Il referendum in Scozia: tra devolution e indipendenza - di Eleonora Mainardi Laureata in Scienze politiche Sapienza - Università di Roma

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10 SETTEMBRE 2014

Il referendum in Scozia: tra
devolution e indipendenza

      di Eleonora Mainardi
      Laureata in Scienze politiche
     Sapienza – Università di Roma
Il referendum in Scozia: tra
                devolution e indipendenza*

                                        di Eleonora Mainardi
                                      Laureata in Scienze politiche
                                     Sapienza – Università di Roma

                                   «An elastic constitution, so it seems, implies an elastic use of the referendum.
But this gives rise to a problem. In Britain, if use of the referendum lies at the discretion of government, it can
 be used to augment the power of government rather than limiting it, by allowing a government to bring the
                     people into play against Parliament.. The referendum could then become a tactical device,
                                                                            ‘the Pontius Pilate’ of British politics».
                                                                                                [Prof. V. Bogdanor]

Sommario: 1. Premesse storiche di un processo di devolution                            2. La Scozia e il Regno
Unito: dall’Act of Union agli Scotland Acts                          3. Dalle rivendicazioni di un local
government alla devolution of power                        4. Verso il referendum: la posta in gioco
dell’indipendenza           5. Breve confronto con la questione catalana                          6. Lo Scottish
Independence Referendum Bill                 7. Scenari giuridici di una Scozia sovrana: i negoziati
con Regno Unito ed Unione europea                 8. La “terza via” della devolution max.

Abstract: Il 18 settembre i cittadini scozzesi saranno chiamati a decidere le sorti della
propria nazione: l’indipendenza dal Regno Unito e l’acquisto della piena sovranità
saranno oggetto del quesito referendario indetto dal Parlamento scozzese. Dalla volontà
dell’Assemblea di Edimburgo di ottenere una “more devolution”, ovvero una maggiore
autonomia fiscale, è nata una sfida dal profilo assai più elevato e dagli esiti incerti: un

*
    Articolo sottoposto a referaggio.

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semplice ‘sì’ potrebbe metter fine a trecento anni di unione. Il presente articolo intende
analizzare i possibili scenari di una Scozia effettivamente indipendente e sovrana: una
campagna referendaria costruita essenzialmente su dati economici, che indicano una
finanza pubblica più florida se slegata da quella inglese, sembra non aver posto la dovuta
attenzione alle conseguenze giuridiche di una secessione ottenuta nel 2014. Il governo
scozzese si mostra certo del mantenimento della stessa membership di cui gode
attualmente sotto il Regno Unito sia nell’Unione europea che in organizzazioni
internazionali quali l’ONU, la NATO e il Consiglio d’Europa. Nei paragrafi che seguono, si
cercherà di riportare sia l’oggetto delle trattative successive ad un esito referendario
positivo – sarà eventualmente l’articolo 48 o il disposto dell’articolo 49 del TUE a
rendere la Scozia il 29° Stato membro? – sia la strada che verrà intrapresa nel caso di
bocciatura del quesito – verso la “devolution max”? Essendo infatti escluso il
mantenimento dello status quo, la consultazione referendaria di settembre ha
comunque lo scopo indiretto di stimolare il Governo di Westminster a rimettere in gioco
l’assetto ordinamentale di tutto il Regno Unito.

1. Premesse storiche di un processo di devolution
Should Scotland be an independent country?
Dovrebbe la Scozia essere un Paese indipendente? È questa la domanda alla quale i
cittadini scozzesi potranno rispondere, con un sì o un no, nella consultazione
referendaria stabilita per il prossimo 18 settembre e che potrebbe rimettere in gioco
l’assetto istituzionale non solo di una Scozia nuovamente sovrana, ma di tutto il Regno
Unito.1

1 Il lavoro di ricerca compiuto per la stesura del presente articolo si è basato preliminarmente su un
approfondimento dottrinario che ha permesso la ricostruzione dell’evoluzione politico-istituzionale
dell’ordinamento inglese, e dei rapporti intercorsi con la Scozia a partire dall’Act of Union. Nelle note del
testo verranno citati volumi, saggi e articoli redatti e curati da: TORRE A., Democrazia rappresentativa e
referendum nel Regno Unito, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2012; Id., Devolution e regionalismo nel Regno
Unito: nuove strutture istituzionali ed esperienze di politica estera, in Buquicchio M., Studi sui rapporti internazionali e
comunitari delle Regioni, Bari, Cacucci, 2004, pp. 79-108; Id., Un referendum per tutte le stagioni: sovranità del
Parlamento e democrazia diretta nel Regno Unito, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2005, 1338 e ss.;
Id., Scozia: devolution, quasi-federalismo,indipendenza?, in AIC, Rivista n. 2/2013; PAROLARI S., Il regionalismo
inglese: «the dark side of devolution», Padova, CEDAM, 2008; DEL CONTE F., La devolution nel Regno Unito.
Percorsi di analisi sul decentramento politico-costituzionale d’oltremanica, Torino, Giappichelli, 2011; RUGGIU I.,
Devolution scozzese quattro anni dopo: the bones… and the flesh, in Le Regioni n.5, 2003, pp. 737-786; CARAVALE
G., Devolution scozzese e nuovi assetti costituzionali in Gran Bretagna, in Le Regioni in Europa. Esperienze costituzionali

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Quest’ultimo, già per definizione, consiste in un insieme di territori: il fondamento
storico-politico del sistema ‘devoluzionistico’ britannico è rintracciabile già negli Acts
(sostanzialmente tre) che contribuirono alla formazione della sua attuale fisionomia: il
Tudor Act del 1536 che sancì l’annessione del Principato del Galles al Regno di
Inghilterra, secondo il volere unilaterale del parlamento inglese; l’Act of Union del 1707
che costituzionalizzò l’incorporazione della Scozia all’Inghilterra, attraverso la fusione
dei due parlamenti, inglese e scozzese, in unico centro di potere legislativo con sede a
Westminster. Infine l’Union with Ireland Act del 1800 con il quale si trasferì ed incorporò
il legislativo irlandese a Londra, dove centotrè deputati e ventotto Lords avrebbero
rappresentato il popolo irlandese: un Lord Liutenant, rappresentate la Corona, e un Chief
Secretary, membro del Cabinet britannico, avrebbero amministrato e diretto l’isola2.
Situazione questa che si mantenne, con le criticità e le violenze ben note, fino
all’approvazione del Government of Ireland Act (23 dicembre 1920), la legge sulla home
rule che istituzionalizzò la divisione politica dell’isola in una parte settentrionale ed una
meridionale, ciascuna con un proprio Parlamento – rispettivamente a Stormont e a

a confronto, CARAVITA B. (a cura di), Giampiero Casagrande Editore, 2000; QVORTRUP M., The British
Constitution: continuity and Change. A Festschrift for Vernon Bogdanor, Oxford, Portland, Hart, 2013; DICEY A.,
Thoughts on the Union between England and Scotland, Londra, MacMillan&CO, 1920; Id., Introduzione allo studio
del diritto costituzionale. Le basi del costituzionalismo inglese, A. Torre (a cura di), Bologna, Il Mulino, 2003. Per
una ricostruzione storica delle tappe fondamentali del Regno Unito si rimanda ad autori italiani quali:
BIANCHI D., Storia della devoluzione britannica: dalla secessione americana ai giorni nostri, Milano, Franco Angeli,
2005; ed inglesi come DAVIES N., Isole: storia dell'Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell'Irlanda, Milano,
Mondadori, 2007; DEVINE T.M., The Scottish Nation. A modern history, Penguin Books, 2012. Per un’analisi
specifica della questione scozzese si rimanda a autori quali: MCLEAN I., LODGE G., GALLAGHER J.,
Scotland's Choices: The Referendum and What Happens Afterwards, Edinburgh, Edinburgh University Press,
2013; MAXWELL S., Arguing for Independence: Evidence, Risk and the Wicked Issues, Edinburgh, Luath Press,
2012; DIXON H., The In/Out Question: Why Britain should stay in the EU, marzo 2014. Di preziosa utilità
report e White Paper redatti da esperti sia del Governo scozzese (www.scotland.gov.uk) che inglese
(www.gov.uk). Copiosa la documentazione fornita da personalità autorevoli del mondo accademico ed
istituzionale inglese, tra i quali si ricorda LEYLAND P., Devolution in the United Kingdom: a case of perpetual
metamorphosis, in Istituzioni del federalismo: rivista di studi giuridici e politici, n. 1-2, 2010; CRAWFORD J.,
BOYLE A., Referendum on the Independence of Scotland – International Law Aspects, febbraio 2013; AVERY G.,
Could an independent Scotland join the European Union?, pubblicato da European Policy Centre, 28 maggio
2014; SHAW J., Citizenship in an indipendent Scotland: legal status and political implications, CITSEE Working
Paper n. 2013/34, University of Edinburgh, 2013; GUERRA SESMA D., Autodeterminación y secesión en el
ordenamiento internacional. Los casos de quebec, escocia y cataluña, in AECPA, settembre 2013; FURBY D., A long
and winding road? Scottish Independence and EU accession, pubblicato da Business for New Europe, maggio 2014;
ORMSTON R., CURTICE J., More devolution: an alternative road?. Da ultimo, per il reperimento delle
informazioni aggiornate alla data della stesura del presente articolo, è opportuno menzionare testate
giornalistiche quali The Economist, Financial Time, The Independent, The Guardian, Herald Scotland.
2 DAVIES N., Isole: storia dell'Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell'Irlanda, Milano, Mondadori, 2007, pp.

514-515.

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Dublino – pur sempre subordinati a Westminster. Decisivi in senso indipendentista il
successivo Irish Free State Act del 1922 e soprattutto l’Ireland Act del 1949, che sancì la
nascita dell’Eire quale Stato indipendente e sovrano. Il Nord dell’isola, sotto la corona
inglese, fu retto invece dall’Act del 1920 fino al 1972, anno in cui iniziarono le violenze e
gli scontri civili che resero vani i molteplici tentativi intergovernativi tra Regno Unito e
Repubblica d’Irlanda per favorire una soluzione pacifica del conflitto. Quest’ultima
giunse solo con l’ascesa del partito laburista che, con la firma del cosiddetto Good Friday
Agreement e del Northern Ireland Act del 1998, riaffermò l’appartenenza dell’Ulster al
Regno Unito, prospettando l’ipotesi di recesso solo per volontà della maggioranza della
popolazione, e dispose il ripristino dell’Assemblea legislativa che, sulla scia di una
democrazia cosiddetta consociativa, si strutturò in modo da garantire una relativa
stabilità politico-istituzionale3.

Questo accenno essenziale è necessario per poter collocare e ripercorrere le tappe
salienti che hanno caratterizzato la storia politico-sociale scozzese, da regno
indipendente a “nazione” incorporata alla corona britannica. Sebbene sia possibile
individuare delle “clausole di salvaguardia” del nazionalismo scozzese nello stesso Act of
Union che nel 1707 abbatté il Vallo di Adriano e pose la periferia celtica sotto la corona
inglese, le prime ed effettive rivendicazioni, mosse sul piano istituzionale, risalgono alla
seconda metà dell’Ottocento, quando avanzarono una maggiore autonomia per le
strutture locali. Solo in concomitanza con lo sviluppo dello Stato sociale post-bellico e
con la fortuna elettorale del partito nazionalista, iniziò ad affacciarsi sulla scena politica
una prima ipotesi di devolution of power.

2. La Scozia e il Regno Unito: dall’Act of Union agli Scotland Acts
La nascita della Scozia quale realtà storico-politica a sé stante viene collocata
convenzionalmente nell’anno 843 quando, dall’unione dei territori dei Piti e degli Scoti,
favorita dalla diffusione del cristianesimo, nacque il Regno di Alba la cui estensione
giunse fino a comprendere gran parte del territorio della Scozia odierna.

3   LIJPHART A., Le democrazie contemporanee, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 51-68.

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A partire però dal 1034, anno della morte del “primo re scozzese”, inizia il lungo e
violento contrasto con la vicina Inghilterra: necessita menzione, quanto meno per
l’importanza folkloristica che ricopre, la prima battaglia per l’indipendenza condotta nel
1297 dal “patriota” William Wallace contro gli inglesi e che aprì la strada alla firma del
Trattato di Northampton (1328) con il quale il sovrano inglese Edoardo III riconobbe,
almeno formalmente, l’indipendenza del Regno di Scozia. Di fatto però, nei secoli che
precedettero l’unione dei due regni, contrasti e violenze non furono certo messi da
parte: una serie di crisi di successione portarono al trono la dinastia Stuart e fu proprio
alla morte di Elisabetta I d’Inghilterra (1603), che il figlio Giacomo VI di Scozia assunse
la reggenza delle due corone con il nome di Giacomo I.
Si dovrà comunque aspettare un secolo per l’effettiva unificazione: sarà infatti l’Act of
Union del 1707 a porre fine ad una reggenza fondata solo sulla persona del sovrano, e a
realizzare quella che è stata definita una “union by incorporation”4, con la fusione dei due
organi legislativi nel palazzo di Westminster. Questa fu ritenuta – da ambo le parti – la
soluzione ottimale per le difficoltà economiche in cui versava la Scozia e per le crisi
politiche (e religiose) in corso tra le due entità sovrane5.

4 L’articolo 1 del Atto di Unione statuisce che «the two Kingdoms of Scotland and England shall upon the first day
of May next ensuing the date hereof, and for ever after, be united into One Kingdom by the Name of GREAT BRITAIN;
And that the Ensigns Armorial of the said United Kingdom be such as Her Majesty shall appoint, and the Crosses of St
Andrew and St George be conjoined, in such manner as Her Majesty shall think fit, and used in all Flags, Banners,
Standards and Ensigns, both at Sea and Land», Act of Union, 16 gennaio 1707, reperibile in
www.legislation.gov.uk/aosp/1707/7.
Interessante anche il dibattito sorto intorno alla natura giuridica dell’Act e alla posizione ricoperta nel
diritto internazionale, nonché in merito agli effetti da esso prodotti: si creò una nuova entità statale – i l
Regno Unito di Gran Bretagna – o piuttosto si produsse una “semplice” incorporazione della Scozia
all’Inghilterra la quale, albeit under a new name, continuava ad essere il soggetto giuridico internazionale di
riferimento? CRAWFORD J., BOYLE A., Referendum on the Independence of Scotland – International Law
Aspects (annex 1), in Scotland analysis: devolution and the implications of Scottish independence, presentato al
Parlamento dal Secretary of State for Scotland, febbraio 2013.
5 KIDD C., The Union and the Constitution, 1 settembre 2012 reperibile in www.historyandpolicy.org.

Nel secolo successivo alla morte di Elisabetta I, i regni di Scozia ed Inghilterra erano uniti solo
formalmente sotto la figura del Re, continuando a mantenere ognuno una propria autonomia istituzionale
ed amministrativa. Non tardò però a farsi sentire la predominanza inglese sia sul piano politico che
economico. Una Scozia già fiaccata da un secolo di guerre civili di religioni, fu costretta ad ammettere
apertamente la necessità di un’unione completa ed effettiva con Westminster quando, alla fine del ‘600, vide
il fallimento anche del cosiddetto “schema di Darién”, disastroso tentativo espansionistico nel canale di
Panama, duramente osteggiato dal governo inglese. Emblematici i versi di una canzone attribuita al poeta
Robert Burns – «We’re bought and sold for English gold» – con i quali si esprime il risentimento per la
“svendita” della propria nazione: Westminster “comprò” i voti di non pochi parlamentari scozzesi
accettando di accollarsi il debito creatosi a seguito della spedizione in America Centrale. Situazione questa

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Sebbene dal principio della Sovereignty of Parliament ne beneficiasse maggiormente
l’originaria Assemblea di Westminster, come conferma anche l’esiguo numero dei Lords
(sedici su duecentosei) e l’elezione ‘di facciata’ dei Comuni scozzesi6, è possibile
affermare che la Scozia abbia sempre goduto di una maggiore autonomia, rispetto alle
altre “nazioni” annesse al Regno.
L’autonomia di quest’ultima, infatti, non venne mai meno, fungendo peraltro da terreno
fertile per le spinte autonomistiche che a partire dall’Ottocento iniziarono a far sentire la
loro voce. Come accennato, lo stesso Atto di Unione presentava delle “clausole di
salvaguardia” di alcuni nuclei essenziali del nazionalismo scozzese, inteso quale
devozione (affection) del popolo verso la propria terra, le proprie istituzioni, le proprie
leggi, la propria religione e i propri eroi 7 , e che hanno permesso, di fatto, il
mantenimento del peculiare assetto giuridico-istituzionale scozzese. Così, al divieto di
revisione delle leggi riguardanti il diritto privato (art. 18 dell’Act), o di soppressione
della Corte di Giustizia (art. 19 dell’Act), faceva seguito il mantenimento dei rights and
privileges dei Royal Burghs e soprattutto delle istituzioni radicate nel tessuto civico e
religioso e tra loro strettamente connesse, quali la Chiesa di Scozia – «Calvinist in its
official documents… Presbyterian in order»8 – e i centri universitari, informati appunto ai
principi presbiteriani. A questo periodo risale anche la fondazione della Banca di Scozia

che ha fornito una ‘giustificazione’ più che valida alla firma dell’Act of Union, ponendo fine a un secolo di
rifiuti da parte del Parlamento scozzese (precisamente nel 1606, 1667, 1689).
In particolare DEVINE T.M., The Scottish Nation. A modern history, Penguin Books, 2012, osserva proprio
come «la Scozia fosse ben lontana dall’essere uno Stato indipendente» dal momento che, nel 1603, la
politica estera scozzese si ‘trasferì’ a Londra con il re Giacomo VI, risultando ben presto sfruttata per il
solo soddisfacimento delle esigenze inglesi. Per un approfondimento sulla storia della Scozia e del Regno
Unito si rimanda a DAVIES N., Isole, op. cit.
6 I deputati scozzesi venivano selezionati in funzione delle direttive dell’élite inglese, e se già l’esiguo

numero (45 su 558) non avrebbe potuto in alcun modo intaccare la linea politica di Westminster, con tale
“procedura” si rendeva pressoché nullo il dissenso. La forte discrepanza tra i collegi elettorali scozzesi e i
rispettivi rappresentanti a Londra giustificava pertanto i non pochi episodi di voto a favore dell’operato
della corona, come nel caso della guerra di indipendenza americana, laddove all’appoggio degli insorti
dimostrato dalla popolazione scozzese faceva da contraltare l’approvazione delle repressive misure
governative da parte dei 45 deputati. ALICINO F., La “struttura ecclesiastica” dello Scottish Enlightenment. Le
origini dell’illuminismo scozzese fra religione naturale e teologia razionale, in Idee e principi costituzionali dell’Illuminismo
scozzese, Giornale di Storia costituzionale, n. 20 (2/2010), a cura di A. Torre, eum, 2010.
7 Devozione che Dicey paragona a quella che un uomo prova verso la propria famiglia, reputando tale

sentimento, a prescindere dal motivo che lo suscita (sia esso storico, etnico o religioso), un vero e proprio
“moral value”. DICEY A.V., RAIT R., Thoughts on the Union between England and Scotland, Londra,
MacMillan&CO, 1920, p. 326, reperibile in www.archive.org
8 ALICINO F., op. cit.; MACINTYRE A., Giustizia e razionalità. Dall’illuminismo scozzese all’età contemporanea,

CALABI C. (a cura di), Milano, Anabasi, 1995

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(1625), tutt’ora attiva nell’emissione della sterlina inglese. Indenne ne uscì fuori anche
l’impostazione pre-unitaria del sistema scolastico regolato dall’Education Act del 1696, il
quale, sebbene abbia ricevuto non poche critiche in merito alla sua reale efficienza,
continua ad essere considerato uno tra i più validi sistemi di istruzione attuati a partire
dal XVII secolo9.
Significativa a tal riguardo, è l’impostazione stessa del sistema giuridico scozzese (Scots
Law), frutto delle influenze della normativa civilistica romana e della tradizione inglese.
Sebbene abbia elementi in comune con i sistemi giuridici dell’Inghilterra, del Galles e
dell’Irlanda (del Nord) – questi ultimi rientranti quasi in toto nell’ambito del common
law – presenta fonti ed istituzioni proprie: l’originaria impostazione romanistica è
dovuta alla tarda diffusione dei centri universitari (intorno al XV secolo) e la
conseguente formazione dei primi giuristi scozzesi nelle accademie giuridiche francesi,
tedesche e fiamminghe. Da ciò deriva il ruolo marginale ricoperto dalla giurisprudenza
rispetto alle altre fonti del diritto, caratteristica invece essenziale del common law, e
l’importanza delle corti ecclesiastiche (diritto canonico) nella risoluzione delle
controversie in materia di famiglia e di successione10.
Sebbene l’Atto di Unione abbia indubbiamente favorito la progressiva interazione tra i
due sistemi giuridici, evidenziandone la forte influenza inglese, il diritto scozzese ha
mantenuto per lungo tempo impostazioni differenti rispetto a quelle dei giudici di
Londra11. Significativa la considerazione generale che sottostà all’utilizzo massiccio dei

9 KNOX W.W., A history of the Scottish People. The Scottish Educational System 1840-1940, reperibile in
www.scran.ac.uk. Come evidenzia MIDDLETON A.R., Presbyterianism and Schools. The Education Act of
1696, in www.middletome.com, il sistema scolastico in questione costituisce le fondamenta del moderno
sistema d’istruzione scozzese, nato dalla commistione dei principi della riforma protestante calvinista e dei
dogmi presbiteriani.
10 Le lacune di una giurisdizione e applicazione del diritto ancora feudale e frammentata, formalmente in

mano al monarca, sostanzialmente gestita dai local sheriffsi, venivano colmate attraverso un ricorso al
(uniforme) diritto canonico. Inoltre, come in precedenza accennato, la connessione tra il mondo
ecclesiastico e quello accademico era fortissima, dovendosi la fondazione di alcuni tra i più importanti
centri universitari (giuridici) a personalità di spicco della curia romana. Da menzionare l’università di St
Andrews fondata nel 1413 dal vescovo Wardlaw, l’università di Glasgow inaugurata dal vescovo Turnbull nel
1451 e quella di Aberdeen istituita dal bishop Elphinstone nello stesso periodo. Per un’analisi dettagliata
sull’evoluzione del sistema giuridico scozzese, con particolare riguardo alla componente romanistica dello
stesso, si rimanda al saggio di GORDON W., Roman Law in Scotland, in Evans-Jones R., The Civil Law
Tradition in Scotland, vol. 2, Edinburgh, 1995, pp 13-40, ora reperibile in www.iuscivile.com.
11 Tra il XII e il XIX, possono essere individuate almeno tre differenze essenziali tra i due apparati

giuridici: il sistema dei writs, base fondante del common law inglese, era estraneo all’iter processuale scozzese,
risultando quest’ultimo più semplice sia nell’accesso che nello svolgimento. Conseguente a ciò, la non

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precedenti giurisprudenziali da parte dei tribunali scozzesi: il case law è ritenuto una
risorsa fondamentale, funzionale a facilitare l’interpretazione e l’applicazione ai singoli
casi delle norme e dei principi generali contenuti nella legge. La tendenza ad attenersi
sempre più ai precedenti giurisprudenziali origina dalla trasformazione della House of
Lords in giudice di ultima istanza (ruolo assunto dal 1° ottobre 2009 dalla Supreme
Court12), le cui decisioni informavano i tribunali di tutto il Regno. Da riportare il ruolo
rilevante ricoperto dai giudici scozzesi rispetto a quelli inglesi, nell’interpretazione e
nella conseguente formulazione dottrinaria del diritto dell’Unione Europea, per sua
natura diritto di civil law13.
Lo stesso processo di devolution, che a partire dagli anni ’70 interessa profondamente
l’impostazione governativa (e “costituzionale”) britannica, non ha fatto altro che
riconfermare la parziale ma sostanziale autonomia dei due sistemi ordinamentali.

3. Dalle rivendicazioni di un local government alla devolution of power
Conseguentemente all’espansione dell’Impero britannico, all’aumentare delle attività
legislative di Westminster, e all’estensione del suffragio elettorale con i Reform Acts del
1867 e del 1884, si sentì sempre più l’esigenza, anche nei palazzi londinesi, di costruire
un moderno sistema di local government strettamente connesso alla politica di home
rule 14 . Non a caso, la prima mozione contenente proposte di avanzamento
dell’autonomia scozzese risale al 1889, nella quale si fa riferimento all’idea di devolution
e si evidenzia che «the House does its work very badly and inadequately, and that
something is required to be done to enable Parliament to discharge its duty to the whole
country»15. Sebbene la mozione non venne accolta, la creazione di organismi locali

formazione all’interno del sistema scozzese dell’istituto dell’equity. Anche la giuria, quale giudice “finale”
del processo, non ha fortuna nei tribunali del nord britannico. MANSON-SMITH D., The Legal System of
Scotland, 4° Ed., 2008, reperibile in www.consumerfocus.org.uk.
12 Istituita con il Constitutional Reform Act del 2005 e composta da 12 giudici nominate da Sua Maestà con

garanzie di indipendenza.
13 AA.VV., Sistemi giuridici nel mondo, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 205-208.
14 Scrive il parlamentare Lord J.H. Dalziel nella mozione del 29 marzo 1895 sull’opportunità di istituire

assemblee legislative locali «…in order to give speedier and fuller effect to the special desires and wants of the respective
Nationalities constituting the United Kingdom, and with a view to increase the efficiency of the Imperial Parliament to deal
with imperial affairs, it is desirable to devolve upon Legislatures in Ireland, Scotland, Wales, and England respectively the
management and control of their domestic affairs», reperibile online in www.hansard.millbanksystems.com.
15 Come riportato da KENDLE J., Ireland and the Federal Solution: The Debate over the United Kingdom

Constitution 1870-1920, McGill-Queen's Press, 1989, p. 66.

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preposti all’elaborazione e attuazione di politiche territoriali, quali lo Scottish Office
(1885) e lo Scottish Grand Commitee (1894), evitarono l’inasprirsi dei toni da parte dei
nazionalisti.
I due conflitti mondiali rappresentarono una parentesi di sostanziale staticità del
dibattito inerente le rivendicazioni “devoluzionistiche” 16, il quale, al contrario, si
riaccese     successivamente         al secondo dopoguerra,                quando l’espansione            e    il
consolidamento del Welfare State mostrò l’urgenza di una modernizzazione dell’assetto
governativo territoriale, in funzione razionalizzante ed equilibratrice. Non a caso,
proprio negli squilibri che affliggevano il sistema economico del Regno, con le aree
periferiche maggiormente depresse, è possibile rinvenire l’origine del consenso
elettorale e della fulminea crescita dei partiti nazionalisti, quali lo Scottish National Party
(Snp) e il Plaid Cymrum gallese17. Ad accendere ancor più il dibattito, sia in ambito
istituzionale che civile, contribuirono l’ingresso del Regno Unito nell’allora Comunità
Economica Europea, che spinse i nazionalisti scozzesi a ipotizzare i benefici e i vantaggi
economici che una Scozia “più autonoma” avrebbe potuto godere, data la politica
europea favorevole alla maggiore regionalizzazione, e la contestuale scoperta dei
giacimenti petroliferi al largo delle coste scozzesi. La campagna “it’s our oil” promossa
dallo Scottish National Party muoveva proprio dall’assunto di ottenere la gestione
dell’area petrolifera al fine di favorire l’aumento della ricchezza della regione senza
dover passare per le casse londinesi, le quali ritrasferivano, in misura notevolmente
ridotta, gli enormi introiti prodotti dall’estrazione dei giacimenti. In questo clima di
revival nazionalistico, l’hung Parliament del 1974 con una maggioranza laburista assai
ristretta spinse Wilson, Premier di un Governo di minoranza, ad assicurarsi il sostegno
dei partiti nazionalisti promuovendo la stesura del primo di una lunga serie di White

16 Se si eccettua la Speaker’s Conference on devolution svoltasi nel 1919 durante la quale si discusse seriamente
dell’opportunità di istituire vere e proprie assemblee elettive cui devolvere un determinato numero di
poteri. BIANCHI D.G., Storia della devoluzione britannica: dalla secessione americana ai giorni nostri, Milano,
Franco Angeli, 2005, p. 76.
17 Lo SNP nasce nel 1934 dall’unione di due movimenti estremisti – lo Scottish Party e il National Party of

Scotland – su iniziativa di uno studente universitario, John MacCormick, con l’obiettivo di riaprire un
dialogo pacifico e costruttivo che portasse alla restaurazione del parlamento scozzese. Il Plaid Cymru venne
fondato nel 1925 e sebbene avesse la veste di partito politico, in realtà gli obiettivi che ne
contraddistinguevano il manifesto erano riconducibili a quelli di un movimento di intellettuali in lotta per
la preservazione dell’identità linguistica e culturale del Galles, dove la questione del self-government, ovvero
delle rivendicazioni autonomistiche, era marginale.

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Papers – “Democracy and Devolution: Proposals for Scotland and Wales” – che recepiva
parzialmente le proposte presentate dalla Royal Commission on the Constitution,
incaricata nel 1969, di formulare delle ipotesi di revisione “costituzionale” dell’assetto
amministrativo dell’intero Regno Unito, con speciali focus sulla questione delle
autonomie territoriali18.
Si giunse così alla tornata referendaria del 1° marzo 1979, che vide il trasferimento al
corpo elettorale scozzese (e gallese) della scelta di approvare o meno il progetto di
devolution – differenziata in quanto ponderata sulle specifiche caratteristiche delle due
regioni – contenuto rispettivamente nello Scotland Act e nel Wales Act del 1978.
L’esito negativo delle urne, vincolato al raggiungimento del quorum pari al 40%19, al di
là della caduta del Gabinetto Callaghan, sfiduciato dai nazionalisti scozzesi, provocò una
battuta d’arresto alla campagna pro-devolution, la quale, attraversando “in sordina” il
periodo unionista thatcheriano, tornò alla ribalta negli anni ’90. È nel 1989 che viene
infatti istituita la Scottish Constitutional Convention, attraverso cui rappresentanti di
partiti politici, sindacati ed esponenti delle comunità locali elaborarono un progetto,
confluito nel documento Scotland’s Parliament: Scotland’s Rights, per la creazione di un
parlamento scozzese con potestà legislativa primaria e possibilità di variazione delle

18 Importante e centrale il ruolo svolto dalla Royal Commission che per la prima volta affrontò la questione
della “multiformità” caratterizzante l’assetto costituzionale inglese, dando avvio alla redazione dell’attuale
impostazione autonomistica, che ad una devolution asimmetrica affiancata ad un sistema assai articolato di
local government. Per un’analisi dettaglia sulla questione del regionalismo inglese si rimanda a PAROLARI S.,
Il regionalismo inglese: «the dark side of devolution», Padova, CEDAM, 2008; LEYLAND P.; Devolution in the
United Kingdom: a case of perpetual metamorphosis, in Istituzioni del federalismo: rivista di studi giuridici e politici, n. 1-2,
2010, pp. 175-199.
19 Secondo quanto riportato da Torre, per la prima volta nella storia parlamentare britannica «un Act of

Parliament recava in sé la previsione di un’ulteriore fase integrativa della propria efficacia», in quanto
l’inserimento in appendice ai due bills della previsione di un referendum preventivo comportava di fatto
«un’estensione extraparlamentare del public vote delle Camere», operando in funzione sospensiva anche a
seguito dell’acquisizione della piena efficacia da parte delle due leggi attraverso il Royal assent. TORRE A.,
Un referendum per tutte le stagioni: sovranità del Parlamento e democrazia diretta nel Regno Unito, in Diritto pubblico
comparato ed europeo, 2005, 1355.
Per ciò che concerne invece il cosiddetto Cunningham amendment, ovvero l’aver stabilito di vincolare
l’efficacia delle due leggi al consenso favorevole di almeno il 40% degli aventi diritto di voto, numerose
sono state le critiche sollevate sia dai nazionalisti scozzesi che dai liberali: il 40% era un quorum assai
elevato e per giunta calcolato in base al registro elettorale stilato per le elezioni parlamentari, le cui
modalità di registrazione non potevano essere considerate affidabili per il calcolo della soglia di
partecipazione referendaria degli aventi di diritto di voto. Quest’ultima si attestò al 32,9% in Scozia, e solo
al 20,03% in Galles.              Cfr. The 40% Rule at the 1979 Devolution Referendum, reperibile in
www.scottishpoliticalarchive.org.uk; CAIELLI M., La devolution scozzese: il referendum sullo Scotland Act 1978
del 1° marzo 1979, in Frosini O. J., Torre A. (a cura di), Maggioli, 2012, pp. 223-233.

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aliquote fiscali. Proposte sì significative vennero successivamente riprese e riprodotte
nel libro bianco Scotland’s Parliament, redatto dal governo laburista di Tony Blair, che
della questione della devolution nel Regno Unito ne fece il principale messaggio della sua
campagna elettorale20. Tratti salienti del documento vennero riprodotti nello Scotland
Bill che, insieme al Government of Wales Bill (corrispettivo legislativo del libro bianco A
Voice for Wales), predisponeva una forma avanzata di devolution legislativa, laddove alla
neo-nata Assemblea scozzese si assegnava potestà legislativa residuale in tutte le
materie non espressamente riservate a Westminster (schedule 5)21. Anche in questo caso,
l’avvio delle riforme devolutive fu rimesso all’esito positivo delle due consultazioni
referendarie sebbene il Referendum (Scotland and Wales) Act del 31 luglio 1997 le
qualificasse come advisory22. La legittimazione popolare ai bills governativi era ritenuta
imprescindibile, emblema stesso del processo di maggiore democratizzazione
istituzionale che il Regno Unito si apprestava ad avviare. Fu così che l’11 settembre
1997, il 74,3% degli aventi diritto di voto si espresse a favore sia dell’istituzione di uno
Scottish Parliament sia della possibilità per quest’ultimo di avere il potere di variazione
dell’aliquota base dell’imposta sui redditi. Il tornout della consultazione referendaria fu
del 60,2%, sebbene non fosse stato imposto nessun vincolo sul genere della “40% rule”.
A seguito delle elezioni tenute nel maggio del 1999, i 129 membri eletti con sistema
elettorale misto (73 eletti con sistema uninominale maggioritario e 56 con il

20 Assai ambizioso il programma politico presentato in campagna elettorale dal leader laburista Blair che,
forte della coincidenza dei propositi in materia di devolution tra il proprio partito e quello dei liberali e
dunque della possibilità di posizionare al “terzo posto” i conservatori, era disposto a riconoscere
un’autonomia politico-costituzionale alle aree sub-statali della Scozia e del Galles e a ripristinare
l’Assemblea di Stormont in Irlanda del Nord.
21 Sia nel libro bianco che nello stesso Act di devolution viene ribadito e specificato che tale devoluzione non

incide sulla supremacy di Westminster, ovvero sul potere per il parlamento centrale di legiferare anche sulle
materie devolute (section 27.7 dello Scotland Act). Un limite a tale principio di primazia dell’apparato centrale
si incontra nella cosiddetta Sewel Convention (dal nome del ministro promotore della motion, Lord Sewel) in
base alla quale il Parlamento britannico può sì esercitare potestà legislativa nelle devolved matters ma solo
previo accordo con il legislativo scozzese.
Per il Galles si prefigurò invece una executive devolution, ovvero una potestà legislativa secondaria: tale
asimmetrico assetto devolutivo rispetto a quello scozzese è ribadito dall’impostazione stessa del Government
Act laddove il criterio residuale è a favore del parlamento inglese, che ha competenza su tutte le materie
che non sono espressamente attribuite all’Assemblea gallese.
22 Nel capitolo 11 del libro bianco scozzese si stabilisce che «the Government plans, in the event of a positive

referendum result, to introduce before the end of the year legislation to implement the proposals set out in the White Paper».

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proporzionale)23 iniziarono la loro attività in una struttura posta innanzi all’antica sede
dell’Assemblea scozzese pre-unitaria, l’Holyroodhouse Palace.
Prese così avvio quel processo di rolling devolution, mutuato dall’esperienza
nordirlandese24, e che con sempre maggior vigore si andò configurando quale “antitesi
storica e costituzionale” del processo di unione iniziato trecento anni fa. Infatti, l’Act of
Union e lo Scotland Act, secondo un’impostazione legislativa antitetica, hanno prodotto
entrambi una modifica nell’assetto statale del Regno, incidendo sulla configurazione del
Legislativo in senso unitario nel primo caso, devolutivo nel secondo25. Da aggiungere
ovviamente, l’impostazione asimmetrica della soluzione devolutiva che, ponderata in
funzione delle specificità territoriali (ed identitarie), ha legittimato e legittima le spinte
indipendentiste scozzesi.

4. Verso il referendum: la posta in gioco dell’indipendenza
Il primo decennio successivo alla riforma è stato caratterizzato dalla sorprendente e
sempre più rapida ascesa dello Scottish National Party che attraverso un impegnativo
manifesto politico, riassunto nello slogan “YES Scotland”, è riuscito ad ottenere prima la
maggioranza relativa (alle elezioni del 2007) e poi quella assoluta nella tornata
elettorale del 2011. La conquista di 65 seggi su 129, ha rafforzato il commitment del
Premier scozzese Alex Salmond per «l’organizzazione in questa legislatura di un
referendum che vi affidi il futuro costituzionale della Scozia». A suo favore ha giocato
anche la drammatica congiuntura economica e politica internazionale e soprattutto

23 Per un’analisi del sistema elettorale introdotto dallo Scotland Act e con riguardo alla composizione
interna delle strutture devolute e ai rapporti intergovernativi si rimanda a DEL CONTE F., La devolution
nel Regno Unito. Percorsi di analisi sul decentramento politico-costituzionale d’oltremanica, Torino, Giappichelli, 2011.
L’esecutivo scozzese è composto da un First Minister che dalle fila del Parlamento nomina gli altri membri
dell’esecutivo, e da due Law Offices (Lord Advocate e Solicitor General for Scotland) posti a garanzia del corretto
espletamento delle funzioni parlamentari, ovvero il rispetto della ripartizione delle competenze tra i due
parlamenti.
24 Come ci ricorda Torre, il concetto di rolling devolution viene coniato con il Government of Northern Ireland: a

working paper for a conference del 1979, con il quale si ipotizzava l’istituzione di un’assemblea che, fondata sul
principio dello sharing power, permettesse l’equilibrata presenza politica degli esponenti delle due comunità
protestante e cattolica. Nel Northern Ireland: a framework for devolution del 1982 si cercò di dare attuazione
concreta a tale ipotesi attraverso il criterio della progressiva devolution, che di fatto vide la luce solo con il
Northern Ireland Act del ’98. TORRE A., Pluralismo e asimmetrie in uno stato unitario: istituzioni, caratteri e
politiche della devolution nel Regno Unito, in Federalismi a confronto: dalle esperienze straniere al caso
veneto, Benazzo A. (a cura di), CEDAM, 2010, pp. 145-146.
25 TORRE A., Scozia: devolution, quasi-federalismo,indipendenza?, in AIC, Rivista n. 2/2013, p. 160.

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europea che ha provocato un calo dei consensi sia sul fronte dei New Labour che dei
conservatori di David Cameron, attuale Primo Ministro. Il rispettivo elettorato si è
spostato infatti, progressivamente su posizioni più estremiste, raccolte appunto dai
movimenti nazionalisti. D’obbligo è il rimando allo United Kingdom Independence Party,
che nelle elezioni per il Parlamento europeo dello scorso maggio si è qualificato come
primo partito inglese con il 27,5% dei voti. Il paragone deve però essere limitato al
piano del “revival nazionalista”, dal momento che l’essenza estremamente conservatrice
ed antieuropeista dell’Ukip si discosta dall’impostazione europeista - e di sinistra - dello
Snp26.
Il programma politico dello Snp è stato totalmente improntato al sempre maggior
coinvolgimento dei cittadini sulla possibilità di ampliare lo spettro di azione della
devolution, fino a prendere in considerazione l’ipotesi dell’indipendenza.
La National Conversation, consultazione pubblica lanciata nell’agosto del 2007 dal
partito di Salmond, mirava proprio a favorire la diretta partecipazione dei cittadini:
preceduta da un documento che ne spiegava le finalità, ha portato, il 30 settembre 2009,
alla pubblicazione di un progetto di legge contenente le possibili strade del processo
devolutivo, ovvero le effettive conseguenze di un esito positivo del proposto
referendum27.
Al fine di contrastare tale progetto e perseguire le proposte devolutive secondo canali
istituzionali e sotto l’egida di Westminster, le forze di opposizione rappresentate dallo
Scottish Labour Party, dallo Scottish Conservative and Unionist Party e dagli Scottish
Liberal Democrats, hanno istituito un organismo indipendente incaricato di rivedere

26 L’impostazione social-democratica dello Scottish National Party può essere spiegata ripercorrendo le tappe
antecedenti la fondazione del partito, laddove l’anima liberale del movimento che primo diede impulso alle
rivendicazioni autonomistiche – la National Association for Vendication of Scottish Rights – fece da “mediatrice”
tra le ideologie dei partiti che si unirono per dar vita nel 1934 allo Snp: lo Scottish Party, di stampo
conservatore, e il National Party of Scotland, attestato invece su posizioni “socialdemocratiche”. Nationalist
Movements In Scotland History Essay, reperibile su ukessays.com
27 Il documento esplicativo le finalità della consultazione pubblica (che si è dimostrata essere«the biggest ever

public consultative exercise of its kind», avendo visto la partecipazione di oltre 15000 cittadini) è stato
pubblicato online il 14 agosto 2007 con il titolo “Choosing Scotland’s Future. A National Conversation:
Independence and responsibility in the modern world”.
Il White Paper “Your Scotland, Your Voice: a National Conversation” redatto a seguito della predetta
consultazione, riportava i quattro possibili scenari per il futuro della Scozia: mantenimento dello status quo;
l’avvio di un’ulteriore processo di devolution, definita “full” o “max”; l’indipendenza, spiegando nel dettaglio
le conseguenze che ciascuna di queste ipotesi comporterebbe “for every area of Scottish public life”.

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l’assetto stabilito dieci anni prima dallo Scotland Act e formulare diverse proposte,
soprattutto in materia finanziaria. Il dibattito sull’istituzione della Calman Commission –
dal nome del suo Presidente, Sir Kenneth Calman, rettore dell’Università di Glasgow –
venne aperto nel dicembre 2007, a seguito della mozione del leader laburista del
Parlamento scozzese28, e si concluse, nel marzo successivo, con la nomina formale da
parte del governo inglese dei membri componenti la stessa. Il lavoro di ricerca compiuto
da autorevoli personalità del mondo giuridico, accademico e politico vicine all’ala
laburista, ha portato alla redazione, dopo poco più di un anno, di un final report dal titolo
emblematico “Serving Scotland better: Scotland and the United Kingdom in the 21st
century”29. Le proposte sono confluite ben presto in un altro documento stilato dal
governo inglese e che, con alcune modifiche relative soprattutto alla materia fiscale,
venne tradotto in bill e presentato alla House of Commons il 30 novembre 2010.
Dopo poco più di un anno, si giunse così all’approvazione dello Scotland Act del 2012
attraverso cui si cercarono di definire quelle “issues” che inizialmente non vennero
ritenute prioritarie né dall’agenda politica scozzese né (tantomeno!) da quella inglese:
stabilire la natura e i limiti della potestà fiscale del settentrione britannico. Un iter
procedurale, quello del bill, fatto di continue “navette” ed emendamenti e che ha
impegnato sia i membri di Westminster che quelli dell’organo assembleare scozzese:
l’approvazione definitiva dell’Act ottenuta con il Royal Assent il 1° maggio 2012, non ha
comunque fatto cessare le critiche e le obiezioni sorte. Infatti, se da un lato il nuovo
documento prevede maggiori competenze in ambito finanziario e fiscale (previsioni che

28 Nelle prime pagine della mozione S3M-976, presentata dal leader laburista Wendy Alexander, si esplica
l’essenziale ruolo della Calman Commsion «To review the provisions of the Scotland Act 1998 in the light of
experience and to recommend any changes to the present constitutional arrangements that would enable the Scottish
Parliament to serve the people of Scotland better, that would improve the financial accountability of the Scottish Parliament
and that would continue to secure the position of Scotland within the United Kingdom», The Commission on Scottish
devolution – the Calman Commission, House of Commons, 4 giugno 2010.
29 Le principali proposte delineate riguardarono soprattutto l’aspetto finanziario della devolution: la

commissione ha, tra le varie ipotesi, prospettato la possibilità di aumentare il limite entro cui il Parlamento
scozzese può variare l’aliquota dell’imposizione fiscale, dall’attuale 3% al 10%. Non poche le critiche
mosse, soprattutto perché un simile aumento avrebbe comportato inevitabilmente una maggiore pressione
fiscale. Si veda in proposito il paper “Fiscal Sustainability of an Independent Scotland”, redatto dall’Institute for
Fiscal Studies nel novembre 2013 (Chapter 4), laddove si sono attentamente analizzati gli effetti che
un’indipendenza economica dal Regno Unito comporterebbe sulla pressione fiscale scozzese, il cui
crescere potrebbe verificarsi o attraverso un taglio della spesa o un aumento della tassazione. Si rimanda
inoltre a CUTHBERT M., CUTHBERT J., Calman White Paper Makes Things Worse On Tax, dicembre 2009.
Il testo del final report è reperibile in www.commissiononscottishdevolution.org.uk/uploads/2009-06-12-
csd-final-report-2009fbookmarked.pdf

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entreranno in vigore dal 2016), dall’altro esclude la gestione della politica
macroeconomica da parte del governo scozzese e non assicura un percorso strutturato
per una crescita economica effettiva.
Non sorprende pertanto che il Partito Nazionalista di Salmond abbia spinto ancor di più
per trovare un rapido accordo con Westminster per la ‘calendarizzazzione’ del
referendum e abbia inserito le cosiddette “missed opportunities”, ovvero le questioni non
menzionate nel documento legislativo, nelle 670 pagine del White Paper “Scotland’s
Future. Your guide to an Independent Scotland”, il programma pubblicato nel novembre
2013 e contenente gli obiettivi da raggiungere nel caso di vittoria del sì.
Pertanto pochi mesi dopo (il 15 ottobre 2012) è stato firmato l’Edimburgh Agreement30,
l’intesa tra i due Primi ministri che ha permesso di trasferire al Parlamento scozzese il
potere di approvare la legge per l’indizione del referendum e i criteri di
regolamentazione: la data, l’elettorato, la formula del quesito e i termini della campagna
referendaria. Infatti, attraverso la procedura prevista dalla Section 30 dello Scotland Act
199831, è stato possibile operare una vera e propria delega legislativa, devolvendo una
materia altrimenti di potestà inglese (secondo lo schema della Schedule 5).

Come avvenne in Québec per ben due volte32, anche in questo caso il consenso del
governo inglese all’indizione del referendum – che, anche in caso di esito negativo,

30 Per il testo dell’accordo si rimanda al sito dello Scottish Government www.scotland.gov.uk
Sul dibattito sorto in merito alla natura giuridica dell’atto in questione si veda il paper di BELL C., The
Legal Status of the 'Edinburgh Agreement', reperibile sul sito www.scottishconstitutionalfutures.org
31 La Section 30 prevede infatti l’utilizzo dell’Order in Council, ovvero di quello strumento legislativo che,

discusso ed approvato da entrambi i rami del Parlamento, permette il trasferimento di alcuni poteri dal
governo centrale alle assemblee delle regioni devolute.
32 Anche la storia della secessione del Québec comincia negli anni ’60 del XX secolo, quando con la

cosiddetta quiet revolution ha iniziato ad avanzare prerogative speciali sul piano politico e giuridico. Il 20
maggio 1980 si è svolta la prima consultazione referendaria, il cui esito negativo affondò il progetto di
negoziazione della propria sovranità con il Governo federale. Poco più di un punto (49,4 la percentuale
dei voti favorevoli) causò la bocciatura anche del secondo tentativo referendario indetto nel 1995: è in
questa occasione che la Corte Suprema venne chiamata ad esprimersi sulla costituzionalità di una
secessione per via referendaria. Con la nota pronuncia Re Secession of Québec del 1998, la Corte ha
dichiarato inammissibile una secessione unilaterale, seppur suffragata dal consenso popolare, essendo
necessaria una revisione costituzionale, frutto del duty of negoziate tra le componenti federali. Sebbene nel
2006 la Camera dei deputati abbia approvato una mozione del partito conservatore, con la quale si
riconosce il Québec una “nazione in seno al Canada unito”, l’entusiasmo della popolazione sulla
prospettiva di una propria sovranità sembra sia scemato. Andamento confermato ampiamente anche
dall’esito delle ultime elezioni per l’Assemblea nazionale (il 7 aprile) che hanno visto una netta sconfitta del
partito conservatore e indipendentista (con ben 24 seggi in meno) e la schiacciante vittoria dei liberali, la

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potrebbe comportare una rivalutazione dell’attuale struttura devolutiva del Regno – è
stato favorito dall’assenza di una Costituzione scritta33 e dall’utilizzo (aumentato negli
ultimi quarant’anni) degli strumenti della democrazia diretta34.
In relazione a quest’ultimo aspetto è stato fatto notare35 come, sebbene i referendum
britannici possiedano natura advisory, in ossequio al principio della Sovereignty of
Parliament, il ruolo rilevante che hanno assunto nell’iter di acquisizione dell’efficacia di
alcuni importanti atti parlamentari – in occasione ad esempio della rinegoziazione delle
clausole di adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea nel 1975, del
primo progetto devolutivo del 1978 e del secondo del 1997 – potrebbe far intravedere
un carattere mandatory degli stessi: l’effettiva operatività delle riforme in questione è
stata infatti rimessa all’esito (favorevole) della urne36.
Inoltre nel caso specifico, come lo stesso Premier Cameron ha ricordato, negare la
possibilità di indire un referendum si sarebbe tradotto nel non riconoscimento della

cui campagna elettorale si è concentrata invece sui temi che al momento premono di più ai cittadini della
vasta provincia canadese: economia, occupazione e riforma del sistema sanitario (anche la professione del
nuovo Primo Ministro, neurochirurgo, ha giocato sicuramente a favore dell’intero partito). Preoccupazioni
queste, in un certo senso confermate da uno studio effettuato dalla Royal Bank of Canada che fotografa una
situazione economica di stallo rispetto alle altre province, con un tasso di disoccupazione al di sopra della
media canadese (Provincial Outlook, June 2014, RBC Economics Research,reperibile in www.rbc.com). Per il
risultato delle elezioni si rimanda a Le Directeur général des élections du Québec, 7 aprile 2014; inoltre cfr.
PASSANITI G., Il Quèbec è una nazione: una passo verso la riconciliazione o la secessione?, 24 gennaio 2007, in
www.federalismi.it
33 Nel rapporto pubblicato dalla House of Lords Select Committee on the Constitution, Referendum in the United

Kingdom, Report with evidence, 12th Report on Session 2009-2010, si sono tentati di definire i cd. fundamental
constitutional issues, ovvero quelle materie di carattere costituzionale. Pertanto, un elenco non tassativo
enumera le seguenti sette “questioni”: abolizione della monarchia e delle due Camere del Parlamento;
secessione di alcune delle nazioni costitutive del Regno Unito e l’uscita dall’Unione Europea dello stesso;
riforma del sistema elettorale della Camera dei Comuni; adozione di una costituzione scritta; modifica del
sistema monetario britannico (Chapter 3 par. 94, p. 27).
prescindendo però dalla tassatività dell’elenco, date le difficoltà che un simile lavoro presenta e che sono
state ampiamente dibattute nei paragrafi precedenti la lista delle materie (Chapter 3, pp- 21- 30).
34 Come è stato ricordato «The UK is a union of separate nations with historically distinct identities: morally and

practically it can only be kept together on the basis of consent […]the British brand is built around tolerance, the rule of law
and democracy. There is no better demonstration of those values than the Scottish referendum», Scotland can be a model for
how to handle separatism?, G. Rachman, The Financial Times, 17 febbraio 2014.
35 TORRE A., FROSINI O. J., (a cura di), Democrazia rappresentativa e referendum nel Regno Unito,

Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2012, pp. 146-147.
36 Scrive Peter Leyland «[…] at the time when democracy is under threat with low voter turnouts and cynicism about the

political classes the referendum has been appearing as a part of a new package of checks and balances which should, at least
according to some supporters, in combination with other mechanisms provide the citizen with an antidote to elective
dictatorship and local authorities out of touch with local communities», LEYLAND P., The case for the Constitutional
regulation of referendums in the UK, in Democrazia rappresentativa e referendum nel Regno Unito, op. cit., pp. 125-138.

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