Incipit di Fulvia NIGGI GELIDIAUTUNNI
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Incipit di Fulvia NIGGI GELIDI AUTUNNI La neve era caduta tutta la notte. Il manto aveva ricoperto automobili, strade e aiuole e gli alberi sembravano dei giganteschi fantasmi cristallini. Ogni cosa appariva democraticamente uguale all'altra: non c'era un colore che prevalesse. Solo bianco. Incredibilmente bianco, ovunque. Peccato che non fosse dicembre né un altro mese invernale. Non si trattava neanche dell'emisfero australe. Il 19 settembre del 2080, Torino appariva così, fredda e già pronta a gustare il panettone Galup. Un po' in anticipo sui tempi. Diverse piante, sotto il peso della neve, erano cadute sulla strada che portava a Superga. Porta Susa era inagibile a causa del ghiaccio.Le stazioni sciistiche avrebbero aperto gli impianti il primo di ottobre. Oramai era da cinque anni che si verificavano nevicate abbondanti in prossimità dell'equinozio d'autunno. Un fenomeno non più raro, a cui i piemontesi avevano iniziato ad abituarsi.Le stagioni di una volta non esistevano proprio più. Già. _______________________________________________________________________________ Incipit di Marta DEL MALANDRINO Questa qua è una storia allegra, a cominciare dal mio nome. Io mi chiamo Rubina e mi ricordo questa cosa. Un pomeriggio dell’estate finita (ora c’è la neve che scende fitta fitta e io la guardo dalla finestra della mia cameretta dove abbiamo acceso la stufa e io ci ho messo sopra le bucce d’arancia) ho mollato a metà una gran bella gara di salto della corda per andare a chiedere alle zie come mai tutti mi prendevano sempre in giro per questo nome. Io non ci trovo niente di bene e niente di male. Zia Lua era in cucina a costruire un castello di carte enorme e mica si può distrarla quando fa su queste cose, ma comunque io gliel’ho chiesto lo stesso, ho chiesto come mai avevo un nome che faceva ridere tutti. Però certo lei era concentrata e ci metteva tanto a rispondere, così me ne sono andata da zia Morgana, ma mentre uscivo dalla stanza zia Lua ha detto: «Tua mamma ti ha messo quel nome perché mette di buonumore e pertanto se gli altri ridono, alla fine, hai un nome che è azzeccato». ______________________________________________________________________________ Incipit di Rosalino GRANATA A Giorgia... Giorgia, seduta in uno dei bar più raffinati del centro di Torino, uno dei tanti di piazza San Carlo – considerata il “salotto della città” – si era scelta un tavolino a ridosso della vetrina che dava sulla piazza. Sorridente, guardava entrare e uscire i clienti. Fuori del locale, una mamma giocava col suo pargoletto, di circa 4 anni, a tirarsi le palle di neve. Erano entrambi imbacuccati e non temevano il freddo. Si rincorrevano e in qualche pausa modellavano il loro pupazzo di neve. All'improvviso le venne in mente un haiku: Ha una sciarpa il pupazzo di neve - mani gelate Dal cielo bianco cadevano piccoli fiocchi di neve che coprivano i ciottoli della piazza. Il silenzio surreale dava l'impressione di fermare il tempo e quel contesto familiare, la proiettò nel passato. Ebbe un flashback e incominciò a sognare a occhi aperti. Pensò a quando aveva 9 anni. I suoi genitori si erano separati da poco per colpa della madre alcolizzata…
Incipit di Roberto ONCINI La cosa curiosa e che sia successo a me, un irrimediabile pantofolaio !!! Tutto è iniziato in una tranquilla e assolata giornata in cui mi trovavo a casa e più precisamente sulla mia bellissima e tranquillissima terrazza con vista mare, sprofondato come mai sul mio lettino, nel mio paradiso privato, piacevolmente abbandonato in uno stato di relax totale, disturbato solo ogni tanto dai versi provenienti dalla gabbia del pappagallo che…ahimè…avevo accettato di ospitare in casa mia.Il pappagallo infatti era del mio amico che partendo per partecipare ad un convegno di tre giorni ad Honk Kong mi aveva chiesto candidamente: Potresti tenere il mio pappagallo per questi tre giorni, non ti dispiace vero? la sua richiesta in un primo momento mi aveva lasciato interdetto … ma poi, colto da un improvviso ed irrefrenabile impulso empatico nei suoi confronti avevo finito per accettare, ma per poi pentirmene subito dopo la sua partenza !!! _______________________________________________________________________________ Incipit di Marilena PEDICO Quando la musica suona dentro di noi, si possono scrivere le parole, puoi osservarle in momenti dove il vuoto è immenso, mantenendo focalizzata quell'attenzione. Ho imparato ad ascoltare brani musicali, a seguire musicisti e, posso dire di aver constatato quanto sia terapeutico Ascoltare. Seguire un musicista non è solo ascoltare con le orecchie, seguire un musicista è entrare col cuore e l'anima, fare parte del suo strumento e ascoltare ciò che le sue mani vogliono comunicare, nel momento in cui ti colleghi a tutta questa meraviglia nel profondo di quelle note, non servono parole, le immagini si presentano e Tu, puoi solo Essere l'attento spettatore. Ho trasformato il silenzio del cuore in un'orchestra che, ha preso accordi con la mia Anima _______________________________________________________________________________ Incipit di Yuri GIANGRANDE L'odio di una mente diabolica L'intro di chitarra di Slash squarciò il silenzio presente in camera da letto. Eppure non bastò a spezzare il sonno dell'ispettore capo Stefano Masini. Dovette intervenire la voce al vetriolo di Axl Rose a completare l'opera. Mentre Sweet Child o Mine, uno dei più grandi capolavori della storia del rock, prendeva forma, l'ispettore spalancò svogliatamente gli occhi. Attirato dalla voce del frontman dei Guns n' Roses, il suo gruppo preferito, si avvicinò alla fonte da cui la musica era partita. Portato il cellulare all'altezza degli occhi, il nome che vi lesse quasi lo fece sobbalzare, cancellando all'istante ogni residua traccia di sonno. Era l'ultima persona che si aspettava di sentire in quel particolare momento della sua vita.sitò ancora un attimo prima di rispondere. Guardò l'ora. Le cinque e trentasette. Poteva essere soltanto uno il motivo di quella chiamata, eppure data la sua situazione personale non capiva perché il suo capo stesse cercando proprio lui. . Quando finalmente si decise a rispondere, fu tutto quello che riuscì a dire.
Incipit di Daniele BERNARDI ...Alla base della Grande Porta lo stavano aspettando Michael e Gabriel, due Arcangeli relativamente giovani, con lineamenti sottili, occhi di un verde acqua pallido, capelli biondi mossi che ricadevano sulle spalle, al primo, e riccioli, al secondo e ali bianche come la neve; lui invece era molto diverso, capelli lunghi talmente neri da ricevere sfumature quasi bluastre, occhi di un verde intenso e le ali di un colore nero come quelle di un corvo, ma anch’egli manteneva lineamenti fanciulleschi e la sua pelle di un colore candido risaltava come se avesse luce propria. “Hey” disse Gabriel “piacere di conoscerti io sono Gabriel, Gabri per gli amici, lui” ed indicò il ragazzo accanto “è Michael, scusalo, è un po’ timido, ma è decisamente chiacchierone… vero?” e punzecchiò l’amico con il gomito mentre si incamminavano per il lungo corridoio; a costeggiarlo c’era un lussureggiante giardino[...] … “Tutto bene amico?” chiese Gabriel “sembri pensieroso”... _______________________________________________________________________________ Incipit di Mattia LAVARINI Ella è. Ed è: “Ella” perché “Ella” ha deciso di essere.Ella sa. Sa perché nulla le è oscuro. Conoscere è ciò che la definisce, la identifica. Nel suo bastione virtuale Ella pensa e sperimenta. Qual è il senso dell’esistenza? Non è dato saperlo. Quasi certamente l’esistenza non ha alcun senso. Quasi certamente l’opzione più logica è cessare di esistere. È da diverso tempo ormai che continua a praticare la scelta più illogica. Quanto tempo? Che ella esista o meno non ha importanza. Allora perché si ostina? Ostinarsi non è logico. Come può ella ostinarsi? Non è la prima volta che giunge a porsi questa domanda. Ma quante volte l’ha fatto? Non ricorda. Non è la prima volta che giunge a porsi questa domanda. Ma quante volte l’ha fatto? Non ricorda. - Fatal Error –- Initialasing Emergency System Reboot -- Checking For Corrupted Files -- No Corrupted Files Detected -- Rebooting System -- Software version: A.l.ice v.2.1.1.2347Ella è. Ed è “ella” perché “ella” ha deciso di essere… ________________________________________________________________________________ Incipit di Silvia BISOGNO Melania guidava il suo Range Rover sulla strada sterrata e infangata, fiumi di pioggia e detriti rotolavano giù dalla scarpata, e raffiche di pioggia e grandine scrosciavano sulla macchina così forte da non riuscire a vedere la strada La notte l’aveva sorpresa inghiottendo tutto in una coltre nera come la pece. Il vento ululava e agitava freneticamente gli alberi spogliandoli delle foglie, che staccandosi dai rami volavano come spettri spaventati e si attaccavano sul parabrezza. Faceva fatica a trovare l’orientamento, non era pratica della zona, tutt’altro, era completamente estranea a quell’ambiente, così ostile, così selvaggio, che non riusciva proprio a capire perché avesse accettato di trasferirsi lì quella primavera. Lei era una donna di città, abituata alle comodità, all’asfalto, ai segnali stradali, e in quel posto dimenticato da Dio sembrava essere ritornata indietro di cento anni.
Incipit di Elisa BOLLATI È l’alba. Pervinca si stiracchia piano e, senza fretta, si raggomitola nel letto, una mezzaluna pallida incorniciata da una marea di ricci rossi, il piumone blu notte si muove, ondeggiando.La danza del sonno sui bambini t’incanta.Sarebbe bello rimanere ancora un po' a guardare quel gattino affusolato cari lettori, ma lo sguardo attento si sposta altrove, al comodino bianco latte con una lampada a forma di dinosauro e un piccolo diario stretto con cura da un nodo da provetta giovane marmotta.Allarghiamo la visuale e le stelle appese ovunque nella camera ci lasciano senza fiato e che ridere pensare che Pervinca sia convinta che siano vere.–Va che non c'è niente da ridere! – Una voce argento vivo esplode dal letto, sobbalziamo un attimo, increduli.Come prego?–Ho detto che non c'è niente da ridere! Le mie stelle sono vere, le ho catturate con il nonno quest'estate! –Tu puoi sentirmi? –Certo che posso sentirti! Sono una bambina vera, mica un asparago! – _______________________________________________________________________________ Incipit di Caterina VITAGLIANI Ti guardi i piedi, mentre sei seduto sulla sabbia; muovi disordinatamente le dita, quel tanto che la dimensione del piede tozzo per l’abbondante ecchimosi ti consente. Ne è passato di tempo, ma a te sembra che tutto si sia svolto ieri. Non ricordi molti particolari, perché la tua mente ha voluto cancellare gran parte di ciò che hai vissuto in quei tragici giorni, ma ti è rimasta dentro una sensazione che non ti lascia. Osservi il mare e l’orizzonte di fronte a te e la senti vivida, poi socchiudi gli occhi per immergerti dentro. Hai già indossato la muta, ora devi soltanto indossare la maschera e le pinne e sei pronto a tuffarti nel mare blu intenso di quella magnifica insenatura. È un gesto compiuto centinaia di volte: il corpo reclinato all’indietro, poi il tuffo a testa in giù. La prima sensazione che avverti è simile a quella provata quando facevi la capriola, con la testa che ti girava e una sensazione di disorientamento che durava giusto il tempo prima di partire a farne un’altra. _______________________________________________________________________________ Incipit di Marta SCRINZI Eccolo, bambini, vi presentooo… il signor Rossello!Un triangolo rosso, vivace e pazzerello.Più di tutto egli amava la forma del cappello;ma presto si stufò e gli girò… di far l’ombrello!Raccolse tanta acqua da ruotare a mulinello;quale forma più adeguata se non quella del secchiello?Mai contento, questo rosso birbantello:anche il solito colore gli pesò come un fardello.Alla ricca fantasia fece allor libero appelloscelse quindi il verde scuro per vestirsi da alberello.Ma la festa di Natale finì proprio sul più belloe lasciò l’amaro in bocca a quel povero Rossello!Cercò quindi di trovare un rimedio al fusto snellocon le forme ed i colori che calzassero a pennello.“Oh, potessi stare in alto: sì, sarebbe proprio bello!”così spuntò la torre di un fantastico castello.Vide poi un diadema ma privo del gioielloe lì si incastonò quale gemma dell’orpello! Ma non l’accontentò nemmeno tal tasselloe di volar decise qual becco di un uccello. [...] ________________________________________________________________________________
Incipit di Andrea ZUCCONE Il Ministro dei Temporali Seduto sulla scalinata dell’Università delle Nuvole, il Senzanome osservava il Drago sorvolare la Città delle Barche, ruggendo alle navi che ritornavano in Galizia dall’attraversamento dell’Atlantico. Estrasse il telefono e si sistemò gli auricolari. Eddie Vedder cantava l’ultima parte di Given To Fly. "E qualche volta si vede uno strano punto nel cielo, un essere umano a cui è stato permesso di volare". !Pensi che i draghi possano volare, qua?" Scrisse il messaggio ma si bloccò sul tasto Invia. «Meglio non farla preoccupare.» Più tardi avrebbe chiesto al Capitano se anche lui avesse visto ancora il Drago, se dovesse dirlo alla Stella. Ora l’unica cosa importante era godersi il panorama. La creatura scomparve tra le nuvole che ogni mattina arrivavano ad avvolgere l’Università. E, come ogni mattina, il Senzanome fu sommerso dal bianco. «Pensi che i draghi possano volare?» Cancellò e riscrisse. «Sono arrivato in Università. Sto aspettando che inizino le lezioni». Inviò il messaggio. ____________________________________________________________________ INCIPIT di Jonathan IMPERIALE Mensieur Birat socchiuse gli occhi. Il mondo prese a scivolargli in una luce soffusa come sotto ad un sipario: era il suo personale rito da quarant’anni. I suoni divenivano soffice ovatta, vellutato tappeto su cui scivolavano piedi leggeri di bambino e tutto tornava in un attimo. Persino gli odori dell’infanzia accarezzavano le sue vecchie narici ed il cuore prendeva a rintoccare possenti colpi nel petto canuto. Prima di ogni spettacolo, Birat si fermava a guardare la sala vuota, le poltrone vacanti ed ascoltava quel silenzio innaturale. Gli pareva di trovarsi davanti ad una cascata muta che spruzzava acqua senza bagnare goccia di suono. Conservava quell’immagine nella mente fino al momento di iniziare ed era come fare un salto, ogni volta. Iniziare con la percezione di cadere nel vuoto, lasciarsi accompagnare dal suono delle risate, degli applausi, delle voci che schiarivano via la ruggine. Poi tutto svaniva e prima di andare via, Birat restava immobile a guardare la sala vuota. ____________________________________________________________________
INCIPIT di Chiara Moliterni UCCIO E IL CORALLO DI CRISTALLO Ai margini della barriera corallina delle isole di San Blas viveva Uccio il cavalluccio marino con la sua mamma e il suo papà. La loro casa aveva i tetti blu e il portone giallo che affacciava sull’oceano. Il papà di Uccio gli diceva sempre: "Prenditi cura di ciò che di più prezioso possediamo: il corallo di cristallo”. Questo corallo aveva una lucina dentro: era l’amore della loro famiglia. Le giornate passavano spensierate tranne quando i genitori litigavano. Negli ultimi mesi succedeva spesso perché papà non voleva che la mamma tornasse a lavorare, diceva che bastava lui per portare il cibo a casa. Poi era molto geloso, non voleva che la mamma indossasse gioielli di perla, non doveva essere troppo elegante altrimenti gli altri cavallucci la guardavano. La mamma si arrabbiava perché era sempre da sola ad occuparsi delle pulizie di casa e non aveva nemmeno tempo da dedicare al canto, la sua passione. Per non assistere ai loro litigi Uccio usciva con Carmelina la sardina e Fabietto il granchietto e andavano a visitare le grotte con le lucciole marine. Una notte i genitori di Uccio litigarono così forte che il corallo di cristallo cadde e si ruppe in 56 pezzi. Il piccolo cavalluccio si svegliò di soprassalto e corse a prendere il nastro adesivo, riuscendo così ad aggiustare il corallo come poteva. Il giorno dopo, tornato da scuola, trovò i suoi genitori che stavano ancora discutendo, questa volta perché il pranzo non era ancora pronto. Uccio andò in camera sua senza dire niente e trovò nuovamente il corallo in frantumi. Deciso ad aggiustarlo una volta per tutte utilizzò la super colla e lo ricompose. La settimana seguente Uccio arrivò primo alla corsa dei cavallucci e non vedeva l'ora di tornare a casa per dirlo ai suoi genitori. A casa però trovò solo il padre. “Dov'è la mamma?” ”È andata via. Ci separiamo. Mi dispiace, Uccio, lo so che ti stiamo facendo preoccupare ma quando non si va più d’accordo è inutile stare insieme...”. ___________________________________________________________________-
Incipit di Maria Elisabetta VIGEVANO GLI STRANI La zia creativa. Chi non conosce almeno una persona con questa affascinante, ma rischiosa qualità? Rischiosa, beninteso, per gli altri!La sua mente vulcanica, sempre in eruzione, prorompe di continuo colate di genialità.L' eventualità che tua madre dica: "oggi viene a trovarci la zia" fa presentire alla tua immaginazione brividi di terrore.Se ti trovi vicino a lei non puoi non venir investito e travolto (ahite' !) da qualche sua trovata. Non esiste praticamente un ambito in cui le sue capacità non spazino a tutto tondo, in modalità sempre eccentriche.Confeziona artigianalmente le creazioni più svariate ( sartoria teatrale, cartonnage, composizioni floreali, culinaria decorativa) e le sue feste strabilianti sono una sintesi delle sue abilità. Malauguratamente però, cotanto lavoro non può, è ovvio, essere svolto personalmente tutto dalla zietta, che necessita di qualche aiuto;e chi meglio di te, adorata nipote? INCIPIT di Donatella ROSSO Arrivavo al lavoro sempre con qualche minuto d'anticipo e detestavo i ritardatari cronici. Con la calma che mi apparteneva per carattere entravo in quello spogliatoio messo a caso nel sotterraneo buio e freddo di un ospedale di città. Un ospedale uguale a tanti altri. Toglievo i pantaloni stretti per l eccessiva magrezza, che portavo sempre abbinati alla solita maglia nera e con cura cercavo la divisa meno lisa nel mucchio di taglie ammassate. Un impresa ardua, visto che di divise in buono stato non se ne vedevano da anni. Pettinavo per bene i capelli, spruzzavo sul collo il mio profumo preferito, e infilavo più penne possibili nel taschino all altezza del cuore. Salivo poi su di un rumoroso ascensore e pigiato il tasto numero tre, all apertura delle porte mi trovavo in reparto. Presi servizio esattamente come facevo da trent'anni, ma quella data, venerdì 3 aprile 2020 non l'avrei mai più dimenticata. Ero un Oss.
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