La donna dei calci in bocca - (Doctor Jekill e Mister Hyde) - Armando Zoff

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La donna dei calci in bocca
                    (Doctor Jekill e Mister Hyde)
Mi chiese l’amicizia su Facebook nel Febbraio 2017 dopo aver visto le
pubblicità relative ai miei libri, e subito potei notare i suoi immancabili
profondi commenti ad ogni considerazione che io postassi. Dopo qualche tempo
le mandai un messaggio vocale, dicendole che apprezzavo alquanto le sue
riflessioni e chiedendole se fosse interessata ad organizzare un mio evento a
Milano, città in cui mai ero stato in qualità di scrittore e conferenziere. Lei mi
rispose entusiasta, dicendosi onorata, e mi lasciò il suo cellulare; concordammo
sull’opportunità di verificare a viva voce se sussistessero le condizioni per
iniziare una collaborazione. Il nostro primo dialogo, una telefonata fiume di
oltre un’ora, fu assai nutriente e divertente, quante risate! Potei appurare che
avevamo visioni molto simili tanto sulla vita quando sul mondo olistico
contemporaneo; durante l’interazione mi chiese come potersi procurare le mie
opere e così in tempo reale si posizionò davanti al pc e ordinò su Amazon i
miei primi due libri. Il terzogenito era di imminente uscita e le dissi che lo
avrebbe ricevuto da me in regalo (nel pacco aggiunsi un meraviglioso libro di
Osho “Gita darshan”, e un cd del mio amatissimo Ennio Morricone). Nei giorni
a venire gettammo le basi di quella che sembrava potesse diventare
un’importante amicizia e non soltanto una collaborazione. Decidemmo di creare
due eventi nella sua città: una presentazione del mio nuovo libro e un seminario
privato nella sua casa. Nei tre mesi che ci separavano dal mio arrivo a Milano,
io e la nuova amica ci sentimmo quasi tutti i giorni al telefono; quante risate,
aneddoti intensissimi e acute riflessioni durante quelle fluviali interazioni! Al
contempo c’era anche spazio per disarmanti confessioni, soprattutto da parte
sua, poiché le mie le stava leggendo quotidianamente sui miei libri. A tal
proposito mi confessò di amarli visceralmente, in quanto le procuravano
sensazioni e un nutrimento mai assaporato in precedenza con nessun testo. Dei
suoi racconti, mi colpirono assai le sue vicissitudini familiari, in particolare
quelle legate al figlio, che descriveva come molto intelligente, sensibile nonché
portatore di problemi sin dalla nascita, i quali erano sfociati negli ultimi anni in
depressione, paranoia e disturbi alimentari che lo facevano transitare a periodi
alterni dalla bulimia al rifiuto per il cibo. Inoltre il matrimonio con suo marito
era arrivato alla fine; già da anni dormivano in camere separate e lei si stava
apprestando ad una separazione giudiziale, dato che lui non acconsentiva a
porre fine al loro rapporto senza strascichi legali. Infine arrivò la data della mia
partenza per Milano. I cinque giorni trascorsi insieme furono assai divertenti e
nutrienti. Lei prese le ferie per tutto il periodo della mia permanenza, in modo
da potersi godere completamente la mia presenza senza altri vincoli. Era stata
assai brava e meticolosa nell’organizzare gli eventi, che resteranno negli annali
della mia esistenza tanto per l’amore e la conoscenza che seppi donare quanto
per i gesti di affetto, stima e riconoscenza che ricevetti dai partecipanti. Il luogo
prefissato per il nostro primo incontro era davanti al duomo. Appena mi fu
davanti, dopo un caloroso abbracciò cominciò a squadrarmi e poi mi disse a più
riprese che mi trovava bellissimo, molto più dal vivo che in foto. Le sue frasi
mi sembrarono un po’ fuori luogo e destarono in me un campanello d’allarme,
scelsi però di non prestarvi troppa attenzione. La prima impressione fu quella di
trovarmi al cospetto di un’attraente sessantenne, vestita in modo giovanile,
sorridente e sprizzante energia da tutti i pori, ma tenni per me queste
considerazioni, timoroso di possibili fraintendimenti da parte sua. Ad essere
sincero la sua fisicità mi ricordava assai il personaggio femminile interpretato
da Dustin Hoffman nel film Tootsie. I primi due giorni li dedicammo al puro
cazzeggio; lei mi fece visitare angoli segreti che non conoscevo e mi portò a
cena in tipici ristoranti. Nella terza giornata ci fu la prima visita a casa sua e
l’incontro col figlio, il quale, vedendo la mia disponibilità, mi fece una marea di
domande. In pratica l’interazione si trasformò in una sorta di consulenza. Col
passare dei minuti un senso di pesantezza mi cerchiò il capo. La casa aveva
un’energia assai pesante, frutto delle forme pensiero emanate dai suoi abitanti e
delle energie del luogo. Quando uscimmo ne parlai all’amica e le ricordai di
fare ciò che le avevo detto al telefono già una settimana prima, ovvero
purificare la grande stanza ove si sarebbe tenuto il seminario, usando incensi,
candele e palo santo. Durante il dialogo telefonico avevo specificato, data la
delicatezza del tema, che sono solito eseguire questa pulizia come prassi
quando l’incontro si tiene in una casa privata, perché nelle abitazioni sono
sempre presenti strutture energetiche relative ai drammi personali di chi ci
abita. Anche quando tengo incontri a casa mia, effettuo la medesima pulizia.
Ciò che le dissi anzitempo era la pura verità, ma certamente l’azione si rese
ancor più necessaria quando potei appurare di persona lo stato dei luoghi. Lei
non disse nulla, tranne rispondere che l’aveva già fatta quattro giorni prima e
che prima di addormentarsi avrebbe ripetuto quanto richiesto, finché ci
avviammo verso la metro per recarci al luogo deputato per la presentazione del
mio nuovo libro, un centro olistico molto noto in città. L’amica seppe
adempiere egregiamente al ruolo di conduttrice dell’evento, e mi pose una serie
di domande come da accordi precedenti, alcune scelte da lei e altre da me; non
mi interruppe mai durante le mie esposizioni e seppe stare nel ruolo di
comprimaria. Cosa intendo con quest’ultima frase? Beh, anche se si tratta di
qualche raro episodio, ho tenuto presentazioni in cui la persona che stava al mio
fianco parlava troppo e in modo incontrollato, sviando dalle tematiche inerenti
l’opera senza rendersi conto che se si è al fianco di uno scrittore, i protagonisti
principali dell’evento sono il libro e chi l’ha scritto, e queste non sono
rivendicazioni egoiche ma semplici ovvietà da ascriversi al cosiddetto “bon
ton”. In due casi che ora racconterò, il relatore che sedeva al mio fianco decise
di terminare la presentazione senza chiedermi preventivamente sottovoce se
fossi d’accordo, bensì annunciandolo direttamente al pubblico come se io non
esistessi. Nel primo episodio in quel di Napoli, il mio interlocutore ne pagò le
conseguenze nell’immediato; quando annunciò al pubblico che la presentazione
era finita, io indispettito invitai i presenti a restare, in quanto avevo ancora
qualcosa di importante da dire, inoltre li invitai a pormi domande; poi
rivolgendomi a lui con tono risoluto gli dissi: “Mi devi scusare ma non puoi
decidere da solo se la presentazione volge al termine, perché siamo in due!”.
Lui, visibilmente sorpreso e amareggiato non disse nulla. Dopo l’incontro
cercai di spiegargli nel modo più gentile possibile che la sua era stata una netta
invasione di campo, uno strappo di fronte a cui non intendevo restare silente.
Lui si scusò, adducendo che l’aveva fatto perché una parte di pubblico in fondo
alla platea se ne stava andando causa l’insorgere di un vento freddo, e io gli
risposi: “Non puoi sapere se chi se ne è andato lo ha fatto per la ragione che
pensi tu, secondo me era invece più giusto pensare a chi aveva deciso di restare.
Resta che non potevi decidere da solo, avresti comunque dovuto chiedermi se
fossi stato d’accordo, perché in questo modo mi hai scavalcato platealmente”.
L’episodio restò circoscritto e non ci fece serbare rancore l’uno verso l’altro,
infatti durante i giorni seguenti del mio soggiorno a Napoli lui continuò a farmi
da cicerone e condividemmo bei momenti di intimità. Nel secondo caso al mio
fianco a presentarmi c’era una cara amica nonché ricercatrice spirituale; fu
davvero una nota stonata, un’indelicatezza che tutti avvertirono, anche perché a
mio avviso i presenti erano ben lungi dal volersene andare. Tuttavia non dissi
nulla e senza sentirmi turbato acconsentii di volgere al termine la presentazione,
non prima di chiedere ai presenti se avessero avuto qualche altra domanda da
pormi e scegliendo di leggere una mezza pagina dell’opera. Con lei ne parlai in
tutta tranquillità il giorno dopo, e ricevetti le sue scuse nonché un
ringraziamento.
Tornando alla donna dei calci in bocca, dopo la presentazione ci recammo in un
famoso ristorante da lei scelto, e con grande piacere le offrii la cena. Restammo
d’accordo che per l’indomani, giorno del seminario a casa sua, ci saremmo
sentiti il mattino. La notte piovve a dirotto, con tuoni continui e spaventosi che
disturbarono il mio sonno. Quando il mattino mi svegliai mi sentii da subito
nervosissimo, senza però poterne identificare la ragione. Pensai che fosse in atto
una tempesta magnetica. Al telefono l’amica mi disse che non sarebbe potuta
uscire prima del workshop, perché sarebbe venuta la donna delle pulizie a
ordinare l’appartamento, quindi mi propose di pranzare a casa sua assieme a suo
figlio; con tutta la gentilezza possibile le dissi: “Mi dispiace ma prima di un
seminario ho necessità di stare calmo, rilassato e in silenzio. Forse non te ne
ricordi, ma te ne avevo già parlato…Inoltre se venissi a casa tua poi sarebbe
difficile sottrarmi alle domande di tuo figlio, che ha un grande bisogno di
attenzioni, e questo mi sottrarrebbe preziosa energia…quindi ti ringrazio
dell’invito ma resto in casa e ti raggiungo a piedi un’ora prima dell’inizio del
seminario, se per te è ok”. Lei assentì ed io non notai nulla di particolare, tanto
durante l’incontro di consapevolezza quanto la sera a cena, in cui ci fecero
compagnia due miei amici svizzeri che in quei giorni erano a Milano.
L’indomani sarebbe stato il mio quinto e ultimo giorno in città; quella sera
prima di accomiatarci decidemmo di passarlo insieme senza però preventivare
nulla in merito al da farsi, perché le giornate precedenti erano comunque state
assai impegnative. Al mattino però mi chiamò, chiedendomi se avesse potuto
portare con sé anche suo figlio, ed io acconsentii senza obbiettare nulla. Avrei
preferito stare da solo con lei ma accettai di buon grado, felice di poter essere
d’aiuto. Continuammo a visitare la città, pranzammo ai navigli e poi verso sera
il figlio si accomiatò di suo spontanea decisione. L’ultima serata trascorsa con
lei fu assai mesta, perché entrambi ci sentivamo spossati, lei a causa delle
vicende familiari e degli intensissimi giorni passati insieme, io come effetto
della permanenza in una metropoli, essendo amante del silenzio e degli spazi
verdi e incontaminati. Ci salutammo con un caloroso abbraccio e una duplice
promessa: io la invitai a trascorrere una settimana a Cesenatico, ospite a casa
mia, e lei mi propose altrettanto col suo appartamento a Lerici.
Quando il pomeriggio seguente arrivai a casa, mi sentii stralunato e
stanchissimo e provai un fortissimo senso di estraneità, come se fossi stato via
un anno. Mi ci vollero due giorni per riprendermi…nel frattempo sentivo
provenire da lei un freddo polare. Il terzo giorno le mandai un messaggio
vocale, per chiederle come stava; rispose di sentirsi molto stanca e precisò che,
ora che i nostri impegni collaborativi erano giunti al termine, potevamo infine
rilassarci e continuare la nostra relazione senza la necessità di doverci sentire
tutti i giorni, cosa invece necessaria mentre stava organizzando gli eventi.
Ammetto che ci rimasi un poco male, perché avvertii un improvviso cambio di
rotta, come il preludio di uno scontro finale senza possibilità di appello, e sentii
soffiare un vento gelido sulle mie spalle. Passarono altri quattro giorni, l’amica
si era dissolta completamente, erano scomparsi anche i suoi immancabili
commenti e condivisioni ai miei post su Facebook. Ascoltandomi e
posizionandomi su di lei, ciò che sentii emanare fu un freddo glaciale. Le
mandai un sms, in cui le confessai di avvertire un grande gelo da parte sua,
come se ci fosse del non detto, e le chiesi se fosse accaduto qualcosa di cui non
mi aveva reso partecipe. Dopo circa un’ora la sua risposta, tramite un
messaggio vocale di nove minuti che mi lasciò esterrefatto. Ho scelto di non
condividere la registrazione integrale di quel dialogo delirante e sprezzante non
soltanto per i rischi legati alla violazione della privacy, ma anche perché non
intendo avvelenarmi riascoltandolo; quello sproloquio psicotico non merita il
tempo che una trascrizione fedele richiederebbe, perché in nove minuti si
possono dire un fiume di parole. Dopo averla ascoltata fui colto da uno
sconquasso emotivo e un forte senso di dispiacere, perché a lei mi ero
sinceramente affezionato e tuttavia non vedevo margini di recupero, perché lo
iato creatosi mi pareva incolmabile. Ancora una volta mi sentii tradito e
abbandonato. Uscii di casa e durante la passeggiata decisi di ascoltare per una
seconda volta con la massima attenzione il suo atto di guerra e ancora una volta
ci restai letteralmente di merda. Difficile riconoscere la sua voce empatica e
dolce in quel tono freddo, cinico, ostile e sprezzante. In sintesi erano parole che
sancivano la sua volontà di distruggermi su tutti i fronti...(SEGUE...)
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