La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg

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La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
La PHOTOGRAPHING ART di Franz
Egon von Fürstenberg
di Cristina T. Chiochia Ci sono momenti privilegiati nella
vita di ognuno. Saperli cogliere e poi renderli fruibili anche
ad altre persone, invece è compito di pochi. Durante la
settimana dell’arte a Milano (Milano Art Week) si è svolto
presso     lo spazio di ASsab One un incontro dal
titolo “Photographing Art di Franz Egon von Fürstenberg” dove
il presidente di ASsabo One, Elena Quarestani, in
conversazione con Adelina von Fürstenberg, curatrice
internazionale e produttrice indipendente, Pasquale Leccese,
Gallerista, Angela Vettese, storica dell’arte Gianluca
Winkler, vice-presidente di Art for the World Europa, hanno
proposto una sorta di tavola rotonda.
Dalla sua nascita questo spazio si è distinto per offrire
agli artisti un luogo “non convenzionale di ricerca e di
espressione e, al pubblico, la possibilità di avvicinarsi ai
processi dell’arte in un contesto favorevole al dialogo.
Attraverso un’attività che spazia dalla produzione di mostre,
di eventi culturali e di progetti artistici e nella
convinzione che la cura e la bellezza siano valori
fondamentali per gli individui e per la società”, come si
legge nella loro presentazione. Anche in questa iniziativa è
stato integrato un progetto di cultura con un valido strumento
di indagine del presente che, grazie alla presenza di Egon von
Fürstenberg e di altri artisti quali Riccardo Arena, Stefano
Boccalini, Marta dell’Angelo, Mikalyel Ohnajanian, Remo
Salvadori ha offerto un momento di condivisione per tutti i
presenti sulle fotografie e sul senso della memoria e del
tempo, in un arco temporale di circa 45 anni.
La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
“Photographing Art presenta una selezione di fotografie
scattate dal fotografo messicano-tedesco Franz Egon von
Fürstenberg tra il 1974 e il 2018. Una memoria imperdibile
del mondo dell’arte contemporanea, delle emozioni, dei
rapporti, dei momenti di gioia e di fatica, degli incontri,
delle relazioni, del senso di appartenenza a una comunità e al
contempo della solitudine creativa dell’artista. Sono momenti
spesso sfuggiti alle cronache, ai media, ai cataloghi e alla
storia dell’arte, ma catturati da un osservatore che ha
seguito da vicino l’evoluzione della ricerca contemporanea
grazie al rapporto con sua moglie, la curatrice Adelina
La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
Cüberyan von Fürstenberg, che ha dato vita ad alcuni dei
momenti più belli dell’arte internazionale – recita il
comunicato stampa – Egon ha testimoniato con la sua macchina
fotografica quel che accade in quel mondo dell’arte, non
l’ufficialità, non la facciata delle cose, ma lo spirito che
ha fatto fiorire l’arte e gli artisti. Tenendo d’occhio ogni
idea, dettaglio o movimento, ogni attimo atteso o imprevisto,
la macchina fotografica di Franz Egon von Fürstenberg riprende
l’istante, la fluidità del momento in cui la persona reale è
libera e naturale, non inquadrata o in posa come un
personaggio famoso“.
Ma l’incontro è andato oltre. Grazie al desiderio di
rappresentare il concetto di “personalità” il volume edito da
Skira Editore ha permesso anche di avvicinarsi in una sorta
di zoom al concetto di “interessante”. Cosa è insomma
interessante? Sia che si tratti di Andy Warhol, Joseph Beuys,
Marina Abramovic o Jannis Kounellis, fino ad arrivare Mario e
Marisa Merz o Chen Zhen, il volume di Skira coglie quello che
significa essere. Lavorare ed assistere in un contesto
favorevole all’arte contemporanea ed al design. Memorie e
frammenti che si uniscono in un unico volume e che
contribuiscono visivamente tramite l’arte fotografica a
comprendere modi ed origini, sensi e connessioni in contesti
di sviluppi tra generazioni tra di loro molto distanti. Mondi
che si incontrano come universi. E che si accolgono, come
l’evento milanese ha significato.

Sorolla: quando l’arte di un
grande artista della pittura
La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
si tinge di sole spagnolo
di Cristina T. Chiochia Il “pittoresco” spagnolo non è facile
di definire. Forse per questo, essendo cambiato il mondo
spagnolo, oramai “pronto” per Picasso ed il cubismo, fu presto
dimenticato. Dovettero passare molti anni fino alla sua
riscoperta, con il nuovo millennio. Forse perché Sorolla ed il
“suo mondo” era un modo di sentire la vita, un sentimento che
nelle due guerre venne spazzato via, troppo in fretta. Fatto
prima di buio (il suo realismo, come la fotografia della
società) e poi di luce accecante (il suo luminismo). Quasi di
una ossessione per la vita contemporanea per lui, compresa
solo da chi , come lui, gli era contemporaneo, ma che risulta
ora nel suo essere tipicamente spagnola di quegli anni: dalla
siesta silenziosa post prandiale e dalla luce, accecante, del
cielo andaluso. La mostra che si sta svolgendo a Palazzo
Reale a Milano è un modo per vedere (o rivedere) con le
emozioni che evoca, il “tanto paesaggio spagnolo” che fa amare
ora questo paese e non solo come meta turistica, ma anche come
filosofia di vita: luce e vita.
JOAQUIN SOROLLA PITTORE DI LUCE L’opera di Joaquín Sorolla
(nato nel 1863 e morto nel 1923), diventa in questa mostra a
Milano dal titolo “Joaquin Sorolla: pittore di luce” e
visitabile sino al 26/6/2022, un straordinario esempio della
pittura spagnola moderna esportata nel mondo prima della
rivoluzione di Picasso come idea di luce nel colore “bianco
assoluto”. Come recita il comunicato stampa: “per la prima
volta in Italia, a Palazzo Reale dal 25 febbraio al 26 giugno,
un’esposizione monografica ripercorre la ricca e fortunata
produzione artistica del grande pittore spagnolo Joaquín
Sorolla y Bastida (Valencia 1863-Cercedilla 1923).
UN ARTISTA TRA I MASSIMI RAPPRESENTATI DELLA PIUTTURA IBERICA
A CAVALLO TRA OTTOCENTO E NOVECENTO Poco noto al pubblico
italiano, Sorolla è stato uno dei massimi rappresentanti della
moderna pittura iberica a cavallo tra Ottocento e Novecento,
contribuendo in modo determinante al suo rinnovamento e
aprendola al clima della Belle Époque. Tra gli artisti più
amati e apprezzati del suo tempo sia per la grande qualità
tecnica che per il carattere umile e benevolo, Joaquín Sorolla
ottiene una fama che travalica ben presto i confini nazionali,
partecipando e ottenendo prestigiosissimi premi alle grandi
La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
manifestazioni internazionali. Sarà però l’ambito Grand Prix,
ottenuto alla nota Esposizione Universale di Parigi nel 1900,
a lanciare la sua pittura di luce e colore definitivamente
sulla scena internazionale. A Londra nel 1908 viene acclamato
come “il più grande pittore vivente al mondo”.
INNOVATORE DELLA PIUTTURA ESPRESSIONISTA      PROTAGONISTA NEL
RALISMO SOCIALE SPAGNOLO       Pittoresco spagnolo quindi,
innovatore della pittura espressionista spagnola, ha dipinto
più di 2000 opere. Legato profondamente all’ Italia, dove
visse e si formò con borse di studio (ad Assisi e partecipando
a varie Biennali a Venezia oltre che alla Esposizione di Roma
del 1911), si distinse sempre per l’uso della luce en plein
air, delle spiagge spagnole. Capolavori colmi di elementi
atmosferici, colti con mano veloce ma mai fugace in
opportunità quasi fotografiche di chi osserva in pennellate
veloci e pastose di cui la pittura di Sorolla dà spesso conto.
Capolavori   indiscussi per comprendere la liricità del suo
lavoro, nella prima e terza sala della mostra, le celebri tele
di “realismo sociale” spagnolo con cui alla fine del
diciannovesimo secolo veniva spesso definita per quell’idea di
una “povertà feudale” di cui spesso erano “vittime” i giovani:
prostituzione, sifilide, tubercolosi. È a questo popolo di
innocenza che dedica spesso le sue tele come nel caso di
“Tratas de Blancas” del 1895 sulla prostituzione spagnola
delle adolescenti   o la “Triste Herencia” del 1899.
LA FMAIGLIA AL CENTRO DELL’OPERA DI SOROLLA Un realismo
sociale che lascia spazio alla luce e la freschezza del mare,
in tutte le sue forme, visione di un Joaquín Sorolla pittore
che vuole raccontare la luce anche attraverso una gioventù
spensierata, colta nei giochi in riva al mare. Un pittore che
racconta, come recita il comunicato stampa “attraverso circa
60 opere la straordinaria evoluzione artistica di questo
pittore ambizioso e determinato, che ha fatto dell’arte la sua
ragione di vita. Accanto al profondo amore per la pittura,
tuttavia, Sorolla ha sempre accompagnato un ancor più intenso
legame con la sua famiglia, il suo soggetto prediletto. In
molte delle sue splendide tele, Sorolla racconta l’amore per
la sua Clotilde, moglie, musa e vera compagna di vita, e per i
tre figli, María, Joaquín ed Elena. Un legame che nutre la sua
ispirazione e guida la ricerca verso la “verità” dell’immagine
da riportare sulla tela, la quale può essere generata solo da
La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
una reale partecipazione e un’intensa emozione” . Pittore
dedito al “luminismo” facendolo diventare un modo di esprimere
la sua appartenenza alla terra spagnola.
UNA MOSTRA PREZIOSA PER CHI AMA LA       SPAGNA E NON SOLO Un
pittore proposto in mostra come perenne scoperta: dagli esordi
negli anni Ottanta dell’Ottocento a Valencia, che si commuove
con il colore della musica del cielo e del mare, fino alla
sua morte, sopraggiunta nel 1923. Sorolla ha sempre davanti
gli occhi il mare. L’azzurro. Fino alla luce del cielo, come
una esplosione di fuoco vivo, come scriveva lui in una
lettera, indirizzata alla moglie. Grazie anche al bel
catalogo, edito da Skyra, la mostra prone un po’ tutte le
tematiche del pittore suddiviso in sezioni tematiche tra cui
lo sguardo sulla realtà, i ritratti, i giardini e i riflessi
di luce, il mare, i tipos e gli studi classici. Una mostra
preziosa. Dove vengono esposti anche piccole meraviglie tra
cui una piccola veduta di Toledo e del cielo atmosferico su
Segovia: piccoli quadri di vera poesia che mostra come la
pittura sia uno stato d’anima. Nella piccola veduta di Toledo,
la sagoma umana in primo piano offre la riflessione sul
movimento. Dipende dal motivo e dal momento. La pennellata è
il momento della vita del pittore. E’ azione. Quella su
Segovia invece, il pittore che gioca con il tempo atmosferico
come quello ideale. Ed il tempo cambia. Velocemente.
Una mostra per chi ama la Spagna e ne ha fatto esperienza
diretta, vissuto come “tempo prezioso”, o chi desidera farla.
L’arte di un grande artista della pittura spagnola che si
tinge di luce. Il progetto nato dalla collaborazione con molti
musei, tra cui il Museo de Bellas Artes di Valencia,
l’Hispanic Society di New York, la Galleria Internazionale
d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro di Venezia, i Civici Musei di
Udine, Musei di Nervi Raccolte Frugone.            Patrocinata
dell’Ambasciata di Spagna in Italia, del Consolato Generale
spagnolo a Milano, dell’Ente del Turismo spagnolo.
La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
Marc Chagall ovvero l’incanto
della sua pittura. Una storia
di due mondi al Mudec
di Cristina T. Chiochia Una mostra, quella che si è inaugurata
in questi giorni a Milano presso il museo del Mudec e
proseguirà sino al 31 Luglio 2022, che è anche un modo per
approcciarsi a Marc Chagall in modo inedito, attraverso
l’incanto della sua pittura. Curata dall’Israel Museum di
Gerusalemme affronta l’opera di Marc Chagall da un punto di
vista nuovo ovvero, come recita il comunicato stampa:
“collocandola nel contesto del suo background culturale,
grazie alla straordinaria collezione nell’Israel Museum, che
presenta in mostra una selezione di oltre 100 opere donate per
la maggior parte dalla famiglia e dagli amici di Chagall.
IL PROGETTO ESPOSITIVO Il progetto espositivo è dedicato in
particolare ai lavori grafici di Chagall e alla sua attività
di illustratore editoriale. La mostra ripercorre alcuni temi
fondamentali della vita e della produzione dell’artista: dalle
radici nella nativa Vitebsk (oggi Bielorussia), descritta con
amore e nostalgia nella serie Ma vie, all’incontro con l’amata
moglie Bella Rosenfeld, della quale illustrò i libri Burning
Lights e First Encounter, dedicati ai ricordi della vita di
Bella nella comunità ebraica, pubblicati dopo la morte
prematura della donna e di cui in mostra sono esposti i
disegni originali”. E basta visitarla per rendersi conto di
tutto l’incanto che tutto questo produce.
I DIVERSI MONDI DELL’ARTISTA Chagall, come ben evidenzia il
catalogo realizzato da 24Ore Cultura Editore e completo in
ogni sua parte, è uno degli artisti più amati del Novecento.
Forse per il suo essere così traversale ad ogni cultura diviso
tra mondo russo ebraico, francese ed europea in generale. Lo
spettatore della mostra è accolto da un bell’allestimento,
suddiviso in sale che segnano i periodi della vita del
pittore, adatto a grandi e piccoli, interattivo e legato al
mondo onirico del pittore, ma anche alla sua realtà culturale:
parole, immagini, oggetti, legati a quello che nel corso della
vita di Chagall li ha mixati e resi unici, stabilendone
La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
intersezione e gli accostamenti (nella prima sala infatti, ad
accogliere il visitatore è un piccolo abstract di oggetti
sacri , spesso rappresentati dal pittore nei suoi lavori). Via
via che si percorrono le sale, insomma, ecco a volte armonica
ed a volte distante, i vari “codici” di riferimento
dell’artista suggestivi e che rendono omaggio al tentativo di
interpretare un mondo, quello della fantasia di Chagall,
spesso legato esclusivamente alle suggestioni. Linguaggi
iconici, colorati, enfatizzati dalla lettura di chi guarda (se
adulto o bambino, per esempio), che afferma la sua componente
iconica di artista, in particolare nella sezione dedicata alla
“Francia, la nuova patria” dove si trovano anche i celebri
autoritratti: dove Chagall rimane sempre fedele a ogni aspetto
del suo personaggio, mentre sorride o fa una smorfia. E poi, i
suoi celebri colori: il suo inno alla vita. Ricchezza e
complessità di significati nei lavori dedicati alla Sacra
Bibbia ed evocativi, ironici e paradossali quelli per il
lavoro di Gogol,”Le anime morte”.
CHAGAL BAMBINO EBREO, MARITO E ARTISTA Infatti, come recita il
comunicato stampa: “i lavori esposti riflettono dunque
l’identità poliedrica dell’artista, che è al tempo stesso il
bambino ebreo di Vitebsk; il marito che correda di immagini i
libri dell’amata moglie; l’artista che illustra la Bibbia,
volendo rimediare così alla mancanza di una tradizione ebraica
nelle arti visive; e infine l’originale pittore moderno che,
attraverso l’uso dell’iconografia cristiana, piange la sorte
toccata nel suo secolo al popolo ebraico“. Una sorta di
biografia divisa tra mondo russo ebraico e Francia, insomma,
tra secolarizzazione e urbanizzazione mondi culturali e
materiali. Malinconia ed allegria che si fondano insieme nei
colori e nella ispirazione dell’amore. Quell’amore che rimane
da celebrare, come un volo come conseguenza di quel “non
essere legati a terra” o, forse “a una terra”. Sradicati.
Lasciandosi trasportare in un mondo sradicato dalla legge di
gravita. Ed in cui Dio è vivo e presente. Buono. Mentre
l’anima colma d’amore, fluttua nell’aria tra cerimonie
religiose, oggetti rituali tra fiori e l’immenso amore per la
moglie, Bella, che niente può offuscare.
La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
La Caccia all’Uovo arriva in
Italia
Il primo villaggio italiano delle uova apre le porte il 19
marzo presso la Struttura Puravida a San Martino Siccomario in
provincia id Pavia e si preannuncia come una delle
destinazioni da vivere con tutta la famiglia in vista di
Pasqua.

L’idea nasce da una tradizione comune a Stati Uniti e paesi
nordici, dove nel periodo che precede la Pasqua la dea Eostre
(Easter), raffigurata come un coniglio, dona uova alle persone
per simboleggiare la nascita di una nuova primavera. “L’easter
egg hunt“, la caccia alle uova colorate nascoste nel parco,
sarà organizzata nei weekend di Pasqua. Nel frattempo tutti i
weekend dal 19 Marzo fino al 1 Maggio (compresi il 18 e il 25
Aprile) sarà possibile visitare il villaggio e trascorrere
una giornata immersi nella natura di un parco di 35mila metri
quadrati partecipando a giochi con animazione, laboratori
creativi e percorsi didattici, sempre diversi ogni settimana:
gli alpaca, i rapaci, le api, il cioccolato, la caccia alle
uova e lo sheep dog.

Molte le novità: tra le collaborazioni siglate quest’anno da
PuraVida Farm, quella con il Museo Ovopinto di Civitella del
Lago (Terni) – museo unico al mondo, un piccolo gioiello nato
per raccogliere ed esporre tutte le uova dipinte messe insieme
dall’Associazione Culturale giovanile che da ben 23 anni
bandisce la Mostra Concorso Nazionale “Ovo Pinto” (uovo
dipinto, in dialetto). In questa cittadina l’antica usanza
contadina di dipingere le uova durante il periodo pasquale è
stata elevata a prestigiosa e raffinata arte – e quella con il
Museo di Scienze Naturali dell’Oltrepò. Quest’ultimo, diretto
La PHOTOGRAPHING ART di Franz Egon von Fürstenberg
da Silvia Guioli, racconta l’Oltrepò attraverso il suo passato
(archeologia e paleontologia) e attraverso le specie, animali
e vegetali, che lo caratterizzano. Entrambi i musei saranno
presenti con una selezione delle loro collezioni.

Direttrici di musei italiani
in una mostra fotografica
di Cristina T. Chiochia   Si è svolta mercoledì 2 marzo dalle
ore 11.00 alle ore 13.00 presso il Palazzo Reale Piazza Duomo
12 Sala degli Arazzi primo piano l’anteprima per la
stampa della mostra fotografica RITRATTE Direttrici di musei
italiani che sarà aperta sino al 3 aprile 2022 . “Ritratte –
Direttrici di musei italiani” è sicuramente una mostra nella
mostra, un omaggio all’ essere donne che parla non solo di
curriculum vitae in poche righe di direttrici di musei
italiani importanti sparsi per l’Italia, ma anche di cosa le
ha spinte a fare questo lavoro, a prendersi cura del
patrimonio artistico nazionale e non, ma soprattutto, cosa
significhi “essere donna” nel mondo dei beni culturali in
Italia. Un viaggio, insomma, avvincente dove si scoprono
attraverso la fotografia, le “carte vincenti” che non devono
mai mancare ad una donna per avere successo. Un modo unico,
insomma, per festeggiare questa festa della donna, per
comprendere da una prospettiva avvincente, cosa sia il
patrimonio culturale in Italia, oggi.

La mostra promossa e prodotta da Palazzo Reale, Comune di
Milano Cultura e Fondazione Bracco sarà visitabile inoltre
gratuitamente . Come recita il comunicato stampa: “con questa
mostra Fondazione Bracco continua nel proprio impegno per
valorizzare    l’expertise     femminile    presentando    le
professioniste che dirigono i luoghi della cultura
italiani. Il progetto artistico con gli scatti d’autore
del fotografo Gerald Bruneau si colloca nell’impegno della
Fondazione per valorizzare le competenze femminili nei diversi
campi del sapere e contribuire al superamento dei pregiudizi,
così da incoraggiare una sempre più nutrita presenza di donne
in posizioni apicali. La mostra illumina vita e conquiste
professionali di 22 donne alla guida di primarie istituzioni
culturali del nostro Paese, una sorta di Gran Tour che tocca
14 importanti città italiane da Nord a Sud: da Trieste a
Palermo, da Napoli a Venezia per citarne solo alcune.

Il soggetto principale di “Ritratte” è la leadership al
femminile. I musei, “luoghi sacri alle Muse”, sono spazi
dedicati alla conservazione e alla valorizzazione del nostro
patrimonio artistico, custodi del nostro passato e laboratori
di pensiero per costruire il futuro. Inoltre, sono anche
imprese con bilanci e piani finanziari, che contribuiscono in
modo cruciale alla nostra economia. Dirigere tali istituzioni
comporta competenze multidisciplinari, un connubio di profonda
conoscenza della storia dell’arte e di capacità gestionali e
creative”. Una visione dove l’amore per i musei e soprattutto
i sentimenti che trasmettono, diventano quasi immediati.

Le fotografie, sparse per le sale ed in grandi dimensioni,
catturano lo sguardo e rendono le protagoniste quasi in
dialogo con il visitatore. Con i ritratti, insomma, a puro
titolo di esempio quello di Francesca Cappelletti, Direttrice
della Galleria Borghese di Roma o di Emanuela Daffra,
Direttrice Regionale Musei della Lombardia, la Fondazione
Bracco rende visibili e riconosce le competenze di tante donne
vincenti, declinando al femminile e sottolineando un movimento
necessario per la parità di genere. Inoltre, essendo da tempo
impegnata per contribuire alla costruzione di una società
paritetica, fissa immagini di donne vincenti che hanno
raggiunto posizioni sociali apicali dove essere donna, fa,
spesso, la differenza.
Come lo sguardo del fotografo Gerald Bruneau sottolinea : “Il
mio intento è stato quello di mettere in risalto, insieme
all’incommensurabile vastità e bellezza del patrimonio
artistico italiano, la bellezza di queste donne che si
impegnano quotidianamente per rimettere i musei al centro di
una proposta culturale elaborata in rete insieme ai soggetti
più rappresentativi delle realtà in cui sono immerse, invitano
alla partecipazione, stimolano confronto e pensiero
critico”,   incarnando così un viaggio nella bellezza del
patrimonio culturale italiano attraverso gli occhi e l’aspetto
di chi li custodisce, la mostra prosegue idealmente il
progetto “100 donne contro gli stereotipi” (100esperte.it) .
Vera e propria narrazione complementare, le foto di Gerald
Bruneau, torna a fotografare per Fondazione Bracco dopo la
mostra fotografica “Una vita da scienziata” (con i ritratti di
alcune delle più grandi scienziate italiane, che da allora è
stata esposta non solo a Milano, Roma, Todi ma anche a
Washington, Philadelphia, Chicago, Los Angeles, New York,
Città del Messico e, per la festa della Donna , l’ 8 marzo a
Praga. Donne protagoniste. Ritratti professionali finalmente e
non glamour o pubblicitari e un museo, non solo ricorrenze per
ricordarlo. Se con una mostra fotografica, tanto meglio.

Sara6: ADORO perdermi, per
ritrovarmi
Dopo   l’anteprima      del   14   luglio,    su   TG   Com24
https://www.tgcom24.mediaset.it/2021/video/con-adoro-sara6-e-u
n-folletto-della-positivita-_35402722-02k.shtml, arriva in
radio e negli stores dal 16 Adoro, il nuovo singolo di Sara6,
un brano che può essere definito “energia pura”, un invito ad
abbracciare le usualità della vita con spensieratezza, con un
sound energico, allegro e carico di vitalità che, pur
inserendosi in un genere pop, racchiude sonorità funky e
dance. Il videoclip è stato girato alla Paciu Maison, dimora
d’arte nelle campagne bolognesi, e diretto da Harry
Baldissera, fondatore e direttore artistico di questo luogo
intriso d’arte. Sara6 è un progetto che nasce da un’idea di
Serenella Occhipinti, una cantante che ha già pubblicato due
dischi come front woman dei Taglia 42 e un disco da solista.
Durante il suo percorso musicale ha calcato, tra gli altri, il
palco di Sanremo come solista nella sezione Giovani nel 1997 e
successivamente nel 1998 con i Taglia 42, per poi tornarci da
solista nel 2001.
Come nasce il nome Sara6?

Il mio nome di battesimo è Serenella ed io lo Adoro perché è
il nome che mi ha dato mia madre sperando in una bambina
serena, però, siccome così serena non lo sono mai stata, pur
non rinnegando questo bellissimo nome, ho deciso di cambiarlo
in Sara6.
Perché? Perché Sara, dal nome ebraico Sarah, prima moglie di
Abramo, significa principessa, che per una selvaggia come me
era una bella ambizione.

Il 6 è un numero per me importante perché nella mia vita ha
segnato sempre fatti positivi e negativi molto significativi.

Perché hai scritto Adoro?

Sono in continua ricerca del mio essere più profondo. Non mi
piace troppo vivere in mezzo a schemi e regole, preferisco
percorrere tante strade che non conosco… Ho scritto il brano
per urlare al mondo che Adoro la mia vita nonostante tutte le
battaglie che continuano a far sanguinare il mio cuore e a
spremere le mie energie, io La amo.

Adoro la mia libertà conquistata a fatica, Adoro potermi
organizzare tutto a modo mio, di non dipendere da nessuno, di
potermi svegliare alle 10 se voglio, di avere ancora tanta
energia e grinta per riuscire a rialzarmi sempre con grande
dignità e adoro il fatto di poter vivere con le mie passioni.
Adoro perdermi per ritrovarmi… Il brano è stato scritto da me,
Giorgio Santisi e Valerio Fuiano, che lo ha anche arrangiato e
mixato e ora è parte integrante sia del suono che
dell’immagine del progetto Sara6! In Adoro abbiamo alla
batteria il bravissimo Luciano Galloni, batterista di Nek
molto apprezzato a livello nazionale.

Raccontaci il concept del video, che è molto particolare. Chi
ha avuto l’idea?

L’ idea del video è partita da me e da Giorgio Santisi socio,
amico, grande musicista e parte integrante del progetto Sara6.
Questa idea poi è stata arricchita da Harry Baldissera, il
proprietario della Dimora nonché regista, scenografo e
costumista. Adoro anche lui: è stato di grande aiuto e la sua
casa è fantastica, andate a visitarla! La Paciu Maison a Ponte
Rizzoli (Bo), ne sarete rapiti come me.
Concettualmente parlando il video è una esperienza visionaria
tra arte e illusione:

Io sono una specie di folletto che vive in una realtà
parallela, che si muove tra una vita quotidiana normale e una
vita piena di colore energia allegria.

Il mio personaggio risulta affascinato dalla gamma cromatica
della Paciu Maison, il perfetto scenario per affrontare la
vita con più leggerezza e grinta in un viaggio in un universo
surreale ed onirico, dove il folletto riscopre la propria
dimensione attraversando, con i suoi look diversi, le varie
stanze, ognuna delle quali esprime esperienze sensoriali
diverse.

Ne approfitto per ringraziare i registi di Ferrara, molto
giovani, ma già molto esperti e richiesti nel mondo dei
cortometraggi, Martina Mele e Alessandro Rocca di
“Destinationfilm “

Mentre per i favolosi trucchi, e sono stati tanti, ringrazio
la mia amica e truccatrice fantastica Claudia Calzoni.

Nel video, quale personaggio ti sei divertita di più a
interpretare?

Soprattutto la statua che balla nel parco alla fine… Della
serie nulla mi fa stare ferma neanche l’immobilità di una
statua!

Hai pubblicato da poco, con i Taglia 42, il brano “Diletta
Leotta”, hai nuovi progetti con loro?

Loro sono e saranno sempre nel mio cuore perché mi hanno
permesso di cominciare alla grande, per cui quando ne avremo
voglia e tempo sicuramente incideremo qualche altra canzone…

Prossimi progetti?

Finire l’album e fare tanti live, il 1 agosto regaleremo un
piccolo concerto alla Paciu Maison per fare visitare la casa,
dimora del video, ai nostri fan. Voglio ringraziare Raffaele
Montanari della PMS, che ha creduto tanto nel mio ritorno
sulle scene!

https://fanlink.to/sara6adoro

www.sara6.it

www.facebook.com/sara6official

https://www.youtube.com/watch?v=i9OGEBYGbW8

www.giorgiosantisi.com

www.valeriofuiano.it
Mille Parole. La personale di
Qiu Yi all’Accademia delle
Arti del Disegno di Firenze
Dal 9 luglio al 9 agosto 2021 ci sarà presso l’Accademia delle
Arti del Disegno di Firenze, sita in Via Ricasoli n.68, la
mostra personale di Qiu Yi Mille parole (千字文). Qui si potranno
ammirare numerosi inchiostri e installazioni dell’Artista
internazionale, anche presidente dell’Associazione di Arte e
Cultura Contemporanea Cina e Italia, che promuove l’incontro
tra cultura orientale e occidentale.

Qiu Yi è nato in Cina, ma abita ormai da anni a Firenze, che
considera la sua seconda casa, lavorando in modo regolare tra
Cina e Italia. La sua poetica sta tra tradizione e
innovazione. Partendo infatti dall’antica scuola cinese,
l’Autore poi giunge ad altre strade, unendo le sue radici con
le scoperte fatte in Occidente, questo attraverso una
prospettiva originale e personale. In questo senso scrive il
curatore dell’esposizione Vittorio Santoianni:

“Dai lavori recenti di Qiu Yi, emerge un artista dalla
fisionomia multiforme per il background per-sonale e per
l’ampiezza dei campi di interesse toccati. Forse la
complessità insita nella sua ricerca si può comprendere
maggiormente con il ricorso a polarità dialettiche. L’Oriente
e l’Occidente sono sia le aree geografiche che i territori
culturali e artistici entro i quali si sposta, ricercandone i
punti di unione piuttosto che le differenze. Calato nel
presente, i suoi ambiti temporali sono il grande passato della
Cina e il futuro del mondo. Il suo linguaggio è caratteristico
dell’arte contemporanea (le installazioni, le performance), ma
ha anche notevoli affinità con la calligrafia e la pittura
tradizionali cinesi che, a suo parere, sono suscettibili di un
continuo rinnovamento. I suoi materiali prediletti sono quelli
della modernità (l’acciaio, il cemento, il plexiglas) e del
passato (l’inchiostro di China). In mezzo a queste antinomie,
Qiu Yi si muove con disinvoltura e leggerezza per conciliare
termini contrastanti solo all’apparenza, raggiungendo nella
sua opera un mirabile equilibrio, che è segno dell’armonia
quale suprema aspirazione della millenaria e raffinata cultura
cinese”.

Sulla mostra si esprime bene Cristina Acidini, la Presidente
dell’Accademia delle Arti del Disegno:

“Padrone delle tecniche tradizionali cinesi – in primis della
raffinatissima pittura-calligrafia a inchiostro su carta – Qiu
Yi ne sperimenta la versatilità associando ad essa modalità
espressive tipiche di movimenti occidentali quali l’Informale
e il Concettualismo. Questa almeno è l’impressione che ricavo
dalla serie di inchiostri su carta Mille parole, opera aperta
destinata ad accrescersi nel tempo. L’uso magistrale
dell’inchiostro sul foglio candido produce sognanti
variazioni: la danza, ora lenta ora frenetica, di pennelli che
lasciano in certi passaggi dei segni umbratili, quasi profili
di nebbie stracciate dai venti, altrove invece strutture di
densa e netta oscurità, capaci di suggerire onirici ideogrammi
neri. Forme senza tempo, tracciate da una mano antica lungo le
linee di un pensiero contemporaneo”.

La mostra sarà visitabile (ingresso libero) da martedì a
sabato negli orari: 10.00-13.00 / 17.00-19.00, mentre di
domenica sarà possibile accedere solo dalle 10.00 alle 13.00.
Il giorno di chiusura è il lunedì.

Durante l’inaugurazione interverranno: Cristina Acidini,
Presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno, Antonio di
Tommaso, Presidente della Classe di Scultura dell’Accademia
delle Arti del Disegno, e il curatore Vittorio Santoianni.

Mille parole è organizzata dall’Accademia delle Arti del
Disegno, con il Patrocinio di: Regione Toscana, Comune di
Firenze, Consolato Generale della Repubblica Popolare Cinese a
Firenze, con la collaborazione del Qiu Yi Studio.

de Pisis: piccole riflessioni
dopo la mostra al Museo del
Novecento
di Silvia Ferrari Lilienau – Intanto: che sollievo visitare
una mostra che sia tale, non un’esperienza immersiva in cui i
dipinti siano manipolati per coinvolgere i sensi e la fantasia
degli spettatori. Che sollievo che la mostra di Filippo de
Pisis al Museo del Novecento non sia un piccolo Luna Park, ma
la mostra di una novantina di opere in un crescendo
cronologico, con pannelli esplicativi a introduzione delle
sale.
Che poi una mostra così allestita non sia facile è pegno
inevitabile da pagarsi all’arte, visto che sarebbe sensato –
contro l’insensatezza di ogni banalizzazione – accettare che
l’arte non sia facile. Che sia comunque lecito accostarvisi è
fuor di dubbio, come pure che sia doveroso provare a renderla
accostabile. Ma, appunto, lo spostamento dovrebbe essere del
cultore verso l’arte, per tramite di studiosi tenuti a offrire
strumenti interpretativi, e non, invece, dell’arte verso il
cultore,    perché    in   tal   caso   si   rischia    una
spettacolarizzazione quasi mai rispettosa della natura
dell’opera.

Certo rifuggono da ogni forma di spettacolarizzazione i
dipinti di Filippo de Pisis. Tutti, nessuno escluso, dalle
prime nature morte che testimoniano l’incontro a Ferrara con
de Chirico e Savinio, ai paesaggi e alle figurette agili degli
anni parigini, e poi oltre, nei soggetti che tornano uguali,
ma sempre più segnati da un pennello rapido e leggero, in cui
sosta infine anche il suo arretrare alla vita.
A parte le prove che sono esplicito omaggio allo spaesamento
metafisico, se si pensa alla pittura di de Pisis la si rivede
costruita con segni brevi e vibranti, che toccano la tela in
velocità. Carattere questo da più parti considerato troppo
lieve, benché le parole di Elio Vittorini – citato in catalogo
nel saggio di Pier Giovanni Castagnoli – bastino a garantirne
il pondus: nel 1933, ne “L’Italia Letteraria” Vittorini
scriveva infatti di come i detrattori di de Pisis non si
rendessero conto dei “novemila metri di profondità ch’egli
raggiunge senza nemmeno indossare lo scafandro”.

A ben vedere, si ha l’impressione che dipingere fosse, per de
Pisis, come scrivere, là dove la scrittura era stata la sua
vocazione prima e precoce, nonché una prassi mai interrotta.
Rimangono di lui lettere, articoli, scritti di storia
dell’arte, prose, poesie, diari. Non aveva ancora venti anni
quando conobbe de Chirico e Savinio, e però a casa di Corrado
Govoni, che aveva scritto per lui la prefazione a I Canti de
la Croara, pubblicati già nel 1915.

Solo che nella sua pittura, la polpa materica un po’ sfatta si
carica di un silenzio invece difficile a tradursi in parola
scritta.

Come ne La lepre del 1932, con l’animale morto allungato sul
tavolo, la pelliccia stropicciata dai picchiettamenti del
pennello e la piccola chiazza di sangue accanto al muso, quasi
colore sgocciolato, quasi una dimenticanza.

Il silenzio che si fa tattile, alla fine, dentro alle nature
morte dipinte nella casa di cura dove avrebbe concluso i suoi
giorni. In Cielo a Villa Fiorita, del 1952, l’esterno diventa
un piccolo quadro in un interno, un quadro nel quadro in cui
de Pisis sembra ricordarsi di se stesso quando componeva
nature morte su uno sfondo di mare e cielo, a dire – allora –
lo spazio senza margini anche del suo pensiero.
de Pisis

Milano, Museo del Novecento, 4 ottobre 2019-1 marzo 2020

a cura di Pier Giovanni Castagnoli con Danka Giacon

Catalogo a cura di Pier Giovanni Castagnoli, Milano, Electa,
2019

Sostenibilità in cucina
La cucina “zero waste” ovvero che non produce alcun rifiuto è
tra i nuovi trend nella cucina d’autore. Non solo quindi
attenzione spasmodica al prodotto biologico e, ancora meglio,
ai piccoli fornitori locali, ma anche focus sul riciclo,
riutilizzo e riduzione di ogni scarto. Una ristorazione
pienamente sostenibile passa infatti inevitabilmente dalla
lotta agli sprechi alimentari.
Tra i pionieri di questa scelta innovativa di ristorazione ci
sono il tre volte stellato Massimo Bottura a e Dan Barber. Lo
chef alla guida de “L’Osteria Francescana” ha dato vita nel
2016 al progetto Food for Souls, una Ong che anche grazie
all’esperienza maturata con i Refettori, combatte gli sprechi
alimentari. Barber invece, tra Londra e New York, ha creato
dei temporary restaurant “WastED” con l’obiettivo di mostrare
la creatività della cucina del riciclo e allo stesso tempo far
riflettere sull’enorme spreco alimentare che, quotidianamente,
avviene sulle tavole dei ristoranti di tutto il mondo. Ma non
sono i soli. La sostenibilità permea ormai ogni ambito della
vita sociale e personale e l’applicazione più integrale di
questo approccio ai fornelli porta appunto all’approccio “zero
waste”.

È un po’ come tornare indietro alle tradizioni contadine
quando non era ammissibile sprecare le già limitate risorse
(la francese bouillabaisse è un tipico esempio di queste
tradizioni, ma anche la ribollita tanto per “giocare in
casa”). Nel nuovo Millennio tuttavia la ricerca del “no waste”
si sposa con una maggiore consapevolezza e con la volontà di
perseguire fino in fondo i valori sostenibilità ambientale,
economica e sociale.

In questi ultimi anni stanno aumentando le sperimentazioni di
nuovi modelli di ristorazione a zero rifiuti anche se spesso
si ricorre al format “pop up restaurant” piuttosto che a un
locale stabile, come è accaduto con il trendy Zero Waste
Bistrot di New York, inaugurato nel corso della Design Week
per invitare a riflettere sull’economia circolare. In
parallelo sono in crescita anche le certificazioni rivolte
all’eco ristorazione come le americane Green Restaurant 4.0
Standards e Green Seal Gs-46, la neozelandese The Better Cafè
and Restaurant e l’europea Nordic Ecolabelling for
Restaurants.

In Italia il trend è ancora agli albori, soprattutto per
quanto riguarda l’interpretazione creativa della cucina “no
waste”. Ma la direzione è ben segnalata non solo dalle
esperienze estere, ma anche dall’elevata sensibilità che le
nuove generazioni mostrando sul tema. E a Milano la
sperimentazione appare già ben a avviata.

Franco Aliberti ha impresso una svolta sostenibile nella
cucina del ristorante Tre Cristi. La parola chiave è cucina
attenta all’ambiente ed ecosostenibile: ogni piatto esalta le
singole materie prime, presentate in diverse consistenze e
utilizzando tutte le parti commestibili di frutta e verdura.
Una innata curiosità e voglia di sperimentare: Franco Aliberti
si avvale delle più moderne tecniche di cottura ma predilige
un ritorno all’uso di cucina ancestrale, materica, come quella
della griglia, che diviene garanzia di una cucina personale e
decisamente creativa. “Sotto i riflettori il singolo
ingrediente, bilanciato al massimo da altri due di supporto,
perché amo colpire con la semplicità più che con la
complessità, reinterpretando anche un semplice broccolo con
una vena giocosa, senza perdere di vista la sostanza del
piatto” racconta Franco Aliberti.

Tra le apertura più recenti il Røst porta invece in scena
milanese un concetto di cucina circolare, con la riscoperta
dei tagli poveri e una selezione di vini naturali di nicchia.
Massima attenzione alla materia prima e utilizzo degli
ingredienti nella loro totalità caratterizzano la proposta
gastronomica di una carta che ha due focus principali: i
vegetali, dove la verdura di stagione è regina del piatto e i
tagli poveri. Piatti della tradizione con gusti decisi,
realizzati con delicatezza, pensati per tutti. Al numero 3 di
Via Melzo, che sempre di più si distingue come la nuova food
street del distretto di Porta Venezia. La carta del Røst
abolisce le categorie di ordine (antipasti, primi, secondi,
contorni), prediligendo un racconto orizzontale tra piccoli
piatti da condividere liberamente, per favorire l’assaggio e
la convivialità. Le proposte cambiano in relazione alla
disponibilità di materie prime, aggiornandosi anche giorno per
giorno per valorizzare gli ingredienti ed evitare gli sprechi.
Una successione numerica caratterizza ogni menù, a
testimonianza della freschezza di ogni selezione. La parete
d’ingresso mette in scena i protagonisti con il Wall of Fame:
16   piatti    in   ceramica,    ognuno    raffigurante     un
produttore/fornitore di materie prime, disposti nello spazio a
creare la ø di Røst.

Tra le esperienze all’estero più significative in evidenza
quella d el Silo a Brighton nel Regno Unito a cura di Douglas
McMaster. Porta in alto un concetto integrale di “zero waste”:
i prodotti sono coltivati localmente e consegnati senza
packaging, le bevande alcoliche (prodotte attraverso la
fermentazione) o meno sono prodotte in casa utilizzando anche
le erbe del territorio, i piatti sono di plastica riciclata,
tavoli e sgabelli derivano dal processo di riciclo del legno,
gli avanzi alimentari infine finiscono in una compostiera
(messa a disposizione anche al resto della comunità) in grado
di generare fino a 60 chili di compost in 24 ore. “Silo è nato
dal desiderio di innovare l’industria alimentare dimostrando
rispetto per l’ambiente, per la produzione del cibo e per il
nutrimento dato al corpo. Questo significa che noi partiamo
dalla forma originaria degli ingredienti, evitando gli sprechi
nella preparazione dei piatti e preservando l’integrità e i
valori nutrizionali degli alimenti” racconta McMaster. Una
nuova etica in cucina che si sposa a menù strabilianti. Nei
menù degustazione (quattro portate a 33 sterline a testa)
troneggia, ad esempio un gelato ai semi di zucca con foglie di
fisco, mentre tra gli snack si può scegliere per 3 sterline un
piatto di spine di sgombro croccanti fermentate nel chili.

L’idea alla base dei locali Instock, nati ad Amsterdam e ora
presenti anche a Utrecht e Anversa, oltre che con furgoncini
attrezzati per lo street food, è quella di utilizzare cibi
brutti ma buoni, ovvero quelli scartati dalla catena della
grande distribuzione per problemi di standard di qualità o di
sovrapproduzione, così da sensibilizzare gli utenti a una
scelta sostenibile “Buttare via un prodotto alimentare non
significa solo gettare via i soldi, ma non curarsi dell’enorme
spreco di energia prodotto per la produzione e la
conservazione di un alimento poi buttato” sostengono da
Instock dove sono persino riusciti a creare due tipologie da
patate e pane di scarto, la Pieper Bier e la Bammetjes Bier.
L’utilizzo di prodotti invenduti o di scarto da parte degli
chef di Instock significa anche che ogni giorno è diverso
dall’altro nei locali della catena di ristorazione dove la
creatività è, necessariamente, la parola d’ordine.

Nolla a Helsinki di Carlos Henriques, Luka Balac e Albert
Franch Sunyer. Il Nolla è il primo ristorante a zero rifiuti
della penisola scandinava, divenuto alla fine stabile dopo una
serie di aperture temporanee (in ultima quella presso il
Christmas Markets). In pochi mesi di vita è subito diventato
una delle esperienze da non perdere per chi va a Helsinki
grazie creatività ai fornelli e alla tecnologia utilizzare per
render possibile il progetto. La scelta dei tre startupper,
finanziati tramite una raccolta di crowdfunding, è stata
integrale: non solo l’attenzione a evitare ogni spreco in
cucina è totale, anche oggetti, utensili, energia e arredi per
il locale sono stati accuratamente scelti seguendo il mantra
“riduzione degli sprechi, riciclo e riutilizzo”. Il locale si
è perfino dotato di una macchina da compostaggio per gli
avanzi alimentari. Il percorso degustazione da due portate
costa 45 euro, quello da tre invece 59 euro.
.
Aqua   Dome,   un’oasi                                   di
benessere in quota
Circondato dai ghiacciai tirolesi, l’Aqua Dome è un’oasi del
benessere alpino grazie ai suoi 22mila metri quadrati votati
al relax dove trascorrere una vacanza andando alla scoperta
di questo angolo di Austria, a meno di un’ora da Innsbruck e
mezz’ora dalle piste di Sölden dove ha sciato persino James
Bond (a cui non a caso è dedicato un museo).

                            Il centro termale di Aqua dome
sorge all’inizio della valle del Längenfeld ed è subito
riconoscibile grazie al design futuristico delle sue vasche
esterne e, in particolare, delle sue tre “navicelle spaziali”,
piscine termali che pare galleggino nell’aria, dove si possono
alternare getti idromassaggio, acqua solforosa e vasca salina
(con un contenuto di sale al 5%).
Qui all’Aqua Dome la remise en forme è completa grazie alle
dodici vasche e ai tre piani di idromassaggi, cascate, saune e
bagni di vapore di ogni tipo e temperatura, stanze al sale e
bagni remineralizzanti. Il percorso ideale inizia nel cuore
di Aqua Dome, nel “duomo termale”, una gigantesca cupola di
cristallo dove ci si rilassa circa tra idromassaggi e getti e
ci si lascia trasportare dall’acqua verso le vasche esterne.
Si prosegue poi verso il “Gletscherglühen” dove tra saune al
fieno, panoramiche o finlandesi, piscine salina circondate da
pareti di sale, piscine e bagni di vapore alle erbe,
accompagnati da Aufguss (gettata di vapore), effetti di luce o
aromi speziati, e infine oasi relax, ognuno può trovare la
ricetta del benessere più adatta per sé.       Volendo poi si
possono ammirare le luci del crepuscolo in accappatoio, magari
sorseggiando delle bollicine in uno dei tre bar del centro,
per poi scivolare nell’acqua termale    ammirando le luci
colorate di quest’oasi di benessere e la   stellata che si
stende sulle cime dell’Ötztal. Per una vacanza indimenticabile
infine si può scegliere di soggiornare presso le terme
raggiungibili dalle camere grazie a un percorso riscaldato
sotterraneo. Gli opsiti dell’hotel, una struttur a cinque
stelle, hanno accesso anche a un’area termale riservata, Aqua
Dome 3000, da cui si gode un suggestivo paesaggio sui
ghiacciai tirolesi.
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