Equilibra edizioni RIFLESSIONI SUL CAMBIAMENTO - MASSIMO FRANCESCHETTI SABRINA AGNOLI
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equilibra edizioni MASSIMO FRANCESCHETTI SABRINA AGNOLI MAURIZIO GRANELLI RIFLESSIONI SUL CAMBIAMENTO Di sé e degli altri
PRESENTAZIONE I testi qui presentati riguardano la comunicazione interpersonale, il lavoro di gruppo e lo sviluppo personale. Hanno lo scopo di condividere quanto ho appreso attraverso la mia esperienza personale, gli studi e le lezioni tenute in aziende, istituzioni o scuole. Essi vogliono essere uno stimolo alla riflessione e all’azione per coloro che vogliono conoscere e migliorare il proprio comportamento nelle relazioni interpersonali. Non vogliono esaurire l’argomento, né sostituire le lezioni. Alla fine viene dato qualche riferimento per orientarsi. Tutto quanto qui scritto è frutto di esperienze personali e letture di altri autori rielaborate personalmente. Questi testi non sono definitivi. Sono uno strumento provvisorio e limitato per aiutare me stesso e gli altri a riflettere. I testi non hanno subito un lavoro professionale di editing e quindi possono presentare errori. Sono grato per qualsiasi segnalazione o commento. Per farlo scrivete a: massimo.franceschetti@fastwebnet.it I testi sono di proprietà dell’autore, Massimo Franceschetti, che si assume la responsabilità di quanto scritto. Essi non sono utilizzabili, da terzi, per nessun fine commerciale. Creative Commons ! Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate CC BY-NC-ND In copertina: Jackson Pollock, Alchemy, 1942. Edizioni Equilibra gennaio 2018
INDICE Premessa 5 Quale cambiamento 6 Tipi di cambiamento 7 Sketch 1: Le cose cambiano, ma noi come la prendiamo? 8 Perché le persone resistono al cambiamento? 11 Il cambiamento subìto, il cambiamento guidato 13 Cambiare idea, il primo passo 14 Sketch 2: Il pensiero “critico” (o critico interiore) 17 Sketch 3: Il pensiero fiducioso 18 Cambiare stati d’animo 19 Accompagnare se stessi per farlo con gli altri 20 Sketch 4: Si può sbagliare. 21 Cambiare gli altri, è possibile? 24 Ogni conclusione è un cambiamento, ogni cambiamento una conclusione 27 A chi esita 28 Amore dopo amore 29 Riferimenti bibliografici e filmografici (con sito) 30
Una delle più grandi scoperte della mia generazione è che un essere umano può cambiare la propria vita semplicemente cambiando il proprio modo di pensare. William James (1842-1910)
Premessa Questo testo è il risultato di una serie di laboratori e lezioni spettacolo sul tema del cambiamento tenuti da Massimo Franceschetti, Sabrina Agnoli e Maurizio Granelli tra il 2016 e il 2017. L’obiettivo era stimolare i partecipanti a riflettere sul cambiamento, partendo dalle basi e cercando di dare qualche indicazione pratica. Ovviamente le lezioni erano molto diverse da quanto il testo rappresenti. Tuttavia avevamo promesso una sintesi, parziale e limitata, dei temi trattati. Lo sforzo che abbiamo fatto è stato soprattutto quello di partire dalla nostra esperienza personale di cambiamento interiore. Non è la migliore, ci mancherebbe, né è l’unica. Ma è la nostra. Abbiamo, inoltre, cercato di essere più realistici possibile, senza illudere nessuno. Cambiare sul serio il proprio modo di pensare e sentire è possibile, spesso auspicabile, ma non è immediato e senza sforzo. (Massimo ama ripetere in aula la frase che Albus Silente rivolge ad Harry Potter: “Verranno tempi in cui occorrerà scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile…” e Sabrina e Maurizio annuiscono alzando discretamente gli occhi al cielo). Le persone preferiscono soffrire piuttosto che cambiare, e ne hanno, almeno per loro, fondati motivi. Molto spesso abbiamo anche orientato la lezione verso le persone che erano presenti e che ci seguivano. Abbiamo lavorato con le loro situazioni specifiche. Di questo, ovviamente non c’è traccia. Abbiamo invece scelto di lasciare qualcuno degli sketch preparati da Sabrina e Maurizio e da loro rappresentati sia a teatro che in aula. Il nostro obiettivo è quello di fornire un ulteriore strumento di conoscenza delle situazioni quotidiane che abbiamo scelto di rappresentare e che, normalmente, non abbiamo occasione di rivedere o rivivere. Ci auguriamo che questi momenti di teatro possano accompagnarvi nella lettura, darvi l’occasione di riflettere e anche, perché no, di sorridere. Ringraziamo moltissimo la Cooperativa Cadiai per le occasioni che ci ha offerto. Ringraziamo Luca Tamani per una prima lettura del testo. Ringraziamo il Piccolo Teatro del Baraccano per il supporto alle lezioni spettacolo.
Quale cambiamento Il tema del cambiamento è diventato centrale per i tanti, moltissimi cambiamenti che ci troviamo ad affrontare non solo nel mondo del lavoro, ma in ogni ambito della nostra vita. Negli ultimi trent’anni tutto sembra cambiato e ad una velocità straordinaria. E’ cambiata la nostra vita quotidiana; è cambiato il nostro modo di studiare, lavorare, vivere. Abbiamo cambiato la moneta, il modo di mangiare, i cibi stessi non sono più quelli di un tempo. E’ cambiata l’idea che abbiamo di infanzia, ma anche di essere giovani o anziani. E’ cambiato persino il clima. L’altro giorno la mia dentista mi diceva che non stanno più crescendo i denti del giudizio! (un po’ ce ne eravamo accorti, a dire il vero…). In modo molto rapido, siamo diventati sempre più parte di trasformazioni che ci hanno condotto, spesso senza rendercene conto, ad essere diversi da come eravamo, a fare cose diverse, a vivere in modo diverso, a lavorare in modo diverso. Ma siamo pronti per questo? Il nostro modo di pensare, le nostre visioni o abitudini profonde, sono cambiate anche loro? Forse non è accaduto tutto troppo in fretta? Non so a voi, ma a noi, che non siamo anziani, ma nemmeno giovanissimi (a parte Sabrina), pare, a volte, di muoverci in una realtà estranea, come fosse una mappa di cui non ho le coordinate. E sembra che nessuno, se non pochi, sappia veramente ciò che sta accadendo. Dunque il cambiamento è un tema centrale ed enorme. Non è lo scopo di questo testo parlarne in modo esteso e approfondito. Qui vorrei affrontare soprattutto alcuni temi che emergono durante le lezioni: come favorire il cambiamento nelle persone, cosa cambiare, se è possibile cambiare gli altri o i propri stati d’animo. Il punto centrale comunque non è la scelta tra cambiare o no. Il punto è se subiamo i cambiamenti oppure no. Se abbiamo gli strumenti adeguati per affrontarli oppure no. E non solo a livello sociale, ma anche a livello personale, addirittura fisico. Cambieremo, questo è indubbio, ma come e seguendo quale traiettoria? Chi sceglie come cambiare? !6
Tipi di cambiamento La parola “cambiamento” è così vasta, ha così tanti significati e sfumature, può essere usata in così tanti contesti, che è veramente difficile darne un significato, non solo univoco, ma limitato. Quindi, non osiamo darne una definizione definitiva ma offriremo una nostra interpretazione della parola “cambiamento”. Come sempre diamo un’occhiata al dizionario etimologico, perché la storia delle parole spesso ci dà un’idea interessante del concetto in questione. E così scopriamo che “cambiare” è una parola che viene dal greco Kambein, Kamptein e vuol dire “curvare”, “piegare” 1. E questo è interessante. Perché “curvare” è un modo di cambiare. Esistono molti tipi di cambiamento: ecco qualche sinonimo: mutare, trasformare, modificare, alterare, riformare, evolvere, innovare o rinnovare… e potrei andare avanti per molto, perché, in fondo, quasi tutti i verbi che indicano un’azione indicano un cambiamento di stato. E questo perché il cambiamento è una condizione perenne, inevitabile, continua e ubiqua: tutto cambia, anche se non sempre percepiamo tutti i cambiamenti in atto. Ecco, a noi piace questa idea di curvatura. Che cos’è una “curvatura”, a pensarci bene? Iniziamo col dire ciò che non è: non è una trasformazione radicale e immediata. Non sarebbe una curvatura, ma una frattura. Non è un processo di distacco, quindi, da ciò che c’è, ma una sua prosecuzione, solo, un po’ più a destra o un po’ più a sinistra. Una curvatura è una lenta trasformazione della direzione di marcia. Rimanda a piccoli spostamenti che conducono, piano piano, altrove. Un progressivo mutamento, che alla fine ti fa trovare in un luogo diverso. Dal che si evincono alcuni principi che si possono considerare essenziali per comprendere il cambiamento, soprattutto per quanto riguarda i cambiamenti personali ed interiori: 1. Il cambiamento (personale o interiore) è una rielaborazione di ciò che c’è già. 2. Il cambiamento (personale o interiore) è fatto di piccoli passi. 3. Il cambiamento (personale o interiore) è lento. Questo ci fa pensare che forse finora abbiamo considerato il “cambiamento” come qualcosa di molto diverso. Forse il nostro modello era il cambiamento esteriore. Per “esteriore” intendiamo due modalità: a) “compro” un oggetto per favorire un cambiamento anche personale (è il cuore di quasi tutte le pubblicità: compra X e diventerai Y…) 1Cfr. Il dizionario etimologico on line http://www.etimo.it/? cmd=id&id=2943&md=6ab3730f01a51257ad2d5e293f98c510. !7
b) cambiano le “cose” attorno a noi per cambiare noi: il computer, il telefono, Internet, tanto per fare esempi macroscopici, trasformano radicalmente la nostra vita quotidiana. Così forse abbiamo pensato il cambiamento più che altro in questo modo: 1. Il cambiamento è qualcosa di innovativo, qualcosa di molto diverso da quello che c’è già. 2. Il cambiamento è fatto di grandi trasformazioni radicali. 3. Il cambiamento è rapido, quasi immediato (se no, non è cambiamento). Abbiamo a che fare con due tipi di cambiamento diversi: quello personale, interiore, che riguarda soprattutto la consapevolezza e quello esteriore, che riguarda soprattutto l’ambiente e le cose attorno a noi. Si dovrebbero tenere distinti. Sono due processi di cambiamento importanti, ma che seguono processi molto diversi tra loro. Ciò di cui parliamo qui, è soprattutto il cambiamento di tipo interiore, che deve fare i conti con quello esteriore, tecnologico, ma non lo deve scimmiottare o inseguire. Il cambiamento di cui parliamo qui avviene all’interno di noi stessi, nel nostro modo di pensare, che avviene elaborando le nostre idee in modo continuo, limitato e con diversi tipi di velocità. Sketch 1: Le cose cambiano, ma noi come la prendiamo? Sabrina e Maurizio sono due coordinatori all'interno di una cooperativa di servizi. Oggi si incontrano casualmente nella sede centrale. S: - Ciao! Ma guarda chi si vede, come va? - S. e M. Si salutano calorosamente. M.: - Sì, dai, tutto bene ... S.: - Mi fa piacere vederti ... ma come mai sei qui in sede? M.: - Ho un appuntamento con Giovanni. Avevo bisogno di vederlo per chiedergli delle cose urgenti e allora mi ha detto di venire oggi. S.: - Ah, ho capito ... M.: - E tu? S.: - Io sono qui per il controllo di gestione del mio servizio. Beh, dai, così ti ho incontrato, era da un po' che non ci vedevamo, vero? M.: - Eh sì – Dà un'occhiata all'orologio – Senti, io ho ancora un po' di tempo, ci prendiamo un caffè, che dici? S. Guarda l'orologio – Sì, dai, volentieri! !8
Prendono il caffè al distributore automatico e cominciano a chiacchierare. S. - Allora, come ti va? E' un periodo ok? M.: - Mah, guarda, ti direi sì e no ... il lavoro procede, però diciamo che è un periodo difficile, ci sono un sacco di cambiamenti in ballo e io non so dove prendere ... non so come faremo con tutta 'sta roba. S.: - Guarda, ti capisco bene, anche per me questo è un periodo molto intenso, ho molte cose a cui star dietro, c'è una tale complessità da gestire e io mi stresso un po’, devo dire ... M.: - Eh, a chi lo dici! Noi siamo proprio nel pieno di una bella trasformazione: c'è stata una nuova gara, sono cambiate le convenzioni e c'è un cambiamento di servizio, figurati! Ah, adesso sì che le cose devono cambiare, altrimenti non ci saltiamo fuori. S.: - Eh beh, certo, mi rendo conto ... M.: - Ma tu dimmi se il Ministero si deve inventare queste nuove convenzioni, così cambia tutto in relazione al territorio, hai presente? Spostamenti, bisogna gestire le persone, le prassi cambiano ... Infatti sono qui proprio perché ho bisogno di un confronto con Giovanni, gli devo chiedere varie cose. S.: - Certo, immagino. Sei preoccupato? M.: - Ma sai, tutto da riorganizzare, perché ci sono nuovi orari, nuove regole, insomma, hanno cambiato un po' tutte le carte in tavola. S.: - Ma questo vi porterà anche dei vantaggi, no? M.: - Mah, non lo so ... Per adesso dobbiamo fare un sacco di cose nuove e anche entro un tempo breve, perché sai, ti danno anche poco tempo, eh! S.: - Eh, lo so. Ci arrivano addosso queste novità da un momento all'altro e ci dobbiamo adattare, non ci sono altre possibilità. M.: - Ho capito, ma ti sembra giusto? Dovrebbero pensarci un po' anche loro, non dare la patata bollente a noi e pretendere che risolviamo tutto e poi anche in fretta, mi raccomando! S.: - Che sia giusto, no, però è così. Io ho fatto questa esperienza quattro anni fa e mi ricordo bene cosa vuol dire il cambio di servizio! I cambiamenti di sede per gli operatori ... M.: - Oh, guarda, anche qui sto facendo adesso le varie comunicazioni a quelli che dovranno cambiare sede di lavoro e non ti dico. Non ne posso più. Ma quand'è che si può stare un po' tranquilli? S.: - Ah, è così. Ormai sappiamo che le cose cambiano spesso, è una tendenza da mettere in conto. D'altra parte noi coordinatori abbiamo anche la gestione di questi passaggi, no? !9
M.: - Sì okay, ma io mi vedo già tutte le lamentele, i malumori, le facce ... io li conosco quelli del mio servizio! S.: - Perché pensi che siano solo quelli del tuo servizio? Sapessi quante facce devo vedere io! M.: - E com'è che sei così tranquilla? Non so come fai, guarda. S. - Beh, tranquilla ... cosa dovrei fare? Cerco di accompagnare la situazione, in fin dei conti non abbiamo scelta. A me hanno insegnato che quando una cosa non hai il potere di cambiarla, hai però il potere di viverla nel modo migliore. In effetti non so ancora, ma magari questi cambiamenti miglioreranno il nostro lavoro, non dicevi anche tu che qualcosa doveva cambiare? M.: - Sì, certo, ma non così! Bisogna valutare bene tutto prima di cambiare, noi gestiamo delle persone, non dei numeri, per me è il metodo che deve cambiare ... S.: - Eh, avrai anche ragione, ma stare qui a dircelo non migliora la situazione. E poi non è la prima volta. Anche io nel mio servizio ho affrontato tanti cambiamenti e non è stato facile. Ho cercato di mantenermi lucida, poi a volte ho sbagliato, però ti posso dire che oggi lavoriamo meglio, secondo me. M.: - Ma siamo sicuri che sia meglio di prima? Ad esempio, per molti si sono allungati i tempi di spostamento per venire a lavorare, è tutto decentrato e poi anche per noi, bisogna continuamente essere aggiornati altrimenti ci perdiamo, insomma per me questo non è miglioramento ... S.: - Okay, però cerca di vederlo su un tempo più lungo. Al momento destabilizza, ma dobbiamo vedere le cose più sul lungo periodo ... M.: - Eh sì, lo so, però ... - Guarda l'orologio - Va beh, scusa adesso devo proprio andare. S.: - Ah sì, certo, anche io vado, ormai sarà il mio turno. Mi ha fatto piacere vederti, poi fammi sapere come va, okay? M.: - Sì, va bene, ti saprò dire che cosa succederà! Ciao, a presto. Si salutano ed escono. !10
Perché le persone resistono al cambiamento? Questa è una domanda che ci viene posta in aula, soprattutto quando parliamo di lavoro di gruppo in azienda. E soprattutto in aziende che si stanno riformando, trasformando, cambiando. In questa fase emerge come alcune persone, spesso non molte, facciano quella che viene definita “resistenza”, ovviamente dal punto di vista di chi vorrebbe l’adesione a certi cambiamenti. In aula le persone, a volte i loro superiori, si lamentano di questa resistenza, questa opposizione al cambiamento che loro, invece, considerano necessaria e positiva. Perché, quindi, le persone fanno resistenza? Come fanno a non capire che il cambiamento è necessario? Perché non collaborano? Ovviamente i motivi sono soggettivi e quindi di volta in volta diversi. Poi bisognerebbe comprendere che la “resistenza” è una definizione un po’ semplicistica. Bisognerebbe ascoltare e comprendere meglio, poiché a volte le persone che fanno resistenza stanno esprimendo dei bisogni in modo, forse, inappropriato, polemico o contraddittorio, ma è possibile che abbiano istanze positive anche per il cambiamento in atto. Va infine notato come alcuni comportamenti di coloro che pongono il cambiamento favoriscono la resistenza allo stesso. In genere, la prima cosa che bisognerebbe capire (e casomai cambiare) è che i cambiamenti (personali) non si impongono. Ognuno decide e attua il proprio cambiamento. Nessuno può realmente cambiare un altro (ci torneremo). Soprattutto nessuno può imporre il cambiamento di idee, atteggiamenti. In altre parole, mentre il cambiamento esteriore spesso s’impone alle persone, il cambiamento interiore non lo si può imporre. O meglio, lo si può imporre, ma imponendolo s’impedisce una reale adesione ad esso. Da quanto ci risulta, dopo anni di diete fallimentari, il cambiamento (di abitudini alimentari, in questo caso) non si può imporre nemmeno a se stessi. Cambiare idee, abitudini, atteggiamenti è una scelta e sarà tanto duratura quanto più sarà libera e personale. NOTA BENE (In questo testo parliamo di adulti, quindi di persone che hanno raggiunto un grado di autonomia e consapevolezza, tale da attuare scelte personali, di cui essi sono i diretti e unici responsabili. Diverso è il caso in cui si ricopra il ruolo di educatori, per il quale viene richiesto di educare e formare altri individui, si pensi in particolare al ruolo dei genitori nei confronti dei figli da crescere. Nel vasto panorama della storia della pedagogia, si sono studiati diversi approcci e modelli educativi, fino ad arrivare agli ultimi approfondimenti, che ci parlano di una società senza padri, di ruoli genitoriali molto in crisi in quanto a leaderanza ed autorevolezza. La responsabilità di tutto questo sembra sia da attribuire a tutti quei modelli educativi che hanno preso piede dagli anni Sessanta in poi, impostati sul lasciar fare, in contrapposizione alla imposizione categorica e al senso del dovere inculcato ai ragazzi fino a poco prima. Oggi, secondo alcuni sociologi e psicologi, abbiamo sotto gli occhi i risultati !11
deludenti di una certa impostazione educativa: generazioni di giovani senza spina dorsale, dipendenti dai cellulari e dai computer, senza regole, maleducati, irriverenti e annoiati, figli di genitori disorientati, spaventati e insicuri. E’ davvero così? La questione resta aperta, ovviamente. Secondo noi lo stile educativo va cercato, costruito negli anni, procedendo secondo la propria scala di valori e tenendo presente che l’importante è essere in cammino costantemente, pensare e agire per tentativi ed errori, un passo alla volta. Da questo punto di vista, questo stesso stile può essere applicato anche nei nostri confronti. In fondo, occorre essere un po’ mamma e papà di noi stessi, avere pazienza, aspettare che alcuni pensieri maturino in noi, per poi sfociare nel cambiamento. Ecco allora che, proprio a questo punto, torniamo al valore della scelta: se questa avviene in modo chiaro dentro di noi, gradualmente avverranno anche alcuni piccoli, quasi impercettibili cambiamenti, che ci porteranno poi a piegare, curvare verso ciò che desideriamo. Questo intreccio di chiarezza e morbidezza si può allora applicare anche all’educazione dei più piccoli)2. Il cambiamento non è questione di volontà (o di paura). Almeno non solo e non sempre. Il cambiamento è questione di consapevolezza (e quindi conoscenza, esperienza, comprensione). Si cambia perché, ad un certo punto, si capisce qualcosa che induce a nuove o diverse azioni. Si decide, ad un certo punto, che si cambierà. Inizia così un processo che può essere più o meno lungo, ma che ha al suo centro l’elaborazione di un diverso modo di pensare. Se imporre cambiamenti in genere è contro producente, va anche detto che spesso le persone faticano ad accettare dei cambiamenti un po’ a prescindere se questi sono imposti o no. Per dirla in breve, il nostro cervello non ama essere rimesso in discussione. Non ama cambiare routine, a meno che non creda che questo sia assolutamente necessario per la sopravvivenza dell’individuo o la sua salvaguardia. In un senso diverso, ma è sempre questione di comprensione. Quando non si cambia è perché non si sta capendo qualcosa. Molto spesso le persone rimangono fissate a un pensiero, ad un’idea. Le persone sono convinte che ciò che è o è stato sia molto meglio di ciò che sta per essere e sarà. Lo sono per davvero. Anche se in realtà ciò a cui sono legati è il loro stesso legame, l’abitudine, la conoscenza. Il nuovo, il diverso non è ancora conosciuto e in quanto tale non ancora pensato. Per questo viene rifiutato. E se le persone hanno pochi strumenti per leggere ciò che accade, ancor più tenderanno a rifiutarlo. Ciò che non conosciamo ci spaventa. E’ una forma di protezione di sé. Non è sbagliato, anzi è molto sano. Solo che è un riflesso condizionato, il quale ci fa perdere molte possibilità, è motivo di conflitti e spesso rende il cambiamento poco gestito e troppo subìto. Per cui occorrerebbe fare attenzione quando si è in difficoltà di fronte ad un cambiamento e dirsi, più 2 Per casi molto speciali di gestione dell’imposizione si veda Alexander S. Neill, I ragazzi felici di Summerhill, Red Edizioni. Oppure il racconto personale di come abbia gestito il rifiuto di andare a scuola del proprio figlio Marshall Rosenberg. Lo trovate in Preferisci avere ragione o essere felice?, Essere edizioni. !12
onestamente possibile, se non si sta reagendo più in preda ad un riflesso condizionato, piuttosto che per validi e soprattutto comprovati motivi. Il cambiamento subìto, il cambiamento guidato La tendenza a rifiutare i cambiamenti imposti dal contesto o da altri è molto forte. Purtroppo le cose cambiano continuamente, in modo spesso repentino, radicale e imprevedibile. Inoltre, le cose cambiano non come vogliamo noi o quando vogliamo noi. E così, quando non abbiamo il controllo del cambiamento, se mai l’abbiamo avuto, sorgono i problemi. Il cambiamento nella società, nella nostra società, nel mondo del lavoro, è qualcosa di recente dopo secoli in cui si è spesso lavorato nella ripetizione continua, nel continuo ripetere gli stessi gesti, le stesse azioni. I nostri nonni, se erano contadini, avevano un tempo ripetuto e sempre uguale, pur nelle continue traversie del tempo metereologico; se erano impiegati di istituzioni o industrie anche, e così se erano operai alle macchine. Loro per noi sognavano il posto “fisso”, che non sarebbe cambiato nel tempo; un posto che ci poteva garantire la sicurezza, entro il quale ripetere le nostre azioni, condurre una vita all’insegna della sicura riproposizione dello stesso. Ma poi, se non tutto, molto è cambiato. E in Italia molto rapidamente. Il mondo del lavoro, in particolare, è cambiato e con esso è cambiato anche il modo in cui si cambia. Perché non solo stiamo assistendo a repentini cambiamenti, ma anche a cambiamenti nel modo e nei tempi di cambiare le cose. E noi? Noi che siamo invece lenti, abbiamo bisogno di capire e di tempo per farlo? Noi, abbiamo cambiato idea sul lavoro? Abbiamo cambiato modo di pensare noi stessi e gli altri? Siamo stati prepararti ad essere più sicuri nell’incertezza? A muoverci comodamente in un mondo che non ha punti fermi? Abbiamo avuto il tempo per adattarci ai cambiamenti? Siamo stati educati al cambiamento? Al modo in cui le cose cambiano? Non abbiamo alcuna verità sul cambiamento e il nostro scopo non è quello di dare delle indicazioni chiare e definitive su questo tema. Usare le parole chiaro e definitivo sul tema del cambiamento pare un po’ contraddittorio. Daremo spunti, stimoli, vi proporremo domande e qualche indicazione, ma ciò che ci interessa è stimolarvi a riflettere sul cambiamento, tenendo conto che esso è nello stesso tempo un elemento naturale della nostra vita e qualcosa di nuovo a cui stiamo piano piano abituandoci. Il nostro vorrebbe essere un approccio umano al cambiamento. Non vi diremo né che è meraviglioso né che è terribile; né che è semplice o interessante, il cambiamento. Può essere invece faticoso, noioso, a volte può sembrare inutile. Ma è quello che è e dobbiamo fare i !13
conti con qualcosa che nessuno di noi, da solo, può cambiare: non possiamo cambiare le forme del cambiamento, ma quello che possiamo cambiare è il nostro modo di pensarlo, di affrontarlo e di viverlo. Cambiare idea, il primo passo Parliamo spesso di cambiamento, parlando delle persone, ma cosa esattamente dovrebbero cambiare, le persone? Le situazioni che incontriamo sono situazioni in cui, di fronte ad una società, un’azienda o una famiglia, che cambia repentinamente e profondamente, le persone sembrano poco reattive, poco capaci di reagire con la stessa rapidità e profondità. Cosa dovrebbero cambiare? In genere ci si concentra sui comportamenti. Ciò che andrebbe cambiato sono i comportamenti. Questi vengono collegati alla volontà. Se vuoi, puoi, ci dicono. Ma forse non è così semplice.3 Siamo in genere abituati a pensare al cambiamento come qualcosa che ha a che fare con abitudini, ma come scritto più indietro, la volontà ha un peso relativo ed è successivo ad un altro passaggio: capire. Prima di voler cambiare, le persone hanno bisogno di capire. Solo dopo la volontà agisce in modo efficace. Prima possiamo provarci (a smettere di fumare, mangiare di meno, fare più moto e via dicendo) ma è probabile che non funzioni o non duri. E questo non perché siamo sbagliati, incapaci o senza spina dorsale. Più realisticamente: non stiamo capendo perché dovremmo fare quello che dobbiamo fare. Alla fine, siamo animali che hanno bisogno di un perché per agire. E i “perché” sono molto più importanti di ogni altra cosa. Anche quando non ce ne rendiamo conto, abbiamo un perché dentro che ci indirizza, ci motiva, ci dà forza o ce la toglie. Quando non capiamo perché dovremmo fare o essere qualcosa facciamo un’immensa fatica a realizzarlo. Ma se capiamo e concordiamo sul perché dovremmo fare o essere qualcosa è molto più facile la sua realizzazione. E’ a questo punto che la volontà può avere un suo ruolo. Una volta capito perché vogliamo realizzare ciò che vogliamo realizzare, il passaggio a volerlo realizzare è più facile, se non immediato. La comprensione e la volontà, pur distinte, lavorano di concerto, non possono fare a meno l’una dell’altra. La comprensione senza la volontà è sterile, la volontà senza comprensione è debole. 3Qui richiamo un articolo facilmente reperibile da cui partire per una riflessione su di un mantra diffuso: se vuoi, puoi…. http://www.ilpost.it/2016/03/11/forse-non-dovremmo-dire-ai-bambini-potrai-diventare-quello-che-vuoi/? utm_source=Il+Post+Daily&utm_campaign=180c4d22cb- Evening_Post_060317&utm_medium=email&utm_term=0_07356410ea-180c4d22cb-309499917. Perché alla fine esistono anche tante variabili e la volontà da sola non basta. !14
Dunque è dalla comprensione che occorre partire per “curvare” il nostro comportamento. Ed è il pensiero quindi, (questo grande sconosciuto, di cui ci occupiamo troppo poco!), la prima cosa da cambiare. Il pensiero è ciò che, innanzitutto, occorre cambiare, ossia “curvare”, occorre condurlo piano piano verso altre idee, altre nozioni, altre comprensioni. Esso è cresciuto dentro di noi e ha stabilito, per il nostro comportamento, linee guida molto precise e specifiche. Se vogliamo modificare il nostro comportamento sono quelle linee guida che dobbiamo curvare. Sono quelle linee guida che dobbiamo piano piano modificare. Ognuno di noi ha ricevuto una educazione molto precisa rispetto a cosa deve pensare, credere, dire o ascoltare, chiedere o ottenere, vedere o sentire… Non siamo proprio esseri liberi, ma siamo il risultato di tante influenze che ci hanno condizionato in modo inconsapevole. Abbiamo assorbito tanto senza sceglierlo. Ci rendiamo conto di questo? Siamo consapevoli del tipo di pensieri (nostri e altrui) a cui siamo educati a credere? Come ci comportiamo di fronte a questi pensieri? Quanto siamo abituati a vedere nei nostri pensieri la ripetizione di pensieri già pensati, fissati per noi dalla tradizione, dalla cultura e dalle abitudini familiari. Ad esempio, siamo coscienti che pensare di fronte ad un cambiamento che esso sia un peggioramento, è un automatismo antico e continuo, una reazione innanzitutto emotiva e automatica? Così come coloro che pensano che ogni cambiamento (soprattutto tecnologico) sia il benvenuto, la panacea di tutti i mali, la soluzione ad ogni problema, sono consapevoli di essere vittima di un pensiero, se non ingannevole, quantomeno limitato e spesso indotto? Il pensiero è il luogo più importante dove agire per una maggiore capacità di cambiamento. Poiché cambiare significa innanzitutto cambiare idea. Per farlo in modo attivo, occorre vedere il pensiero e la sua realtà. I nostri pensieri possono essere (semplifichiamo molto) di due tipi: pensieri automatici e pensieri coscienti. Pensare è infatti un’attività passiva e attiva al contempo. Può essere automatica oppure può essere guidata e orientata. Occorre allora imparare a vedere i propri pensieri automatici, per capire come essi determinano il nostro sentire e agire e occorre poi prenderli per mano e trasformarli in pensieri coscienti, scelti. Il pensiero, infatti, è modificabile. E’ “solo” pensiero, non è una realtà immutabile, fissa, inscalfibile. E’ possibile pensare diversamente, modificare, plasmare, ridurre, ampliare un pensiero. In che modo? Primo: rendersi conto dei pensieri che si fanno. Rendersi conto che il cervello secerne pensieri come il fegato la bile. Non tutti i pensieri sono uguali e non è che perché ho pensato una cosa quella è. I pensieri automatici sono appunto automatici e questo li porta ad essere spesso inappropriati, inadatti, anche se immediati e, per questo, apparentemente più “veri”. Ascoltarsi, allora, osservare il proprio flusso mentale mentre si dipana, è essenziale. !15
Si può capire cosa si pensa anche osservando i nostri comportamenti che sono il risultato di pensieri, di idee, attese. Così come ascoltare le nostre emozioni, diretta conseguenza dei nostri pensieri (ritorneremo anche su questo più avanti e in altri testi). Secondo: esporsi ad altri pensieri attraverso l’ascolto, il dialogo, la comunicazione. Esporsi leggendo, conoscendo, viaggiando, esplorando altri modi di pensare e agire. Sviluppare l’attitudine a pensare in modo più consapevole attraverso processi di pensiero consapevoli (logico, creativo, induttivo, deduttivo ecc.). Il cambiamento personale implica una trasformazione del pensiero, una sua curvatura verso posizioni nuove. E il pensiero si trasforma con le parole: il linguaggio, il dialogo, la comunicazione e le sue diverse forme: ascolto, parola, lettura, prima di tutto.4 Come si vede, nei processi di cambiamento personale, e non solo, hanno un ruolo centrale le parole, che sono lo strumento concreto attraverso le quali viaggiano i pensieri. Non solo, naturalmente. I pensieri viaggiano anche attraverso immagini o suoni, tanto per dire. Ma certamente le parole hanno una potenza notevole nel favorire una trasformazione personale in quanto fondata sulla comprensione. Ovviamente, ripetiamo, non è vero sempre, ma spesso sì. Così cambiare le parole che usiamo, interrogarle e adeguarle ai contesti o alle esigenze è una delle attività auspicabili nel favorire i cambiamenti o il nostro rapporto con il cambiamento. Del resto, i grandi (e piccoli) cambiamenti sono spesso cambiamenti linguistici. Si parte da parole nuove, parole che assumono un significato nuovo o più preciso e, con esso, una potenza descrittiva o esplicativa rinnovata. Sarebbe la stessa rivoluzione, la rivoluzione francese, senza lo slogan: egalité, fraternité, liberté? Quelli che seguono sono esempi di modi di pensare che creano anche altrettante modalità di agire. Maurizio in scena interpreta il Pensiero Automatico che è nella testa di Sabrina. Le gira attorno e le fa pensare pensieri che Sabrina subisce. Nei termini del Voice Dialogue, Maurizio rappresenta forse il più insidioso tipo di pensiero automatico: il critico interiore. 4 Diamo per scontato che si voglia cambiare, che si sia curiosi e si abbia un atteggiamento di possibilità da dare al cambiamento. Se non c’è questo non ci sarà cambiamento e bisognerà attendere che si arrivi a questo punto. Come dice De Mello, quando soffrire diventerà più difficile che cambiare, allora si cambierà. !16
Sketch 2: Il pensiero “critico” (o critico interiore) Sabrina. Scena di vita quotidiana. Perde la pazienza con il figlio adolescente, che però non interviene. S.: -E la devi smettere di lasciare sempre tutto in giro, non è giusto! Te l'ho già detto mille volte! M.: -Devi essere più forte, più dura, devi fare di più... non fai abbastanza, e poi non ti rispetta... Sabrina ripete. S.: -Tu non mi rispetti. Tutto il lavoro che faccio per sistemare, altrimenti qui non si cammina più! M.: -Eh, Giulia non è come te. Lei sì che fa rigare dritto i figli ... tu sei troppo morbida, troppo generosa, troppo sensibile... ti sostituisci, così loro non impareranno mai ... S.: -Come si fa con te? Ormai sei già grande, hai sedici anni, ma non ti accorgi di tutta questa confusione? ... Dopo perde anche le cose, e ci credo! M.: -E per forza, tu le cose non gliele hai insegnate quando era il momento giusto, adesso non lo raddrizzi più, è colpa tua. S.: Io l'esempio te lo do sempre, le mie cose me le metto a posto, avete mai visto delle cose mie in giro? Mai! M.: -Ma capirai l'esempio! Qui ci vogliono delle indicazioni precise, non ti vede neanche lui, ha delle altre cose in testa, non vedi? Sabrina è nervosa, in ansia, poi si siede un momento e apre un libro. M.: -Beh, adesso cosa fai, ti fermi? Non è proprio il momento, non puoi... devi lavorare, devi fare ancora un sacco di cose... non perdere tempo, dai... Sabrina si alza. S.: -Sì, adesso non posso leggere ... Devo andare avanti a sistemare, a lavorare, sempre lavorare ... Escono entrambi. !17
Sketch 3: Il pensiero fiducioso Sabrina e Maurizio/Pensiero entrano in scena. Stanno già parlando... Sabrina ha un problema al lavoro e non riesce a risolverlo. M.: -La soluzione c'è, occorre solo trovarla. S.: -No, non è così facile... M.: -Sì, ma è possibile. Troverai la soluzione, ci vorrà del tempo, ma la troverai. S.: -Ma ho già fatto tutto. Non c'è più niente da fare. M.: -Puoi farcela, sei capace. E poi sei già stata capace, non è un'opinione ma un fatto. S.: -No, guarda, è inutile raccontarsela, non ce la farò. M.: -Raccontarsela? Perché tu non te la racconti già? Cosa stai facendo da quando ti sei svegliata stamattina? Cosa fai tutto il giorno e magari anche la notte, nei sogni, se non raccontartela, continuamente? Bisogna vedere cosa ti dici... S.: -Bravo, tu la fai facile... per te tutto è possibile, facile. M.: -E no, alt! Intanto io non ho mai detto che è facile. Io non sono fesso, semmai sono fisso! Sono fisso sulle tue possibilità, perché ne hai tante... e hai fatto cose ben più complesse. Io mi ricordo, ma tu? S.: -Beh, sì, se mi fermo a pensarci, mi ricordo... M.: -Allora basta fare i capricci... sei arrabbiata perché le cose non vanno come vuoi tu, sei spaventata dal fatto che non controlli la situazione. E' tutto normale. Accettalo e vai avanti. Ce la puoi fare. S.: -Sai che tu parli in modo ben diverso dagli altri pensieri? Però... mi sembri un po' finto... M.: (Ride) -Ti sembro finto perché non sei tanto abituata ad ascoltarmi, ma in realtà tra noi due quella più finta sei tu. Io sono oggettivo, preciso, realistico perché so che ci sono altre possibilità e che tu sei in grado, non ti manca nulla. Però, tu ci credi a quello che ti dico io o credi di più a quello che ti dice l'altra voce dentro di te? Guarda che quella è molto più finta di me. S.: -Dici? M.: -Certo. Comunque, la soluzione è là che ti aspetta, ma... se non la vai a cercare, non la !18
troverai. S.: -Posso farcela, allora... M.: -Certo. Oh, sai che ti vedo meglio... le parole ti fanno cambiare il corpo! Mauri esce. Cambiare stati d’animo E’ possibile cambiare gli stati d’animo di una persona? Sembra strana la domanda, visto che essi cambiano continuamente. Eppure la visione che abbiamo è che i cambiamenti degli stati d’animo siano imprevedibili, ingestibili, involontari. Non è così. Le emozioni sono reazioni psicofisiche puntuali a stimoli interni o esterni, causate dal vissuto, dai pensieri, dal bagaglio di vita che una persona (ha) si costruisce, già a partire dalla nascita e nei primissimi anni di vita (quando inizia a nascere). Le emozioni, quindi, non dipendono da chissà quale arcano, ma semplicemente da ciò che “pensiamo” (anche se “pensare” qui va inteso in senso molto ampio). Esse durano poco perché il flusso dei nostri pensieri cambia velocemente e, con esso, cambiano anche le emozioni. Si intende qui un pensiero quasi sempre inconsapevole, fatto d’immagini, attese, credenze, dogmi, esperienze pregresse, vissuti inconsci, insomma tutto quello che, più su, abbiamo definito con la parola “automatismo”. In ogni caso, questo flusso di pensiero si modifica, per lo più in modo inconsapevole, modificando l’emozione. Ogni volta che avete iniziato a fare qualcosa di nuovo eravate per lo più timorosi, in ansia, spaventati oppure eccitati e curiosi. Poi, con il tempo, ma soprattutto con il pensiero, siete cambiati e avete iniziato a provare serenità, e magari dopo un po’ anche noia. Cosa è accaduto? Avete cambiato la realtà? No, avete cambiato, senza accorgervene, il vostro modo di pensare a quella realtà. Ebbene, questo lavoro si può fare anche in modo consapevole, e quindi più rapido. Come? Innanzitutto sarebbe opportuno esercitarsi a verbalizzare il nostro stato d’animo, provare a dargli un nome, a spiegare perché si prova quello che si prova, riconducendolo a ciò che pensiamo, temiamo, attendiamo e così via. E’ possibile tradurre in parole il vissuto che sta sotto un’emozione. Basta applicarsi un po’. Alcuni riescono facilmente, altri molto più difficilmente. Ma è possibile. !19
Il processo di verbalizzazione ci aiuta a riconoscere il nostro modo di pensare e a diventare coscienti dei nostri schemi di pensiero, delle attese e dei vissuti che determinano ciò che proviamo. E’ molto importante, allora, fermarsi a pensare, prendersi un momento, staccare, anche per poco. Aiuta moltissimo anche il dialogo con un’altra persona, che permette di chiarire meglio cosa si prova e perché. Il dialogo esteriore, infatti, serve per “vedere” il dialogo interiore che genera certe emozioni. Una volta più consapevoli, è possibile allora raccontarsi un’altra storia, darsi un’altra possibilità. Dialogo interiore e dialogo esteriore possono modificare la coscienza e, con il tempo, generare nuove emozioni. Del resto, ciò avviene continuamente. Anche ciò che chiamiamo “esperienza” è, in gran parte, questo processo inconsapevole di trasformazione dei nostri pensieri. Accompagnare se stessi per farlo con gli altri Quante volte succede che abbiamo chiarissimo cosa un nostro amico deve fare, dire, come deve comportarsi, reagire. E’ molto facile per noi vederlo, capirlo. E siamo lì, subito pronti a dirglielo aspettandoci che il nostro amico ascolti e traduca in pratica quello che per noi è evidente. Eppure molto spesso non solo il nostro amico non fa quello che dovrebbe, ma non sembra nemmeno apprezzare quanto gli stiamo dicendo. Non è raro che l’amicizia s’incrini, che la relazione ne risenta. Eppure accompagnare qualcuno al cambiamento è un’arte difficile, delicata, a cui siamo molto poco allenati. Siamo come genitori che devono aiutare i propri figli ad affrontare i cambiamenti della vita: come lo facciamo? Come l’abbiamo fatto noi? Da dove prendiamo i nostri comportamenti a proposito? Non risolviamo la cosa semplicemente dicendo all’altro quello che deve fare? Non stiamo, in fondo, anche se in modo gentile, imponendo qualcosa? Oppure, non potrebbe essere che l’altro lo viva così? C’è una scena nel film della Pixar Inside Out in cui Gioia cerca in tutti i modi di cambiare l’atteggiamento dell’elefante pagliaccio, senza riuscirci. Poi Tristezza si siede accanto all’elefantino, piange con lui, non dice nulla di ciò che l’elefantino deve o non deve fare o provare o esprimere. Rimane lì con lui. E l’elefantino, magicamente, si risolleva, riprende la corsa. Gioia, stupefatta, chiede a Tristezza come ci sia riuscita e lei, mogia come sempre, non sa spiegarlo, dice semplicemente “Non lo so, era triste così ho ascoltato quello…”.5 Tutto qui. 5 Inside Out è un film sulle emozioni e sulla loro gestione. Tristezza dà un saggio del cosiddetto “ascolto empatico”. La migliore teorizzazione e didattica dell’ascolto empatico che io conosca è quella che si riceve dai testi e dai corsi sulla Comunicazione Non Violenta di Marshall B. Rosenberg. Cfr. in Italia, il Centro Esserci di Reggio Emilia, ma non è il solo. !20
A volte, accompagnare gli altri nei cambiamenti significa semplicemente stare con loro, non dire o fare qualcosa. Il cambiamento non si può imporre, come ho già scritto. Eppure per arrivare a quel semplice ascolto di Tristezza ci vuole molta strada, quantomeno per molti di noi. Per questo, prima di mettersi ad accompagnare gli altri, sarebbe bene imparare ad accompagnare se stessi. E, dovendo scegliere da dove cominciare, la cosa che riteniamo più importante da considerare è la gestione dei momenti difficili o, in particolare, la gestione degli errori. Non c’è cambiamento senza errori, senza regressioni, senza momenti difficili in cui si vorrebbe ritornare indietro, ricominciare da capo, non si vorrebbe essere arrivati lì, aver fatto quella scelta e così via. Come gestiamo questi momenti, prima ancora che negli altri, con noi stessi? Li consideriamo importanti, utili, anche se dolorosi, oppure li temiamo, ne abbiamo paura, li nascondiamo a noi stessi prima e poi agli altri? Sbagliare è il modo più utile per imparare ed in ogni caso è inevitabile. Chiunque faccia qualcosa compie sempre degli errori, soprattutto dal punto di vista di altri! Riportiamo una simulazione ambientata in un contesto lavorativo. Il personaggio maschile (Maurizio) si trova a dover gestire emotivamente un feed-back inaspettato da parte della sua responsabile (Sabrina), la quale cerca di accompagnarlo in un percorso di accettazione e trasformazione dell'errore commesso. Sketch 4: Si può sbagliare. Maurizio è stato convocato da Sabrina, che è la sua responsabile, per fargli notare un errore che ha fatto nell'ultimo lavoro. S.: - Giorgio! entra pure, siediti, grazie di essere venuto, volevo parlarti in privato. G.: -Dimmi tutto… è successo qualcosa? S.: - Sì e no, volevo fare il punto della situazione con te e volevo chiederti di alcune cose che sono successe. Dopo il nostro ultimo incontro, abbiamo attivato varie procedure, tu ti sei dato da fare con tutto, anche con gli operatori … M.: - Sì, certo, ma non è mica stato facile, eh, me l'aspettavo. E' stato molto pesante da organizzare, la gente non è abituata a fare questi passaggi. S.: - Io comunque ho notato che ce la stanno mettendo tutta, a parte i soliti due o tre che sono un po' più problematici, ma da sempre, non solo ora, mi pare, o no? G.: - Sì, infatti ... !21
S.: - In generale, quindi, sono soddisfatta del lavoro che stai portando avanti. Se pensi come eravamo messi soltanto un mese fa, sembrava impossibile solo concepire l'idea di questo passaggio. G.: - Ah, sì, questo è vero ... ma ho come l’impressione che tu stia per dirmi qualcosa di spiacevole ... S.: - Prima di tutto, voglio farti capire che apprezzo molto quello che stai facendo e capisco che non sia facile … G.: - Ah okay ... grazie, ma mi vuoi dire qualcos’altro, vero? S.: - Sì, volevo parlare con te anche di un'altra cosa importante. Alcuni operatori sono venuti da me a lamentarsi di non essere stati avvisati dei vari cambiamenti, o di essere stati avvisati in ritardo, con conseguenti ritardi sulle prassi, ecc. Ho detto loro che avrebbero dovuto parlarne con te e li ho rimandati a te senza dire niente a loro. Ho detto che non mi piace che ti scavalchino così. Però con te volevo capire cosa sta succedendo… G.: - Ah sì … certo. Veramente mi dispiace che siano venuti da te a lamentarsi, non potevano venire da me? Non ho capito ... Comunque, è stato che quando abbiamo deciso di fare le varie comunicazioni, io ho dimenticato di avvisare alcuni, ... S.: “Ah, ho capito … G.: - D'altra parte, li avrei avvisati dopo … Guarda ... io sono oberato di lavoro e non posso star dietro a tutto. Se tu sapessi quante cose devo fare, da solo, poi. Gestire il personale, l'organizzazione e tutto il resto! Io cerco di fare il mio meglio ... S.: - Non lo metto in dubbio, stai facendo un gran lavoro, per questo ho voluto iniziare questo colloquio con le cose che ti ho detto. Ho stima di te, ma questo non vuol dire che tu o io non possiamo commettere degli errori… Valutiamo insieme… un tuo errore è anche un mio errore… Impariamo a darci un metodo migliore, a darci la giusta priorità. Poi siamo qui per parlarne, non per condannare. G.: - Eh sì, adesso capisco perché c'erano quei musi lunghi, io pensavo che fossero arrabbiati per il carico di lavoro, invece ... S.: - A me interessava chiarire bene con te. Tu ci credi a questo piano che stiamo mettendo in atto? G.: - Ma sì, certo, solo che vorrei avere più conferme, mi pare di navigare a vista, non so ... ci vogliono delle idee, ma non è che vengono fuori così, dal cilindro del mago, è difficile! S.: - Senti, Giorgio. Non sono qui a dirti che è tutto facile. Può capitare di dimenticare qualcosa, di fare un errore, ma si supera anche questo, d'altra parte si va anche per tentativi ed errori, no? G.: - Sì, questo ce lo siamo sempre detti, però quando si sbaglia, ci sono delle conseguenze, dei ritardi, questo mi dispiace molto, non era mia intenzione ... !22
S.: - Ne sono sicura, succede. Adesso l'importante è che tu non perda la fiducia nelle tue capacità, qui ci vuole fiducia e creatività, mi avevi detto che questo è il tuo lavoro e non ti vedresti a fare nient'altro, no? G.: "Sì, è vero, te lo confermo". S.: - Allora puoi ripartire da qui. Apparentemente abbiamo perso un po' di tempo, ma in realtà abbiamo imparato qualcosa d'importante... Quindi, adesso come pensi di procedere? Ricorda che tu sei il loro punto di riferimento. G.: - Non so, ci devo pensare ... S.: - Okay, ci rifletti e poi mi farebbe piacere che ci confrontassimo, non per controllarti, ma per condividere, per avere una visione d'insieme. Cosa ne dici se ci rivediamo tra due giorni e mi dici cosa hai pensato, ti va? G.: - Sì, va bene. Ci potremmo vedere venerdì mattina. S.: - Bene, allora a venerdì, ti aspetto. Buon lavoro. G.: - Grazie, anche a te. Inutile pensare di evitare errori. Un nostro caro amico ha coniato un aforisma che ci pare appropriato: Se non ami sbagliare, fai sempre lo stesso errore. Provarci, certo, fare del proprio meglio, ma comunque sapere che si sbaglierà. E allora essere molto comprensivi con se stessi. Non indulgere in reprimende violente contro se stessi, tanto più che nessuno ci ascolta! Alla fine siamo l’essere più debole nei nostri stessi confronti. Possiamo abusare di noi come vogliamo! Quindi cerchiamo di non essere prepotenti e arroganti con noi stessi. Proviamo invece ad accettare, proviamo ad ascoltarci nella sofferenza, per comprendere meglio cosa è accaduto e darci del tempo. Proviamo a fare come fa Tristezza. Anche senza dirlo, è possibile darsi una possibilità di rimediare, aggiustare e riprovare. Non farsi sopraffare dalla rabbia o dalla vergogna, né dalla paura, ma accettare che si possano provare tutte queste emozioni, ed anche altre, e continuare, sopravvivere.6 !6 Il tema dell’errore è un tema affascinante e vasto. Si veda per una prima introduzione psicologica e neuro fisiologica il numero 157 del gennaio 2018 della rivista Mind. Mente e cervello: “Sbagliare per crescere”. !23
Cambiare gli altri, è possibile? Sì. Siamo animali sociali e ci influenziamo a vicenda. Nel nostro lavoro capita di avere una certa influenza sulle persone e d’indurle a dei cambiamenti. Alcuni vengono toccati dalle nostre parole in modo tale da prendere delle nuove decisioni, attuare nuovi comportamenti. Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Noi siamo uno stimolo per quei cambiamenti, non la causa. Tanto è vero che, pur dicendo le stesse cose, altri se ne guardano bene dal cambiare alcunché dopo una nostra lezione. E’ chiara la differenza tra stimolo e causa? E’ come per le emozioni. La realtà stimola la persona in un determinato modo inducendola a reagire, ma poi è la persona con i suoi pensieri, il suo vissuto, i suoi bisogni e le sue scelte a definire in che modo agire e a causare il cambiamento. Quella scelta non è che il culmine di un processo complesso iniziato molto prima di quello stimolo. Quindi, se avviene anche un minimo cambiamento in una persona presente ad una lezione, significa che la persona stessa ha deciso di lasciarsi provocare dallo stimolo dato dall’insegnante, perché in lei, a vari livelli di coscienza, è già in atto un movimento di ricerca verso qualcosa di diverso. Dunque cambiare gli altri è possibile, ma spesso non dipende da noi in modo diretto. Piuttosto conta moltissimo il nostro atteggiamento nei confronti di coloro che vorremmo “curvare". Innanzitutto bisogna vedere cosa s’intende per “cambiare gli altri”. Dipende dal perché si vuole che gli altri cambino. Dipende se si vuole che gli altri cambino in maniera duratura e profonda o soltanto in alcuni aspetti utili a noi. Poiché, in fondo, diciamocelo, gli altri non ci stanno bene come sono e vorremmo “aggiustarli” a nostro uso e consumo. Di solito questo atteggiamento genera conflitti, anche quando si maschera dietro gentilezze e necessità genuine. Soprattutto è un atteggiamento (intendo quello: “cambia perché io sto male, perché non mi piace quello che sei/fai, altrimenti mi arrabbio…) che non produce grandi effetti. Cambiare gli altri è possibile, dunque, ma dipende da alcune questioni, come abbiamo visto. Il modo più facile, antico ed usuale è quello di mettere paura e imporre dei cambiamenti (anche con le buone, anche se è per il loro bene.) Efficace, a volte, sul breve periodo, inefficace, sicuramente, sul lungo. In questo caso le forme di comunicazione più frequenti sono: la minaccia, il senso di colpa, il rimprovero o la critica. Si può aggiungere il sarcasmo, l’ironia, il silenzio. Ma anche, e questo è più sottile, gli elogi, le ricompense, i premi. Tutte queste cose si pensa che possano indurre gli altri a cambiare. Ed è vero. Le persone cambiano se minacciate o elogiate. Ma come? Perché? Ovviamente questo è un tema enorme che non possiamo affrontare. Ci limitiamo a dire alcune cose che puoi usare come spunti di riflessione. !24
Cambiare gli altri non è possibile senza il loro consenso. Ma soprattutto noi non vogliamo solo che gli altri cambino, noi vogliamo che gli altri comprendano e desiderino il cambiamento che noi auspichiamo per loro. Non vogliamo che le persone siano costrette o si sentano costrette a cambiare. Non vogliamo ricattarle e barattare i cambiamenti che auspichiamo, perché intimamente sappiamo anche noi che non funziona. Perché anche noi ci siamo trovati nelle condizioni di chi ha subìto un’imposizione o un ricatto e sappiamo come ci si sente. No. Noi vogliamo che gli altri cambino (e così anche noi stessi) perché vogliamo ciò che è bene per loro (e per noi, non c’è niente di male). Il desiderio che avvengano dei cambiamenti negli altri, soprattutto quando intuiamo ciò che può essere buono per loro, è del tutto naturale. Non c’è niente di male. La chiave sta nel come indurre cambiamenti. Prima di tutto, allora, occorre che siano gli altri a decidere se, quando e come cambiare. Occorre che siano liberi di scegliere, anche di non cambiare, se ritengono. Può sembrare un paradosso, ma se lascio le persone libere di rifiutare un cambiamento o perlomeno di adattarsi ad esso come esse ritengono, ho più probabilità di vederle cambiare e capaci di mantenere il loro cambiamento più a lungo che non nel caso di una minaccia o una promessa. Questo perché gli esseri umani non sopportano ricevere ordini di varia natura, anche quando essi sembrano dettati dal più innocente buon senso. In altre parole, la questione non è solo “Quale cambiamento mi aspetto dagli altri…” e verbalizzarlo /dirlo. Ma anche: “Per quale ragione dovrebbero farlo?” In sintesi, quindi, è importante per noi avere chiaro che non vogliamo che una persona cambi perché glielo diciamo noi, ma perché è la persona stessa che ha deciso e scelto di cambiare, in quanto lo ritiene corretto, sano e giusto per sé. Solo accompagnandola con questo pensiero lucido e con un atteggiamento di amorevole distacco, possiamo desiderare che lo farà, con la consapevolezza che, lo ribadiamo, esso non dipende da noi, ma sempre dalla persona che sceglie se, come e quanto cambiare. Alla fine non è così complicato da capire, vero? Più complicato, almeno per me, è stato trattenersi dall’intervenire, riuscire a non pretendere, accettare che i miei tempi non fossero quelli degli altri e pensare che ognuno avesse le risorse per affrontare ciò che deve, come crede. Non possiamo sostituirci agli altri, non possiamo prevaricarli, anche se è a fin di bene, perché creiamo più disagi di quanto non sia necessario. Dunque cambiare gli altri è possibile, a condizione di non pretendere, ordinare, costringere gli altri a fare ciò che a noi sembra giusto. Dopodiché, ecco alcune cose da tenere a mente, scritte in modo schematico e basate sulla nostra esperienza : • Accettare che la persona, a cui si sta chiedendo di cambiare o di adottare un comportamento diverso, non reagisca positivamente, non sia collaborativa, non apprezzi il cambiamento. Non giudicarla negativamente (questo si sente dal tono con !25
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