L'ultimo Stan (il percorso cambia ma il viaggio continua) - IVG.it

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L'ultimo Stan (il percorso cambia ma il viaggio continua) - IVG.it
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      L’ultimo Stan (il percorso cambia ma il viaggio continua)
      di Luca Negro
      21 Settembre 2018 – 12:38

      “Vialogando on the road” è il diario di viaggio del savonese Luca Negro che, con il friulano
      Giacomo Iachia, su un vecchio piccolo scomodo fuoristrada di quasi 30 anni battezzato
      “Pulce” partecipa a scopo benefico al Mongol Rally 2018. Il progetto è reso possibile
      grazie al contributo della Coop Augusto Bazzino di Savona: “In quest’epoca di rapidi
      cambiamenti ci apriremo insieme verso il mondo arricchendoci di nuovi orizzonti, in
      controtendenza verso la paura e la chiusura su ciò che ci è distante e diverso”.
      Dall’Europa alla volta della Siberia, un ponte immaginario tra occidente e oriente
      attraverso 18 paesi: una lunga odissea da Savona fino ad Ulan Ude, nella Siberia
      Meridionale, poco sopra la Mongolia. In questa rubrica Luca proverà a raccontare,
      attraverso la sua personale sensibilità, gli orizzonti che supererà durante questo
      movimentato e intenso percorso. Vialogando “travelling stories” è invece il “main project”
      ideato da Giacomo e si potrà seguire l’avventura scritta e documentata insieme sul sito
      ufficiale www.vialogando.it e su Facebook.

      Kazakistan

      La mattina un’estrema freddezza alleggia nell’aria, Jack velocemente scende a fare
      colazione, Abdullah appena svegliato mi saluta pieno di energia con un semplicissimo
      sorridente energico “Ciao”, cosa c’è di più naturale e sincero di un qualcosa di così
      normale che da un bel po’ di tempo non succedeva più…

      A colazione dopo poco i due personaggi con cui condivido la stanza sono in due tavoli

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      separati, scelgo Jack per non voler far sembrare che ce l’ho con lui, il silenzio sembra
      eterno, quando lui sceglie di risalire in stanza mi avvicino all’arabo, chiacchieriamo un po’
      in italiano, poi passiamo all’inglese per capirci meglio, mi chiede che cos’ha l’altro
      ragazzo, non ha detto una parola, sembra star male… Così gli racconto di noi e gli confesso
      che credo oggi sarà il nostro ultimo giorno insieme, dopo una sintesi del nostro rapporto
      lui si dispiace e dice che sarebbe un peccato non finire il viaggio insieme dopo tanto
      tempo.

      Dopo un po’ Jack scende con lo zaino sulle spalle e dice: “Allora cos’hai deciso? Rimani qui
      o vieni con me nella prossima città?” “Beh… certo… ho ancora molta roba in macchina, sto
      mangiando la colazione e devo andare in bagno, ho bisogno di un po’ di tempo”. “Ok ti do
      mezz’ora…” ed esce fuori… Abdullah mi guarda sgranando gli occhi sul suo viso scuro
      spellato dal sole, e mi dice: “Non avevo ben capito! Certo che te ne devi andare, non
      potete mica proseguire così…”.

      Nonostante il momento io e Jack interpretiamo il ruolo di persone sorridenti sulle foto per
      uno sponsor e su un’altra per l’ostello. Tanti saluti a tutti e si parte… il silenzio è il solito,
      ma io mi sento più leggero, getto nell’aria poche parole come esche per provare a capire
      se esiste una possibilità di proseguire insieme, in effetti basterebbe davvero poco, ma a
      quanto pare la solita rigidità stavolta si è temprata come il metallo che si raffredda
      all’improvviso, nulla si smuove.

      Alla frontiera con il Kazakistan la coda pedonale è molto più intricata e lunga che quella
      veicolare, ottenere il timbro d’uscita del Kirghizistan non è così difficile, per entrare nel
      nuovo paese c’è invece una grande confusione, persone ammassate tra loro sono obbligate
      da sbarre metalliche a seguire i percorsi verso le varie cabine dove poliziotti di frontiera di
      turno mettono il timbro dopo la registrazione, grosse signore spingono sfruttando la loro
      mole fino ad ottenere posizioni più prossime all’uscita, con la scusa che non devono
      perdere di vista i loro pacchi passati al metal detector. Non ho scelta quella è la mia uscita
      e devo infilarmi li dentro. Quindici minuti di caldo di posizioni perse o conquistate e via
      son passato.

      All’uscita, tra i commerci, vari taxi, bus, auto private, tutto è diretto ad Almaty, e lo siamo
      anche noi!

      I tentativi personali per vedere se mai c’è spazio verso una possibilità tra noi, seppur
      leggeri, non si fermano ad uno, ma poi dopo un po’ interiorizzo che non c’è davvero
      opportunità né volontà di proseguire insieme, le nostre idee sono così distanti che come
      già avevo pensato sarà proprio questo distacco a regalarci una preziosa esperienza
      personale… nella mia mente penso che questo mio stile di viaggiatore un po’ errante e
      senza programmi è un qualcosa che ben conosco e qualsiasi cosa deciderò domani non mi
      preoccupa, in qualche modo il suo stile così preciso e programmato che ha dimostrato nel
      tempo trascorso insieme prenderà una forma così diversa che spero gli regali quello che io
      non sono riuscito a trasmettergli o a condividere pienamente con lui, sarà una parte
      importante del viaggio se la saprà cogliere. Solo due persone con un’energia ottimale
      potrebbero attraversare a questo punto il futuro del percorso che ci aspetta, ma questo
      decisamente non è il nostro caso.

      Un braccio fuori dal finestrino e l’aria entra per attrito in quantità maggiore dentro la
      vettura, socchiudo gli occhi e mi sento ad un tratto libero, la tristezza eterica per non
      essere riuscito a trovare il modo di vivere un buon rapporto sinergico, non a livello
      professionale, ma umano nel senso più profondo con questo ragazzo, evapora nell’aria

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      stessa che respiro e sa davvero di libertà. Non avrebbe senso insistere a cercare qualcosa
      che fin da subito non è cominciato bene, due persone in fondo sconosciute, poi così diverse
      e con più di 10 anni di differenza anche di vita vissuta, obbligate dentro lo stesso mezzo e
      negli stessi luoghi per molto tempo hanno già fatto un piccolo miracolo a resistere per
      oltre sei settimane e mezzo. Il progetto stesso ha rubato il tempo di voler forse superare i
      propri limiti da investire reciprocamente ad un confronto più costruttivo e arricchente.
      Non c’è dubbio che siamo entrambe persone migliori di quello che abbiamo dimostrato nei
      nostri contrasti o punti di vista, bianchi o neri, l’età spesso aiuta a trovare più facilmente le
      sfumature adatte a modellare questi estremi, ma poi è più facile cedere alla provocazione e
      riflettere tale e quale la rigidità con cui si viene contrastati.

      Almaty la più grande e popolosa città del Kazhakistan è la nostra fine insieme come
      compagni in questa avventura, non sto a descrivere le ultime fasi piuttosto fredde sulla
      ricerca di una sistemazione per dove passare la notte e la fretta di Jack di voler al più
      presto uscire dalla città. Posso solo però scrivere che nel momento fatidico del saluto,
      dopo aver preso tutto dentro l’amata e odiata “pulce”, dopo l’ultimo ‘check’ rimasti in piedi
      l’uno di fronte all’altro, ci siamo stretti in un sincero forte abbraccio, uno di quelli da veri
      uomini, da esseri umani. Nell’abbraccio che personalmente amo e attraverso il quale
      riesco a ricevere e a trasmettere tanto fino a sentire spesso l’umana energetica essenza,
      ho riconosciuto in Jack l’abbandonare quella corazza che si è per così tanto tempo
      impegnato a sostenere per scontrarsi e per difendersi. Finalmente ad un tratto l’ho
      percepito umano! Sarebbero bastati pochi secondi ancora che gli avrei visto scendere le
      lacrime, ma giustamente il saluto finale non è stato così drammatico. Pugno stretto alzato
      al cielo in segno di forza e saluto Jack! Buon viaggio! Il suo ultimo sguardo con gli occhi
      lucidi prima di caricare il mio grosso zaino sulle spalle. Mi metto a pensare che il mio forte
      magone non basterebbe affatto a tirare fuori per davvero lacrime che da ormai circa otto
      anni non sono più riuscito a sfogare per cose molto più drammatiche o addirittura
      tragiche. Si dice che un vero uomo non piange mai, che grandissima cazzata! Se non
      piange proprio mai è perché non riesce a liberarsi di qualcosa dentro se stesso che è poi
      un qualcosa che lo fa pure stare male, il coraggio di lasciarsi andare totalmente senza
      paura per poi ritornare a quello che è naturalmente, è una gran prova di coraggio da vero
      uomo altroché! Mi auguro un giorno di saperlo fare nuovamente!

      Il MyHostel in questa città è un luogo pulito e accogliente, sono stanco e affamato, il
      pomeriggio è molto inoltrato, ho la barba lunga da molti giorni e i capelli disordinati, la
      connessione Wi-Fi non ne vuole sapere di funzionare sul mio telefono e dopo quasi un’ora
      la gentile ragazza alla reception asseconda il mio nervosismo e mi permette di utilizzare il
      suo hotspot personale. Sono capitato nella zona centrale verso il nord della città, si dice
      che più è a nord più è ricca mentre verso sud gli strati meno abbienti della stessa son
      sempre più visibili. Un enorme centro commerciale diventa così il mio punto di riferimento,
      dove prelevare soldi e dove fare una specie di colazione alle 6 di sera inoltrate, un ottimo
      cappuccino e due buonissimi pasticcini di crema pasticciera e mandorle a ridarmi zuccheri
      e salute, poi decido di tagliarmi barba e capelli da un parrucchiere a doppia vetrina, vengo
      accolto e trattato da signore, ne esco pulito e rinnovato non solo nell’aspetto. Nei numerosi
      locali esterni dopo moltissimo tempo noto ragazze vestite all’occidentale, super curate e
      pure in minigonna, non posso negare di rimaner un po’ imbambolato da tanto contrasto
      dopo oltre un mese in paesi così distanti da questo stile. La sera a cena seguo il mio istinto
      e soddisfo la soglia di ramen giapponesi e il mio stomaco mi ringrazia, visto che ancora
      non sto bene di intestino, mi compro pure i fermenti lattici di cui ho bisogno poi passeggio
      la notte e prima di mezzanotte torno in stanza. Un gruppo di 4 ragazzi kazaki sono in
      stanza con me, facilmente loro ricordano il mio nome e con Nurlou 25enne grande, alto e

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      con gli occhiali cominciamo a chiacchierare, finisce che si parlerà fino a quasi le due di
      notte sul senso della vita, sulle preoccupazioni della sua età, delle aspettative della
      famiglia e della voglia di evadere e di trovare un senso o almeno una direzione alla sua
      vita, il discorso nonostante le sue continue scuse se stiamo affrontando argomenti così
      ‘pesanti’ mi interessa molto e cerco di tranquillizzarlo il più possibile sul suo futuro
      dicendogli di non avere fretta e che se può e vuole, come ha già fatto ascoltando i suoi
      racconti, di continuare a a viaggiare e a vivere esperienze così poi sarà più facile affinare
      la sua ricerca e scoprire quello che vuole ed è più giusto che lui che segua al di là delle
      aspettative altrui, lui come tutti ha il diritto di provarci a cercare di vivere al meglio la sua
      vita secondo i suoi sogni e desideri.

      Alle due di notte la stanza si riempie di un folto gruppo di altri uomini kazaki che sono in
      viaggio, per fortuna l’unico letto libero su 10 è proprio quello sopra la mia testa, chiudo la
      tendina e mi metto i tappi alle orecchie, il sonno dopo un po’ nonostante la confusione ha
      la meglio. I sogni saranno intensi e confus… sempre in viaggio … sempre in movimento.

      La mattina la direttrice dell’ostello mi guarda e quasi non mi riconosce, non solo il mio
      aspetto è diverso per i capelli corti e la barba curata appena accennata, ma da come dice
      lei stessa è la mia energia ad essere diversa, mi dice che oggi sono luminoso, mentre ieri
      ero cupo come se stessi male, così le racconto un po’ della mia storia e del perché son
      finito qui … anche lei mi ricorda che ho fatto bene a non continuare a seguire un qualcosa
      che alla fine mi faceva stare male. Si dimostra poi gentile e disponibile a cercare di
      aiutarmi a trovare una soluzione per andare altrove e cerchiamo dal suo computer diverse
      opzioni per uscire dal paese, ormai il percorso ovviamente per me è cambiato, non ha più
      senso la Mongolia, la scelta più ovvia è andare a Mosca, ho il visto russo valido e
      nonostante in vita ma ci sia passato almeno 3 volte diretto altrove in uno dei suoi aeroporti
      non sono mai sceso a visitarla, purtroppo però il biglietto aereo costa una follia, quasi
      quanto tornare direttamente in Italia via Bielorussia con scalo a Minsk, ma li nemmeno
      potrei scendere senza un visto… umm… i pensieri frullano nelle alternative, vado pure in
      un agenzia dove ci capiamo poco ma l’essenziale di cui abbiamo bisogno, nemmeno la
      possibilità di due giorni e mezzo in treno da qui fino a Mosca sono fattibili, fino ad oltre
      due settimane tutti i posti sono prenotati, siamo in altissima stagione e spostarsi verso la
      Russia naturalmente è la metà più ovvia da queste parti. Devo solo pazientare una
      soluzione la troverò come sempre, non devo solo farmi prendere dalla fretta, finalmente in
      verità devo ammettere che ora devo essere e sono contento, non ho un programma non ho
      ancora una meta, so solo la direzione verso la quale voglio andare e tornare: Europa!
      Finalmente libero dai programmi, riacquisto piano piano la sensazione di viaggiare come
      meglio so fare, sono qui ad Almaty la più grande città di quest’estesissimo ma poco abitato
      paese, devo solo star sereno e vedere cosa c’è qui fuori, poi in qualche modo la soluzione
      arriverà.

      Così parto per vedere un po’ la città e la prima cosa che mi attrae stavolta è un po’
      turistica rispetto al mio solito: Kok-Tobe hill una piacevole collina raggiungibile con una
      cabinovia (rotta all’andata e quindi raggiunta in bus) da dove si scorge uno splendido
      panorama sulla città, intorno numerose attività come ristoranti e i giochi da luna park,
      sono più moderni che nel confinante vicino Kirghizistan, ma solo di una decade direi.
      Vedere una statua con i Beatles e varie foto con “VIP” mondiali tipo Steven Segal che per
      chissà quale motivo è passato di qui mi fa sorridere, cercano in qualche modo di rendere
      più commerciale e appetibile questo luogo così distante da tutto il resto del mondo, la
      Russia e la Cina (seppur mal sopportata) sono i suoi due enormi sbocchi verso tutto il
      resto. Mangio una pizza e bevo succo di mela biologico, i prezzi sono più cari che negli

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      ultimi paesi, ma anche 4 volte più bassi se paragonati ai nostri in Liguria. Scendendo in
      cabinovia d’improvviso la pioggia cambia la luce e l’atmosfera per una mezz’ora, poi il sole
      torna a riscaldare, la giornata trascorre girando a zonzo qui e la, catturo scarse
      immagini… verso sera ritorno nell’ostello, incontro un po’ di gente con cui chiacchiero, tra
      cui una signora nata in questo paese, ma che vive in Olanda, che si occupa di progetti di
      sviluppo e interscambio culturale, ha anche vissuto per molti mesi in India ed ora sono solo
      due settimane che ha ripreso a vivere un ritmo di vita per molti normale, ma che lei meglio
      degli altri sa riconoscere come innaturale e alienante.

      Spendo un po’ di tempo a cercare una soluzione per il mio ritorno, non so come ma
      attraverso un sito internet particolare, trovo questa opzione: partenza -> Almaty – arrivo
      -> Ovunque in Europa… la prima opzione mi propone Vilnius in Lituania, per soli 175 euro
      con scalo nella capitale Astana, tutto il resto costa più del doppio e Milano oltre i 550. Ci
      rifletto un poco e poi decido di comprare velocemente il biglietto per dopodomani con
      partenza nella notte. Dalla Lituania in qualche modo poi tornerò a casa, l’avventura e il
      viaggio così continua, al resto ci penserò quando sarò là…

      Compro poi la cena al supermercato e mangio nella cucina sala dell’ostello, guardo
      l’orologio sul telefono e sono le 8, poi mi ricordo di couchsurfing, controllo che succede in
      città e guarda a caso proprio oggi questo venerdì c’è un meeting in programma dalle
      20:30, due altri italiani tra gli altri sembrano partecipare, la curiosità sale e così su due
      piedi decido di avventurarmi in quel punto d’incontro indicato, dovrò raggiungerlo senza il
      Wi-Fi inattivo fuori da qui ma niente di difficile.

      Scendendo alla reception incrocio una ragazza con la maglietta coolearth (associazione
      benefica sponsorizzata dal Mongol Rally) lì per lì mi viene voglia di attaccar discorso, ma
      poi mi freno, ormai io mi sento fuori da quell’esperienza, entrano altri ragazzi del team li
      saluto e gli sorrido ma non accenno a raccontare che fino a poco fa anche io correvo verso
      la loro stessa destinazione, il mio tragitto è ormai cambiato. Un viaggio non è mai né il
      punto di partenza né quello di arrivo, il viaggio è il percorso che si fa nel mezzo, così com’è
      la vita, non vorrei poter scegliere dove finirla, ma se mai la sensazione con cui finirla, cioè
      in pace. Ho solo cambiato il percorso, il viaggio continua ma in modo diverso.

      Uscendo incontro Nurlou che fuma una sigaretta con il suo amico con cui condividiamo la
      stanza, ci salutiamo e facciamo due chiacchiere, dopodiché decide di unirsi a me visto che
      gli ho raccontato che andrò ad un meeting con altri stranieri, il suo amico decide di
      fermarsi a riposare perché stanco. Il tempo di aspettarlo che si cambia e partiamo. Qui
      basta fare un gesto con la mano su una qualsiasi strada trafficata che qualcuno si ferma, si
      decide il prezzo che è molto economico e ci si fa portare dove si necessità, è un metodo
      assolutamente legale e non pericoloso, neppure per una ragazza sola a notte fonda.
      Qualcosa che nel mio paese di provenienza sarebbe pura follia.

      Sbagliamo il primo indirizzo per poi trovare il luogo giusto dall’altra parte della città.
      Nurlou parla un ottimo inglese che ha imparato tra film e soprattutto i video sui
      videogames, lavora per una società straniera di cripto monete, chiacchierare con lui è
      piacevole. Arrivati a destinazione scopriamo un locale enorme, il mio compare si sente un
      po’ a disagio perché non invitato, gli spiego che neppure io non conosco nessuno, ma che
      si starà come in famiglia senza filtri, di solito è così… finalmente dopo due grossi stanzoni
      e centinaia di volti, fuori sulla grande terrazza, si incontra il gruppo, riconosco subito un
      inglese che avevo visto alla biglietteria della cabinovia rotta con cui avevo scambiato due
      parole. Ehi man! I know you! Un caloroso saluto, mi introduco e presento il mio compagno
      kazako, nel giro di pochi attimi siamo ben inseriti e tutti chiacchieriamo allegramente con

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      caraffe di birra sul tavolo. Conosco Tiziana da Torino che è stata in missione umanitaria in
      Kirghizistan e che ora da una settimana gira da queste parti prima di ritornare in Italia,
      poi un’altro ragazzo italiano di Brescia che è venuto fino qui per fare sei mesi di pratica
      come chirurgo, la sua amica svizzera, un altro ragazzo dello stesso paese, una ragazza
      francese qui da quasi un anno, una del Belgio e due ragazzi inglesi. L’atmosfera è bella e
      rilassante, i due inglesi dopo molte chiacchiere con il kazako, decidono di uscire di scena,
      poco dopo decidiamo di fare lo stesso col compare, ma improvvisamente allo svizzero viene
      offerto da bere da un tipo al tavolo alla nostra sinistra, così nel giro di pochi minuti lui e il
      chirurgo si spostano a quel tavolo e noi veniamo invasi in ogni sedia possibile da altri
      locali, la cosa strana è che qui la gente è così poco abituata a vedere stranieri che né è così
      affascinata da cogliere ogni occasione, sciolta la riservatezza con un po’ d’alcool, da voler
      sinceramente approfittare di ogni opportunità per confrontarsi e praticare magari un po’
      di inglese. Così finisce che vedendo le tre ragazze attorniate da ogni lato da questi nuovi
      personaggi mi siedo in mezzo a loro e le avvicino dicendo che se non sono a loro agio
      troviamo una scusa e le porto via, mi dicono no siamo ok ma stai ancora un po’ qui. La
      serata continua in modo divertente e seppur la birra continua a scorrere nessuno si
      comporta in modo scorretto o fastidioso, alla fine si rimane fino a quando siamo tutti
      costretti, nazionali e non, ad uscire dal locale … lunghi e cerimoniosi saluti, poi abbracci
      con i compagni europei che ripetiamo a rotazione con i locali e ancora tra noi. È davvero
      tardi e con Nurlou torniamo in ostello, lui rimane impressionato dalla facilità del nostro
      modo di comunicare tra europei e mi parla delle differenze, del suo paese e del sogno di
      andare altrove, una storia che è poi uguale anche da noi, ad una certa età soprattutto è
      anche una cosa da fare se non altro per poter aprire di più la propria mente. Arrivati a
      destinazione salgo in stanza, lui invece mi dice che raggiungerà un suo amico da un altra
      parte. In quel momento capisco che tra alcool e videogiochi (per cui si alza anche la notte
      per continuare certe sfide) i suoi problemi da 25enne si risolveranno forse più lentamente
      di quello che avevo immaginato.

      Il giorno seguente visiterò la città più a sud, nel bazar e nelle zone meno belle, la
      differenza sarà subito evidente, osserverò parchi e monumenti alla memoria dei soldati,
      una chiesa ortodossa, un grande storico bagno pubblico dei tempi sovietici, prenderò poi la
      metropolitana nell’unica linea che ha, andrò fino ad un lago cittadino per vedere pochi
      bagnati e per me stranamente qualche donna pescare, la giornata sarà calda ma piacevole.

      Passerò l’ultima sera camminando ore e ore con Fer, una ragazza locale laureata in
      ingegneria ma che ama l’arte che è in contrasto con essa, sogna l’Italia da molto tempo e
      spera tanto di ottenere una borsa di studio per poter visitare il nostro paese di cui ha una
      visione rinascimentale quasi tenera, mangeremo sushi come fosse in una qualsiasi città
      occidentale nel mondo, mi accompagnerà a scoprire la città con occhi che non avevo
      ancora visto e sarà solo la stanchezza alle gambe a farmi rendere conto che tra nemmeno
      tre ore dovrò alzarmi e prendere un taxi per correre in aeroporto, così nonostante la
      bellezza della notte in questa città è la piacevole compagnia dovrò arrendermi alla realtà e
      salutare Fer augurandole di realizzare i suoi sogni, per tornare a chiudere lo zaino e
      stendermi 2 ore.

      Volare con la Scat Airlines sembra un taboo anche per i kazaki ma non è poi così
      terribile…

      “Vialogando On The Road” è il diario in cui Luca Negro racconta il suo Mongol Rally, da
      Savona alla Siberia: clicca qui per leggere tutti gli articoli

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