IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO (TFR) - Ivanoe Tozzi

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Ivanoe Tozzi

    IL TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO (TFR)

Premessa

   Nell’affrontare le questioni inerenti il Trattamento di Fine Rapporto si tiene conto che sulla problematica
ad esso inerente è stata richiesto di recente un pronunciamento all’Ifric 1 . Nel numero di aprile 2002 di Ifric
Update , al paragrafo dedicato ai Potential new agenda items si può leggere il seguente responso:

The following item was not added to the agenda:

      Employee benefits – Undiscounted vested employee benefits

    The Ifric considered the possibility of issuing guidance on whether vested benefits payable when an
employee left service could be recognised at an undiscounted amount (ie the amount that would be payable if
all employees left the entity at the balance sheet date). The Ifric agreed that it would not issue an
interpretation on this matter because the answer is clear under Ias 19: the measurement of the liability for the
vested benefits must reflect the expected date of employees leaving service and be discounted to a present
value.

    Di fronte al quesito, posto a suo tempo all’Ifric, circa la contabilizzazione del Trattamento di Fine
Rapporto secondo la prassi prevista dai Principi contabili del nostro Paese, ed i vigenti Ias, come si desume
dal testo pubblicato, si respinge l’ipotesi di formulare un’interpretazione, in quanto si ritiene che il tenore
dello Ias 19 sia tale da non richiedere alcuna precisazione. Si può, comunque, trarre la conclusione che si
debba adottare nella valutazione dell’indennità di fine rapporto, il criterio del valore atteso e scontato: è
evidente che la rappresentazione in bilancio oggi adottata in Italia non sarebbe conforme agli standard
internazionali così come formulati nello Ias 19.
    La posizione assunta dall’Ifric non costituisce una novità: infatti, nello stesso modo si era espresso
sostanzialmente il Sic (Standing Interpretation Committee)2 , secondo il quale era da considerarsi fatto
scontato che non necessita approfondimenti la classificazione del Tfr tra i post-employment benefits, previsti
dallo Ias 19 rivisto nel 1998, con le relative conseguenze
    La questione è affrontata nelle pagine seguenti di questo lavoro.

1 Il Trattamento di Fine Rapporto: sintesi delle norme vigenti

   E’ disciplinato dall’art. 2120 del Codice Civile, che prevede:
Ø la corresponsione al dipendente, alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato, di un trattamento,
calcolato in stretta relazione al tempo di impiego presso il datore di lavoro e alla retribuzione nel frattempo
percepita. Più precisamente, è stabilito che per ogni anno di servizio maturi il diritto a percepire una somma
pari alla retribuzione dell’anno divisa per 13,5, considerando proporzionalmente le frazioni di anno;
Ø l’incremento del trattamento complessivamente maturato da ciascun dipendente – con esclusione della
quota dell’anno – su base composta al 31 dicembre di ogni anno, secondo un tasso costituito da una
percentuale fissa dell’1,5 e da una variabile in misura del 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al
1
  La recente evoluzione degli enti deputati all’emanazione di Principi contabili Internazionali attribuisce all’International Financial
Reporting Interpretations Committee (Ifric) il compito di assistere l’International Accounting Standards Board (Iasb) nella
preparazione, revisione ed interpretazione degli Standard, istruendone il lavoro. I nuovi principi, che sostituiranno gradualmente gli
Ias attualmente vigenti, verranno quindi denominati Interanational Financial Reporting Standards (Ifrs). Attraverso il periodico
mensile Ifric Update vengono portati a conoscenza del pubblico gli esiti delle riunioni dell’Ifric.
2
    Notizia apparsa in News from the Sic n. 6, ottobre 1998.
consumo per le famiglie di operai ed impiegati, c.d. “indice Istat” in quanto accertato da questo Istituto per
l’anno appena trascorso;
Ø la possibilità per il dipendente, trascorsi 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, di chiedere
un’anticipazione nella misura massima del 70% del trattamento maturato alla data della richiesta; tale
richiesta può essere formulata a fronte di alcune e documentate esigenze di spesa del dipendente Le richieste
vengono annualmente soddisfatte entro un limite fissato nel 10% degli aventi titolo e del 4% del totale dei
dipendenti .I contratti di lavoro, collettivi o individuali possono prevedere condizioni di miglior favore,
nonché eventuali criteri di priorità nell’accoglimento delle richieste di anticipazione.
    La dottrina e la giurisprudenza hanno ribadito in più occasioni che, pur avendo funzione previdenziale il
Tfr conserva un carattere retributivo: esso costituisce una parte di retribuzione la cui corresponsione viene
differita, in linea di massima, al momento della cessazione del rapporto, allo scopo di agevolare al
lavoratore il superamento delle difficoltà economiche possibili, conseguenti a detta cessazione 3 .

2 Il Tfr e la sua rappresentazione in bilancio: legislazione vigente e Principi contabili italiani

2.1 Le norme del Codice Civile

    Ai fini del trattamento contabile del Tfr occorre considerare gli artt. 2424, 2424bis, 2425 e 2427 del
Codice Civile.
    L’art. 2424, disciplinando il contenuto dello stato patrimoniale prevede l’iscrizione alla voce C) del
Trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato, mentre alla voce B) Fondi per rischi ed oneri, al nr. 1)
prevede l’iscrizione di (fondi per) trattamento di quiescenza e obblighi simili.
    Le disposizioni relative a singole voci dello stato patrimoniale, contenute nel successivo art. 2424bis,
precisano tra l’altro:
Ø (comma 3) Gli accantonamenti per rischi ed oneri sono destinati soltanto a coprire perdite o debiti di
natura determinata, di esistenza certa o probabile, dei quali tuttavia alla chiusura dell’esercizio sono
indeterminati o l’ammontare o la data di sopravvenienza.
Ø (comma 4) Nella voce “trattamento di fine rapporto di lavoro subordinato” deve essere indicato
l’importo calcolato a norma dell’art. 2120.
    L’art. 2425 circa il contenuto del conto economico, indica alla voce B) costi della produzione, nr. 9)
(costi) per il personale, lett. c) trattamento di fine rapporto e lett. d) trattamento di quiescenza e simili.
    Lart. 2427 sul contenuto della nota integrativa stabilisce che essa deve indicare tra l’altro (nr. 4) le
variazioni intervenute nella consistenza delle voci dell’attivo e del passivo. In particolare, per i fondi e per il
trattamento di fine rapporto, le utilizzazioni e gli accantonamenti.

   Il quadro normativo è tale da lasciare a nostro avviso ben pochi dubbi su ciò che il legislatore vuole sia
rappresentato in bilancio e su come debba essere rappresentato in merito alle varie forme di compenso che il
nostro ordinamento contempla in relazione alla cessazione di rapporti di lavoro.
   Abbiamo infatti ritenuto opportuno richiamare anche le disposizioni riguardanti compensi diversi dal Tfr,
per avere una più adeguata idea sulla natura e sulle caratteristiche di quest’ultimo.
   L’ordinamento giuridico italiano conosce diverse forme di trattamenti connessi allo scioglimento del
rapporto di lavoro: sono diverse sia in relazione al tipo di beneficio cui danno luogo, sia in relazione al
contratto esistente tra impresa e apportatore di servizi personali. Possiamo osservare infatti, ad es., che altro
sono i fondi pensione, costituiti in aggiunta al trattamento previdenziale di legge o integrativi in base ad

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    Cfr. ad es. Giudice-Mariani-Izzo, Diritto del lavoro, pag 445.
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accordi aziendali, interaziendali o collettivi ed altro sono i compensi da corrispondersi alla cessazione del
rapporto di lavoro, sia subordinato (appunto il Tfr) sia di altro tipo, come il rapporto di collaborazione
coordinata e continuativa ovvero il rapporto di agenzia o di rappresentanza. E’ a nostro parere ben diversa
l’origine dei due diversi gruppi di benefici riconosciuti per disposizione normativa e/o per clausole
contrattuali alle varie categorie di personale: da un lato vi sono i trattamenti previdenziali, dall’altro vi è un
beneficio, che pur avendo, come più sopra ricordato, funzione previdenziale, rappresenta un elemento
differito di retribuzione: poiché questa distinzione ha un risalto a nostro parere decisivo nel problema che qui
si affronta, su di esso si tornerà anche in seguito.
    Un’altra classificazione è possibile operarla sulla base della certezza degli importi da corrispondere:
questo elemento differenziatore è prevalente nella redazione delle norme sul bilancio d’esercizio,
limitatamente, però, allo stato patrimoniale; nell’ambito del conto economico ha ricevuto almeno pari o
maggior risalto, la tipologia del rapporto di prestazione lavorativa, ovvero subordinata o autonoma. Tanto i
trattamenti previdenziali quali i fondi pensione aggiuntivi o integrativi, quanto i compensi diversi da quello
previsto dall’art. 2120 del CC per i lavoratori subordinati, hanno il carattere della certezza nell’esistenza, ma
non nell’ammontare o nella data di sopravvenienza; diversamente, il Tfr che, si badi bene, secondo l’art.
2425bis, è quello calcolato a norma dell’art. 2120, non ha, alla data di redazione del bilancio, alcun elemento
di incertezza. L’espressione spesso usata, e ripresa anche dal responso dell’Ifric, secondo la quale quello
calcolato al 31 dicembre è l’importo del Tfr che si dovrebbe corrispondere ai dipendenti nel caso in cui tutti
i rapporti di lavoro cessassero a quella data ha, a nostro parere, una portata ben più modesta di quella che
sembra essergli attribuita, appunto, dall’Ifric 4 . .Se infatti, da un lato, è meramente virtuale l’eventualità che i
rapporti di lavoro subordinato cessino tutti ad una stessa data, d’altro lato la legge precisando i termini
dell’istituto giuridico del Tfr non dà adito a dubbi: esso è un debito nei confronti del dipendente per una
quota di retribuzione a corresponsione differita indefinitamente (salvo anticipazioni) al momento in cui si
scioglie il rapporto di lavoro. Tale debito ha una liquidazione (nel senso della determinazione dell’importo)
annuale che include anche la maturazione di un interesse per il prestito forzosamente effettuato dal prestatore
di lavoro all’impresa, in virtù del differito pagamento di tale elemento retributiv o, ma il suo contenuto
fondamentale è strettamente connesso ai tempi d’impiego ed alla retribuzione spettante, tanto da
configurarsi, sostanzialmente, come un’ulteriore mensilità oltre a quelle previste contrattualmente (così deve
spiegarsene l’importo: la retribuzione annua diviso 13,5, circa cioè una mensilità media). Con la liquidazione
annua da effettuarsi con riferimento al 31 dicembre l’entità del Tfr è certa: incerta è solo l’epoca di effettivo
pagamento ma si tratta chiaramente di un vero e proprio debito, ancorché verso particolari soggetti. D’altra
parte anche un debito verso fornitori ha una scadenza che ne definisce la maturazione, ma non vi è la
certezza assoluta che il pagamento sia effettuato alla data prevista.
    Nella rappresentazione in bilancio dei valori riguardanti le indennità spettanti al personale e connesse
all’estinguersi del rapporto di lavoro, dunque, sono state date indicazioni tali da esporre in maniera distinta
gli importi, tanto di competenza economica dell’esercizio, nel conto economico, che quelli complessivi nello
stato patrimoniale: nel caso del Tfr, si tratta di elementi certi, la voce di CE rappresenta un elemento del
costo per il personale dipendente , a sua volta incluso del calcolo del costo della produzione ed è dato dalla
somma della quota maturata nell’anno in proporzione alle retribuzioni spettanti ai dipendenti e dalla
rivalutazione dell’entità preesistente del debito complessivo; la voce di SP deve intendersi come un debito
nel senso proprio del termine, rappresentato separatamente per il suo particolare rilievo nel sistema dei valori
economico-finanziari d’impresa e, si potrebbe aggiungere, per la sua rilevanza sociale nonché nel
complessivo sistema delle relazioni industriali

4
  In particolare, tale espressione aveva una maggior giustificazione nel contesto della disciplina che regolava l’istituto giuridico
precursore dell’attuale Tfr, prima della legge 29.5.1987 che introdusse nel CC le norme attualmente contenute all’art. 2120. Si tratta
della vecchia indennità di anzianità, nota anche come liquidazione o buouscita ecc.; sull’argomento si ritornerà oltre, trattando il
Principio contabile italiano.
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Altri trattamenti, denominati trattamenti di quiescenza e obblighi simili trovano posto, come s’è detto, tra
i fondi per rischi ed oneri, al n. 1 dei medesimi. Si tratta, nell’ottica – peraltro corretta – del legislatore, di
fondi cioè di valori incerti aventi nel nostro caso natura di quasi-debiti ovvero di debiti in cui è incerto un
elemento fondamentale, cioè l’importo. Nell’ambito dei fondi per rischi ed oneri sono gli unici che debbono
necessariamente trovare una indicazione separata rispetto ad altri, eventualmente presenti. Nello stato
patrimoniale compare quindi il presunto valore dell’entità di tali debiti, presunto in quanto dipendente da
ipotesi circa fatti che avranno luogo nel futuro. Il costo di competenza dell’esercizio, maturato in relazione al
formarsi del fondo di quiescenza o simile, trova esposizione tra i costi per il personale, in voce distinta (9d)
da quella (9c) corrispondente al Tfr: è un accantonamento ove con tale espressione si intende un valore
reddituale oggetto di stima o di congettura, la cui attendibilità risente dei processi adottati per la sua
misurazione, inesorabilmente gravata da soggettività. Nella voce 9d, però, vanno inclusi solo quegli
accantonamenti per fondi diversi dal Tfr e che riguardino personale dipendente; accantonamenti a fondi per
quiescenza riguardanti prestatori di lavoro che non sia qualificabile come subordinato (es. fondi per
collaboratori coordinati e continuativi, per rapporti di agenzia…) vanno inclusi nella voce B7 costi per
servizi5 .
    Ci preme qui sottolineare che, almeno per il Tfr, alla data del bilancio le circostanze per le quali il
compenso è dovuto al dipendente si sono già verificate: l’esistenza del debito non dipende dal fatto che il
rapporto di lavoro venga a cessare, ma dal fatto che è trascorso un periodo di tempo ne l quale si è avuto
rapporto di lavoro subordinato: ciò è a nostro avviso fondamentale per verificare come si debba riscontrare la
conformità della prassi nazionale di contabilizzazione con quella prevista dagli Ias. Ciò può valere, con
alcune limitazioni, anche per altri trattamenti connessi alla cessazione del rapporto di lavoro: non essendo
qui possibile estendere l’analisi, poiché occorrerebbe esaminare nel merito le diverse fattispecie, ci si limita a
quanto testè osservato.

2.2 Il Tfr nel Principio contabile n. 19: definizione e rilevazione

   I Principi Contabili italiani dedicano al Tfr le pagg. da 31 a 33 del Principio n. 19, I fondi per rischi ed
oneri - Il Trattamento di Fine Rapporto di lavoro subordinato - I Debiti, emanato nel settembre 19966 .
Articolato in una premessa ed in quattro paragrafi, dedicati alla Definizione, caratteristiche e rilevazione (E),
Classificazione (F), Valutazione (G) e alla Nota integrativa (H), dei quali il paragrafo G sviluppato in quattro
punti (I-IV), ad esso va riconosciuto, a nostro avviso, una proprietà di contenuto ed una linearità logica che
non sempre è dato ritrovare in questi Documenti. Indubbiamente la chiarezza delle norme giuridiche ha
facilitato il redattore del Principio, che però ha anche saputo ispirarsi ad una interpretazione rigorosa sotto il
profilo scientifico dell’Economia Aziendale e della Ragioneria.

    La piena conformità alla tradizione ragioneristica italiana del Principio nazionale si coglie
immediatamente nell’ambito del suo primo paragrafo, che vale la pena citare integralmente: “A fronte delle
indennità spettanti al personale dipendente in forza di legge o di contratto (art. 2120 del Codice Civile) al
momento di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, costituenti onere retributivo certo da iscriversi in
ciascun esercizio del conto economico con il criterio della competenza economica, deve essere esposto un
correlato debito nel passivo dello stato patrimoniale denominato ‘Trattamento di fine rapporto di lavoro
subordinato’. Tale debito, il cui pagamento viene differito al momento di cessazione del rapporto deve
corrispondere alla sommatoria delle indennità maturate da ciascun dipendente alla data di chiusura del
bilancio dell’esercizio”.
5
    Cfr. il Principio contabile n. 1 serie interpretazioni, pag. 12.
6
    Aggiornamento del documento n. 7 del 1981.
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Il testo si fa apprezzare oltre che per la chiarezza, per la corretta impostazione seguita: è dato infatti
immediato rilievo alla determinazione del risultato economico d’esercizio, che deve rimanere il vero
caposaldo nell’ambito delle molteplici esigenze conoscitive connesse al bilancio obbligatorio. La corretta
imputazione al CE , secondo il criterio della competenza economica, del costo certo relativo al Tfr maturato
nell’esercizio, conduce parallelamente a incrementare nello SP un debito, anch’esso certo nell’importo: che
dev’essere pari alla somma delle indennità maturate fino alla data del bilancio. Il pagamento di tale debito è
differito al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Se ne deve a nostro avviso escludere
l’interpretazione come di un trattamento retributivo la cui origine o causa è nella cessazione del rapporto di
lavoro, e quindi ad essa susseguente : come abbiamo già più volte ribadito, l’obbligo a corrispondere il
trattamento nasce contestualmente allo svolgersi del rapporto di lavoro.

      2.3 Il Tfr nel Principio contabile n. 19: classificazione

   Laconico il paragrafo dedicato alla classificazione del debito Tfr, poiché il dettato normativo non pone
alcun problema, prevedendo per esso un’apposita voce del passivo. Dubbi potrebbero sorgere in ordine alla
parte del complessivo debito che si conosce in effettiva scadenza nell’anno successivo a quello di redazione
del bilancio, circa la quale l’informazione è sicuramente significativa, in particolare ai fini delle analisi di
carattere finanziario: il problema è affrontato al IV punto del paragrafo seguente.

2.4 Il Tfr nel Principio contabile n. 19: valutazione

    In merito alla valutazione del debito per Tfr, il Principio riprende quanto disposto dal Codice Civile, che,
come già abbiamo illustrato, impone di conformare il calc olo a quanto previsto dall’art. 2120 del medesimo.
La congruità del debito è perciò asseverata se esso è pari alla somma delle indennità maturate dai dipendenti
alla data di chiusura del bilancio, al netto di eventuali acconti, “ e cioè se è pari a quanto si sarebbe dovuto
corrispondere ai dipendenti nell’ipotesi in cui a tale data fosse cessato il rapporto di lavoro”. Quest’ultima
precisazione ha, a nostro parere, piena comprensione solo in questo contesto e non è perciò appropriata la
critica implicitamente presente nell’affermazione dell’Ifric di cui s’è detto in apertura del presente
contributo, che, in un certo senso, ne altera la portata. Essa, infatti, suggerisce una verifica del valore del Tfr,
non la modalità “diretta” del suo calcolo, intendendosi con quest’ultima espressione una determinazione che
ne rappresenta quantitativamente l’origine ed il formarsi. Il piano dei valori non può mai discostarsi
concettualmente da quello del significato economico di ciò che si vuole rappresentare: deve escludersi
quindi, a nostro parere, un’attribuzione di valore al debito Tfr diversa da quella del suo valore nominale,
coerente con quanto logico ai fini della corretta individuazione del costo di competenza economica
dell’esercizio a cui è correlato il debito in questione. Il Principio nazionale 7 obietta ai “calcoli attuariali per la
determinazione del presunto valore futuro ad una presunta data media di cessazione del rapporto di lavoro”
di essere soggetti al rischio di inattendibilità, a causa “dell’altissimo numero di fattori incerti ed aleatori” che
necessariamente dovrebbero essere impiegati in questo caso: pur condividendo questa obiezione, a noi pare
che, ancor prima, siano le ragioni già addotte ad impedire una diversa valutazione dell’oggetto di cui stia mo

7
    Nota 23, pag. 32.
                                                                                                                     5
trattando. E’ bene forse al proposito rammentare che la normativa vigente prima del 10-6-1982 prevedeva
che l’indennità di anzianità si calcolasse moltiplicando il numero di anni di servizio per l’ultima mensilità di
retribuzione. Tale modalità di calcolo, oltre ad una diversa regolazione dell’istituto, portava a maggiori dubbi
sulla valutazione del latente debito, poiché esso non poteva ritenersi “certo”. Il Principio contabile n. 7
prevedeva che si procedesse alla determinazione dello “stanziamento” della voce del passivo, ritenendolo
“congruo quando corrisponde al totale delle singole indennità maturate dai dipendenti alla data di chiusura
del bilancio e cioè se è pari a quanto si sarebbe dovuto corrispondere ai dipendenti nell’ipotesi in cui a tale
data fosse cessato il rapporto di lavoro”. La formulazione, riproposta come abbiamo visto anche nel vigente
Principio n. 19, aveva sicuramente una maggior portata nel vecchio regime, poiché escludeva l’ipotesi di far
incidere sul calcolo del debito i futur i aumenti retributivi, in modo da spalmare nel tempo le conseguenze
reddituali di essi: siamo dell’idea che diverso sia il significato da attribuire oggi al testo più volte citato.
    Oltre che alla “storia” del Tfr, l’attuale funzione di verifica del calcolo di cui stiamo parlando è
confermata da quanto previsto dal punto III del paragrafo G sulla valutazione del debito per Tfr: esso prende
in esame il caso in cui i contratti di lavoro siano scaduti prima della data del bilancio: se le conseguenze del
rinnovo sul Tfr sono ragionevolmente stimabili occorre adeguare l’accantonamento: in ogni periodo quindi la
quota di accantonamento (CE) deve essere tale da consentire l’adeguamento del valore complessivo del Tfr
(SP) “al valore come sopra menzionato”, cioè quello pari alle somme da corrispondersi nell’ipotesi della
cessazione del rapporto alla data del bilancio.
    Il Principio raccomanda che le quote di indennità pregressa generate da rinnovi contrattuali o da altri
eventi siano fatte gravare sull’esercizio da cui inizia il periodo regolato dal nuovo contratto ovvero in cui s’è
verificato l’evento che ha prodotto la quota di indennità pregressa: è esclusa la possibilità di differire al
futuro tale maggior indennità attraverso una voce dell’attivo.

    Di grande interesse per il confronto con pratiche diffuse in contesti economici diversi da quello italiano -
e che probabilmente sono stati tenuti maggiormente presenti dal redattore degli Ias – è il caso, previsto al
punto G.III, in cui il datore di lavoro abbia stipulato con soggetti terzi polizze a copertura del Tfr, con
versamento a tali soggetti delle indennità annualmente maturate (melius: degli accantonamenti, cioè delle
quote comprensive della rivalutazione del pregresso). Anche se idealmente correlata all’esigenza di garantire
ad impresa e dipendente la sicurezza dell’effettiva disponibilità liquida al momento – futuro ed incerto –
della cessazione del rapporto di lavoro, l’operazione in esame è distinta dalla formazione del debito, e
rappresenta un investimento mobiliare. Ne deriva, logicamente, la raccomandazione, da parte del Principio
nazionale, di rilevare per essa un credito immobilizzato verso la compagnia assicuratrice, per l’importo del
premio ad essa corrisposto Ne consegue, inoltre, che vanno rilevati annualmente gli incrementi del credito
prodotti nell’ambito del contratto assicurativo, incrementi che, nell’aspetto reddituale, hanno contropartita in
una “sopravvenienza attiva di carattere finanziario” 8 . La distinzione contabile delle due operazioni, oltre ad
essere coerente con il profilo giuridico dei rapporti, è pienamente condivisibile sul piano ragioneristico,
poiché la correlazione tra il debito e la sua copertura è solo ideale 9 : risalta in questo modo anche il profilo
finanziario del Tfr, come pure per quanto trattato nel punto successivo.
    Al numero G.IV si enuncia, infatti, che, per contratti di lavoro già cessati alla data di bilancio, per i quali
il pagamento del Tfr sia già scaduto o scadrà ad una data determinata dell’esercizio successivo, “soddisfano i

8
  Così si esprime il Principio contabile nazionale: si deve perciò concludere che tale provento vada esposto nella voce C16a – (Altri)
proventi finanziari da crediti iscritti nelle immobilizzazioni
9
  Essa può ricordare il fenomeno - noto in dottrina - delle c.d. “riserve coperte”, cioè della presenza nell’attivo di poste di
investimento idealmente correlate a poste di patrimonio netto, tipicamente riserve: se erroneamente interpretata, l’ideale correlazione
tra tali voci porterebbe a concludere che quelle specifiche riserve, e quindi tutte le parti ideali del netto, trovano “concreto
investimento” in singoli ed individuabili elementi dell’attivo (tangibile), una conclusione evidentemente assurda.
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criteri per essere considerati debiti e vanno quindi indicati nello stato patrimoniale nella voce D.13, qualora
di ammontare significativo”.

2.5 Il Tfr nel Principio contabile n. 19: informazione integrativa

    Le informazioni da inserire nell’ambito della Nota integrativa, elencate al punto H, riguardano:
a) i movimenti del debito;
b) le coperture assicurative eventualmente esistenti;
c) i pagamenti eventualmente previsti per l’anno a venire.
    Circa i movimenti occorre fornire stanziamenti ed utilizzi del periodo, così da evidenziare le cause della a
variazione intercorsa nell’esercizio.
    Se esistono polizze assicurative a copertura del Tfr occorre precisare in quale voce dell’attivo sono stati
inclusi i corrispondenti crediti.
    I pagamenti di cui si chiede menzione sono quelli eventualmente previsti nell’anno successivo
all’esercizio cui si riferisce il bilancio, e relativi a rapporti di lavoro attualmente non ancora cessati: essi
vanno, appunto, menzionati nell’informazione integrativa qualora siano di ammontare significativo.

2.6 Alcune considerazioni

    A margine di quanto dettato in tema di Tfr dai Principi contabili nazionali, pare opportuno presentare, in
termini essenziali, la lettura economico-aziendale “pura” del fenomeno, utile in particolare ai fini della sua
interpretazione sul piano dei valori, quindi nell’ambito scientifico, ancora più definito, della ragioneria 10 . La
dottrina più attenta qualifica l’indennità annua maturata come un costo di competenza dell’esercizio in cui si
acquisisce ed impiega il fattore lavoro, ed il connesso debito come debito di regolamento o funzionamento;
quest’ultimo poi appartiene alla classe dei finanziamenti indiretti.
    Come noto, questi finanziamenti si distinguono da quelli diretti (debiti di finanziamento ) poiché questi
ultimi vengono fatti sorgere allo specifico fine di raccogliere mezzi finanziari, rappresentando quindi la
nascita del debito l’oggetto stesso dell’operazione, e le sue modalità e termini di svolgimento l’oggetto della
negoziazione tra le parti interessate.
    I debiti di regolamento, al contrario, sono conseguenti alle modalità con cui l’impresa regola altre
operazioni di scambio, volte all’acquisto di fattori o alla vendita di prodotti. I debiti di regolamento pur
avendo in comune con gli altri debiti la funzione di finanziare indistintamente gli investimenti in atto
nell’impresa, non nascono però come oggetto diretto dell’operazione che li vede coinvolti.
    La particolarità del debito per Tfr, rispetto agli altri debiti di regolamento, come quelli derivanti dal
differito pagamento di fattori produttivi diversi dal lavoro subordinato o dall’incasso di anticipi da clienti sta
nel fatto che non è la volontà delle parti contraenti a decidere sulla posticipazione del pagamento di quel
particolare elemento della retribuzione complessiva, bensì la legge. Altra caratteristica peculiare di questo
debito di regolamento è che la sua onerosità pur essendo implicita, diversamente da quanto di norma accade
nel caso di altri finanziamenti indiretti, è tuttavia “esplicitabile”, quindi nota: il che potrebbe condurre ad una
riflessione sulla qualificazione economica e sulla rilevazione della parte di indennità annua rappresentata
dalla rivalutazione del debito pregresso. Secondo alcuni, infatti, e non senza ragione, ta le costo sarebbe da
intendersi come onere finanziario (interesse passivo) e non come costo del personale; rafforzerebbe tale
10
  Intesa come attività volta a convertire gli andamenti economici in cifre, secondo il pensiero di Ceccherelli; ovvero di disciplina
avente con altre in comune l’oggetto di studio, ma in proprio caratterizzata dall’intento di eseguire calcoli significativi di andamenti
economici, patrimoniali e finanziari delle unità economiche (Campanini)
                                                                                                                                      7
opinione il peso che l’entità del debito assume, in special modo nelle imprese con elevato numero di
dipendenti, per le quali questa fonte di finanziamento, ancorché indiretto, costituisce una risorsa di primaria,
indubbia importanza

3 Il Tfr ed i Principi contabili internazionali Ias

3.1 Individuazione della fattispecie nell’ambito del Principio Ias n. 19

   Emanato, nella forma attuale, nel 1998, lo Ias 19 ha lo scopo di indicare le modalità di rilevazione dei
“benefici” per i dipendenti, richiedendo

a) la contabilizzazione di una passività quando un dipendente ha svolto attività lavorativa in cambio di
   compensi futuri;
b) la contabilizzazione di un costo quando l’impresa utilizza i “benefici economici” derivanti da attività
   lavorativa svolta da un dipendente in cambio di un compenso.

c) Esso individua cinque categorie di benefici per i dipendenti:

d)   compensi a breve termine (short-term employee benefits)
e)   compensi successivi al rapporti di lavoro (post-employment benefits)
f)   benefici a lungo termine diversi per i dipendenti (other long-term employee benfits)
g)   indennità di fine rapporto (termination benefits)
h)   compensi retributivi legati al patrimonio netto (equity compensation benefits).

    Dati gli obiettivi (e i limiti) del presente contributo, che non intende affrontare sistematicamente l’intera
materia delle retribuzioni del fattore lavoro, bensì limitarsi a considerare il problema del Tfr nel quadro
dell’armonizzazione contabile, si ritiene opportuno, per una migliore e più agevole prosecuzione dell’analisi,
precisare immediatamente il contenuto della classe d) dell’elenco di cui sopra.
    A dispetto, infatti, dell’espressione scelta (incautamente?) dal traduttore italiano, che può indurre il
lettore superficiale, ad identificare l’indennità di fine rapporto dello Ias con il nostro Tfr, tale elemento ha
un’origine diversa. Per indennità di fine rapporto infatti si intendono qui quei compensi che il datore di
lavoro eroga al dipendente a causa della decisione unilaterale di troncare il rapporto; ovvero di quei
compensi che il dipendente decide di accettare assieme alla proposta di dimissioni volontarie. Come si può
vedere, quindi, una fattispecie che, pur dando luogo ad un’erogazione di compensi in occasione della
cessazione del rapporto di lavoro, ha una motivazione risarcitoria ed una funzione incentivante di tale
cessazione, non un’origine retributiva od una funzione previdenziale.
    Si può pertanto escludere dalla possibilità di riferirsi a quanto previsto dallo Ias 19 nei paragrafi da 132 a
143 per la contabilizzazione del Tfr.

   Premesso che sono compensi tutte le remunerazioni erogate in cambio del lavoro svolto dai dipendenti,
per compensi a breve termine (a) devono intendersi quelli dovuti interamente entro dodici mesi dal termine
dell’esercizio in cui il lavoro è stato svolto, fatta eccezione per l’indennità di fine rapporto e per i compensi
legati al patrimonio netto.
   Sono citati quali esempi
Ø salari, stipendi e contributi per oneri sociali
Ø assenze retribuite quali quelle per malattie e le ferie annuali
                                                                                                                8
Ø partecipazioni agli utili e incentivi
Ø compensi in natura come assistenza medica , auto aziendale, servizi gratuiti o a prezzi ridotti.

    La categoria (b) compensi successivi al rapporto di lavoro include tutti quei compensi, diversi dal
l’indennità di fine rapporto e dai compensi legati al patrimonio netto, dovuti dopo la conclusione del rapporto
di lavoro.
    Si tratta ad es., di:
Ø trattamenti previdenziali, quali pensioni
Ø altri trattamenti, quali assistenza medica o assicurazione sulla vita
    erogati dopo che il rapporto di lavoro è terminato.
    Questa categoria di compensi è normalmente prevista in base ad accordi che danno luogo a due distinti
tipi di programma:
Ø a contributi definiti
Ø a benefici definiti.
    Nel primo tipo di programma l’impresa versa ad un ente terzo (generalmente un fondo) i contributi
finalizzati ai compensi da erogare dopo la cessazione del rapporto di lavoro, trasferendo così a questo ente
l’obbligo di corrispondere in futuro i medesimi compensi. In tal modo, se il fondo non avrà risorse sufficienti
a garantire il livello, a suo tempo previsto di prestazioni successive al rapporto di lavoro, nulla è dovuto
dall’impresa per tale deficit di benefici: il rischio di (parziale) inadempimento viene a gravare sui dipendenti,
l’impegno dell’impresa è limitato ai contributi da versare nel corso della vita lavorativa.
    Nel secondo tipo di programma, che può anche non comportare il ricorso ad un terzo operatore, l’impresa
si impegna a corrispondere un livello definito di benefici: se al momento in cui si devono erogare i benefici
al dipendente il fondo al quale si è fatto ricorso (e che aveva percepito contributi) non fornisce il livello
previsto di compensi, l’impresa deve colmare la differenza in proprio. Essa mantiene quindi un rischio
correlato alla capacità del fondo di gestire le risorse finanziarie raccolte in moda da soddisfare i trattamenti
concordati. Anche se, come si è detto, è possibile che l’impresa non faccia ricorso al fondo i programmi a
benefici definiti, e quindi che preferisca mantenere al suo interno i mezzi finanziari corrispondenti ai virtuali
contributi, è poco probabile che questo avvenga. Ad avviso di taluno, il Tfr italiano è da inquadrarsi in questa
categoria, dei programmi a contributi definiti, con quel che ne consegue in termini di rilevazione contabile 11 .
    A noi pare di dover, sommessamente, dissentire da questa opinione:
Ø in primo luogo tanto i programmi a contributi definiti quanto quelli a
benefici definiti riguardano, tipicamente, compensi di carattere previdenziale, quali pensioni , o particolari
servizi di assistenza da corrispondere dopo e non in occasione della cessazione del rapporto di lavoro. La
distinzione non pare oziosa, poiché chiama in causa la diversa origine e funzione del Tfr e dei post-
employment benefits.
Ø L’intervento di un soggetto terzo, anche se a nostro modo di vedere in
questo caso non indispensabile, è normalmente attuato12 e rende, sempre a nostro avviso, del tutto difforme
questa tipologia di compensi dal Tfr. Ciò vale, a maggior ragione, qualora lo Ias venga letto nel senso di
prevedere positivamente, anche per i programmi a benefici definiti (così come per quelli a contributi
definiti) la presenza del terzo gestore del fondo 13 . Si potrebbe obiettare che il nostro ordinamento non
11
   Cfr: Casò, rubrica Principi contabili, in Rivista dei dottori commercialisti, n, 6, giugno 2002, pagg. 543 ss.
12
   Il complesso delle indicazioni fornite dallo Ias 19, paragrafi 48-125, pere i programmi a benefici definiti rende ragione del fatto
che tale fattispecie ha svolgimento compiuto in presenza del ricorso ad un fondo.
13
   Si veda ancora l’articolo citato in nota 10, secondo il cui estensore “Lo Ias 19 afferma che i compensi ai dipendenti della tipologia
dei post-employment benefits possono essere erogati nella forma dei defined contribution -plan (o piani a contributi definiti) ovvero
dei defined benefits plan (o piani a benefici definiti). In entrambi i casi il datore di lavoro effettua dei pagamenti ad un’entità
legalmente separata, generalmente un fondo pensione, che, al termine del rapporto di lavoro, provvede ad erogare i benefici
economici ai dipendenti per conto dei quali le erogazioni si sono pagate”, Ibidem, pag. 546.
                                                                                                                                      9
esclude forme, quali le polizze assicurative, che vedono innestarsi, a lato della maturazione del debito per
Tfr, un’operazione di investimento. Quello che distingue le due situazioni, in effetti, non è tanto la forma
tecnica di copertura di future provvidenze, in Italia forse meno evoluta: è la visione economico-aziendale
sottostante che, nel caso degli Ias vede l’intreccio delle due operazioni, quella di formazione di
un’obbligazione verso i dipendenti e quella di programma di attività volta al suo finanziamento, che, alla
luce dei nostri princìpi, è inaccettabile. Su tale aspetto si avrà comunque modo di tornare in seguito.
a) Depone infine, in modo a nostro avviso risolutivo, contro l’inserimento
del Tfr nell’alveo dei programmi a benefici definiti quanto espressamente previsto circa il contenuto della
classe successiva di compensi (c), dallo Ias medesimo.

   I benefici a lungo termine diversi (other long-term benefits) includono
Ø assenze a lungo termine retribuite, permessi legati all’anzianità di
servizio, disponibilità di periodi sabbatici
Ø anniversari o altri benefici a lungo termine
Ø benefici a lungo termine per invalidità
Ø partecipazioni agli utili e incentivi pagabili dodici mesi e più dopo l
chiusura dell’esercizio nel quale i dipendenti hanno svolto il lavoro relativo
Ø retribuzione differita corrisposta dodici mesi e più dopo la conclusione
dell’esercizio nel quale è stata guadagnata
   L’ultima caso ele ncato14 appare a nostro avviso corrispondere alla fattispecie del Tfr15 .
   Nulla avendo a che fare, come si evince dal titolo, i compensi correlati al patrimonio netto, dapprima
elencati al punto (e), ed avendo già chiarito che, nonostante l’affinità di denominazione, l’indennità di fine
rapporto di cui allo Ias 19 ed elencata al punto (d) non è una fattispecie simile al Tfr, nessun dubbio può
sorgere a questo punto circa la sua classificazione nell’ambito Ias: rimane ora da prendere in esame le
modalità per il trattamento contabile dei benefici a lungo termine diversi, enunciate ai paragrafi 126-131.

3.2 Rilevazione e valutazione

    L’esposizione in bilancio e la valutazione dei benefici a lungo termine diversi, pur enunciata a parte,
sostanzialmente ricalca quella prevista per i benefici a contributi definiti, a cui si rimanda sistematicamente.
La filosofia sottostante la valutazione è centrata su alcuni punti:
Ø impiego dei valori attuali alla data di bilancio
Ø compensazione con i valori di attività (se presenti) finalizzate alla futura
erogazione dei benefici
Ø distinzione dei costi di lavoro dagli “oneri finanziari”
    Le implicazioni teoriche di una siffatta impostazione saranno, in sintesi, affrontate più avanti: ora ci
preme esaminare quale dovrebbe essere, alla luce delle indicazioni Ias, la modalità di rappresentazione e
valutazione del Tfr. Dal momento che questo istituto non prevede necessariamente (come d’altra parte può
accadere per gli stessi programmi a benefici definiti) l’esistenza di un connesso programma di investimenti,
si trascura tutto il problema (rilevantissimo, in caso contrario) degli effetti che esso avrebbe sul processo di
valutazione e sulla stessa rappresentazione.

14
   Ias 19, n. 126, il corsivo è nostro.
15
   Anche il testo originale non lascia dubbi: deferred compensation, paid twelve months or more after the end of the period in wich it
is eearned.

                                                                                                                                  10
Per quanto attiene alla nostra fattispecie, quindi, punto di partenza è la valutazione al valore attuale alla
data di bilancio dell’obbligazione futura; segue la determinazione del costo previdenziale (= di lavoro)
relativo alle prestazioni di lavoro correnti; da esso vanno distinti gli oneri finanziari.
   Per accelerare la trattazione si fa ricorso ad un esempio; le modalità (in particolare: l’iter operativo) con
cui desumere i valori non sono del tutto corrispondenti a quanto esposto negli esempi riportati nello Ias, ma
traducono, ci pare correttamente, la logica sottostante.

   Si supponga che un dipendente sia stato assunto all’inizio dell’anno 1, che la sua permanenza
nell’impresa sia stimata in 5 anni, durante ciascuno dei quali matura una quota annua di Tfr di 1.000, e che in
questi anni il tasso di inflazione si attesti al 2% 16 : vediamo quali sono i valori (che chiameremo nominali)
del costo e del debito per Tfr per i vari esercizi

     Tabella 1
                           Anno 1             Anno 2       Anno 3          Anno 4          Anno 5
A. Debito Tfr                  0               1.000        2.030           3.091           4.184
a inizio
periodo
B. Costo                    1.000             1.030        1.061            1.093           1.125
d’esercizio 17
C. Debito Tfr               1.000             2.030        3.091            4.184           5.309
a fine periodo
     I valori sono stati arrotondati.

   Per applicare quanto raccomandato dallo Ias, oltre alle ipotesi già fatte circa la durata del rapporto di
lavoro e la retribuzione differita, al valore nominale, di ogni anno, occorre individuare un tasso di sconto,
con riferimento ai rendimenti di mercato alla data di chiusura del bilancio d’esercizio di titoli di aziende
primarie. Anche a questo proposito, trascuriamo per ora gli aspetti teorici per esaminare quelli operativi.
Ipotizzando, ai fini del nostro esempio, di applicare un tasso di sconto del 6%, si ottengono i seguenti valori

     Tabella 2
                                    Anno 1       Anno 2      Anno 3       Anno 4        Anno 5
     A. Valore attuale                0           792        1.704        .2.751        3.947
obbligazione iniziale
     B. Valore attuale                  792       1.704      2.751         3.947         5.309
obbligazione finale
     C. Differenza tra                  792        912       1.047         1.196         1362
valore attuale finale e
iniziale
     D. Costo previdenziale             792        865        944          1.031         1.125
     (= di lavoro)
     E. Oneri finanziari                 0            47      103           165           237
      I valori sono stati arrotondati.

16
   Come conseguenza di questa ipotesi, il tasso da applicare per la rivalutazione del debito pregresso è pari a
                                                 1,5 + 75 / 100 * 2 = 1,5 + 1,5 = 3%
17
   Dato, in ogni periodo, dalla somma di 1.000 + il 3% del debito pregresso.
                                                                                                                  11
I valori inseriti nelle righe A e B di Tabella 2 sono stati ottenuti scontando al tasso composto del 6% i
corrispondenti valori nominali del debito Tfr (tabella 1): in B troviamo quindi il valore richiesto per la
passività da inserire nello stato patrimoniale, secondo l’impostazione Ias. E’ altresì possibile desumere, per
differenza B –A, l’importo complessivo che deve gravare sul conto economico: tale importo è indicato alla
riga C. Secondo lo Ias, però, esso è formato da due valori, che devono pertanto essere individuati e
rappresentati separatamente: costi di lavoro ed oneri finanziari. Il primo dei due, inserito nella riga D, può
essere calcolato scontando al tasso già applicato per il debito, il valore nominale del costo d’esercizio
(Tabella 1, riga B) quale si calcolerebbe in assenza del processo di attualizzazione; per differenza poi, si
perviene al calcolo degli oneri finanziari, inseriti nella riga E (= C – D). Gli oneri finanziari corrispondono in
ogni anno, al prodotto del tasso di sconto per il valore attuale iniziale dell’obbligazione, e quindi potrebbero
essere calcolati anche direttamente.
    Pertanto, nei cinque anni, avremmo la seguente rappresentazione in bilancio

                                                       Anno 1
                                     CE                                        SP

                Costi lav.    792                                              Debito Tfr   792
                Oneri finanz.   0

                                                       Anno 2
                                     CE                                        SP

                Costi lav.    865                                              Debito Tfr 1.704
                Oneri finanz. 47

                                                       Anno 3
                                     CE                                        SP

                Costi lav.   1.047                                             Debito Tfr 2.751
                Oneri finanz. 103

                                                       Anno 4
                                     CE                                        SP

                Costi lav. 1.031                                               Debito Tfr 3.947
                Oneri finanz. 165
                                                                                                               12
Anno 5
                                           CE                                                      SP

                    Costi lav    1.125                                                             Debito Tfr 5.309
                        Oneri finanz.
                    237

    Come si può notare:
         -        oltre alla ripartizione su due voci di quello che nella rappresentazione tradizionale 18 è un
     unico componente negativo di reddito, siamo anche, e soprattutto, alla presenza di un’assai diversa
     distribuzione nel tempo del complessivo importo della retribuzione differita. Naturalmente gli effetti di
     tale diversa distribuzione dipendono dall’entità del tasso di sconto e dalla durata, ipotizzata, del rapporto
     di lavoro, ma è altrettanto evidente che, ceteris paribus, si risolve comunque in uno spostamento avanti
     nel tempo di costi ed in una sopravalutazione del reddito operativo; tale sopravalutazione. dovuta
     soprattutto alla scorporazione di cosiddetti “oneri finanziari” connessi al processo di attualizzazione, si
     accentua nei primi anni poiché si somma ad essa l’effetto della posticipazione di costi a periodi più
     lontani;
Ø il valore (attuale) del debito è, sistematicamente inferiore al suo valore nominale 19 , con conseguente
sopravalutazione del patrimonio netto di funzionamento fino all’epoca della cessazione del rapporto di
lavoro;
Ø elevatissima è la probabilità di generare componenti erratici, oneri o proventi straordinari, in relazione
alla massa di mere ipotesi che sottostanno all’applicazione di questa metodo valutativo: ipotesi sulla durata
del rapporto, ipotesi sull’andamento del tasso d’inflazione e sulla retribuzione ordinaria (vanno previsti
poiché entrano nel calcolo della retribuzione annua differita), ipotesi sul tasso di sconto 20 .

4 Problemi di merito e problemi di metodo

   Quanto si è fin qui esaminato induce a concludere con alcune considerazioni critiche: tanto di metodo,
inerenti il più generale contesto della progressiva armonizzazione dei Principi contabili, quanto di merito,
cioè riguardanti il particolare tema che in questa sede si è voluto affrontare. Partiamo da queste ultime.
   Occorre prendere atto che sono del tutto incompatibili con alcuni principi di fondo consolidati nella nostra
dottrina le scelte operate nell’ambito dello Ias 19 e riguardanti, quindi, non solo un elemento particolare del
costo del lavoro, come il nostro Tfr, ma potenzialmente anche tutti gli altri. Opzione fondamentale dello Ias
19 è, infatti, quella della rilevanza, ai fini della rappresentazione e valutazione in bilancio, dell’epoca di

18
   I valori coerenti con l’impostazione tradizionale sono gli stessi riportati in Tabella 1, alla riga B (valori di CE) e C (valori di SP).
19
   D’altra parte ciò è, essendo insito nel metodo adottato
20
   Ancora più numerose le ipotesi da assumere nell’ambito dei programmi a benefici definiti, per i quali, come s’è detto, siano
previsti investimenti correlati: in tal caso occorre introdurre dati inerenti interessi, dividendi, perdite o profitti in corso di maturazione
originati dal programma di attività, con tutte le connesse stime e congetture.
                                                                                                                                          13
pagamento delle retribuzioni spettanti ai dipendenti per le prestazioni di lavoro. Le retribuzioni corrisposte 21 ,
e non, si badi bene, maturate, entro 12 mesi dalla chiusura dell’esercizio sono considerate al valore nominale
- melius: esse non devono essere scontate col processo di attualizzazione – mentre a quelle corrisposte oltre
tale limite devono essere applicati valori attuali, scontati. A nostro modo di vedere questa posizione
confonde le esigenze connesse a due diverse classi di indagini, quella di tipo reddituale e quella di tipo
finanziario. La distinzione dei valori economici di fattori produttivi rispetto al tempo ha significato solo se
associata all’utilità da essi generata, a sua volta incidente sul concorso alla formazione del reddito di periodo.
Si consideri nuovamente il caso di specie esaminato: il costo delle quote di Tfr annualmente maturate in virtù
del lavoro svolto dal dipendente non può essere rinviato ad epoche successive , come invece avviene
attraverso il processo di attualizzazione, a motivo del posticipato pagamento di tale parte del complessivo
compenso. E’ ben noto anche alla nostra dottrina, come già s’è avuto occasione di dire, il fenomeno degli
oneri finanziari impliciti, cioè degli effetti che diversi termini di pagamento dei fattori produttivi hanno sul
loro prezzo d’acquisto: ci pare però che l’attualizzazione, proposta dallo Ias, non sia compatibile con la
pratica di scorporo di detti oneri impliciti. Tale pratica, infatti, avrebbe senso compiuto solo se adottata in
maniera sistematica, quindi estesa a tutti i fattori della produzione; essa, tra l’altro, sarebbe verosimilmente
più incisiva proprio per i casi che, in linea di massima, lo Ias sembra escludere, cioè per gli acquisti il cui
pagamento, pur non essendo immediato, si mantiene entro il convenzionale breve periodo (12 mesi). E’
infatti noto che proprio il differito pagamento di fattori a rapido rigiro (come materie o merci o anche servizi)
generi frequentemente, forse normalmente, oneri finanziari impliciti nel prezzo-costo d’acquisto. Infine, ci
pare che a distinguere il concetto nostrano di oneri finanziari impliciti da quello di oneri finanziari che
emergono dai processi di sconto proposti dallo Ias sia anche la scelta del tasso da applicare: nella nostra
visione gli oneri finanziari impliciti sono conseguenti ad una modalità precisa di “finanziare” determinati
acquisti, e quindi il tasso non può essere, almeno in linea teorica, ricercato in valori di mercato. Esso
dovrebbe essere, in qualche modo desumibile nell’ambito della singola operazione 22 , oppure ricavarsi come
frutto di calcoli medi relativi al complesso delle operazioni svolte dalla singola impresa, cioè in base a dati
endogeni e non esogeni23 . Il ricorso a tassi di mercato, rappresentativi, tra l’altro, di rendimenti, ancorché di
titoli obbligazionari, induce a considerare gli “oneri finanziari” così individuati prossimi al concetto di costo-
opportunità, che, come è noto, è razionalmente impiegato in determinazioni, solitamente a carattere
preventivo, ispirate da obiettivi conoscitivi che nulla hanno a che avere con quelli del bilancio d’esercizio,
determinazione consuntiva per antonomasia E’ opportuno infine, rammentare che, anche qualora si ritenesse
compatibile questa impostazione con l’esigenza di scorporare oneri finanziari impliciti, occorrerebbe
procedere, per evidenti ragioni logiche, ad attuare analoga scorporazione per i proventi finanziari impliciti
Tale esigenza, in effetti, è stata a suo tempo recepita dallo Ias 18 sui Ricavi24 , dove si suggerisce di trattare
come interessi attivi quegli importi che derivano dal differimento del prezzo di vendita: si fa quindi
riferimento al valore corrente dei beni ceduti ed agli strumenti – ad es. titoli di credito – accettati come
forma di pagamento alternativa alle disponibilità liquide e che si prestano a posticipare l’esecuzione
monetaria dello scambio L’enfasi però appare minore di quella usata nell’ambito dello Ias 19: non si
stabilisce, ad es., un lasso temporale oltre il quale la presenza di proventi impliciti è da ritenersi
automaticamente dimostrata 25 e, soprattutto, non si fa riferimento a generici tassi di rendimento di mercato,

21
   Sono, letteralmente, “compensi dovuti” ma è chiaro che si intende tale espressione nel senso dell’esecuzione monetaria.
22
   E’ proprio il caso del Tfr, in cui l’onere finanziario – dato dalla parte di quota annua relativa alla rivalutazione ex-lege del debito
pregresso - è implicito non in quanto “celato” ma in quanto, come si ricorda, l’aspetto di finanziamento nell’operazione è derivato,
non principale.
23
   “Gli interessi conglobati nella voce acquisti possono essere calcolati applicando un tasso medio d’interesse (stimato con
riferimento agli scarti fra prezzi a termine e prezzi a pronti praticati dalle imprese fornitrici)” così Paganelli, Analisi di bilancio, pag.
30.
24
   Rivisto nel 1993.
25
   Anzi, deve essere evidente che l’operazione comporta un risvolto finanziario.
                                                                                                                                         14
bensì a a tassi di “interesse figurativo”, cioè praticati in operazioni simili, ovvero a tassi desunti in base alla
differenza tra valore corrente (= prezzo a pronti) e valore nominale. La questione è dunque, lì affrontata
positivamente a nostro avviso, ma in maniera niente affatto coerente con quanto visto a proposito dei
compensi ai dipendenti.
    Un altro, manifesto, contrasto tra la linea di pensiero emergente in ambito Iasc e la nostra dottrina si
rileva a proposito della correla zione tra finanziamenti ed investimenti che come noto, è da ravvisarsi
solamente tra masse significative di essi, e tipicamente da considerarsi ai fini delle indagini prospettiche
sull’equilibrio finanziario dell’impresa; tale posizione è del tutto concorde in letteratura e consolidata da
tempo. Ora, è fuor di dubbio che la scelta dello Ias di considerare invece come rilevanti e significative le
relazioni tra singole passività e singole attività 26 è in totale rotta di collisione con uno dei capisaldi della
teoria economico-aziendale classica. Si è già avuto modo di affrontare, dapprima, alcuni risvolti di questa
scelta, con riferimento alle fattispecie che possono prodursi nel contesto di quanto trattato dallo Ias 19, e
quindi circa la presenza di programmi di investimento atti a “sostenere” le prestazioni future che debbono
essere erogate ai dipendenti. E’ bene puntualizzare quali sono le conseguenze di questa idea sulla
valutazione e rappresentazione in bilancio dei valori coinvolti: le passività (obbligazioni verso i dipendenti,
nella fattispecie) e le attività (quote di fondi o altro investimento) sono compensate, così come compensati
sono i componenti reddituali (costo del lavoro da una parte, perdite e profitti relativi al programma
d’investimento, oneri finanziari dall’altro, con l’esito di avere potenzialmente un saldo positivo, quindi un
provento, da quest’ultimo gruppo di valori). Queste compensazioni a noi paiono quanto mai gravi, non solo
per la radice teoricamente non ortodossa, ma proprio per la violazione di quel fondamentale assunto del
divieto di compensare partite diverse che è (ancora?) da ritenersi un cardine della redazione del bilancio
d’esercizio. Vorremmo rilevare che la compensazione in esame, oltre che a ridurre le informazioni, produce
valori ibridi – causa la disomogeneità dei dati algebricamente sommati – sia sotto il profilo della loro natura
(attività/passività, costi/ricavi) che sotto il profilo del loro gradiente di attendibilità e, di riflesso,
segnaleticità; infatti di tenore assai diverso sono le stime e le congetture che si devono operare in merito alle
passività rispetto a quelle da operare circa gli investimenti in fondi, dei quali, oltretutto, si intende recepire
tanto le perdite che i profitti in corso di formazione, cioè non ancora conseguiti.
    Un’altra oggettiva conseguenza del processo valutativo suggerito dallo Ias è lo spostamento di
componenti negativi di reddito dall’area operativa a quella finanziaria, con ovvia sopravalutazione del
risultato relativo alla prima delle due: a cascata, ovviamente, occorre prendere atto dell’alterazione del
significato stesso di reddito operativo, nonché di tutti quegli indici e quozienti che si costruiscono sulla base
della fondamentale articolazione del risultato economico per gruppi significativi di componenti positivi e
negativi. Non rientra nei limiti che questo lavoro si propone formulare ipotesi circa le più recenti proposte di
innovazione ai principi contabili internazionali: è però interessante rilevare come si adombri una singolare
convergenza negli effetti generati da tali proposte, verso la sopravalutazione del reddito operativo, del
reddito dei periodi più prossimi, del patrimonio netto dell’impresa. Di qui al sospetto che il principio di
prudenza, già così meno rilevante nelle culture contabili anglo-americane, sempre più dominanti, rispetto a
quelle europee continentali, finisca per essere del tutto privato di significato ed efficacia pratica, il passo è
breve.

   Accanto agli aspetti fin qui affrontati, che abbiamo definito di merito, ci preme fare qualche osservazione
di carattere metodologico: le tendenze in atto nella revisione dei principi contabili internazionali, infatti,
coinvolgono momenti logicamente a monte dell’intero processo, e quindi da esplorare previamente se si

26
  Talmente radicale è il modi in cui viene proposta la relazione tra passività ed attività inerenti i benefici per i dipendenti che si
prevede di eseguire distinte valutazioni qualora esistano distinti programmi d’investimento finalizzati alla copertura di distinti
programmi di benefici futuri.
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