Equilibra edizioni RIFLESSIONI SUL CAMBIAMENTO - MASSIMO FRANCESCHETTI SABRINA AGNOLI

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Equilibra edizioni RIFLESSIONI SUL CAMBIAMENTO - MASSIMO FRANCESCHETTI SABRINA AGNOLI
equilibra edizioni

   MASSIMO FRANCESCHETTI
       SABRINA AGNOLI
     MAURIZIO GRANELLI

RIFLESSIONI SUL CAMBIAMENTO
         Di sé e degli altri
Equilibra edizioni RIFLESSIONI SUL CAMBIAMENTO - MASSIMO FRANCESCHETTI SABRINA AGNOLI
PRESENTAZIONE

I testi qui presentati riguardano la comunicazione interpersonale, il lavoro di gruppo e lo
sviluppo personale. Hanno lo scopo di condividere quanto ho appreso attraverso la mia
esperienza personale, gli studi e le lezioni tenute in aziende, istituzioni o scuole. Essi vogliono
essere uno stimolo alla riflessione e all’azione per coloro che vogliono conoscere e migliorare il
proprio comportamento nelle relazioni interpersonali. Non vogliono esaurire l’argomento, né
sostituire le lezioni. Alla fine viene dato qualche riferimento per orientarsi. Tutto quanto qui
scritto è frutto di esperienze personali e letture di altri autori rielaborate personalmente.
Questi testi non sono definitivi. Sono uno strumento provvisorio e limitato per aiutare me
stesso e gli altri a riflettere. I testi non hanno subito un lavoro professionale di editing e quindi
possono presentare errori. Sono grato per qualsiasi segnalazione o commento. Per farlo
scrivete a: massimo.franceschetti@fastwebnet.it

I testi sono di proprietà dell’autore, Massimo Franceschetti, che si assume la responsabilità di
quanto scritto. Essi non sono utilizzabili, da terzi, per nessun fine commerciale.

Creative Commons

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Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate
CC BY-NC-ND

                          In copertina: Jackson Pollock, Alchemy, 1942.

                                        Edizioni Equilibra
                                          gennaio 2018
Equilibra edizioni RIFLESSIONI SUL CAMBIAMENTO - MASSIMO FRANCESCHETTI SABRINA AGNOLI
INDICE

Premessa                                                              5
Quale cambiamento                                                     6
Tipi di cambiamento                                                   7
Sketch 1: Le cose cambiano, ma noi come la prendiamo?                 8
Perché le persone resistono al cambiamento?                           11
Il cambiamento subìto, il cambiamento guidato                         13
Cambiare idea, il primo passo                                         14
Sketch 2: Il pensiero “critico” (o critico interiore)                 17
Sketch 3: Il pensiero fiducioso                                       18
Cambiare stati d’animo                                                19
Accompagnare se stessi per farlo con gli altri                        20
Sketch 4: Si può sbagliare.                                           21
Cambiare gli altri, è possibile?                                      24
Ogni conclusione è un cambiamento, ogni cambiamento una conclusione   27
A chi esita                                                           28
Amore dopo amore                                                      29
Riferimenti bibliografici e filmografici (con sito)                   30
Una delle più grandi scoperte della mia generazione è che un essere umano può cambiare la propria vita
                                                  semplicemente cambiando il proprio modo di pensare.
                                                                      William James (1842-1910)
Premessa

Questo testo è il risultato di una serie di laboratori e lezioni spettacolo sul tema del
cambiamento tenuti da Massimo Franceschetti, Sabrina Agnoli e Maurizio Granelli tra il
2016 e il 2017. L’obiettivo era stimolare i partecipanti a riflettere sul cambiamento, partendo
dalle basi e cercando di dare qualche indicazione pratica. Ovviamente le lezioni erano molto
diverse da quanto il testo rappresenti. Tuttavia avevamo promesso una sintesi, parziale e
limitata, dei temi trattati. Lo sforzo che abbiamo fatto è stato soprattutto quello di partire
dalla nostra esperienza personale di cambiamento interiore. Non è la migliore, ci
mancherebbe, né è l’unica. Ma è la nostra. Abbiamo, inoltre, cercato di essere più realistici
possibile, senza illudere nessuno. Cambiare sul serio il proprio modo di pensare e sentire è
possibile, spesso auspicabile, ma non è immediato e senza sforzo. (Massimo ama ripetere in
aula la frase che Albus Silente rivolge ad Harry Potter: “Verranno tempi in cui occorrerà
scegliere tra ciò che è giusto e ciò che è facile…” e Sabrina e Maurizio annuiscono alzando
discretamente gli occhi al cielo). Le persone preferiscono soffrire piuttosto che cambiare, e ne
hanno, almeno per loro, fondati motivi. Molto spesso abbiamo anche orientato la lezione
verso le persone che erano presenti e che ci seguivano. Abbiamo lavorato con le loro
situazioni specifiche. Di questo, ovviamente non c’è traccia. Abbiamo invece scelto di lasciare
qualcuno degli sketch preparati da Sabrina e Maurizio e da loro rappresentati sia a teatro che
in aula. Il nostro obiettivo è quello di fornire un ulteriore strumento di conoscenza delle
situazioni quotidiane che abbiamo scelto di rappresentare e che, normalmente, non abbiamo
occasione di rivedere o rivivere. Ci auguriamo che questi momenti di teatro possano
accompagnarvi nella lettura, darvi l’occasione di riflettere e anche, perché no, di sorridere.

Ringraziamo moltissimo la Cooperativa Cadiai per le occasioni che ci ha offerto.
Ringraziamo Luca Tamani per una prima lettura del testo. Ringraziamo il Piccolo Teatro del
Baraccano per il supporto alle lezioni spettacolo.
Quale cambiamento

Il tema del cambiamento è diventato centrale per i tanti, moltissimi cambiamenti che ci
troviamo ad affrontare non solo nel mondo del lavoro, ma in ogni ambito della nostra vita.
Negli ultimi trent’anni tutto sembra cambiato e ad una velocità straordinaria. E’ cambiata la
nostra vita quotidiana; è cambiato il nostro modo di studiare, lavorare, vivere. Abbiamo
cambiato la moneta, il modo di mangiare, i cibi stessi non sono più quelli di un tempo. E’
cambiata l’idea che abbiamo di infanzia, ma anche di essere giovani o anziani. E’ cambiato
persino il clima. L’altro giorno la mia dentista mi diceva che non stanno più crescendo i denti
del giudizio! (un po’ ce ne eravamo accorti, a dire il vero…).

In modo molto rapido, siamo diventati sempre più parte di trasformazioni che ci hanno
condotto, spesso senza rendercene conto, ad essere diversi da come eravamo, a fare cose
diverse, a vivere in modo diverso, a lavorare in modo diverso. Ma siamo pronti per questo? Il
nostro modo di pensare, le nostre visioni o abitudini profonde, sono cambiate anche loro?
Forse non è accaduto tutto troppo in fretta? Non so a voi, ma a noi, che non siamo anziani,
ma nemmeno giovanissimi (a parte Sabrina), pare, a volte, di muoverci in una realtà estranea,
come fosse una mappa di cui non ho le coordinate. E sembra che nessuno, se non pochi,
sappia veramente ciò che sta accadendo.

Dunque il cambiamento è un tema centrale ed enorme. Non è lo scopo di questo testo
parlarne in modo esteso e approfondito. Qui vorrei affrontare soprattutto alcuni temi che
emergono durante le lezioni: come favorire il cambiamento nelle persone, cosa cambiare, se è
possibile cambiare gli altri o i propri stati d’animo.

Il punto centrale comunque non è la scelta tra cambiare o no. Il punto è se subiamo i
cambiamenti oppure no. Se abbiamo gli strumenti adeguati per affrontarli oppure no. E non
solo a livello sociale, ma anche a livello personale, addirittura fisico. Cambieremo, questo è
indubbio, ma come e seguendo quale traiettoria? Chi sceglie come cambiare?

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Tipi di cambiamento

La parola “cambiamento” è così vasta, ha così tanti significati e sfumature, può essere usata in
così tanti contesti, che è veramente difficile darne un significato, non solo univoco, ma
limitato. Quindi, non osiamo darne una definizione definitiva ma offriremo una nostra
interpretazione della parola “cambiamento”.
Come sempre diamo un’occhiata al dizionario etimologico, perché la storia delle parole
spesso ci dà un’idea interessante del concetto in questione. E così scopriamo che “cambiare” è
una parola che viene dal greco Kambein, Kamptein e vuol dire “curvare”, “piegare” 1. E questo è
interessante. Perché “curvare” è un modo di cambiare. Esistono molti tipi di cambiamento:
ecco qualche sinonimo: mutare, trasformare, modificare, alterare, riformare, evolvere,
innovare o rinnovare… e potrei andare avanti per molto, perché, in fondo, quasi tutti i verbi
che indicano un’azione indicano un cambiamento di stato. E questo perché il cambiamento è
una condizione perenne, inevitabile, continua e ubiqua: tutto cambia, anche se non sempre
percepiamo tutti i cambiamenti in atto.

Ecco, a noi piace questa idea di curvatura. Che cos’è una “curvatura”, a pensarci bene?
Iniziamo col dire ciò che non è: non è una trasformazione radicale e immediata. Non sarebbe
una curvatura, ma una frattura. Non è un processo di distacco, quindi, da ciò che c’è, ma una
sua prosecuzione, solo, un po’ più a destra o un po’ più a sinistra. Una curvatura è una
lenta trasformazione della direzione di marcia. Rimanda a piccoli spostamenti che
conducono, piano piano, altrove. Un progressivo mutamento, che alla fine ti fa trovare in un
luogo diverso. Dal che si evincono alcuni principi che si possono considerare essenziali per
comprendere il cambiamento, soprattutto per quanto riguarda i cambiamenti personali ed
interiori:

1. Il cambiamento (personale o interiore) è una rielaborazione di ciò che c’è già.
2. Il cambiamento (personale o interiore) è fatto di piccoli passi.
3. Il cambiamento (personale o interiore) è lento.

Questo ci fa pensare che forse finora abbiamo considerato il “cambiamento” come qualcosa
di molto diverso. Forse il nostro modello era il cambiamento esteriore. Per “esteriore”
intendiamo due modalità:
a) “compro” un oggetto per favorire un cambiamento anche personale (è il cuore di quasi
    tutte le pubblicità: compra X e diventerai Y…)

1Cfr. Il dizionario etimologico on line http://www.etimo.it/?
cmd=id&id=2943&md=6ab3730f01a51257ad2d5e293f98c510.

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b) cambiano le “cose” attorno a noi per cambiare noi: il computer, il telefono, Internet, tanto
   per fare esempi macroscopici, trasformano radicalmente la nostra vita quotidiana. Così
   forse abbiamo pensato il cambiamento più che altro in questo modo:

1. Il cambiamento è qualcosa di innovativo, qualcosa di molto diverso da quello che c’è già.
2. Il cambiamento è fatto di grandi trasformazioni radicali.
3. Il cambiamento è rapido, quasi immediato (se no, non è cambiamento).

Abbiamo a che fare con due tipi di cambiamento diversi: quello personale, interiore, che
riguarda soprattutto la consapevolezza e quello esteriore, che riguarda soprattutto l’ambiente
e le cose attorno a noi. Si dovrebbero tenere distinti. Sono due processi di cambiamento
importanti, ma che seguono processi molto diversi tra loro.
Ciò di cui parliamo qui, è soprattutto il cambiamento di tipo interiore, che deve fare i conti
con quello esteriore, tecnologico, ma non lo deve scimmiottare o inseguire. Il cambiamento di
cui parliamo qui avviene all’interno di noi stessi, nel nostro modo di pensare, che avviene
elaborando le nostre idee in modo continuo, limitato e con diversi tipi di velocità.

Sketch 1: Le cose cambiano, ma noi come la prendiamo?

Sabrina e Maurizio sono due coordinatori all'interno di una cooperativa di servizi. Oggi si incontrano
casualmente nella sede centrale.

S: - Ciao! Ma guarda chi si vede, come va? - S. e M. Si salutano calorosamente.

M.: - Sì, dai, tutto bene ...

S.: - Mi fa piacere vederti ... ma come mai sei qui in sede?

M.: - Ho un appuntamento con Giovanni. Avevo bisogno di vederlo per chiedergli delle cose
urgenti e allora mi ha detto di venire oggi.

S.: - Ah, ho capito ...

M.: - E tu?

S.: - Io sono qui per il controllo di gestione del mio servizio. Beh, dai, così ti ho incontrato, era
da un po' che non ci vedevamo, vero?

M.: - Eh sì – Dà un'occhiata all'orologio – Senti, io ho ancora un po' di tempo, ci prendiamo un
caffè, che dici?

S. Guarda l'orologio – Sì, dai, volentieri!

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Prendono il caffè al distributore automatico e cominciano a chiacchierare.

S. - Allora, come ti va? E' un periodo ok?

M.: - Mah, guarda, ti direi sì e no ... il lavoro procede, però diciamo che è un periodo difficile,
ci sono un sacco di cambiamenti in ballo e io non so dove prendere ... non so come faremo
con tutta 'sta roba.

S.: - Guarda, ti capisco bene, anche per me questo è un periodo molto intenso, ho molte cose
a cui star dietro, c'è una tale complessità da gestire e io mi stresso un po’, devo dire ...

M.: - Eh, a chi lo dici! Noi siamo proprio nel pieno di una bella trasformazione: c'è stata una
nuova gara, sono cambiate le convenzioni e c'è un cambiamento di servizio, figurati! Ah,
adesso sì che le cose devono cambiare, altrimenti non ci saltiamo fuori.

S.: - Eh beh, certo, mi rendo conto ...

M.: - Ma tu dimmi se il Ministero si deve inventare queste nuove convenzioni, così cambia
tutto in relazione al territorio, hai presente? Spostamenti, bisogna gestire le persone, le prassi
cambiano ... Infatti sono qui proprio perché ho bisogno di un confronto con Giovanni, gli
devo chiedere varie cose.

S.: - Certo, immagino. Sei preoccupato?

M.: - Ma sai, tutto da riorganizzare, perché ci sono nuovi orari, nuove regole, insomma,
hanno cambiato un po' tutte le carte in tavola.

S.: - Ma questo vi porterà anche dei vantaggi, no?

M.: - Mah, non lo so ... Per adesso dobbiamo fare un sacco di cose nuove e anche entro un
tempo breve, perché sai, ti danno anche poco tempo, eh!

S.: - Eh, lo so. Ci arrivano addosso queste novità da un momento all'altro e ci dobbiamo
adattare, non ci sono altre possibilità.

M.: - Ho capito, ma ti sembra giusto? Dovrebbero pensarci un po' anche loro, non dare la
patata bollente a noi e pretendere che risolviamo tutto e poi anche in fretta, mi raccomando!

S.: - Che sia giusto, no, però è così. Io ho fatto questa esperienza quattro anni fa e mi ricordo
bene cosa vuol dire il cambio di servizio! I cambiamenti di sede per gli operatori ...

M.: - Oh, guarda, anche qui sto facendo adesso le varie comunicazioni a quelli che dovranno
cambiare sede di lavoro e non ti dico. Non ne posso più. Ma quand'è che si può stare un po'
tranquilli?

S.: - Ah, è così. Ormai sappiamo che le cose cambiano spesso, è una tendenza da mettere in
conto. D'altra parte noi coordinatori abbiamo anche la gestione di questi passaggi, no?

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M.: - Sì okay, ma io mi vedo già tutte le lamentele, i malumori, le facce ... io li conosco quelli
del mio servizio!

S.: - Perché pensi che siano solo quelli del tuo servizio? Sapessi quante facce devo vedere io!

M.: - E com'è che sei così tranquilla? Non so come fai, guarda.

S. - Beh, tranquilla ... cosa dovrei fare? Cerco di accompagnare la situazione, in fin dei conti
non abbiamo scelta. A me hanno insegnato che quando una cosa non hai il potere di
cambiarla, hai però il potere di viverla nel modo migliore. In effetti non so ancora, ma magari
questi cambiamenti miglioreranno il nostro lavoro, non dicevi anche tu che qualcosa doveva
cambiare?

M.: - Sì, certo, ma non così! Bisogna valutare bene tutto prima di cambiare, noi gestiamo
delle persone, non dei numeri, per me è il metodo che deve cambiare ...

S.: - Eh, avrai anche ragione, ma stare qui a dircelo non migliora la situazione. E poi non è la
prima volta. Anche io nel mio servizio ho affrontato tanti cambiamenti e non è stato facile.
Ho cercato di mantenermi lucida, poi a volte ho sbagliato, però ti posso dire che oggi
lavoriamo meglio, secondo me.

M.: - Ma siamo sicuri che sia meglio di prima? Ad esempio, per molti si sono allungati i tempi
di spostamento per venire a lavorare, è tutto decentrato e poi anche per noi, bisogna
continuamente essere aggiornati altrimenti ci perdiamo, insomma per me questo non è
miglioramento ...

S.: - Okay, però cerca di vederlo su un tempo più lungo. Al momento destabilizza, ma
dobbiamo vedere le cose più sul lungo periodo ...

M.: - Eh sì, lo so, però ... - Guarda l'orologio - Va beh, scusa adesso devo proprio andare.

S.: - Ah sì, certo, anche io vado, ormai sarà il mio turno. Mi ha fatto piacere vederti, poi
fammi sapere come va, okay?

M.: - Sì, va bene, ti saprò dire che cosa succederà! Ciao, a presto.

Si salutano ed escono.

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Perché le persone resistono al cambiamento?

Questa è una domanda che ci viene posta in aula, soprattutto quando parliamo di lavoro di
gruppo in azienda. E soprattutto in aziende che si stanno riformando, trasformando,
cambiando. In questa fase emerge come alcune persone, spesso non molte, facciano quella
che viene definita “resistenza”, ovviamente dal punto di vista di chi vorrebbe l’adesione a certi
cambiamenti. In aula le persone, a volte i loro superiori, si lamentano di questa resistenza,
questa opposizione al cambiamento che loro, invece, considerano necessaria e positiva.
Perché, quindi, le persone fanno resistenza? Come fanno a non capire che il cambiamento è
necessario? Perché non collaborano?

Ovviamente i motivi sono soggettivi e quindi di volta in volta diversi. Poi bisognerebbe
comprendere che la “resistenza” è una definizione un po’ semplicistica. Bisognerebbe
ascoltare e comprendere meglio, poiché a volte le persone che fanno resistenza stanno
esprimendo dei bisogni in modo, forse, inappropriato, polemico o contraddittorio, ma è
possibile che abbiano istanze positive anche per il cambiamento in atto.
Va infine notato come alcuni comportamenti di coloro che pongono il cambiamento
favoriscono la resistenza allo stesso. In genere, la prima cosa che bisognerebbe capire (e
casomai cambiare) è che i cambiamenti (personali) non si impongono. Ognuno
decide e attua il proprio cambiamento. Nessuno può realmente cambiare un altro (ci
torneremo). Soprattutto nessuno può imporre il cambiamento di idee, atteggiamenti. In altre
parole, mentre il cambiamento esteriore spesso s’impone alle persone, il cambiamento
interiore non lo si può imporre. O meglio, lo si può imporre, ma imponendolo s’impedisce
una reale adesione ad esso.
Da quanto ci risulta, dopo anni di diete fallimentari, il cambiamento (di abitudini alimentari,
in questo caso) non si può imporre nemmeno a se stessi. Cambiare idee, abitudini,
atteggiamenti è una scelta e sarà tanto duratura quanto più sarà libera e personale.

NOTA BENE
(In questo testo parliamo di adulti, quindi di persone che hanno raggiunto un grado di
autonomia e consapevolezza, tale da attuare scelte personali, di cui essi sono i diretti e unici
responsabili. Diverso è il caso in cui si ricopra il ruolo di educatori, per il quale viene richiesto
di educare e formare altri individui, si pensi in particolare al ruolo dei genitori nei confronti
dei figli da crescere. Nel vasto panorama della storia della pedagogia, si sono studiati diversi
approcci e modelli educativi, fino ad arrivare agli ultimi approfondimenti, che ci parlano di
una società senza padri, di ruoli genitoriali molto in crisi in quanto a leaderanza ed
autorevolezza. La responsabilità di tutto questo sembra sia da attribuire a tutti quei modelli
educativi che hanno preso piede dagli anni Sessanta in poi, impostati sul lasciar fare, in
contrapposizione alla imposizione categorica e al senso del dovere inculcato ai ragazzi fino a
poco prima. Oggi, secondo alcuni sociologi e psicologi, abbiamo sotto gli occhi i risultati

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deludenti di una certa impostazione educativa: generazioni di giovani senza spina dorsale,
dipendenti dai cellulari e dai computer, senza regole, maleducati, irriverenti e annoiati, figli di
genitori disorientati, spaventati e insicuri. E’ davvero così? La questione resta aperta,
ovviamente. Secondo noi lo stile educativo va cercato, costruito negli anni, procedendo
secondo la propria scala di valori e tenendo presente che l’importante è essere in cammino
costantemente, pensare e agire per tentativi ed errori, un passo alla volta. Da questo punto di
vista, questo stesso stile può essere applicato anche nei nostri confronti. In fondo, occorre
essere un po’ mamma e papà di noi stessi, avere pazienza, aspettare che alcuni pensieri
maturino in noi, per poi sfociare nel cambiamento. Ecco allora che, proprio a questo punto,
torniamo al valore della scelta: se questa avviene in modo chiaro dentro di noi, gradualmente
avverranno anche alcuni piccoli, quasi impercettibili cambiamenti, che ci porteranno poi a
piegare, curvare verso ciò che desideriamo. Questo intreccio di chiarezza e morbidezza si può
allora applicare anche all’educazione dei più piccoli)2.

Il cambiamento non è questione di volontà (o di paura). Almeno non solo e non sempre. Il
cambiamento è questione di consapevolezza (e quindi conoscenza, esperienza, comprensione).
Si cambia perché, ad un certo punto, si capisce qualcosa che induce a nuove o diverse azioni. Si
decide, ad un certo punto, che si cambierà. Inizia così un processo che può essere più o meno
lungo, ma che ha al suo centro l’elaborazione di un diverso modo di pensare.

Se imporre cambiamenti in genere è contro producente, va anche detto che spesso le persone
faticano ad accettare dei cambiamenti un po’ a prescindere se questi sono imposti o no. Per
dirla in breve, il nostro cervello non ama essere rimesso in discussione. Non ama cambiare
routine, a meno che non creda che questo sia assolutamente necessario per la sopravvivenza
dell’individuo o la sua salvaguardia. In un senso diverso, ma è sempre questione di
comprensione.

Quando non si cambia è perché non si sta capendo qualcosa. Molto spesso le persone
rimangono fissate a un pensiero, ad un’idea. Le persone sono convinte che ciò che è o è stato
sia molto meglio di ciò che sta per essere e sarà. Lo sono per davvero. Anche se in realtà ciò a
cui sono legati è il loro stesso legame, l’abitudine, la conoscenza. Il nuovo, il diverso non è
ancora conosciuto e in quanto tale non ancora pensato. Per questo viene rifiutato. E se le
persone hanno pochi strumenti per leggere ciò che accade, ancor più tenderanno a rifiutarlo.
Ciò che non conosciamo ci spaventa. E’ una forma di protezione di sé. Non è sbagliato, anzi è
molto sano. Solo che è un riflesso condizionato, il quale ci fa perdere molte possibilità, è
motivo di conflitti e spesso rende il cambiamento poco gestito e troppo subìto. Per cui
occorrerebbe fare attenzione quando si è in difficoltà di fronte ad un cambiamento e dirsi, più

2 Per casi molto speciali di gestione dell’imposizione si veda Alexander S. Neill, I ragazzi felici di Summerhill, Red Edizioni.
Oppure il racconto personale di come abbia gestito il rifiuto di andare a scuola del proprio figlio Marshall Rosenberg. Lo
trovate in Preferisci avere ragione o essere felice?, Essere edizioni.

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onestamente possibile, se non si sta reagendo più in preda ad un riflesso condizionato,
piuttosto che per validi e soprattutto comprovati motivi.

Il cambiamento subìto, il cambiamento guidato

La tendenza a rifiutare i cambiamenti imposti dal contesto o da altri è molto forte. Purtroppo
le cose cambiano continuamente, in modo spesso repentino, radicale e imprevedibile. Inoltre,
le cose cambiano non come vogliamo noi o quando vogliamo noi. E così, quando non abbiamo
il controllo del cambiamento, se mai l’abbiamo avuto, sorgono i problemi.

Il cambiamento nella società, nella nostra società, nel mondo del lavoro, è qualcosa di recente
dopo secoli in cui si è spesso lavorato nella ripetizione continua, nel continuo ripetere gli stessi
gesti, le stesse azioni. I nostri nonni, se erano contadini, avevano un tempo ripetuto e sempre
uguale, pur nelle continue traversie del tempo metereologico; se erano impiegati di istituzioni
o industrie anche, e così se erano operai alle macchine. Loro per noi sognavano il posto
“fisso”, che non sarebbe cambiato nel tempo; un posto che ci poteva garantire la sicurezza,
entro il quale ripetere le nostre azioni, condurre una vita all’insegna della sicura
riproposizione dello stesso. Ma poi, se non tutto, molto è cambiato. E in Italia molto
rapidamente. Il mondo del lavoro, in particolare, è cambiato e con esso è cambiato anche il
modo in cui si cambia. Perché non solo stiamo assistendo a repentini cambiamenti, ma anche
a cambiamenti nel modo e nei tempi di cambiare le cose.

E noi? Noi che siamo invece lenti, abbiamo bisogno di capire e di tempo per farlo? Noi,
abbiamo cambiato idea sul lavoro? Abbiamo cambiato modo di pensare noi stessi e gli altri?
Siamo stati prepararti ad essere più sicuri nell’incertezza? A muoverci comodamente in un
mondo che non ha punti fermi? Abbiamo avuto il tempo per adattarci ai cambiamenti?
Siamo stati educati al cambiamento? Al modo in cui le cose cambiano?

Non abbiamo alcuna verità sul cambiamento e il nostro scopo non è quello di dare delle
indicazioni chiare e definitive su questo tema. Usare le parole chiaro e definitivo sul tema del
cambiamento pare un po’ contraddittorio. Daremo spunti, stimoli, vi proporremo domande e
qualche indicazione, ma ciò che ci interessa è stimolarvi a riflettere sul cambiamento, tenendo
conto che esso è nello stesso tempo un elemento naturale della nostra vita e qualcosa di nuovo
a cui stiamo piano piano abituandoci.

Il nostro vorrebbe essere un approccio umano al cambiamento. Non vi diremo né che è
meraviglioso né che è terribile; né che è semplice o interessante, il cambiamento. Può essere
invece faticoso, noioso, a volte può sembrare inutile. Ma è quello che è e dobbiamo fare i

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conti con qualcosa che nessuno di noi, da solo, può cambiare: non possiamo cambiare le
forme del cambiamento, ma quello che possiamo cambiare è il nostro modo di pensarlo, di
affrontarlo e di viverlo.

Cambiare idea, il primo passo

Parliamo spesso di cambiamento, parlando delle persone, ma cosa esattamente dovrebbero
cambiare, le persone? Le situazioni che incontriamo sono situazioni in cui, di fronte ad una
società, un’azienda o una famiglia, che cambia repentinamente e profondamente, le persone
sembrano poco reattive, poco capaci di reagire con la stessa rapidità e profondità. Cosa
dovrebbero cambiare? In genere ci si concentra sui comportamenti. Ciò che andrebbe
cambiato sono i comportamenti. Questi vengono collegati alla volontà. Se vuoi, puoi, ci
dicono. Ma forse non è così semplice.3

Siamo in genere abituati a pensare al cambiamento come qualcosa che ha a che fare con
abitudini, ma come scritto più indietro, la volontà ha un peso relativo ed è successivo ad un
altro passaggio: capire. Prima di voler cambiare, le persone hanno bisogno di capire. Solo
dopo la volontà agisce in modo efficace. Prima possiamo provarci (a smettere di fumare,
mangiare di meno, fare più moto e via dicendo) ma è probabile che non funzioni o non duri.
E questo non perché siamo sbagliati, incapaci o senza spina dorsale. Più realisticamente: non
stiamo capendo perché dovremmo fare quello che dobbiamo fare.

Alla fine, siamo animali che hanno bisogno di un perché per agire. E i “perché” sono molto
più importanti di ogni altra cosa. Anche quando non ce ne rendiamo conto, abbiamo un
perché dentro che ci indirizza, ci motiva, ci dà forza o ce la toglie. Quando non capiamo
perché dovremmo fare o essere qualcosa facciamo un’immensa fatica a realizzarlo. Ma se
capiamo e concordiamo sul perché dovremmo fare o essere qualcosa è molto più facile la sua
realizzazione. E’ a questo punto che la volontà può avere un suo ruolo. Una volta capito
perché vogliamo realizzare ciò che vogliamo realizzare, il passaggio a volerlo realizzare è più
facile, se non immediato. La comprensione e la volontà, pur distinte, lavorano di concerto,
non possono fare a meno l’una dell’altra. La comprensione senza la volontà è sterile, la
volontà senza comprensione è debole.

3Qui richiamo un articolo facilmente reperibile da cui partire per una riflessione su di un mantra diffuso: se
vuoi, puoi…. http://www.ilpost.it/2016/03/11/forse-non-dovremmo-dire-ai-bambini-potrai-diventare-quello-che-vuoi/?
utm_source=Il+Post+Daily&utm_campaign=180c4d22cb-
Evening_Post_060317&utm_medium=email&utm_term=0_07356410ea-180c4d22cb-309499917.
Perché alla fine esistono anche tante variabili e la volontà da sola non basta.

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Dunque è dalla comprensione che occorre partire per “curvare” il nostro comportamento. Ed
è il pensiero quindi, (questo grande sconosciuto, di cui ci occupiamo troppo poco!), la prima
cosa da cambiare. Il pensiero è ciò che, innanzitutto, occorre cambiare, ossia “curvare”,
occorre condurlo piano piano verso altre idee, altre nozioni, altre comprensioni. Esso è
cresciuto dentro di noi e ha stabilito, per il nostro comportamento, linee guida molto precise e
specifiche. Se vogliamo modificare il nostro comportamento sono quelle linee guida che
dobbiamo curvare. Sono quelle linee guida che dobbiamo piano piano modificare.

Ognuno di noi ha ricevuto una educazione molto precisa rispetto a cosa deve pensare,
credere, dire o ascoltare, chiedere o ottenere, vedere o sentire… Non siamo proprio esseri
liberi, ma siamo il risultato di tante influenze che ci hanno condizionato in modo
inconsapevole. Abbiamo assorbito tanto senza sceglierlo. Ci rendiamo conto di questo? Siamo
consapevoli del tipo di pensieri (nostri e altrui) a cui siamo educati a credere? Come ci
comportiamo di fronte a questi pensieri? Quanto siamo abituati a vedere nei nostri pensieri la
ripetizione di pensieri già pensati, fissati per noi dalla tradizione, dalla cultura e dalle
abitudini familiari. Ad esempio, siamo coscienti che pensare di fronte ad un cambiamento che
esso sia un peggioramento, è un automatismo antico e continuo, una reazione innanzitutto
emotiva e automatica? Così come coloro che pensano che ogni cambiamento (soprattutto
tecnologico) sia il benvenuto, la panacea di tutti i mali, la soluzione ad ogni problema, sono
consapevoli di essere vittima di un pensiero, se non ingannevole, quantomeno limitato e
spesso indotto?

Il pensiero è il luogo più importante dove agire per una maggiore capacità di
cambiamento. Poiché cambiare significa innanzitutto cambiare idea. Per farlo in modo
attivo, occorre vedere il pensiero e la sua realtà. I nostri pensieri possono essere
(semplifichiamo molto) di due tipi: pensieri automatici e pensieri coscienti. Pensare è infatti
un’attività passiva e attiva al contempo. Può essere automatica oppure può essere guidata e
orientata. Occorre allora imparare a vedere i propri pensieri automatici, per capire come essi
determinano il nostro sentire e agire e occorre poi prenderli per mano e trasformarli in
pensieri coscienti, scelti. Il pensiero, infatti, è modificabile. E’ “solo” pensiero, non è una
realtà immutabile, fissa, inscalfibile. E’ possibile pensare diversamente, modificare, plasmare,
ridurre, ampliare un pensiero. In che modo?

Primo: rendersi conto dei pensieri che si fanno. Rendersi conto che il cervello secerne pensieri
come il fegato la bile. Non tutti i pensieri sono uguali e non è che perché ho pensato una cosa
quella è. I pensieri automatici sono appunto automatici e questo li porta ad essere spesso
inappropriati, inadatti, anche se immediati e, per questo, apparentemente più “veri”.
Ascoltarsi, allora, osservare il proprio flusso mentale mentre si dipana, è essenziale.

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Si può capire cosa si pensa anche osservando i nostri comportamenti che sono il risultato di
pensieri, di idee, attese. Così come ascoltare le nostre emozioni, diretta conseguenza dei nostri
pensieri (ritorneremo anche su questo più avanti e in altri testi).

Secondo: esporsi ad altri pensieri attraverso l’ascolto, il dialogo, la comunicazione. Esporsi
leggendo, conoscendo, viaggiando, esplorando altri modi di pensare e agire. Sviluppare
l’attitudine a pensare in modo più consapevole attraverso processi di pensiero consapevoli
(logico, creativo, induttivo, deduttivo ecc.).

Il cambiamento personale implica una trasformazione del pensiero, una sua curvatura verso
posizioni nuove. E il pensiero si trasforma con le parole: il linguaggio, il dialogo, la
comunicazione e le sue diverse forme: ascolto, parola, lettura, prima di tutto.4

Come si vede, nei processi di cambiamento personale, e non solo, hanno un ruolo centrale le
parole, che sono lo strumento concreto attraverso le quali viaggiano i pensieri. Non solo,
naturalmente. I pensieri viaggiano anche attraverso immagini o suoni, tanto per dire. Ma
certamente le parole hanno una potenza notevole nel favorire una trasformazione personale
in quanto fondata sulla comprensione. Ovviamente, ripetiamo, non è vero sempre, ma spesso
sì.

Così cambiare le parole che usiamo, interrogarle e adeguarle ai contesti o alle esigenze è una
delle attività auspicabili nel favorire i cambiamenti o il nostro rapporto con il cambiamento.
Del resto, i grandi (e piccoli) cambiamenti sono spesso cambiamenti linguistici. Si parte da
parole nuove, parole che assumono un significato nuovo o più preciso e, con esso, una potenza
descrittiva o esplicativa rinnovata. Sarebbe la stessa rivoluzione, la rivoluzione francese, senza
lo slogan: egalité, fraternité, liberté?

Quelli che seguono sono esempi di modi di pensare che creano anche altrettante modalità di agire. Maurizio in
scena interpreta il Pensiero Automatico che è nella testa di Sabrina. Le gira attorno e le fa pensare pensieri che
Sabrina subisce. Nei termini del Voice Dialogue, Maurizio rappresenta forse il più insidioso tipo di pensiero
automatico: il critico interiore.

4 Diamo per scontato che si voglia cambiare, che si sia curiosi e si abbia un atteggiamento di possibilità da dare
al cambiamento. Se non c’è questo non ci sarà cambiamento e bisognerà attendere che si arrivi a questo punto.
Come dice De Mello, quando soffrire diventerà più difficile che cambiare, allora si cambierà.

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Sketch 2: Il pensiero “critico” (o critico interiore)

Sabrina. Scena di vita quotidiana. Perde la pazienza con il figlio adolescente, che però non
interviene.

S.: -E la devi smettere di lasciare sempre tutto in giro, non è giusto! Te l'ho già detto mille
volte!

M.: -Devi essere più forte, più dura, devi fare di più... non fai abbastanza, e poi non ti
rispetta...
Sabrina ripete.

S.: -Tu non mi rispetti. Tutto il lavoro che faccio per sistemare, altrimenti qui non si cammina
più!

M.: -Eh, Giulia non è come te. Lei sì che fa rigare dritto i figli ... tu sei troppo morbida,
troppo generosa, troppo sensibile... ti sostituisci, così loro non impareranno mai ...

S.: -Come si fa con te? Ormai sei già grande, hai sedici anni, ma non ti accorgi di tutta questa
confusione? ... Dopo perde anche le cose, e ci credo!

M.: -E per forza, tu le cose non gliele hai insegnate quando era il momento giusto, adesso non
lo raddrizzi più, è colpa tua.

S.: Io l'esempio te lo do sempre, le mie cose me le metto a posto, avete mai visto delle cose
mie in giro? Mai!

M.: -Ma capirai l'esempio! Qui ci vogliono delle indicazioni precise, non ti vede neanche lui,
ha delle altre cose in testa, non vedi?

Sabrina è nervosa, in ansia, poi si siede un momento e apre un libro.

M.: -Beh, adesso cosa fai, ti fermi? Non è proprio il momento, non puoi... devi lavorare, devi
fare ancora un sacco di cose... non perdere tempo, dai...

Sabrina si alza.
S.: -Sì, adesso non posso leggere ... Devo andare avanti a sistemare, a lavorare, sempre
lavorare ...

Escono entrambi.

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Sketch 3: Il pensiero fiducioso

Sabrina e Maurizio/Pensiero entrano in scena. Stanno già parlando... Sabrina ha un
problema al lavoro e non riesce a risolverlo.

M.: -La soluzione c'è, occorre solo trovarla.

S.: -No, non è così facile...

M.: -Sì, ma è possibile. Troverai la soluzione, ci vorrà del tempo, ma la troverai.

S.: -Ma ho già fatto tutto. Non c'è più niente da fare.

M.: -Puoi farcela, sei capace. E poi sei già stata capace, non è un'opinione ma un fatto.

S.: -No, guarda, è inutile raccontarsela, non ce la farò.

M.: -Raccontarsela? Perché tu non te la racconti già? Cosa stai facendo da quando ti sei
svegliata stamattina? Cosa fai tutto il giorno e magari anche la notte, nei sogni, se non
raccontartela, continuamente? Bisogna vedere cosa ti dici...

S.: -Bravo, tu la fai facile... per te tutto è possibile, facile.

M.: -E no, alt! Intanto io non ho mai detto che è facile. Io non sono fesso, semmai sono fisso!
Sono fisso sulle tue possibilità, perché ne hai tante... e hai fatto cose ben più complesse. Io mi
ricordo, ma tu?

S.: -Beh, sì, se mi fermo a pensarci, mi ricordo...

M.: -Allora basta fare i capricci... sei arrabbiata perché le cose non vanno come vuoi tu, sei
spaventata dal fatto che non controlli la situazione. E' tutto normale. Accettalo e vai avanti.
Ce la puoi fare.

S.: -Sai che tu parli in modo ben diverso dagli altri pensieri? Però... mi sembri un po' finto...

M.: (Ride) -Ti sembro finto perché non sei tanto abituata ad ascoltarmi, ma in realtà tra noi
due quella più finta sei tu. Io sono oggettivo, preciso, realistico perché so che ci sono altre
possibilità e che tu sei in grado, non ti manca nulla. Però, tu ci credi a quello che ti dico io o
credi di più a quello che ti dice l'altra voce dentro di te? Guarda che quella è molto più finta
di me.

S.: -Dici?

M.: -Certo. Comunque, la soluzione è là che ti aspetta, ma... se non la vai a cercare, non la

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troverai.

S.: -Posso farcela, allora...

M.: -Certo. Oh, sai che ti vedo meglio... le parole ti fanno cambiare il corpo!

Mauri esce.

Cambiare stati d’animo

E’ possibile cambiare gli stati d’animo di una persona? Sembra strana la domanda, visto che
essi cambiano continuamente. Eppure la visione che abbiamo è che i cambiamenti degli stati
d’animo siano imprevedibili, ingestibili, involontari.
Non è così.
Le emozioni sono reazioni psicofisiche puntuali a stimoli interni o esterni, causate dal vissuto,
dai pensieri, dal bagaglio di vita che una persona (ha) si costruisce, già a partire dalla nascita e
nei primissimi anni di vita (quando inizia a nascere). Le emozioni, quindi, non dipendono da
chissà quale arcano, ma semplicemente da ciò che “pensiamo” (anche se “pensare” qui va
inteso in senso molto ampio). Esse durano poco perché il flusso dei nostri pensieri cambia
velocemente e, con esso, cambiano anche le emozioni. Si intende qui un pensiero quasi
sempre inconsapevole, fatto d’immagini, attese, credenze, dogmi, esperienze pregresse, vissuti
inconsci, insomma tutto quello che, più su, abbiamo definito con la parola “automatismo”.

In ogni caso, questo flusso di pensiero si modifica, per lo più in modo inconsapevole,
modificando l’emozione. Ogni volta che avete iniziato a fare qualcosa di nuovo eravate per lo
più timorosi, in ansia, spaventati oppure eccitati e curiosi. Poi, con il tempo, ma soprattutto
con il pensiero, siete cambiati e avete iniziato a provare serenità, e magari dopo un po’ anche
noia. Cosa è accaduto? Avete cambiato la realtà? No, avete cambiato, senza accorgervene, il
vostro modo di pensare a quella realtà. Ebbene, questo lavoro si può fare anche in modo
consapevole, e quindi più rapido. Come?

Innanzitutto sarebbe opportuno esercitarsi a verbalizzare il nostro stato d’animo, provare a
dargli un nome, a spiegare perché si prova quello che si prova, riconducendolo a ciò che
pensiamo, temiamo, attendiamo e così via. E’ possibile tradurre in parole il vissuto che sta
sotto un’emozione. Basta applicarsi un po’. Alcuni riescono facilmente, altri molto più
difficilmente. Ma è possibile.

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Il processo di verbalizzazione ci aiuta a riconoscere il nostro modo di pensare e a diventare
coscienti dei nostri schemi di pensiero, delle attese e dei vissuti che determinano ciò che
proviamo. E’ molto importante, allora, fermarsi a pensare, prendersi un momento, staccare,
anche per poco. Aiuta moltissimo anche il dialogo con un’altra persona, che permette di
chiarire meglio cosa si prova e perché. Il dialogo esteriore, infatti, serve per “vedere” il dialogo
interiore che genera certe emozioni. Una volta più consapevoli, è possibile allora raccontarsi
un’altra storia, darsi un’altra possibilità. Dialogo interiore e dialogo esteriore possono
modificare la coscienza e, con il tempo, generare nuove emozioni. Del resto, ciò avviene
continuamente. Anche ciò che chiamiamo “esperienza” è, in gran parte, questo processo
inconsapevole di trasformazione dei nostri pensieri.

Accompagnare se stessi per farlo con gli altri

Quante volte succede che abbiamo chiarissimo cosa un nostro amico deve fare, dire, come
deve comportarsi, reagire. E’ molto facile per noi vederlo, capirlo. E siamo lì, subito pronti a
dirglielo aspettandoci che il nostro amico ascolti e traduca in pratica quello che per noi è
evidente. Eppure molto spesso non solo il nostro amico non fa quello che dovrebbe, ma non
sembra nemmeno apprezzare quanto gli stiamo dicendo. Non è raro che l’amicizia s’incrini,
che la relazione ne risenta. Eppure accompagnare qualcuno al cambiamento è un’arte
difficile, delicata, a cui siamo molto poco allenati. Siamo come genitori che devono aiutare i
propri figli ad affrontare i cambiamenti della vita: come lo facciamo? Come l’abbiamo fatto
noi? Da dove prendiamo i nostri comportamenti a proposito? Non risolviamo la cosa
semplicemente dicendo all’altro quello che deve fare? Non stiamo, in fondo, anche se in modo
gentile, imponendo qualcosa? Oppure, non potrebbe essere che l’altro lo viva così?

C’è una scena nel film della Pixar Inside Out in cui Gioia cerca in tutti i modi di cambiare
l’atteggiamento dell’elefante pagliaccio, senza riuscirci. Poi Tristezza si siede accanto
all’elefantino, piange con lui, non dice nulla di ciò che l’elefantino deve o non deve fare o
provare o esprimere. Rimane lì con lui. E l’elefantino, magicamente, si risolleva, riprende la
corsa. Gioia, stupefatta, chiede a Tristezza come ci sia riuscita e lei, mogia come sempre, non
sa spiegarlo, dice semplicemente “Non lo so, era triste così ho ascoltato quello…”.5 Tutto qui.

5 Inside Out è un film sulle emozioni e sulla loro gestione. Tristezza dà un saggio del cosiddetto “ascolto
empatico”. La migliore teorizzazione e didattica dell’ascolto empatico che io conosca è quella che si riceve dai
testi e dai corsi sulla Comunicazione Non Violenta di Marshall B. Rosenberg. Cfr. in Italia, il Centro Esserci di
Reggio Emilia, ma non è il solo.

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A volte, accompagnare gli altri nei cambiamenti significa semplicemente stare con loro, non dire
o fare qualcosa. Il cambiamento non si può imporre, come ho già scritto.

Eppure per arrivare a quel semplice ascolto di Tristezza ci vuole molta strada, quantomeno
per molti di noi. Per questo, prima di mettersi ad accompagnare gli altri, sarebbe bene
imparare ad accompagnare se stessi. E, dovendo scegliere da dove cominciare, la cosa che
riteniamo più importante da considerare è la gestione dei momenti difficili o, in particolare,
la gestione degli errori. Non c’è cambiamento senza errori, senza regressioni, senza
momenti difficili in cui si vorrebbe ritornare indietro, ricominciare da capo, non si vorrebbe
essere arrivati lì, aver fatto quella scelta e così via.

Come gestiamo questi momenti, prima ancora che negli altri, con noi stessi? Li consideriamo
importanti, utili, anche se dolorosi, oppure li temiamo, ne abbiamo paura, li nascondiamo a
noi stessi prima e poi agli altri? Sbagliare è il modo più utile per imparare ed in ogni caso è
inevitabile. Chiunque faccia qualcosa compie sempre degli errori, soprattutto dal punto di
vista di altri!

Riportiamo una simulazione ambientata in un contesto lavorativo. Il personaggio maschile
(Maurizio) si trova a dover gestire emotivamente un feed-back inaspettato da parte della sua
responsabile (Sabrina), la quale cerca di accompagnarlo in un percorso di accettazione e
trasformazione dell'errore commesso.

Sketch 4: Si può sbagliare.

Maurizio è stato convocato da Sabrina, che è la sua responsabile, per fargli notare un errore che ha
fatto nell'ultimo lavoro.
S.: - Giorgio! entra pure, siediti, grazie di essere venuto, volevo parlarti in privato.
G.: -Dimmi tutto… è successo qualcosa?
S.: - Sì e no, volevo fare il punto della situazione con te e volevo chiederti di alcune cose che sono
successe. Dopo il nostro ultimo incontro, abbiamo attivato varie procedure, tu ti sei dato da fare con
tutto, anche con gli operatori …
M.: - Sì, certo, ma non è mica stato facile, eh, me l'aspettavo. E' stato molto pesante da organizzare, la
gente non è abituata a fare questi passaggi.

S.: - Io comunque ho notato che ce la stanno mettendo tutta, a parte i soliti due o tre che sono un po'
più problematici, ma da sempre, non solo ora, mi pare, o no?

G.: - Sì, infatti ...

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S.: - In generale, quindi, sono soddisfatta del lavoro che stai portando avanti. Se pensi come eravamo
messi soltanto un mese fa, sembrava impossibile solo concepire l'idea di questo passaggio.

G.: - Ah, sì, questo è vero ... ma ho come l’impressione che tu stia per dirmi qualcosa di spiacevole ...

S.: - Prima di tutto, voglio farti capire che apprezzo molto quello che stai facendo e capisco che non sia
facile …

G.: - Ah okay ... grazie, ma mi vuoi dire qualcos’altro, vero?

S.: - Sì, volevo parlare con te anche di un'altra cosa importante. Alcuni operatori sono venuti da me a
lamentarsi di non essere stati avvisati dei vari cambiamenti, o di essere stati avvisati in ritardo, con
conseguenti ritardi sulle prassi, ecc. Ho detto loro che avrebbero dovuto parlarne con te e li ho
rimandati a te senza dire niente a loro. Ho detto che non mi piace che ti scavalchino così. Però con te
volevo capire cosa sta succedendo…
G.: - Ah sì … certo. Veramente mi dispiace che siano venuti da te a lamentarsi, non potevano venire
da me? Non ho capito ... Comunque, è stato che quando abbiamo deciso di fare le varie
comunicazioni, io ho dimenticato di avvisare alcuni, ...

S.: “Ah, ho capito …
G.: - D'altra parte, li avrei avvisati dopo … Guarda ... io sono oberato di lavoro e non posso star dietro
a tutto. Se tu sapessi quante cose devo fare, da solo, poi. Gestire il personale, l'organizzazione e tutto il
resto! Io cerco di fare il mio meglio ...

S.: - Non lo metto in dubbio, stai facendo un gran lavoro, per questo ho voluto iniziare questo
colloquio con le cose che ti ho detto. Ho stima di te, ma questo non vuol dire che tu o io non possiamo
commettere degli errori… Valutiamo insieme… un tuo errore è anche un mio errore… Impariamo a
darci un metodo migliore, a darci la giusta priorità. Poi siamo qui per parlarne, non per condannare.

G.: - Eh sì, adesso capisco perché c'erano quei musi lunghi, io pensavo che fossero arrabbiati per il
carico di lavoro, invece ...

S.: - A me interessava chiarire bene con te. Tu ci credi a questo piano che stiamo mettendo in atto?

G.: - Ma sì, certo, solo che vorrei avere più conferme, mi pare di navigare a vista, non so ... ci vogliono
delle idee, ma non è che vengono fuori così, dal cilindro del mago, è difficile!

S.: - Senti, Giorgio. Non sono qui a dirti che è tutto facile. Può capitare di dimenticare qualcosa, di
fare un errore, ma si supera anche questo, d'altra parte si va anche per tentativi ed errori, no?

G.: - Sì, questo ce lo siamo sempre detti, però quando si sbaglia, ci sono delle conseguenze, dei ritardi,
questo mi dispiace molto, non era mia intenzione ...

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S.: - Ne sono sicura, succede. Adesso l'importante è che tu non perda la fiducia nelle tue capacità, qui
ci vuole fiducia e creatività, mi avevi detto che questo è il tuo lavoro e non ti vedresti a fare nient'altro,
no?

G.: "Sì, è vero, te lo confermo".

S.: - Allora puoi ripartire da qui. Apparentemente abbiamo perso un po' di tempo, ma in realtà
abbiamo imparato qualcosa d'importante... Quindi, adesso come pensi di procedere? Ricorda che tu
sei il loro punto di riferimento.

G.: - Non so, ci devo pensare ...

S.: - Okay, ci rifletti e poi mi farebbe piacere che ci confrontassimo, non per controllarti, ma per
condividere, per avere una visione d'insieme. Cosa ne dici se ci rivediamo tra due giorni e mi dici cosa
hai pensato, ti va?

G.: - Sì, va bene. Ci potremmo vedere venerdì mattina.

S.: - Bene, allora a venerdì, ti aspetto. Buon lavoro.

G.: - Grazie, anche a te.

Inutile pensare di evitare errori. Un nostro caro amico ha coniato un aforisma che ci pare
appropriato: Se non ami sbagliare, fai sempre lo stesso errore. Provarci, certo, fare del proprio meglio,
ma comunque sapere che si sbaglierà. E allora essere molto comprensivi con se stessi. Non
indulgere in reprimende violente contro se stessi, tanto più che nessuno ci ascolta! Alla fine
siamo l’essere più debole nei nostri stessi confronti. Possiamo abusare di noi come vogliamo!
Quindi cerchiamo di non essere prepotenti e arroganti con noi stessi. Proviamo invece ad
accettare, proviamo ad ascoltarci nella sofferenza, per comprendere meglio cosa è accaduto e
darci del tempo. Proviamo a fare come fa Tristezza. Anche senza dirlo, è possibile darsi una
possibilità di rimediare, aggiustare e riprovare. Non farsi sopraffare dalla rabbia o dalla
vergogna, né dalla paura, ma accettare che si possano provare tutte queste emozioni, ed
anche altre, e continuare, sopravvivere.6

!6 Il tema dell’errore è un tema affascinante e vasto. Si veda per una prima introduzione psicologica e neuro
 fisiologica il numero 157 del gennaio 2018 della rivista Mind. Mente e cervello: “Sbagliare per crescere”.

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Cambiare gli altri, è possibile?

Sì. Siamo animali sociali e ci influenziamo a vicenda. Nel nostro lavoro capita di avere una
certa influenza sulle persone e d’indurle a dei cambiamenti. Alcuni vengono toccati dalle
nostre parole in modo tale da prendere delle nuove decisioni, attuare nuovi comportamenti.
Ma non bisogna lasciarsi ingannare. Noi siamo uno stimolo per quei cambiamenti, non la
causa. Tanto è vero che, pur dicendo le stesse cose, altri se ne guardano bene dal cambiare
alcunché dopo una nostra lezione.

E’ chiara la differenza tra stimolo e causa? E’ come per le emozioni. La realtà stimola la
persona in un determinato modo inducendola a reagire, ma poi è la persona con i suoi
pensieri, il suo vissuto, i suoi bisogni e le sue scelte a definire in che modo agire e a causare il
cambiamento. Quella scelta non è che il culmine di un processo complesso iniziato molto
prima di quello stimolo. Quindi, se avviene anche un minimo cambiamento in una persona
presente ad una lezione, significa che la persona stessa ha deciso di lasciarsi provocare dallo
stimolo dato dall’insegnante, perché in lei, a vari livelli di coscienza, è già in atto un
movimento di ricerca verso qualcosa di diverso.

Dunque cambiare gli altri è possibile, ma spesso non dipende da noi in modo diretto.
Piuttosto conta moltissimo il nostro atteggiamento nei confronti di coloro che vorremmo
“curvare". Innanzitutto bisogna vedere cosa s’intende per “cambiare gli altri”. Dipende dal
perché si vuole che gli altri cambino. Dipende se si vuole che gli altri cambino in maniera
duratura e profonda o soltanto in alcuni aspetti utili a noi. Poiché, in fondo, diciamocelo, gli
altri non ci stanno bene come sono e vorremmo “aggiustarli” a nostro uso e consumo. Di
solito questo atteggiamento genera conflitti, anche quando si maschera dietro gentilezze e
necessità genuine. Soprattutto è un atteggiamento (intendo quello: “cambia perché io sto
male, perché non mi piace quello che sei/fai, altrimenti mi arrabbio…) che non produce
grandi effetti.

Cambiare gli altri è possibile, dunque, ma dipende da alcune questioni, come abbiamo visto.
Il modo più facile, antico ed usuale è quello di mettere paura e imporre dei cambiamenti
(anche con le buone, anche se è per il loro bene.) Efficace, a volte, sul breve periodo,
inefficace, sicuramente, sul lungo.

In questo caso le forme di comunicazione più frequenti sono: la minaccia, il senso di colpa, il
rimprovero o la critica. Si può aggiungere il sarcasmo, l’ironia, il silenzio. Ma anche, e questo
è più sottile, gli elogi, le ricompense, i premi. Tutte queste cose si pensa che possano indurre
gli altri a cambiare. Ed è vero. Le persone cambiano se minacciate o elogiate. Ma come?
Perché? Ovviamente questo è un tema enorme che non possiamo affrontare. Ci limitiamo a
dire alcune cose che puoi usare come spunti di riflessione.

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Cambiare gli altri non è possibile senza il loro consenso. Ma soprattutto noi non vogliamo
solo che gli altri cambino, noi vogliamo che gli altri comprendano e desiderino il cambiamento che
noi auspichiamo per loro. Non vogliamo che le persone siano costrette o si sentano costrette a
cambiare. Non vogliamo ricattarle e barattare i cambiamenti che auspichiamo, perché
intimamente sappiamo anche noi che non funziona. Perché anche noi ci siamo trovati nelle
condizioni di chi ha subìto un’imposizione o un ricatto e sappiamo come ci si sente. No. Noi
vogliamo che gli altri cambino (e così anche noi stessi) perché vogliamo ciò che è bene per
loro (e per noi, non c’è niente di male). Il desiderio che avvengano dei cambiamenti negli
altri, soprattutto quando intuiamo ciò che può essere buono per loro, è del tutto naturale.
Non c’è niente di male. La chiave sta nel come indurre cambiamenti.
Prima di tutto, allora, occorre che siano gli altri a decidere se, quando e come cambiare.
Occorre che siano liberi di scegliere, anche di non cambiare, se ritengono. Può sembrare un
paradosso, ma se lascio le persone libere di rifiutare un cambiamento o perlomeno di
adattarsi ad esso come esse ritengono, ho più probabilità di vederle cambiare e capaci di
mantenere il loro cambiamento più a lungo che non nel caso di una minaccia o una
promessa. Questo perché gli esseri umani non sopportano ricevere ordini di varia natura,
anche quando essi sembrano dettati dal più innocente buon senso.

In altre parole, la questione non è solo “Quale cambiamento mi aspetto dagli altri…” e
verbalizzarlo /dirlo. Ma anche: “Per quale ragione dovrebbero farlo?” In sintesi, quindi, è
importante per noi avere chiaro che non vogliamo che una persona cambi perché glielo
diciamo noi, ma perché è la persona stessa che ha deciso e scelto di cambiare, in quanto lo
ritiene corretto, sano e giusto per sé. Solo accompagnandola con questo pensiero lucido e con
un atteggiamento di amorevole distacco, possiamo desiderare che lo farà, con la
consapevolezza che, lo ribadiamo, esso non dipende da noi, ma sempre dalla persona che
sceglie se, come e quanto cambiare. Alla fine non è così complicato da capire, vero?

Più complicato, almeno per me, è stato trattenersi dall’intervenire, riuscire a non pretendere,
accettare che i miei tempi non fossero quelli degli altri e pensare che ognuno avesse le risorse
per affrontare ciò che deve, come crede. Non possiamo sostituirci agli altri, non possiamo
prevaricarli, anche se è a fin di bene, perché creiamo più disagi di quanto non sia necessario.

Dunque cambiare gli altri è possibile, a condizione di non pretendere, ordinare, costringere
gli altri a fare ciò che a noi sembra giusto. Dopodiché, ecco alcune cose da tenere a mente,
scritte in modo schematico e basate sulla nostra esperienza :

   • Accettare che la persona, a cui si sta chiedendo di cambiare o di adottare un
     comportamento diverso, non reagisca positivamente, non sia collaborativa, non
     apprezzi il cambiamento. Non giudicarla negativamente (questo si sente dal tono con

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