Impossibile, Ineffabile, Senza senso - Schindele Massimiliano 5sl Liceo Scientifico Leonardo da Vinci
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Impossibile, Ineffabile, Senza senso. Schindele Massimiliano 5sl Liceo Scientifico Leonardo da Vinci Anno scolastico 2011-2012
Introduzione 1. Motivazioni e proposito La scelta dell’argomento trattato è stata dettata da un personale interesse per ciò che viene normalmente ritenuto impossibile o assurdo, quali controsensi, giochi di logica e paradossi. Il fine dell’analisi che svilupperò è darne una definizione generale e personale, e dove e quando questo concetto è stato presente nella storia dell’uomo. 2. Riassunto, punti principali e materie toccate Il lavoro è avvenuto partendo da argomenti affrontati nei programmi curricolari di quest’ultimo anno. Partendo dal XXXIII canto del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri, la cui analisi si sofferma sui concetti maggiormente inerenti all’argomento trattato, si passa, grazie ad un diretto collegamento costituito da una citazione contentuta nel canto stesso, all’ambito matematico-scientifico, proponendo il classico problema della quadratura del cerchio. Questo, richiedendo come soluzione la costruzione grafica di un numero trascendente, lascia successivamente spazio alla definizione di oggetto impossibile e al ruolo che questi hanno avuto nelle opere dell’artista olandese Maurits Escher. Restando in ambito artistico, si analizza infine il Teatro dell’Assurdo, sviluppatosi nella letteratura inglese del dopoguerra. In particolare viene trattata l’opera Waiting for Godot di Samuel Beckett. Riassumendo, i punti principali sono: • Letteratura italiana (Dante): analisi XXXIII canto del paradiso e del concetto di ineffabilità; • Matematica: problema della quadratura del cerchio e l’impossibile risoluzione; • Storia dell’arte: gli oggetti impossibili nelle opere di Maurits Escher; • Letteratura inglese: Theatre of the Absurd con Waiting for Godot di Samuel Beckett. -2-
P Paradiso – Canto Trentatreesimo “Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.” vv. 121-123 Il canto trentatreesimo del Paradiso di Dante ha luogo nell'Empireo, la sede di tutti i beati; siamo a mezzanotte del 14 aprile 1300 quando il viaggio ultraterreno di Dante raggiunge finalmente la sua meta. Divisibile in due parti principali, il canto si apre con una preghiera di san Bernardo alla Vergine, e la sua intercessione per Dante presso Dio (vv. 1-45). Dopodiché si ha la progressiva conquista da parte del poeta della diretta visione di Dio, fino alla folgorazione finale (vv. 46-145). La preghiera alla Vergine. L’orazione di san Bernardo costituisce il momento finale dell’esperienza poetica di Dante prima della sublime visione di Dio: egli sottolinea dunque la funzione della Madonna quale supremo tramite tra l’uomo e Dio. Questa è inoltre l’ultima delle tante preghiere che percorrono la Divina Commedia ed è divisa in due parti secondo la tradizione: la lode a Maria e la richiesta di grazia e di intercessione. La visione di Dio e i tre misteri della fede cristiana. La seconda parte del canto, conclusiva dell’opera, detta al poeta il compito più impegnativo: descrivere la visione divina. Dante si trova a rappresentare il mistero dell’incarnazione di Cristo: dopo tutto ciò che di miracoloso gli è stato mostrato nel suo viaggio nei tre regni dell’oltretomba, è questa l’ultima e sublime visione, che unisce l’umano al divino e lo conduce infine all’ultima verità e all’immersione nell’Amore universale. La difficoltà che egli affronta nel descrivere esattamente le cose viste nel suo eccezionale viaggio, assume rilievo primario nell’ultima cantica, diventando in questo momento il tema principale della sua poesia e una sorta di denuncia di un’impotenza. Ecco quindi che la narrazione si affolla di immagini indicanti la labilità, l’insufficienza, l’impossibilità della sua visione, ma anche di similitudini e metafore. Tra le più rilevanti: il ricordo della visione di Dio è per Dante come un sogno del quale, dopo essersi svegliati, permane soltanto l’emozione (vv.58-61); -3-
esso si è dissolto come la neve al sole o come le parole delle profezie della Sibilla, scompaginate dal vento (vv.64-66). Il poeta tenta inoltre la descrizione “sensibile” di ciò che contempla proponendo l’immagine dei tre cerchi, figura geometrica simbolo della perfezione e rappresentazione dottrinale del mistero della Trinità, sovrapposti e identici, ma di colore diverso (fenomeno impossibile dal punto di vista della scienza ottica). Nei primi due sono raffigurati il Padre e il Figlio, dove il secondo è reflesso, cioè procede dal primo; il terzo cerchio è lo Spirito Santo, fuoco d’amore che eternamente spira fra i primi due.Per rappresentare il mistero dell’Incarnazione, cioè della doppia natura umana e divina di Cristo, Dante afferma di aver visto nel cerchio del Figlio i tratti della figura umana, segnati con lo stesso colore del cerchio, cosa inconcepibile razionalmente, ma proprio per questo efficace a descrivere il mistero. Per esprimere il proprio vano sforzo di comprendere il mistero dell’Incarnazione di Cristo, il poeta usa la similitudine classica del geomètra alle prese con l’eterno e insolubile problema della quadratura del cerchio, incentrato sul rapporto tra diametro e circonferenza, intorno al quale fin dall’antichità si sono inutilmente affannati i matematici. “Qual è ‘l geomètra che tutto s’affigge per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond’elli indige […]” La quadratura del cerchio Il “misurar lo cerchio”, assieme al problema della duplicazione del cubo e a quello della trisezione dell'angolo, costituisce un problema classico della geometria greca. La quadratura del cerchio non è altro che un classico problema di matematica (più precisamente di geometria) che si prefissa lo scopo di costruire un quadrato che abbia area uguale a quella di un cerchio dato, il tutto con uso esclusivo di riga e compasso. Il problema risale alle origini della geometria, e ha tenuto occupati i matematici per secoli. Fu solo nel 1882 che l'impossibilità venne provata dal matematico tedesco Ferdinand von Lindemann, anche se i geometri dell'antichità avevano afferrato molto bene, sia intuitivamente che in pratica, la sua intrattabilità. Il Problema. Sia dato un cerchio di raggio R, indichiamo con A= π R² la sua area e con x il lato del quadrato di area uguale a quella del cerchio dato, ovvero x² (lato x lato)= π R². Trovare una soluzione implicherebbe la costruzione del numero √ π (infatti un quadrato di area π R² deve avere un lato pari a r √ π ). -4-
Conclusione. L'impossibilità di una tale costruzione, con le limitazioni imposte dall'uso esclusivo di riga e compasso, deriva dal fatto che π è un numero trascendente, ovvero è impossibile esprimere π usando un numero finito di interi, di frazioni o di loro radici. π quindi è un numero non-costruibile. La soluzione del problema della quadratura del cerchio con riga e compasso implicherebbe inoltre trovare un valore algebrico per π - il che si è dimostrato impossibile dopo il lavoro di Lindemann. Ciò non significa però che sia impossibile costruire un quadrato la cui area si avvicini molto a quella del cerchio dato. Fino d allora erano stati molti i tentativi della quadratura matematica del cerchio, tanto che l'espressione era (ed è) diventata sinonimo di un'impresa vana, senza speranza o priva di un significato concreto. Oggetti impossibili La suggestione spaziale di un'immagine piana può essere così forte da suggerirci mondi che, in tre dimensioni, non potrebbero assolutamente esistere. Determinate immagini appaiono come la proiezione di un oggetto tridimensionale su una superficie piana, ma guardando bene ci si accorge che non è vero: quella figura non potrebbe mai avere un'esistenza spaziale. Un oggetto impossibile è proprio questo. È un oggetto che non può essere costruito nella realtà tridimensionale perché in contrasto con le leggi della geometria o della fisica, sebbene sia possibile disegnarne una rappresentazione bidimensionale. La percezione dell'immagine bidimensionale come oggetto verosimile rappresenta un paradosso ed è per questo una illusione ottica di tipo sensibile. Il grafico e incisore olandese Maurits Cornelis Escher (1898-1972) ha prodotto diverse opere in cui oggetti impossibili, quali la Scala e il Triangolo di Penrose o il Cubo di Necker, sono alla base dell'architettura dei suoi edifici e di paesaggi fantastici. Egli è molto colpito dal rapporto esistente tra le dimensioni. Si è infatti soliti rappresentare forme tridimensionali su superfici che non ne hanno che due. Questo antagonismo crea dei "conflitti". Escher sottomette le leggi della prospettiva a ricerche critiche e trova nuove leggi che sperimenta direttamente sulle sue stampe. Nell'illustrazione Cascata, del 1961, un flusso d'acqua cadendo dall'alto mette in funzione un mulino il quale, a sua volta, spinge il flusso in un canale che, zigzagando, torna all'inizio della cascata. Per ottenere questo effetto, egli ha unito due Triangoli di Penrose in un'unica figura. La cascata rappresenta un sistema chiuso: essa ritorna in continuazione alla ruota del mulino in un movimento perpetuo che viola la legge di conservazione dell'energia. -5-
Il Triangolo di Penrose, ideato dal fisico e matematico Roger Penrose, è un oggetto impossibile poiché presenta una sovrapposizione impossibile di linee parallele con differenti costruzioni prospettiche. Appare come un solido costituito da tre prismi a base quadra uniti tra loro con tre angoli retti a formare un triangolo. Ricordiamo che in geometria euclidea la somma degli angoli interni non può essere superiore a 180° e quindi non può esserci più di un angolo retto. Sempre ispirato dalle creazioni del fisico britannico, in particolare dalla Scala, Escher continua la sua serie di stampe dette ‘impossibili’, pubblicando nel 1960 Salita e discesa. Essa rappresenta un complesso di case i cui abitanti, che paiono monaci, camminano in un percorso circolare fatto di scalini. Apparentemente tutto sembra normale, ma osservando attentamente la figura, ci si accorge che i monaci compiono un percorso sempre in discesa o sempre in salita, lungo una scala impossibile. Uno dei modelli di logica dello spazio che egli applica spesso si basa sul gioco di luci e ombre applicato ad oggetti concavi o convessi. La scala di Penrose, anche nota come scala infinita o impossibile, è un altro esempio di illusione ottica, descritta per la prima volta nel 1958. Si tratta della rappresentazione bidimensionale di una rampa di scale che muta la propria direzione di 90 gradi quattro volte mentre la si sale o la si scende, per ritornare al punto di partenza in un giro infinito. Sebbene non sia possibile realizzare un oggetto tridimensionale di questo genere, l’illustrazione riesce a darne l'illusione falsificando la prospettiva. Il paradosso nasce dal conflitto tra locale e globale: se si osservano solo frammenti isolati dell'oggetto (ad esempio le singole rampe di scale) senza guardare la figura completa, -6-
appare tutto normale; ma non appena il cervello tenta di decifrare il disegno complessivo si scontra con una contraddizione insanabile. Nonsense Theatre Theatre of the Absurd came about as a reaction to World War II. It took the basis of existential philosophy and combined it with dramatic elements to create a style of theatre which presented a world which can not be logically explained. It took the the common basic belief that man’s life appears to be meaningless and purposeless and that human beings cannot communicate and understand each other. Needless to say, this genre of theatre took quite some time to catch on because it used techniques that seemed to be illogical to the theatre world. The plots often deviated from the more traditional episodic structure, and seem to move in a circle The scenery was often unrecognizable, and to make matters worse, the dialogue never seemed to make any sense. Samuel Beckett (1906-1989) is probably the most well known of the absurdist playwrights because of his work Waiting for Godot. Beckett's plays seem to focus on the themes of the uselessness of human action, and the failure of the human race to communicate. In the 1930's and 40's Beckett published many works in the form of essays, short stories, poetry, and novels, but very few people noticed his work. In fact he only sold ninety-five copies of the French translation of his novel Murphy, in four years. His postwar era fame only came about in the 1950's when he published his major play, Waiting for Godot that’s probably the most famous absurd play ever composed. It has a very simple plot in which two characters, Vladimir and Estragon, wait endlessly and in vain for the arrival of someone named Godot. To occupy the time they eat, sleep, converse, argue, sing, play games, swap hats, and contemplate suicide As an audience, we can only watch them do the same things, listen to them say the same things, and accept the fact that Godot may or may not come. The characters of the play, are absurd caricatures who have problems communicating with one another and the language they use is almost always ridiculous. With cyclical pattern, the play seems ending the same way it began, with nothing that has really changed. This play is structurally arranged in such a way to make us believe that Godot will probably never come, and that we must accept the uncertainty and the meaningless of life. -7-
“We are happy. What do we do now, now that we are happy? Wait for Godot.” Conclusione “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa.” (Einstein) Attraverso questa presentazione si è verificato come il tema dell’impossibile nelle sue varie sfaccettature sia stato da sempre una presenza costante nel procedere dell’umanità, partendo dagli antichi con il problema matematico, attraverso la letteratura italiana del Medioevo, fino al XX secolo con il lavoro di Escher. Esiste una sottile linea che collega possibile e impossibile che l’uomo ha continuamente tentato di superare; ed è proprio grazie a questi tentativi che si è progrediti, che si è arrivati sino ad oggi. Questa sfida ha sempre attratto ed appassionato l’uomo, per natura curioso ma soprattutto orgoglioso, il quale è stato -ed è tutt’ora- costretto a scontrarsi con un qualcosa al di sopra delle sue possibilità e facoltà, siano esse la parola, il ragionamento o il disegno. A volte ciò che riteniamo impossibile non è altro che una brutta verità sbattuta in faccia, altre volte un qualcosa di possibile verso cui, però, abbiamo paura di tendere la mano. Bibliografia - Dante Alighieri, La Divina Commedia, Nuova edizione integrale a cura di S. Jacomuzzi, A. Sughera, G. Ioli, V. Jacomuzzi, SEI, Torino 2008 -Mario Praz, La Letteratura Inglese dai Romantici al Novecento, SANSONI-ACCADEMIA, Milano 1975 - Maurits Cornelis Escher, M.C. Escher. Grafica e disegni, Gruppo ed. L'Espresso, Roma 2003. -8-
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