La memoria del confine. Il motivo della patria

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La memoria del confine. Il motivo della patria
  perduta nel romanzo I l c ava llo d i c a rta pes ta
              di Osvaldo Ramous

                      Marinko Lazzarich

 Abstract: Nei testi letterari degli anni 1945–1956 che parlano dell’e-
 sodo degli italiani dalla città di Fiume il motivo del confine diventa
 il simbolo della conservazione di un’identità nazionale divisa. Al con-
 tempo, il tema della terra natale perduta lega direttamente la lette-
 ratura fiumana a quella mondiale coeva. In questo testo si propone
 un’analisi della letteratura della migrazione italofona e della questione
 dell’esodo dalla sponda orientale dell’Adriatico; in particolare, sarà
 osservato il costituirsi di identità individuali e di gruppo attraverso
 l’esperienza letteraria di convivenza propria della città di Rijeka (la
 Fiume di un tempo).
     Punto focale dell’analisi sarà il multiculturalismo nella scrittura di
 Osvaldo Ramous (1905–1981), autore che rappresenta la continuità
 della letteratura italiana autoctona di Fiume, i cui scritti portano la
 testimonianza dei traumi storici che hanno segnato il destino dei suoi
 concittadini. Attraverso una lettura critica del romanzo Il cavallo di
 cartapesta (1969) si tenterà un esame della dimensione estetica e so-
 ciologica dell’interpretazione delle doppie identità di questa città di
 frontiera, cosa che, nel contesto di un’Europa contemporanea senza
 confini interni, rende attuale la questione della tolleranza verso l’altro.
 di confine, storia, identità repressa, rapporti letterari italo-croati, la
 questione adriatica.

                                                             Cammino innanzi,
                                             e non rispondo al saluto silenzioso,
                                                          in questa notte fredda
                                                                     e così buia:
                                                              ombra fra ombre.
                                                        (Ramous, Tutte le poesie)

            Quaderni d’italianistica, Vol. 37, no. 2, 2016, 125–148
Marinko Lazzarich

Introduzione

Nel 1945, con la fine della seconda guerra mondiale, viene modificato il confine
orientale dell’Italia e gli accordi politici e le pressioni sociali degli allora due
stati confinanti portano all’emigrazione in massa delle popolazioni italiane
dall’Istria, dalle città di Fiume e di Zara. Con il loro esodo, gli italiani di Fiume
e di Zara portarono via anche una parte identitaria di quelle città. Fiume cambia
radicalmente la sua struttura demografica dal momento che circa 30.000 italiani,
che costituivano allora la maggioranza etnica (su un totale di 50.000 abitanti,
quanti Fiume ne annoverava nel 1945), partono per l’Italia (Srdoč-Konestra,
“Pisci riječkog egzodusa” 19).1 Questo ritorno dei cosiddetti esuli nella vecchia (da
un punto di vista nazionale originaria, ma de facto nuova) madrepatria — che nel
frattempo si sta con difficoltà risollevando dalle conseguenze della guerra — non
risolve, anzi, risveglia il loro senso di non appartenenza. A Fiume rimane solo una
minoranza che in seno alla Jugoslavia postbellica si adopererà per conservare la
cultura italiana.
       L’esodo diviene quindi una delle più importanti preoccupazioni tema-
tiche degli scrittori italiani, che il più delle volte lo reinterpretano sul modello
del racconto biblico, in svariati generi letterari e con svariati approcci — dagli
scritti ideologicamente schierati, alle confessioni nostalgiche, alla memorialistica
di carattere autobiografico. Il tema dell’emigrazione della popolazione italiana
comparirà anche in opere di scrittori croati, ma molto più tardi rispetto a quanto
non avvenga per la letteratura italiana, e da parte di quegli autori che sono stati
essi stessi testimoni di grandi sovvertimenti geopolitici. L’indagine della “verità
storica” diviene elemento tematico rilevante, e in certi casi persino fondamentale,
dell’espressione letteraria di entrambi i gruppi di scrittori, e le loro opere divengo-
no fonti di informazione su aspetti della vita reale che i documenti storici ufficiali
sottacciono o marginalizzano. Come nel caso dei più noti scrittori dell’Europa

1
  Nella storiografia italiana, l’esodo della popolazione italiana dall’Istria e da Fiume, nel periodo
1945–1947, è noto come “il grande esodo” oppure “il lungo esodo”. Lo studio dell’esodo
è tutt’oggi un argomento molto complesso. Le statistiche italiane e croate non concordano
sul numero delle persone che dall’Istria sono migrate in Italia, oppure in altri paesi europei e
oltreoceano. Dukovski ribadisce che a causa della grande incongruenza nella quantificazione
di questo problema sociale e storico, nella storiografia croata e italiana e in particolare nella
pubblicistica, piena di una determinata carica politica, tutte le valutazioni relative al numero
della popolazione che ha lasciato Fiume e l’Istria devono essere considerate con una dose di
riserva (Istra i Rijeka 134–135).

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La memoria del confine. Il motivo della patria perduta nel romanzo
            I l c ava llo d i c a rta pes ta di Osvaldo Ramous

centrale (come, ad esempio, Musil, Svevo, Miłosz, Magris), anche questi autori
nelle proprie opere si muovono su confini non sempre chiaramente distinti tra
letteratura e storiografia.
        Nel corpus letterario sull’esilio fiumano sono presenti in modo prevalente
sia i temi riferiti proprio all’emigrazione sia, in egual misura, il tema della perma-
nenza che segna il destino degli italiani rimasti, immersi nelle nuove circostanze
storiche. Un esempio di ciò si può trovare nel romanzo Il cavallo di cartapesta di
Osvaldo Ramous, in cui si apre un intero ventaglio di questioni legate alle diverse,
ma tra loro compenetrate, entità nazionali. Proprio l’opera di questo scrittore rap-
presenta in maniera peculiare tutti i mondi che quello specifico frangente storico
aveva raccolto e riallineato. Ramous inizia a formare i propri orizzonti culturali
nel periodo prebellico, identificandosi come appartenente alla nazionalità italiana,
e continua a svilupparli dopo la guerra, quando quella stessa identità nazionale
andava assumendo un significato completamente nuovo, ma ancora marcato dalla
posizione di Fiume quale città di frontiera. Attraverso i testi di Ramous si articola
quindi il percorso identitario del singolo, come pure quello dell’intera comunità
italiana, gravata dal fatto di trovarsi in una condizione di minoranza. Sono queste
le caratteristiche che rendono l’opera dello scrittore molto interessante al fine di
un’indagine dei recenti processi di formazione dell’identità italiana che, attraverso
il dialogo interculturale, è alla ricerca di un suo ruolo nel nuovo contesto nazio-
nale e sociale. Oltre allo svelamento di specifiche tematiche presenti nell’opera di
Ramous, intento del presente lavoro sarà collocare il romanzo Il cavallo di car-
tapesta nel retaggio multiculturale della realtà fiumana contemporanea.

Le identità artistiche plurinazionali nel corpus della letteratura italiana di
Fiume

L’identità è stata, e resta, un’ossessione tematica della Fiume letteraria perché la
città, per la sua posizione geopolitica di area instabile di confine, spesso nel corso
della storia si è trasformata in un centro di conflitto e di lotta di identità.2 Poiché

2
  Dal momento che nel corso della storia nella città di Fiume hanno coesistito due culture,
quella italiana e quella slava, non stupisce rilevare che i primi scrittori in lingua italiana siano
stati dei croati, ossia i sacerdoti Francesco Glavinich e Simplicijan Frazulic, autori di poesie
religiose. Entrambi sono vissuti nel XVII secolo. Glavinich, lo scrittore del rinnovamento
cattolico (Hoško) ha scritto il libro Historia Tersattana (1648). L’immagine storica di località
multiculturale è confermata anche dal fatto che i maggiori rappresentanti della Fiume letteraria

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sul litorale croato la componente italiana era parte indissolubile della letteratura, i
grandi cambiamenti demografici che fecero seguito alla seconda guerra mondiale
comportarono che la città di Fiume rimanesse privata anche di quegli intellettuali
che lì avevano operato, e negli scritti postbellici degli scrittori esuli i motivi della
peculiarità e della separazione da quella zona territoriale diventano dominanti.3 Il
dolore e la nostalgia sono il filo conduttore che ritorna costantemente nella grande
maggioranza dei testi della letteratura dell’esilio. Essendo l’esilio — inteso come
stato di permanente perdita — un importante motivo della cultura moderna, il
tema della perdita della terra natale non è solo tipico della letteratura fiumana, ma
anche della letteratura mondiale.
       L’emigrazione forzata è un complesso tematico inesauribile per autori ete-
rogenei, sotto il profilo generazionale e poetico, che nelle proprie opere hanno
affrontato in modo specifico il problema della città quale luogo alienante. Antonio
Widmar, Enrico Morovich, Paolo Santarcangeli e Osvaldo Ramous appartengono
alla vecchia generazione di scrittori che ha tematizzato l’esodo fiumano; a questa
segue la generazione di mezzo nella quale vanno annoverati Gino Brazzoduro e
Franco Vegliani; si ha poi la generazione più giovane, di cui Marisa Madieri è la
rappresentante più importante.
       Il trauma dell’esodo fu tale che gli scrittori cominciarono a pubblicare le
proprie opere a distanza di alcuni anni: i primi romanzi che trattano la tematica
dell’emigrazione di massa vengono dati alle stampe nella prima metà degli anni
Cinquanta. Dopo il Trattato di Osimo, l’elevato numero di scritti che si sono
dedicati al dramma dell’emigrazione testimonia la profondità di una ferita che

siano artisti appartenenti a tre diverse nazionalità: l’ungherese Ödön von Horvat (che scrisse in
tedesco), l’italiano Enrico Morovich e il croato Janko Polić Kamov. La letteratura fiumana in
lingua ungherese non è stata così prolifica come quella italiana, benché la città per anni sia stata
considerata il principale porto del Regno d’Ungheria.
3
  L’esodo di massa lasciò nella memoria collettiva della città tracce indelebili. Ciò è confermato
dall’uso minoritario della lingua ufficiale di un tempo, e dal tradizionale contesto multiculturale
che solo in parte viene adottato dai nuovi arrivati. Coloro che, prima dell’esodo, rivestivano il
ruolo di animatori della vita culturale cittadina non rimasero che una minoranza, ma la cultura
italiana continuò a incidere sul mondo slavo facendosi promotrice di una convivenza tollerante.
Sorel è dell’opinione che dalla reciproca influenza sia nata la particolare letteratura di Fiume
in lingua italiana / in dialetto fiumano, con tutte le caratteristiche proprie di letteratura di
minoranza, ma anche di letteratura di confine (301).

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La memoria del confine. Il motivo della patria perduta nel romanzo
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non si è mai completamente rimarginata.4 Il tema del grande esodo (il periodo che
va dal 1945 al 1956) ha avuto una sua esegesi letteraria nella letteratura italiana
molto prima che in quella croata. Della migrazione di massa hanno scritto, tra gli
altri, Pier Antonio Quarantotti Gambini (Primavera a Trieste, 1951), Renzo Rosso
(La dura spina, 1963) e Pier Paolo Pasolini (Il sogno di una cosa, 1962). Nelle loro
opere gli autori iniziano a parlare della tragedia negata che aveva colpito coloro che
in quel difficile momento della storia si erano trovati “esposti al fuoco nemico”.
Queste stesse testimonianze letterarie del tempo parlano pure delle mancanze del
governo italiano che non seppe proteggere in modo adeguato gli esuli che in massa
avevano lasciato la loro terra d’origine, e che non sempre venivano accolti con
simpatia dalla madrepatria (Petacco).5
        La stessa tematica compare sporadicamente nelle opere croate. A differenza
dei loro colleghi triestini, gli autori delle minoranze nel territorio della Jugoslavia
non disponevano della necessaria libertà di creazione, né potevano nelle loro città
dedicarsi alla scrittura liberi da pressioni. L’autore più prolifico del motivo dell’e-
sodo, Fulvio Tomizza (1935–1999), esordisce nel 1960 con il romanzo Materada,
dove con coraggio affronta il tema della convivenza.
        La domanda metodologica che si impone, qualora volessimo definire una
periodizzazione del segmento fiumano della produzione letteraria in lingua italia-
na nella seconda metà del XX secolo, si lega alla determinazione della sua gene-
rale appartenenza: si tratta di letteratura italiana, o di letteratura croata?6 Alcuni

4
  Il 10 novembre 1975 il Governo italiano e quello jugoslavo hanno firmato il Trattato di
Osimo. Il trattato sancì lo stato di fatto di separazione territoriale venutosi a creare nel Territorio
Libero di Trieste a seguito del Memorandum di Londra (1954), rendendo definitive le frontiere
fra l’Italia e l’allora Jugoslavia. L’Italia rinuncia definitivamente agli ultimi lembi di terra della
penisola istriana (la cosiddetta Zona B).
5
  “Questa povera gente, che in realtà stava pagando per conto di tutti gli italiani la cambiale
guerra fascista, non era infatti accolta in madrepatria da slanci di solidarietà. Dalla sinistra,
per esempio, i profughi erano osservati con sospetto e accolti come ospiti indesiderati. D’altra
parte la loro fuga dalla Jugoslavia ‘democratica’ suonava come una chiara denuncia del regime
comunista che vi era instaurato” (Petacco 143).
6
  Rientrano in questo corpus anche gli scritti degli autori autoctoni appartenenti alla minoranza
nazionale italiana e quelli immigrati dall’Italia, oppure soltanto le opere degli italiani fiumani
che hanno lasciato la città e operano in Italia? Il dilemma generale è se per creazione letteraria
dei fiumani di nazionalità italiana sia da intendersi esclusivamente ciò che nasce nella città,
oppure se si possa estendere anche alle opere letterarie che nascono fuori di essa, ma al cui centro
resta la città di Rijeka / Fiume.

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filologi, come Srdoč-Konestra, ritengono che la definizione “letteratura italiana di
Fiume” spieghi al meglio l’oggetto in analisi (“Giacomo Scotti” 440).
       La componente italiana della letteratura fiumana si divide in letteratura del-
la minoranza e letteratura in esilio. Nella letteratura dell’esilio rientrano le opere
scritte in lingua italiana, e perciò parliamo di letteratura d’emigrazione italofona
del Quarnaro, ossia della questione dell’esodo dalla sponda orientale dell’Adria-
tico. Dal punto di vista dei profughi fiumani, il tema della “città perduta” è in-
terpretato in modo versatile. Nel tentativo di raccontare il passato inserendosi
all’interno della storia, l’esperienza autobiografica di questi scrittori arricchisce
le loro trascrizioni di venature di nostalgia dolorosa, dal momento che evocano
vicende e fatti che gli italiani non ricordano volentieri.7 Del motivo dell’esodo si
sono occupati autori esuli dalla città di Fiume8 come Enrico Morovich, Marisa
Madieri, Paolo Santarcangeli e Valentino Zeichen.9
       Nella prosa di Enrico Morovich (1906–1994), il più importante scrittore dei
fiumani esiliati, a parte la nostalgia, non è possibile rintracciare né una carica nega-
tiva né un antisemitismo di tipo nazionalistico, perché lo scrittore considera anche

7
   In Croazia la letteratura dell’esodo è rimasta per anni trascurata e non sufficientemente
indagata, ma era il periodo in cui mancava la sensibilità per una comunicazione letteraria più
liberale. Le migrazioni in un dato territorio geopolitico hanno avuto come risultato ripercussioni
nazionalistiche da parte italiana, mentre con la marginalizzazione della questione politica
dell’esodo la politica jugoslava ha manifestato la sua mancanza di sensibilità nei confronti di
questo territorio regionale delicato (Dukovski, Istra i Rijeka). Con l’intensificarsi in Europa nel
corso degli anni Sessanta del processo di presa di coscienza regionalistica, nella cerchia degli
esuli italiani si giunge a una omogeneizzazione culturale, tanto che il tema dei confini diventa il
simbolo della conservazione dell’identità nazionale divisa.
8
  Nei loro scritti si elaborano riflessioni per rispondere alle domande esistenziali dell’uomo. Sul
piano contenutistico, con una accentuata nostalgia gli autori esprimono la propria personale
esperienza esistenziale, come pure l’umana tragedia di un popolo. Va sottolineato come nel
corpus della letteratura italiana di Fiume manchino dei grandi romanzi e sia più presente invece
la prosa breve, ossia racconti, novelle e saggi. Rari sono gli autori profughi dalla città di Fiume
che siano riusciti a liberarsi dal peso dello status di esiliato e di esule. È accaduto soltanto a due
scrittori di generazioni diverse, Gino Brazzoduro (1925–1989) e Diego Zandel (1948). Il poeta
Brazzoduro è riuscito nei suoi versi a superare i traumi del passato rivolgendosi al futuro, mentre
Zandel conserva nella sua prosa ricordi vivi, con l’anelito innanzitutto di liberarsi di quei limiti
mentali che potrebbero appesantire la percezione della realtà.
9
  La mordace ironia diviene cifra del poeta manieristico Valentino Zeichen (Fiume, 1938–
Roma, 2016) nelle raccolte Arena di rigore (1974) e in Pagine di gloria (1983), con una scrittura
che non ammette compromessi nel ricordare le dolorose vicende personali dell’infanzia.

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la popolazione slava residente come una vittima.10 Nei suoi racconti Morovich
non ritrae il degrado economico che ha costretto gli esuli a lunghi anni di vita
nelle baracche, bensì il cambiamento del propria percezione del mondo. Anche la
prosa nostalgica autobiografica della fiumana Marisa Madieri (1938–1996) appar-
tiene alla letteratura italiana di Fiume. Nonostante i traumi subiti nel dopoguerra,
la sua scrittura non è gravata da una personale amarezza radicata nell’intolleranza
nazionalistica, quanto invece dalla percezione del vissuto della popolazione slava
da cui scaturisce la comprensione per la sofferenza di entrambi i popoli (Bačić-
Karković). Con le sue meste annotazioni diaristiche, scevre di posizioni politiche
o di qualunque ideologizzazione, l’autrice redime la propria dualità identitaria
provando nei confronti delle due patrie la medesima simpatia umana.11
       Lo scrittore fiumano Paolo Santarcangeli (1909–1995) tematizza la “profu-
ganza” dei sui concittadini per il mondo. Per la specifica concezione che veicola,
il suo romanzo Il porto dell’aquila decapitata (1969) prende un posto particolare
nell’ambito della letteratura italiana contemporanea. Ambientato nel porto di
Fiume, il libro scopre lo stato d’animo di un esule privato delle sue radici.
       Nel dopoguerra, la letteratura della minoranza italiana non è più la prosecu-
zione dei movimenti letterari fiumani antecedenti la guerra, ma piuttosto il frutto
della tendenza alla conservazione dell’identità italiana, e in buona parte segue le
correnti letterarie croate coeve. La consapevolezza di essere comunità di minoran-
za comporta la necessità di conservare il proprio patrimonio, ed è per questo che
le influenze reciproche interne alla cerchia della minoranza sono più spiccate di
quanto non lo siano tra gli scrittori croati.

10
   Lo scrittore fiumano che appena in tarda età è divenuto noto al vasto pubblico italiano ha
attinto la sua ispirazione dalla vita della sua città. La poetica surrealista e la propensione al
fantastico trovano il loro riflesso anche nella sua anima solitaria di confinato dalla storia.
11
   La prosa di Nelida Milani (nata a Pola nel 1938) è, per l’intonazione nostalgica della sua
narrazione intimistica, affine all’autobiografismo della scrittrice fiumana. Sono i traumi
provocati dalla guerra in terra d’Istria ciò che intriga la scrittrice e linguista polese. Essa analizza
senza patetismi il confine tra illusione, pregiudizio e realtà, richiamandosi alle volte a un mondo
misterioso, ed è per questo che la critica la considera una narratrice tragica (Eccher 177).
Scene traumatiche dalla vissuta esperienza di esule sono riportate dalla Milani nella raccolta
di racconti L’ovo losso, dove viene rievocata Pola, la città dove l’autrice è cresciuta. Nella sua
memorialistica in prosa trovano espressione l’insensatezza del dopoguerra: il tempo delle accuse
montate a tavolino, delle stigmatizzazioni dolorose e delle assurde condanne (Bačić-Karković
et al. 128). Benché la sua testimonianza sia priva di retorica ideologica, è chiara la propensione
della scrittrice verso gli esuli, i caduti in disgrazia e i perdenti.

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       I maggiori poeti della minoranza italiana a Fiume sono Osvaldo Ramous,
Egidio Milinovich, Lucifero Martini, Mario Schiavato, mentre tra i rappresentan-
ti della generazione più giovane possiamo annoverare Ezio Mestrovich, Nirvana
Ferletta e Laura Marchig. Questi scrittori sono costretti per contingenze storiche
a scrivere al di fuori dei confini della letteratura di appartenenza, motivo per il
quale il corpus di questa letteratura di minoranza è per lo più assente nelle recenti
antologie pubblicate in Italia, da cui viene percepito come “estraneo”; per contro,
nella Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia12 non trova riconoscimento,
trattandosi di scritti in una lingua sconosciuta.13
       Negli anni Novanta, con la dissoluzione della Jugoslavia e l’indipendenza
della Croazia, registriamo una crescita della prosa memorialistica con i temi della
“permanenza” e della “partenza” di autori che nel proprio codice genetico hanno
ereditato l’appartenenza a due nazioni.14 Il collasso dei regimi comunisti europei
e i cambiamenti della geopolitica balcanica inaugurarono la comparsa di nuovi
generi letterari e di differenti scritture. Racconti di generazioni, al bivio della storia
e nel vortice degli scontri collettivi, hanno vissuto la propria interpretazione let-
teraria, ma bisogna sottolineare come la sorte esilio–esodale degli italiani fiumani
che dovettero lasciare la città non è stato un tema frequente degli scrittori fiumani
di lingua croata. Il dilemma di base degli autori italiani, ossia cosa sarebbe successo

12
   Accanto a quanto detto, gli autori si sono confrontati con le pressioni politiche (Lazzarich
147). Nella Jugoslavia, nel periodo del sistema monopartitico, l’esodo è stato un tema proibito
per mezzo secolo. L’imposta “cultura del silenzio“ ha creato un clima di paura fra gli scrittori
(Maroević 237). Scotti rileva come gli scrittori, nello scrivere degli avvenimenti del dopoguerra
nel Quarnaro, sceglievano accuratamente le parole: “in una epoca in cui era pericoloso ’sgarrare’
nei giudizi. (Chi scrive è stato tenuto in ‘frigorifero’ fino al 1989 per aver osato giudizi troppo
liberi)” (“L’esodo visto di qua” 129).
13
    Dopo la seconda guerra mondiale emergono pure degli scrittori italiani che vengono a
risiedere a Fiume, e qui compongono; è il caso del napoletano Giacomo Scotti (Saviano, 1928)
e del calabrese Alessandro Damiani (Sant’Andrea Apostolo dello Ionio, 1928–Fiume, 2015) che
a Fiume si sono affermati come autori prolifici.
14
   Il tema dell’esodo in Croazia compare appena negli anni Ottanta del XX secolo, nelle
opere di Nedjeljko Fabrio e di Milan Rakovac, scrittori che sono costantemente assorbiti dalle
caratteristiche culturali e storiche dei popoli vicini. Il processo di presa di coscienza della propria
storia, della propria cultura e dei rapporti con la città a Fiume avviene alla vigilia della guerra di
indipendenza del 1991.

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se fossi rimasto? Cosa sarebbe successo se fossi partito?, raramente trova la sua
elaborazione artistica nella scrittura degli autori croati.15
       Se analizziamo gli echi della vita postbellica di queste zone nella letteratura
italiana appare evidente la difformità del livello artistico delle opere. Tra le migliori
creazioni che trattano l’esodo vanno annoverati i testi in prosa usciti dalle penne di
quegli autori che nei propri geni hanno ereditato le radici italiane e slave.

Un amarcord fiumano

Il sintagma metaforico Il cavallo di cartapesta rinvia all’indagine degli interessi
intellettuali e poetici dello scrittore Osvaldo Ramous (1905–1981). Ramous
appartiene alla schiera dei maggiori scrittori e intellettuali fiumani del XX secolo.
Poeta, prosatore, drammaturgo, giornalista, critico letterario e musicale, i cui testi
sono tradotti in nove lingue, è nato nel 1905 a Fiume, nel periodo in cui la città
aveva lo status di corpus separatum all’interno dell’Impero austro-ungarico. Già
negli anni Trenta collabora con eminenti riviste italiane come “L’Italia Letteraria”,
“La Tribuna” e “Il Meridiano di Roma”. Per il quotidiano fiumano “La Vedetta
d’Italia” scrive articoli di teatro e di musica, mentre tra il 1930 e il 1944 ne diviene
il direttore. I suoi interessi vertevano non solo sul multiculturale territorio di
confine, ma anche sui rapporti con la civiltà dell’Adriatico e sugli scambi culturali
tra le due sponde e sulle loro articolate storie. A guerra conclusa (dal 1946 al
1961), ricopre l’incarico di direttore del teatro del Dramma Italiano e grazie al suo
impegno ne scongiura la chiusura nel 1956. Collabora nello stesso periodo con
la RAI e con Radio Capodistria. Grazie al suo carisma e alla sua vitalità, Ramous
si adopera per realizzare un ponte culturale tra due paesi, la Jugoslavia e l’Italia,
contribuendo a far sì che la cultura italiana venisse salvaguardata come parte
integrante della tradizione fiumana.16 Ramous non ebbe paure nell’esprimere la

15
   Si tratta della letteratura “fuori dall’esperienza dell’emigrazione” (Pužar 435). Mentre gli
italiani osservano la città da una prospettiva esterna, gli autori croati considerano la situazione
da un angolo della cultura rimasta in un luogo caratterizzato dal fatum historiae (Milanja110).
È necessario evidenziare che la produzione in prosa non detiene un livello qualitativo uniforme,
così che i prosatori croati fiumani raramente riescono a emergere dall’ambito localistico. I
motivi dell’esilio hanno preso vita nelle opere di due autori coetanei: Srećko Cuculić (Fiume,
1937) e Nedjeljko Fabrio (Spalato, 1937).
16
 Alla redazione del mensile di cultura “Termini” Ramous collabora con lo scrittore Enrico
Morovich. Già nel 1954 inaugura la tournée in Jugoslavia di una troupe teatrale del Piccolo

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posizione della minoranza italiana nella rivista filosofica “Praxis”, la quale fu per
un intero decennio (1964–1974) l’unica voce di dissenso all’apparato statale
jugoslavo.
       Ramous è l’autore che rappresenta la continuità nella letteratura italiana
autoctona di Fiume. Benché attivo nel periodo tra le due guerre mondiali e nella
seconda metà del XX secolo, quando la letteratura europea è sotto il forte influsso
del postmodernismo, la sua poesia e la sua prosa non si innestano nelle correnti
coeve, e neppure nel carattere manieristico dell’avanguardia letteraria di Fiume.17
Dal punto di vista tematico e topografico, Ramous appartiene alla cerchia degli
scrittori istro-quarnerini che si rifanno al canone tematico-letterario della memo-
ria perduta e poi ritrovata. Nelle sue opere in prosa il luogo dove egli è nato diviene
la base speculare per i ricordi stilizzati dell’adolescenza e della maturità.
       Nonostante le numerose raccolte poetiche (11), le opere teatrali (9), i due
romanzi e le due raccolte di racconti, lo scrittore fiumano rimane sconosciuto ai
più. Lontano geograficamente dalla madrepatria letteraria italiana e concentrato
sulle problematiche di una città sfollata, egli rimane ai margini degli interessi tanto
del pubblico letterario italiano, quanto di quello croato. Il fatto di provenire da un
posto extra-letterario è la causa dell’assenza di Osvaldo Ramous dai compendi di
letteratura italiana del XX secolo, e a ulteriore discapito di questo autore, apparte-
nente alla minoranza italiana e con una visione nazionale del passato del proprio
popolo, va il momento in cui nasce il romanzo Il cavallo di cartapesta (1969). Sul
piano stilistico, nella sua scrittura sono rintracciabili le caratteristiche del genere

Teatro di Milano, nel 1959 cura e traduce l’antologia Poesia jugoslava contemporanea.
Comparatista per temperamento, traduce Krleža, Vidrić, Nazor, Tadijanović, Cesarić, e nel
1964 a Cittadella organizza il primo Incontro degli scrittori jugoslavi e italiani, al tempo in cui
i rapporti tra i due stati non erano affatto amichevoli.
17
   Lontano dalla sperimentazione delle avanguardie e dalla poesia dell’esperienza linguistica
Osvaldo Ramous costruisce la propria espressione poetica con il supporto della ricca tradizione
italiana: nella sua poesia sono riscontrabili gli influssi di Ungaretti (nella concisione espressiva),
di D’Annunzio, di Foscolo (per il suono e l’armonia dei versi) e di Quasimodo (curiosità per il
motivo della morte). In numerosi componimento riesce a rappresentare il dramma collettivo
postbellico dei suoi connazionali, come nella poesia “Città mia e non mia”. In quanto al
teatro, Ramous è un seguace della poetica pirandelliana: entrambi furono uomini di teatro
che si confrontarono con i temi universali al cui centro sta il piccolo uomo comune con le
sue preoccupazioni quotidiane. Lo scrittore fiumano conosceva bene l’opera dello scrittore che
apprezzava oltremodo e di cui aveva scritto in una rivista italiana (“Il Cittadino“, Genova)
definendolo “innovatore del teatro” (Ramous, “Pirandello non è più” 4).

                                             — 134 —
La memoria del confine. Il motivo della patria perduta nel romanzo
            I l c ava llo d i c a rta pes ta di Osvaldo Ramous

letterario della confessione, ossia l’accentuato autobiografismo e la libera associa-
zione, come pure la commistione di generi accompagnata dalla frammentarietà
della fabula. La questione identitaria è fondamentale per lo scrittore fiumano, dal
momento che essa costituisce la struttura portante sia della sua creazione artistica
che del suo pensiero politico; con un’accentuata intonazione lirica, parla di barri-
cate ideologiche e di conflitti di civiltà.
       Il romanzo Il cavallo di cartapesta18 può essere considerato una dedica let-
teraria dell’autore alla città natale.19 In questo lavoro, l’esegesi del romanzo sarà
indirizzata principalmente al rilevamento dei significati e al contesto storico in
cui l’opera nasce; si analizzerà inoltre la dimensione sociale della rielaborazione
letteraria della doppia identità nella città di frontiera. Basato sui canoni della pro-
sa autobiografica, in cui gli eventi storici e il racconto della vita individuale si
intrecciano, il romanzo è un affresco della città di Fiume della prima metà del XX
secolo. Oggetto di interesse dello scrittore è il concetto dell’identità fiumana, visto
come la risultante di una sovrapposizione culturale, di comunicazione (o assenza
di comunicazione) e di accettazione della diversità. Nel contesto dell’articolato
rapporto tra letteratura e storia, Ramous ritrae i fermenti sociali e politici che
accadono a Fiume con un approccio cronachistico, dando un’interpretazione de-
gli eventi tramite l’intervento di personaggi storici (Mussolini, Riccardo Zanella,
D’Annunzio e altri). Il suo è un narrare lirico, che ricrea una versione poeticizzata
degli avvenimenti che hanno determinato il destino di molti cittadini fiumani.
Indagando le possibilità di dialogo tra le diverse culture e nazionalità, egli si ado-
pera per rappresentare le peculiarità di quell’aggregato geografico e storico. La
città diviene una sineddoche sui generis, dato che sull’esempio di Fiume / Rijeka
lo scrittore esemplifica i caratteri propri di quel territorio di frontiera della prima
metà del secolo XX.
       Per le tematiche trattate, il romanzo appartiene al corpus della prosa contem-
poranea avente per protagonisti personaggi inadatti, incapaci di affrontare la realtà

18
  Osvaldo Ramous. Il cavallo di cartapesta. Fiume: Edit, 2008. Il romanzo è stato pubblicato
quarant’anni dopo la sua stesura.
19
    Il titolo del romanzo è amaramente ironico: nel corridoio della scuola frequentata dal
protagonista bambino si trovava una mappa in rilievo della città di Fiume fatta di cartapesta,
per forma simile alla testa di un cavallo in procinto di nitrire. Il fiume Rječina divideva la parte
italiana della città dalla croata Sušak; fondendosi con Sušak la città si espanse, ma la vecchia
Fiume scomparve: con questa trasformazione la città perse figurativamente non soltanto i suoi
contorni geografici ma anche quelli sociali.

                                            — 135 —
Marinko Lazzarich

che è cambiata (Mazzieri Sanković). Lo sguardo retrospettivo riporta in vita scene
di storia privata attraverso la quale si giunge a una storia confermata nazionalisti-
camente. La posizione dell’intellettuale nel contesto bellico si problematizza, e la
struttura del testo è accentuata in senso drammatico. Ogni parte è divisa in brevi
capitoli, mentre l’epilogo tratta dell’esodo della parte di popolazione italiana nel
momento in cui la fisionomia della città di frontiera è completamente alterata. La
concezione di Eagleton secondo cui la cultura divide, nel romanzo di Ramous tro-
va concreta espressione: lo scrittore mette in contrasto le entità nazionali, l’epoca
di pace e l’epoca di guerra, la responsabilità collettiva e quella individuale, e tende
a scoprire quei cambiamenti storici che hanno forgiato l’identità di Fiume e la sua
cultura formatasi in lunghi processi di assimilazione e di scambio.20
      Il romanzo si apre con una frase significativa:

       Nel corso della sua vita non ancora proprio lunghissima, Roberto ha
       avuto cinque cittadinanze, senza chiederne alcuna. È la sorte della cit-
       tà dov’è nato e dove ha trascorso quasi tutti i suoi anni. (Ramous, Il
       cavallo 25)

Lo scrittore è affascinato dalla divisione della città “dalle due anime” che diventa
sì la cornice entro cui si svolge il racconto, ma anche il soggetto attivo con un
ruolo importante nella determinazione del destino di tutti i protagonisti della
tragica storia. Il protagonista principale del romanzo, Roberto Badin, non riesce
a organizzare la propria vita: la realtà è più forte di lui che si sente un oggetto
20
   Lo sguardo al passato della città posta sul litorale adriatico inizia con i ricordi dell’anno 1914,
nel periodo dell’Impero austro-ungarico al tempo della nascita del protagonista del racconto
Roberto Badin. Gli anni bellici avevano comportato l’impoverimento della popolazione e
anche allora i disaccordi tra gli italiani fiumani e i croati accadevano di rado, ma a partire dal
1919 i fermenti cominciarono a intensificarsi. Mussolini tiene il discorso al teatro, i legionari
di D’Annunzio entrano in città e i fiumani devono schierarsi; pure lo stesso Roberto che ha
soltanto quindici anni. Benché abbia vissuto fianco a fianco dei croati, lui parla solo l’italiano.
Dopo la capitolazione dell’Italia nel 1943 ha inizio la difficile vita della città sotto l’occupazione
tedesca. Roberto tiene nascosta in casa Clara, la sua ragazza, ebrea, che a causa del terrore
ustascia a Zagabria, si è rifugiata nel Quarnaro da lui. Alla ricerca di una soluzione si mette in
contatto con il movimento di resistenza ai margini del bosco, perché i partigiani gli appaiono
l’unica via di uscita. Alla fine, i tedeschi si ritirano e i partigiani entrano nella città liberata.
Sebbene le strade si riempiano di gente, i fiumani non festeggiano, perché aspettano con ansia
i cambiamenti che li attendono. Clara scompare nel vortice degli eventi del dopoguerra e
nonostante le ostinate ricerche Roberto non la rivedrà più.

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La memoria del confine. Il motivo della patria perduta nel romanzo
            I l c ava llo d i c a rta pes ta di Osvaldo Ramous

nelle mani del destino. Il quarantenne professore di violino è la figura amletica
dell’intellettuale passivo messo a confronto con la follia della guerra e con i
numerosi cambiamenti della città natale. La sua figura affiora attraverso monologhi
nei quali egli dibatte della questione della propria identità, ma soltanto una volta
trovatosi in una situazione estrema (quando ha rischiato la vita e la sua esistenza
era stata messa in pericolo) Roberto si confronterà con la questione nazionale e
con l’“altro”, con il quale deve dividere lo spazio vitale. Vagando per i sobborghi
della città, Roberto prova una sensazione sgradevole, come se si trovasse in terra
nemica, e il comportamento delle croate che incrocia conferma l’atteggiamento
ostile della popolazione locale nei confronti degli italiani fiumani, dovuto in
primo luogo all’occupazione e al fascismo.

      Ma è possibile che solo a qualche chilometro dalla città in cui sono
      nato” pensò “mi debba sentire completamente straniero, come fossi
      stato deposto in un lontano paese, dove non conosco né persone, né
      ambiente, né lingua. Per cercare di farmi intendere, devo completare
      le parole coi gesti. La mia sola presenza desta il sospetto della gente.
      (151)

Umano e pacifista, assieme ai suoi connazionali si trova davanti al bivio della
storia; sebbene nello scontro della guerra egli non voglia prendere parti, è costretto
a schierarsi. Sentendo che i grandi eventi della vita gli passano accanto senza
sfiorarlo, Roberto si trova costantemente nel ruolo di chi osserva. In molte delle
sue reazioni sono riconoscibili tratti autobiografici dell’autore, perciò possiamo
concludere che il protagonista in realtà non è che l’alter ego dello scrittore.
Roberto è apolitico e condanna il delirio nazionalistico; egli è un ateo e un apolide
che si sente straniero nella propria città. Trovatosi dinnanzi a questioni esistenziali,
stravolgimenti sociali e alla follia umana, deve affrontare il dilemma se restare o
partire; deciderà di restare, perché Fiume è la sua casa, persino sotto un governo
che non gli è affine e che non sente suo. Roberto risolve il proprio dilemma
esistenziale restando nel paese natio.
       Nello spazio urbano si incrociano diverse cerchie culturali nelle quali si svol-
ge il racconto storico. La storia della città è posta in primo piano: è la città che nel
romanzo assume la posizione di nucleo semantico, lo spazio dove nazioni, etnicità
e destini individuali vanno intrecciandosi. L’autore avanza l’idea che le aspirazioni
a una esclusività identitaria siano fatalmente destinate a fallire. Il vortice degli

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Marinko Lazzarich

eventi storici cambia la fisionomia urbana della località portuale, riflettendosi
tanto sui destini individuali quanto sull’intera popolazione autoctona. La base
identitaria di Fiume è determinata dalla sua posizione da cui deriva quel suo coa-
cervo di culture e di usanze. I cambiamenti del dopoguerra hanno portato a questa
realtà urbana mediterranea, nel cuore dell’Europa, a un’altra lingua e a un nuovo
modo di vivere. Gli italiani abbandonavano Fiume, andando verso Trieste e oltre
per poter conservare la propria nazionalità; di conseguenza, la città in un breve
arco di tempo ha cambiato lingua e fisionomia. Un senso di perdita e di vuoto
caratterizzava il sentire collettivo della popolazione italiana rimasta. È in questo
contesto che l’opera di Ramous si rivela non solo come documento soggettivo sui
fatti accaduti nella prima metà del XX secolo, ma anche come indagine autobio-
grafica: in queste circostanze di cambiamento storico, lo scrittore si trova a dover
affrontare i propri pregiudizi.

Identità culturali antropologicamente diverse

Le pagine del romanzo Il cavallo di cartapesta ci richiameranno alla mente la
paradossale politica dell’identità che nel corso della storia ha spesso manifestato
la sua forza distruttiva (Eagleton 77). L’opera è una reazione artistica alla prassi
politica postbellica del regime jugoslavo, e presenta le caratteristiche della cultura
fiumana italiana che la rendono particolare. Il teatro della vita è immerso in un
contesto più ampio e sovraumano: l’idea alla base dell’opera è la concezione
dell’emigrazione della popolazione autoctona. Accanto ai documenti privati,
l’autore introduce nel testo anche sogni e dialoghi immaginari che chiariscono
lo stato psichico del protagonista. “A colloquio con l’ombra di un console” è
il capitolo chiave dove l’autore contempla la situazione politica della città e la
questione nazionale: l’esigenza di tutelare l’identità. Uno degli assunti dell’identità
di frontiera è che nel limes nulla è dato in modo univoco e definito, ma tutto è
diviso e confuso.
       In una notte trascorsa insonne, nel settembre del 1943 precedente alla ca-
pitolazione dell’Italia, il protagonista Roberto tiene una conversazione immagi-
naria con il defunto console francese a Fiume, René Forcioli (il cui vero nome è
Dominique). Il diplomatico si era suicidato bevendo del cianuro in seguito alla
manifestazione di alcuni estremisti italiani che nel 1940 avevano preso a sassate
il palazzo del consolato per protesta contro le politiche degli Alleati nei confron-
ti dell’Italia. Assumendo una posizione completamente opposta a quella della

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La memoria del confine. Il motivo della patria perduta nel romanzo
            I l c ava llo d i c a rta pes ta di Osvaldo Ramous

omogeneizzazione delle civiltà, il console del romanzo espone il principio della
dualità culturale: siccome nella città di frontiera la crisi d’identità costituisce una
minaccia di conflitti tra cittadini di nazionalità diverse, allo stesso modo l’alleato
del giorno prima (la Francia) diventerà l’acerrimo nemico nel momento in cui la
base dell’uguaglianza identitaria (l’appartenenza alla cultura europea occidentale)
verrà meno. Il console appartiene a un mondo che sta scomparendo e giustifi-
ca il suicidio con la perdita della dignità e con l’impotenza dell’apparato statale
nell’aiutare il singolo che si trova senza una via d’uscita. Roberto lo comprende
pienamente, avendo affrontato un problema analogo nella sua città natale e del
quale non si libererà per tutta la vita.

      Io, invece, a Fiume mi trovavo eccezionalmente, a mio agio” riprese
      il console. “Le vicende storiche hanno fatto della tua città uno di quei
      pezzi di terra che sono come una piccola patria per chi sente intima-
      mente di non averne una grande. O per chi, come me, è legato da due
      diversi sentimenti nazionali.”
      “È il caso, purtroppo, di molte persone che vivono ai margini di una
      nazione. Ne ho conosciuto parecchi anche dalle mie parti. Due di-
      versi sentimenti nazionali, anche contrastanti, nella stessa famiglia, e
      talvolta nella medesima persona.” (102)

Facendo un raffronto tra Fiume e un’isola, Roberto ritiene che l’italianità venga
offerta agli italiani di Fiume come una scelta culturale e linguistica. L’opinione
del console, secondo il quale il fascino della vecchia cultura non è che l’inganno
della “protervia della bestia” (ossia del fascismo) induce Roberto a riflettere
sull’uguaglianza tra gli uomini e sul comunismo. Egli non crede all’idea del
panslavismo, e si chiede se il movimento comunista sarebbe stato accolto con la
stessa simpatia dal mondo slavo qualora fosse sorto in Italia. Gli interlocutori son
legati da quello che Hall chiama l’identità culturale (223). Durante la “familiare”
occupazione italiana della città, i cittadini italiani di Fiume non si erano preoccupati
dello stato dei loro concittadini di nazionalità croata (Dukovski, Rat i mir istarski
82). Con l’entrata in città dei partigiani le differenze antropologiche emergono in
tutta la loro evidenza.
       La parte finale del romanzo tratta dell’esodo di massa della popolazione fiu-
mana. In questa parte viene messa in rilievo la contrapposizione culturale esistente
anche sul piano politico (tra i socialisti e i nazionalisti), che conferma quanto il fine

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Marinko Lazzarich

ultimo della politica delle identità sia in realtà il generare differenze (Benhabib).
Persino in un contesto omogeneo, dal punto di vista dell’identità nazionale, si
può giungere alla disgregazione. Nella discussione che avviene tra il clandestino
Furio e il medico Angelo è espresso il conflitto tra le diverse posizioni politiche e le
opposte visioni del mondo di due personaggi appartenenti alla stessa nazione e alla
stessa cultura. L’opposizione destra / sinistra è messa in risalto dalle confutazioni
del medico in merito agli ideali socialisti di Furio di una Russia giusta e nella cri-
tica all’ideologia borghese. Secondo il pensiero di Angelo si tratta di una occupa-
zione, e non della libera volontà del popolo, assoggettato al bolscevismo. Ramous
pone una domanda sull’ideologia comunista come movimento umanistico e sul
concetto politicizzato di “popolo”. Nella figura di Roberto l’autore proietta la pos-
sibilità del dialogo interculturale e la sopraffazione della follia ideologica: egli tiene
le distanze e riflette sul collettivismo che soffoca l’individualità. Nell’ardore della
discussione entrambi gli interlocutori cercano il suo consenso, ma Roberto resta
neutrale, decidendo ancora una volta di non schierarsi. L’autore non desidera dare
alcun giudizio definitivo e non parteggia nell’affermare le responsabilità di alcuno.
Alla difesa del comunismo di Furio, Angelo ribatte che nessuno può essere felice
nel sentirsi straniero nel proprio paese. Furio, per contro, sostiene la tesi che gli
italiani fiumani non dovrebbero lasciare la città:

      Siamo noi, sono i membri delle minoranze che devono comportarsi
      da pari, non da inferiori. Se ci comporteremo così, faremo sparire
      ogni segno di mentalità arretrata, da chi ancora la conserva. È anche
      per questo ch’io mi sento in dovere di rimanere al mio posto. Se sarà
      necessario, continuerò qui, in altro modo la lotta per l’uguaglianza.
      Penso che nessuno di noi dovrebbe muoversi da qui. (Ramous, Il ca-
      vallo 279)
      …
      “Non c’è pace senza giustizia e non c’è libertà senza l’uguaglianza de-
      gli uomini” ribatté Furio, con voce già rauca per la stanchezza.
      “Se dobbiamo attendere che la giustizia ci porti la pace e che l’ugua-
      glianza tra gli uomini ci dia la libertà” disse Angelo, stanco anche lui e
      desideroso di finire una discussione protrattasi anche troppo, “aspet-
      teremo parecchio, col rischio di non veder mai nessuna di queste cose.
      Ed io non ho tempo da perdere, e non voglio correre altri rischi. Per-
      ciò me ne vado dove pace e libertà mi sembrano più vicine.” (280)

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La memoria del confine. Il motivo della patria perduta nel romanzo
            I l c ava llo d i c a rta pes ta di Osvaldo Ramous

Angelo opta di partire per l’Italia dove potrà liberamente parlare nella sua lingua
materna, Furio invece è pronto ad accettare la sopraggiunta sfida restando nel
nuovo stato. È stato Umberto Saba a dire che “patriottismo, nazionalismo e
razzismo stanno fra di loro come la salute, la nevrosi e la pazzia” (274). E pure
lo scrittore fiumano negli anni della sua giovinezza fu, come Saba, inebriato dal
fervore nazionalistico, ma l’italianità di Ramous è in maggior misura conciliante
e pacifica. Egli non ha un approccio tendenzioso, né va alla ricerca di colpevoli,
pertanto i personaggi secondari, di nazionalità italiana, ricoprono la funzione di
illuminare la situazione politica della città. La caratterizzazione dei personaggi
croati conferma che lo scrittore descrive i croati con un sentimento di simpatia.
Scrivendo in maniera spiccatamente emotiva egli testimonia quell’esperienza
biblica come un’esperienza personale, e il concetto di senzapatria su un altro piano
si concretizza come tema universale.21
       Ramous esprime una posizione sulla pluralità delle alternative storiche.
Trascrivendo il suo punto di vista su un tema storico, lo scrittore non sovverte la
storia, piuttosto la completa. Come sostiene Hayden White: “Se non è in grado di
immaginare almeno due versioni della stessa serie di avvenimenti, non c’è motivo
che lo storico si assuma l’autorevolezza di dare una rappresentazione veritiera di
quello che è successo realmente” (20).

Il riflesso della grande Storia sul destino del debole individuo

Gli scritti in prosa di Osvaldo Ramous costituiscono un corpus modesto se
paragonato all’opera in versi e al teatro: comprende una trentina di racconti e
due romanzi. Si tratta di testi dal genere e dalle tematiche eterogenei, molto
diversi sia per contenuto che per stile. Per questo non è facile classificare la cifra
stilistica della prosa di Ramous. Non possiamo dire che appartenga a una precisa
corrente letteraria, né poetica, né generazionale. Benché viva nel periodo del

21
   A tre anni dalla fine della guerra, il quadro geografico e sociale della città è cambiato; chi è
rimasto in città può scegliere: o restare in Jugoslavia e rinunciare alla cittadinanza italiana, oppure
attraversare illegalmente il confine. Roberto vuole vedere con i propri occhi come si vive nella
Zona B e quindi con un lasciapassare parte per Pirano, provando la sensazione di trovarsi a un
bivio esistenziale, dal momento che la Zona B è il territorio libero posto sotto l’amministrazione
jugoslava. La vicinanza di Trieste lo pone di fronte al dilemma: rimanere o andare? In confronto
alla multiculturale Fiume, Trieste è simbolicamente il luogo di demarcazione fra due concezioni
culturali e di civiltà contrapposte. Roberto rientrerà comunque a Fiume, perché la sua casa è lì
anche se sotto uno Stato che non sente come suo.

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Marinko Lazzarich

postmodernismo, nei suoi scritti non troviamo elementi postmodernisti, anzi
il modo in cui il romanzo Il cavallo di cartapesta è scritto si avvicina di più al
realismo postmoderno. Tuttavia, volendo classificare Osvaldo Ramous prosatore,
non sbaglieremmo annoverandolo nella cerchia degli scrittori tradizionali che
hanno rigenerato il romanzo del XX secolo. Naturalmente non avremmo con ciò
circoscritto alla perfezione il suo ritratto artistico, perché nei racconti di Ramous
troviamo tracce di surrealismo, del romanzo psicologico e della contemporanea
prosa esistenziale.
        Il romanzo Il cavallo di cartapesta non è né per stile né per composizio-
ne contenutistica un’unità coesistente, ma piuttosto è un variegato raccordo di
modelli narrativi attraverso i quali lo scrittore si adopera per esporre la paura
esistenziale di tutti i protagonisti e il peso della sopravvivenza in un particolare
momento storico. Il libro parla della Storia che riscuote il proprio dazio, e in
tutto questo a patire è il piccolo uomo comune. Elaborando sul piano simbolico
il sistema semantico della comunicazione interculturale, Ramous introduce dei
doppi ideologemi d’identità, nei quali l’individuo si trova pressoché sempre in
uno stato di subordinazione rispetto al gruppo. La moltitudine domina l’indivi-
duo, ed è per questo che i personaggi del romanzo sono per lo più rappresentavi
delle collettività cui appartengono. Il raggruppamento ideologemico è di natura
culturale — appartenendo a un dato sistema di civiltà, i protagonisti del racconto
si distinguono grazie all’affinità di civiltà. Da ciò ne deriva che l’identità culturale
domina sulle altre e cancella qualsiasi differenza possibile tra gli appartenenti a una
stessa cerchia culturale. I personaggi di Ramous sono messi di fronte al dilemma
basilare, proprio della letteratura di minoranza: restare o partire? Risucchiati dal
vortice della Storia, a prescindere dalla nazionalità di appartenenza, avranno tutti
una tragica fine. Si tratta di quegli infelici che nei fermenti della Storia non di
rado diventano lo strumento della follia collettiva, nel momento in cui il confine
tra identità individuale e identità collettiva viene cancellato. Quando entrano in
gioco i valori conflittuali (Weeks) (perché l’identità non è un valore neutro, e i
conflitti dalla vita pubblica immancabilmente si riflettono sulle vite private) le
conseguenze del delirio nazionalista sono sempre dolorose, sia per la società sia
per il singolo. Ramous racconta con pacatezza quel mondo multiculturale che in
un dato momento storico viene costretto da una aggressiva esclusività ideologica:
quando un gruppo comincia a imporre l’identità nazionale all’altro, la città diven-
ta uno spazio chiuso e isolato, che perde il proprio carattere urbano. Scrivendo
dei diversi, e non di rado contraddittori, conflitti ideologici in un contesto di

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La memoria del confine. Il motivo della patria perduta nel romanzo
            I l c ava llo d i c a rta pes ta di Osvaldo Ramous

culture nate dall’assimilazione, lo scrittore evita la trappola della semplificazione
avanzando la possibilità di una riflessione umanistica sull’identità della città di
Fiume. Sotto il profilo espressivo, il romanzo ha un tono conciliante e lo scrittore
svela l’espressività dei timori vissuti secondo il punto di vista degli italiani fiumani.
La relazione di Roberto con la ragazza di una diversa nazionalità è condannata al
fallimento. Sul piano concettuale, Ramous pone in rilievo l’idea che le aspirazio-
ni a una esclusività identitaria sono fatalmente destinate a fallire: l’incapacità a
discernere l’amor di patria dal fanatismo politico conduce allo sconvolgimento
dei rapporti e alle tragedie famigliari, perciò persecuzione ed esodo sono la con-
seguenza ineludibile del confronto delle forze politiche. Le migrazioni di massa
sono il prodotto dei conflitti ideologici, assunto questo anche della tesi di Homi
Bhabha che confuta l’idea di cultura come di una istanza di tradizione e iden-
tità pura, chiusa in sé stessa e ferma. La cultura si costruisce con l’ibridazione e
la mescolanza di culture diverse. Se la collettività si concepisce come un’unica
categoria, ciò avrà ripercussioni violente verso coloro che non corrispondono ai
criteri stabiliti. L’epilogo del romanzo suggerisce l’impossibilità di sfuggire al fato
della Storia, e al contempo scopre la posizione pessimistica dell’autore circa la
possibilità di cambiamento e di convivenza comune. Osvaldo Ramous pone anche
in rilievo come nel vortice della Storia chi patisca maggiormente sia il piccolo
uomo comune, perché la potenza dell’ideologia si ripercuote tragicamente sulla
sfera intima delle persone. Ed è per questo che i due amanti non riusciranno a
realizzare la propria felicità. A parte le componenti squisitamente narrative, la ne-
cessità di comprendere i fermenti politici e nazionalistici della città apre lo spazio
a numerose meditazioni del narratore in cui trovano posto gli eventi della grande
Storia, le cui conseguenze si ripercuotono sulla vita del debole singolo. In questo
modo numerose pagine del romanzo mettono in rilievo l’influsso della politica sul
destino personale del protagonista. Il prisma della democraticità è offuscato dagli
antagonismi ideologici, tanto che il coacervo di culture di Fiume, che alla sua
gente offriva grandi possibilità di progresso, diventa un ambiente provinciale che
respinge ogni possibilità di sviluppo urbano e multiculturale come armonizzazio-
ne delle diversità. L’ossatura identitaria del romanzo deriva dalla provocazione di
prospettiva ideologica dell’autore dei rapporti socio-culturali, ossia dall’indagine
delle proiezioni pluriculturali come (dis)armonizzazione delle diversità. Evocando
lo spirito di un periodo tormentato della Storia più recente di Fiume, il testo
di Ramous conferma la tesi che il confine tra giustizia e ingiustizia non sempre
è chiaro. L’autore sente la necessità morale di far sì che il tema dell’esodo non

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