioni per l'eziologia o l'esercizio della violenza intrafamiliare: a questo proposito occorre citare la
struttura e la dimensione della famiglia ed anche eventi "paranormativi", come la perdita di un lavoro o la
morte di un familiare. Alcuni autori hanno rilevato che le famiglie che abusano dei loro figli sono spesso
caratterizzate da un maggior numero di eventi stressanti, anche se ciò non vuol dire che tutte le famiglie
colpite da tali eventi abusino dei loro figli. Tuttavia, laddove ciò accade, pare che gli abusanti siano più
aggressivi e ansiosi dei non abusanti.

In riferimento al contesto ambientale più vasto, la violenza intrafamiliare è legata anche alle

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caratteristiche della comunità in cui la famiglia è collocata, come la povertà, l'assenza di servizi per la
famiglia, l'isolamento e la mancanza di coesione sociale. Inoltre alti livelli di disoccupazione, abitazioni
inadeguate e violenza nella comunità contribuiscono ad aumentare il rischio. Considerando che
certamente non tutte le famiglie povere abusano dei propri figli, varie ricerche hanno sottolineato che la
principale differenza tra famiglie povere che abusano dei figli e quelle che non abusano consiste nel grado
di coesione sociale e di assistenza reciproca trovata nelle loro comunità. Altre ricerche successivamente
hanno dimostrato che le famiglie abusanti socializzano meno con i propri vicini di casa rispetto alle
famiglie non abusanti.

Infine, la ricerca ha dimostrato che esiste uno specifico contesto sociale e culturale della violenza
intrafamiliare. Si ritiene, infatti, che tale tipo di violenza sia compiuta attraverso precisi valori culturali:
basti pensare all'uso della punizione fisica nella privacy familiare.

Ma se cause facilitanti la violenza dei minori (concause) possono essere le difficili condizioni di vita della
famiglia (povertà, emarginazione, solitudine) e/o cause psicologiche (frustrazioni personali, immaturità,
ecc...), da vari studi emerge che la "vera causa" sia il fatto che il genitore, che maltratta il figlio, abbia
avuto nella propria infanzia tristi esperienze di abuso o di trascuratezza. La cosiddetta ripetitività
dell'abuso o ciclo intergenerazionale della violenza sembra essere, infatti, l'aspetto più caratteristico delle
storie di famiglie che compiono maltrattamenti o abusi, dove l'azione violenta o di trascuratezza viene
trasmessa da una generazione all'altra. Secondo un'altra ipotesi questa "familiarità" della violenza in
famiglia potrebbe ascriversi ad una causa genetica piuttosto che ambientale, nonostante l'influenza
dell'ambiente sia nondimeno rilevante.

A parte queste diverse tesi, si può sicuramente affermare che l'abuso può compromettere le normali tappe
dello sviluppo del bambino come la formazione del legame di attaccamento, la regolazione affettiva, lo
sviluppo dell'autostima e le relazioni con i coetanei. In particolare persistono, anche nell'età adulta,
disturbi relazionali rappresentati da sentimenti di paura e di ostilità nei confronti delle figure parentali e
reazioni di forte diffidenza nei confronti di altri adulti e dei partners; inoltre si rilevano varie disfunzioni
del comportamento sessuale, tendenza alla prostituzione, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo e tutto
questo può costituire una predisposizione per compiere violenza sui propri figli, ma ciò non è detto che

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avvenga.

Comunque bisogna anche aggiungere che la violenza sui minori è strettamente legata al più generale
fenomeno della violenza diffusa nella società (affermazione accreditata dal fatto che ci sono anche
tantissime violenze al di fuori della famiglia). E questo non soltanto perché chi subisce quotidiana violenza
tende ineluttabilmente a scaricare le proprie frustrazioni sui soggetti più deboli che gli sono vicini e che
appaiono sotto il suo dominio, quanto principalmente perché sono identiche le cause culturali di ogni
forma di violenza.

Nella società attuale si è cominciato a credere che l'educazione sia equivalente al condizionamento del
comportamento umano e quindi che, con l'eccessivo utilizzo dell'attività educativa, siano venute meno la
spontaneità e la libertà dei processi maturativi del bambino. Ma contro tale affermazione bisogna
sostenere che "il condizionamento sociale è lo strumento che ha reso umano l'uomo" e per questo
importantissimo. Il problema perciò non è di ridurre il condizionamento sociale ma di individuare quale
condizionamento bisogna porre in essere e con quali scopi: bisogna mettere in atto dei condizionamenti
utili al bambino, limitandoli al massimo, ma soprattutto essendo sempre tesi ad impedire che diventino
deterministicamente operanti e dunque tali da soffocare le possibilità ed aspirazioni del bambino, per
trasformarli al contrario in suggerimenti e spinte esistenziali positive.

Inoltre bisogna rendersi conto che, nella società moderna, l'infanzia è stata collocata all'interno della
famiglia ed i bambini sono considerati un'appendice dei genitori. Il fenomeno esistente è quello
dell'"adultocentrismo", dove sono i bambini che devono adeguarsi alle abitudini degli adulti e non
viceversa. Quindi, è un "bambino a rischio" quello che non riesce a trarre dall'ambiente (socio-culturale in
senso ampio) tutte le risorse necessarie per un suo armonico e pieno sviluppo psico-fisico e relazionale.

Secondo le ricerche svolte dalla Dott.ssa Paola Di Blasio, Professore Ordinario di Psicologia dello Sviluppo
all'Università Cattolica di Milano, che da anni si occupa di abuso e maltrattamento all'infanzia, è emerso
che ogni agente causale, sia se considerato isolatamente, sia in associazione con altri, può essere
responsabile solo di una parte dell'evento di violenza realizzatosi. Infatti è stato osservato che molte

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persone (anche minori) presentano la capacità di mantenere un discreto adattamento anche in condizioni
di vita particolarmente sfavorevoli: questo perché, magari, i fattori di rischio che esistono nella loro
condizione di vita, sono neutralizzati - o comunque affievoliti - dai cosiddetti "fattori protettivi" (ad
esempio la relazione soddisfacente con almeno un componente della famiglia).

4. Maltrattamento

Il maltrattamento presenta un quadro clinico fortemente variabile ed è un termine molto ampio sia perché
comprende al proprio interno le conseguenze di due tipi di eventi, "attivi" (come la violenze fisica, psichica
o l'abuso sessuale) e/o "passivi" (come la mancanza di cure adeguate), sia perché tali situazioni possono,
di volta in volta, o presentarsi come isolate, o associarsi in diverso modo tra loro, determinando
manifestazioni polimorfe e variabili nel tempo.

D'altra parte qualsiasi tipo di maltrattamento produce una complessità di conseguenze, che vanno
direttamente a minare la salute fisica e la sicurezza del bambino, ma anche il suo equilibrio emotivo e il
suo sviluppo psico-relazionale, la stima di sé e il presente e futuro ruolo sociale. In questi termini il
maltrattamento va considerato come una "patologia sindromica", nella cui storia naturale sono comprese
evoluzioni gravi a lungo termine, che intaccano la successiva possibilità dell'adulto maltrattato
nell'infanzia di stringere legami affettivi stabili e di svolgere un competente ruolo genitoriale.

Per tali ragioni la diagnosi di maltrattamento e/o abuso è quasi sempre complessa e difficile, richiede
quasi costantemente la stretta collaborazione di diverse figure professionali e presuppone che i
professionisti abbiano la sensibilità e l'attitudine a prevederla tra le possibili diagnosi e la preparazione
tecnica per accertarla. D'altra parte individuare le situazioni di abuso o maltrattamento è di importanza
essenziale sia per la sopravvivenza fisica del bambino, sia per il suo successivo sviluppo, poiché la
condizione di maltrattamento persiste fino a quando non viene realizzato un intervento terapeutico
esterno: è dunque impossibile che un bambino maltrattato esca da solo da questo stato.

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Nella categoria del maltrattamento è possibile distinguere:

    a.

         maltrattamento fisico;

    b.

         maltrattamento psichico.

4.1 Maltrattamento fisico

Per maltrattamento fisico s'intende l'infliggere intenzionalmente dolore al bambino allo scopo di
penalizzare i comportamenti indesiderati o disapprovati e di impedirne il ripetersi.

Chi e' il bambino maltrattato

Tutti gli studi e le indagini fatte al fine di individuare dei tratti specifici che caratterizzino il bambino
picchiato, oltre ad avere un interesse puramente conoscitivo, mirano ad offrire il maggior numero
possibile di elementi che permettano una facile individuazione del minore che ha subito delle violenze.

Per quanto riguarda l'età in cui il bambino è soggetto con maggiore frequenza a sevizie, già Kempe aveva
affermato che gli episodi di violenza si scatenano più facilmente nel caso di bambini molto piccoli della
fascia da 0 a 3 anni, dato questo confermato anche in ricerche successive. Nel tentativo di spiegare il

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perché di tale concentrazione cronologica si è ipotizzato che la nascita e le prime fasi di sviluppo di un
bambino rappresentino una crisi che può disorganizzare difese e sistemi adattativi consolidati e dar luogo
a vere e proprie "esplosioni aggressive"che travolgono il funzionamento familiare. Inoltre quella è un'età
in cui il bambino vive un periodo in cui sono più complessi i problemi di adattamento e per cui esso ha
poche capacità personali di sottrarsi alle percosse o comunque di denunciare il suo abusante. . (7.C.H.
Kempe, F. Silverman, Steel, Droegemuller, H. Silver, The battered child syndrome, in Journal Am. Med.
Ass., 181, 1962, pp. 17-24.)

Nelle distribuzioni statistiche vi è una assoluta parità nel maltrattamento tra i due sessi. Al più si può
affermare che più frequentemente viene maltrattato il bambino del sesso opposto a quello desiderato dai
genitori poiché la sua nascita delude le loro aspettative.

Non vi sono delle caratteristiche specifiche del bambino maltrattato, ma piuttosto vi sono dei fattori che
più di altri possono far sì che il minore divenga vittima dell'episodio violento. Infatti, non tutti i bambini
sono uguali: già al momento della nascita presentano caratteristiche proprie che vengono definite
"personalità di base" o "differenze costituzionali". Naturalmente un bambino irrequieto, che piange, che
ha difficoltà di alimentazione sarà più esposto al rischio di essere maltrattato rispetto ad un bambino che
non crea problemi ai genitori.

Sono stati indicati quali fattori che scatenano l'episodio violento una gravidanza ed un parto difficili, una
nascita prematura, la presenza di malformazioni congenite, danni cerebrali provocati al momento del
parto, handicap.

D'altra parte in conseguenza dello stesso maltrattamento a cui è sottoposto, il bambino può acquisire
schemi comportamentali che a loro volta sollecitano risposte aggressive da parte delle persone a lui

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vicine: cioè il maltrattamento può modellare degli schemi di comportamento nel bambino che aumentano
la probabilità che egli sia vittima di ulteriori maltrattamenti.

I genitori che maltrattano

Chi aggredisce il bambino è nella maggioranza dei casi un familiare (raramente entrambi) e più spesso la
responsabile è la madre, forse perché, di solito, è colei che passa più tempo con i figli.

Si tratta generalmente di coppie giovani, frustrate o comunque in grave disaccordo, inconsapevoli del loro
ruolo di genitori e pertanto incapaci di acquisire un modo accettabile di svolgerlo. È spesso evidente
un'ingiustificata eccessiva severità.

Non di rado sono rilevabili precedenti penali.

La possibilità che i responsabili di violenza sul minore appartengano ad una classe sociale bassa, per
quanto trovi un effettivo riscontro dai dati emergenti, non deve far trascurare l'ipotesi verosimile che nei
ceti sociali più elevati è maggiore la capacità di occultamento.

Infine, come accennato, accade spesso che il maltrattante sia stato a sua volta maltrattato nell'infanzia
(cosiddetto ciclo della violenza) e questo rende più probabile (ma non automatico) il ricorso nell'età adulta
a comportamenti violenti verso i propri figli.

Corretta è, dunque, la definizione di "genitori maltrattanti" data dalla Dott.ssa Ciampi, neuro-psichiatra
infantile dell'ospedale Mayer di Firenze, che trova la causa del loro comportamento nell'insicurezza e
nell'immaturità della loro persona:

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"I genitori maltrattanti non sono spesso dei genitori che vogliono essere crudeli con i propri figli: anzi per
lo più vogliono essere "i migliori genitori mai conosciuti". Ma la loro immaturità, l'incapacità di instaurare
un rapporto autentico, le eccessive aspirazioni spesso coniugate con un'incapacità di conoscere le reali
possibilità dei propri figli, la debolezza nel controllare i propri impulsi e la precarietà emotiva, la rigidezza
caratteriale costituiscono nell'insieme una miscela esplosiva che fa scattare l'aggressività.

È per questo che il genitore violento non presenta stigmate fisiche né sociali particolari e non si
differenzia sostanzialmente dal normale uomo che ognuno di noi è".

Problemi connessi al riconoscimento delle situazioni di maltrattamento

È frequentemente riscontrato che sia il medico a trovarsi di fronte al bambino maltrattato, in un servizio
di Pronto Soccorso, se le lesioni sono di entità tale da richiedere il ricovero in ospedale, oppure il medico o
il pediatra di famiglia se le lesioni sono di minore entità. È quindi importante per il medico e comunque, in
senso più generale, per tutti coloro che nella routine quotidiana di lavoro hanno contatti con i bambini e
con le loro famiglie, avere un'approfondita conoscenza degli "indici" del maltrattamento, che dovrebbero
indurre il sospetto di un episodio di violenza.

Una volta che il bambino è arrivato all'attenzione del medico del Pronto Soccorso, se necessario, sarà
bene che questi, oltre a prestare le immediate cure, consigli anche il ricovero del piccolo per due motivi
ben precisi: prima di tutto perché si avrà così la possibilità di praticare tutti gli esami atti ad appurare la
presenza di eventuali danni fisici e psichici subiti precedentemente, e secondariamente perché la

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separazione del bambino dalla famiglia consentirà ad entrambi di alleviare la grave situazione di stress
emotivo, questo soprattutto per quelle madri che non hanno nessuno a cui affidare il bambino.

I medici, invece, come la maggior parte degli altri membri della società, sono riluttanti nell'associare il
termine "maltrattamento" al fatto che questo sia opera dei genitori.

Le spiegazioni di questi atteggiamenti possono essere numerose. Prima di tutto ci può essere da parte del
medico la paura che venga iniziata nei suoi confronti un'azione legale da parte delle persone da lui
denunciate e di essere pertanto coinvolto in prima persona, anche se questa eventualità è del tutto
infondata perché per quei medici che «in buona fede» denunciano un caso sospetto, è prevista l'immunità.

Vi è, inoltre, da parte del medico, la paura di mettere a repentaglio il suo rapporto professionale con i
genitori del bambino, Questo è un evento che può verificarsi molto facilmente: il medico deve aspettarsi
l'ostilità dei genitori. A ciò si può comunque ovviare facendo sì che egli lavori coadiuvato da altre persone,
sia perché l'ansia creata da una tale situazione possa essere condivisa, sia perché in tal modo il genitore si
renda conto che il medico non agisce ad un livello personale, magari per disprezzo nei suoi confronti, ma
che la sua reazione è frutto della decisione di persone che unitamente collaborano al benessere della
famiglia.

Infine il medico può pensare che sia inutile denunciare l'episodio perché i provvedimenti che verranno
presi o non sortiranno effetti utili o addirittura saranno nocivi. Anche questo modo di pensare può essere
giustificato, poiché molto spesso non si è abbastanza pronti ad affrontare e soprattutto a risolvere
positivamente un problema come quello del maltrattamento. Ma anche in questo caso spetta agli organi
competenti infondere fiducia nel medico, dargli la sicurezza e soprattutto la consapevolezza che qualsiasi
cosa si possa fare per il bambino e per la sua famiglia va fatta e che per operare in questo senso ci vuole
la collaborazione di tutti, la reciproca stima ed il reciproco aiuto, ognuno con le proprie tendenze.

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Ci sono inoltre ragioni più profondamente psicologiche alla base di tale riluttanza. Kempe ha messo in
evidenza come il medico che si trovi di fronte ad un caso di maltrattamento debba avere contatti
contemporaneamente almeno con quattro persone: il bambino, la madre, il padre e se stesso, ossia i propri
sentimenti nei confronti di un episodio che suscita sempre emozioni discordanti. Dunque, oltre ai problemi
di ordine etico, il medico può avere problemi nel denunciare il caso perché tale denuncia comporta anche
l'accettazione da parte sua di un dato che tutti vorrebbero negare, e cioè che un genitore possa odiare il
proprio figlio tanto da avere nei suoi confronti impulsi violenti. È per questo motivo che, per giungere ad
una precoce diagnosi di maltrattamento, il medico deve vincere questo sentimento di negazione .

Le lesioni, che sono conseguenza di un maltrattamento fisico, devono essere distinte da quelle derivanti
da un incidente. Di regola, infatti, è proprio un "meccanismo accidentale" quello che viene riferito, dai
genitori o dagli adulti che hanno in carico il bambino nel corso delle visite mediche come causa delle
lesioni.

Ci sono, comunque, degli "elementi generali" che sono sempre presenti nel corso di maltrattamento fisico:
ad esempio, suggestivi sono il ritardo nel cercare l'aiuto del medico, il racconto vago, povero di dettagli e
variabile da persona a persona di quanto sarebbe accaduto, la descrizione della dinamica dell'incidente
all'origine delle lesione non compatibile con la loro tipologia, sede, estensione e gravità. Anche
l'atteggiamento del genitore, che presenti un comportamento ed un coinvolgimento emotivo non adeguati
alle circostanze ed alle condizioni del bambino, che si dimostri oppositivo ed ostile, oppure
l'atteggiamento del bambino triste, impaurito o viceversa iperattivo, incontenibile, possono suscitare
ragionevoli perplessità. Infine la storia di numerosi incidenti o ricoveri precedenti, di maltrattamenti già
diagnosticati per altri fratelli o di violenza intrafamiliare nota costituisce elemento di grave rischio.
Occorre, però, ricordare che nessuno di questi fattori può condurre con certezza alla diagnosi di
maltrattamento, anche se la loro presenza, specie se associata ad altri elementi, impone al medico di
valutare questa diagnosi differenziale

È in ogni caso necessario che il medico, che si trova a curare il bambino, compia un'anamnesi accurata
della dinamica dell'incidente e un'osservazione attenta del comportamento spontaneo del bambino e
dell'adulto che lo accompagna, anche se si tratta di una lesione presunta accidentale. Il successivo esame

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e i conseguenti accertamenti strumentali devono essere altresì particolarmente accurati e mirati ad
evidenziare alcune specifiche caratteristiche delle lesioni cutanee, scheletriche e viscerali, delle ustioni o
delle eventuali intossicazioni o asfissie.

Dunque è importante non limitare il problema diagnostico al solo bambino: per svelare la dinamica
dell'episodio e dargli un significato all'interno del contesto familiare è necessario raccogliere informazioni
sull'intero nucleo familiare, ricostruendo le varie fasi del ciclo vitale del gruppo familiare ed i motivi più
contingenti che hanno scatenato la crisi.

Le conseguenze del maltrattamento

Gli studi che hanno cercato di individuare le conseguenze neurologiche degli abusi hanno concordemente
rilevato che le sevizie sui bambini portano ad un'alta incidenza di deficit di vario tipo e questo non solo
quando si provochino lesioni alla testa, ma anche quando il bambino piccolo sia stato violentemente
scosso pur senza provocare lividi o fratture craniche.

Assai più preoccupanti sono invece le conseguenze psicologiche di tipo depressivo che insorgono. Il
maggior danno, perché rende assai difficile il recupero, è costituito dalla passività, dalla abulia, dalla
chiusura su se stessi, dalla definitiva chiusura di ogni speranza e di ogni stimolo a crescere e a
strutturarsi. I ragazzi che hanno subito violenza sono bambini prima, ragazzi poi, adolescenti infine, spenti
isolati, regrediti, disinteressati alla vita propria e a quella sociale, ai quali è stata tolta ogni forza vitale .

4.2 Maltrattamento psicologico

Un comportamento diventa lesivo sul piano psicologico in quanto trasmette uno specifico messaggio
negativo o in quanto interferisce con aspetti dello sviluppo psichico.

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I numerosi tentativi di definire le varie forme di maltrattamento psicologico si sono concentrati sulla
combinazione di tre dimensioni fondamentali: le azioni, le intenzioni e gli esiti. In generale un
comportamento è giudicato dannoso sulla base della probabilità che abbia effetti deleteri su chi lo subisce.

Dato che i segni del danno psicologico o emozionale sono più difficili da individuare rispetto a quelli della
violenza fisica, spesso manifestandosi solo tardivamente ed essendo legati alla causa presunta in modo
indiretto, la ricerca in questo campo dovrebbe essere orientata ad identificare le probabilità che il danno
risulti effettivamente da una specifica azione e quindi a determinare l'indice di pericolosità potenziale di
questa.

In realtà un'attenta valutazione della natura della sofferenza psichica deve tener conto che le
ripercussioni sull'individuo di qualsiasi evento nascono dalla interazione tra varie dimensioni quali
l'intensità, la frequenza, la durata, il contesto, il significato soggettivo assunto dall'evento stesso.
All'interno di ciascuna dimensione è difficile tracciare una linea di demarcazione tra ciò che è tollerabile
da parte del soggetto, della comunità, della cultura e ciò che non può essere accettato.

Il termine "maltrattamento psicologico" viene usato, in una accezione più generale, per indicare tutti gli
aspetti affettivi e cognitivi del maltrattamento infantile derivanti da atti o da omissioni.

La Dott.ssa Ciampi , neuropsichiatra infantile dell'ospedale Mayer ha, infatti, definito tale forma di
maltrattamento come un "tradimento" dei genitori nei confronti dei loro figli in quanto, invece di
proteggerli e prendersi cura di loro, ne abusano, anche se a livello psicologico:

"I genitori maltrattanti tipicamente incolpano il bambino dei suoi stessi disturbi, attribuendogli
responsabilità inadeguate e non curandosi dell'esistenza dei suoi problemi che piuttosto negano,
rifiutando qualsiasi offerta di aiuto".

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La Dott.ssa Ilaria Lombardi, coordinatrice degli educatori della casa di accoglienza per gestanti e madri
dello Spedale degli Innocenti, ha infatti definito il maltrattamento psicologico come "la costante incapacità
di riconoscere i bisogni del bambino". Da ciò derivano non solo insufficienti risposte alle richieste, anche
tacite, di aiuto che il bambino lancia, ma anche a quelle violenze dovute alla non-conoscenza della realtà
del minore, che porta ad imposizioni di modelli di vita o a sottovalutazione delle sue difficoltà che si
risolvono in abusi da lui vissuti con sensi di profonda ansia e di grave angoscia. Gli indicatori di tale
maltrattamento più che fisici (talvolta ritardi dello sviluppo e disturbi psicosomatici) sono
comportamentali: il bambino presenta abitudini anomale per la sua età (come succhiare il dito o mordere),
difficoltà di socializzazione e disturbi del linguaggio.

6.1 La definizione del termine "abuso sessuale sui minori"

La rilevazione e l'accertamento di un fatto di abuso sessuale è un'operazione estremamente complessa,
soprattutto perché sussiste tra gli specialisti molta incertezza su cosa debba intendersi per "abuso
sessuale". In realtà non è affatto semplice delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, in una
materia così fortemente condizionata da inclinazioni soggettive, dove la linea di demarcazione è molto
sfumata.

La difficoltà di definire i comportamenti umani è ancor più forte quando la classificazione riguarda i
comportamenti sessuali illeciti, cioè quelli integranti fattispecie di reato.

Nelle ricerche sull'abuso sessuale (sulla sua estensione e le sue caratteristiche) qualunque operatore
adotta una definizione diversa e utile per la sua attività, per cui esse sono difficilmente comparabili e i
risultati cui pervengono possono variare anche di molto da lavoro a lavoro, benchè tutte abbiano
apparentemente lo stesso oggetto di indagine . E questa diversità nelle definizioni è ancora più evidente
nel caso dell'incesto, dove la pluralità di definizioni si coniuga con il carattere intrafamiliare dell'abuso
sessuale.

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