Nuovo classicismo: l'architettura come senso di appartenenza - Das Andere

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Nuovo classicismo: l'architettura come senso di appartenenza - Das Andere
Nuovo classicismo: l’architettura
come senso di appartenenza
Nuovo classicismo: l’architettura come senso di appartenenzadi Giuseppe
Baiocchi e Liliane Jessica Tami del 28/02/2019

L’architettura post-moderna detiene oramai, dagli anni sessanta del Novecento,
un primato incontrastato sia all’interno delle Accademie Universitarie, sia nel
primato delle costruzioni. Nonostante tale indirizzo dottrinale sia molto marcato,
timidamente, con quieta grandezza e sobria eleganza, diversi architetti hanno
riscoperto le forme e le armonie dell’architettura classica e revivalista. I più
importanti teorici del nuovo stile architettonico, denominato Neourbanesimo e
Nuovo Classicismo, sono Pier Carlo Bontempi (1954), Quinlan Terry (1937) e Léon
Krier (1946), quest’ultimo architetto di fiducia del principe di Galles Charles
Philip Arthur George Mountbatten-Windsor (1948).

Nella foto da sinistra a destra: Pier Carlo Bontempi (Fornovo di Taro, 1954) è un
architetto italiano, esponente del Neourbanesimo e del Nuovo classicismo. Egli
pone una particolare enfasi in merito al contesto urbano e alla continuità con le
tradizioni architettoniche; John Quinlan Terry CBE (24 luglio 1937 a Hampstead)
è un architetto britannico. È stato educato alla Bryanston School e alla
Architectural Association . Era un allievo dell’architetto Raymond Erith , con il
quale ha formato la partnership Erith & Terry; Léon Krier (7 aprile 1946) è un
architetto lussemburghese , teorico dell’architettura e urbanista , il primo e più
importante critico del Modernismo architettonico e fautore di New Traditional
Architecture e New Urbanism .
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In un’epoca svuotata dall’elemento del sacro, dal modesto studio dei luoghi e da
una approssimativa progettazione in moduli, il gusto irrazionale è arrivato ad
erigere il brutalismo e il parametrismo. Dopo quasi un secolo di sperimentazioni
razionaliste, post-moderne, avanguardistiche, decostruttiviste, l’elemento
geometrico puro, correlato da materiali quali vetro, cemento, acciaio delle
“archistar” hanno trovato una diversa corrente architettonica, la quale possiede
matrici ideologiche molto diverse.
Storicamente Albert Speer (1905 – 1981), con il suo elegante neoclassicismo,
percorse una strada molto diversa dal razionalismo dei contemporanei Adolf Loos
(1870 – 1933), Charles-Édouard Jeanneret (Le Corbusier, 1887 – 1965), Ludwig
Mies van der Rohe (1886 – 1969) e Walter Adolph Georg Gropius (1883 – 1969).
Verso la fine degli anni sessanta del Novecento, in Inghilterra avvenne la prima
reazione al razionalismo con alcuni architetti legati alla tradizione. Raymond Erith
(1904 – 1973) è stato forse il primo architetto britannico, noto per i suoi lavori di
ristrutturazione di case in stile georgiano tradizionale, ad inaugurare la corrente
anti-modernista. I suoi allievi continuarono a progettare manufatti edilizi
classicheggianti durante l’epopea post-modernista e decostruttivista.
Nonostante le iniziali critiche d’anacronismo, le sue opere oggi sono quotatissime
e apprezzatissime. Egli, sordo al richiamo delle sirene della società di massa,
continuò a perseguire la strada dei valori architettonici vitruviani incarnati dalla
triade venustas, firmitas e utilitas. Come lui solo pochi altri ebbero il coraggio
d’opporsi alla moda relativista che legittimava qualsiasi sperequazione
urbanistica, ma le poche opere di questi rari arbitri d’eleganza sono destinate a
sopravvivere alle effimere sperimentazioni post-moderne della moltitudine.
Il già citato architetto Quinlan Terry è uno dei maggiori esponenti contemporanei
dell’architettura del Nuovo Classicismo, innovando nell’epoca odierna i pensieri di
Andrea Palladio (1508 – 1580).
L’architettura di Terry è stata estremamente lodata dallo storico di architettura
David Watkin (1941), che scrisse la monografia “Radical Classicism: The
Architecture of Quinlan Terry” (2006), e da Roger Scruton che lo chiamò «un
lungo respiro di aria fresca».
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Architetto Quinlan Terry: Ferne Park, costruito nel 2002 presso il villaggio di
Donhead St. Andrew nel Wiltshire, Regno Unito.

Nel suo saggio “Origin of the Orders” (che gli valse il premio Rotthier nel 1982)
sostiene infatti che l’origine degli ordini architettonici sia la massima perfezione
raggiunta dall’uomo in architettura, poiché essendo la natura, elemento creato da
Dio, simbolo di perfezione, gli architetti greci e romani sono riusciti a trasfigurare
alla perfezione l’elemento naturale. Se attuiamo una riflessione, l’elemento
architettonico è sempre servito all’uomo per avvalorare una identità politica e
culturale nel corso di ogni singolo secolo.
Oggi nell’epoca della perdita dei valori e dello smarrimento identitario,
l’architettura internazionalista contemporanea riflette unicamente tale realtà:
vengono aboliti gli stili, i materiali di pregio, l’uso dell’artigianato di cantiere e lo
studio dei luoghi, per adattare un’architettura astratta che con forza e senza
riguardo alcuno per il contesto, si inserisce all’interno di un dato luogo: un
elemento di rottura con l’ambiente fine a se stesso.
In ogni secolo, ad esclusione del lungo medioevo, l’uomo ha sempre ricercato il
classicismo, appunto definito neoclassico, il quale ha interpretato forme e stili
leggermente differenti a seconda del secolo in questione, ma possedendo sempre
gli elementi basici della sua dottrina, che sono poi quelli della cultura occidentale.
L’uomo non avendo la forza spirituale di creare nuovi stili per affermare la
propria identità temporale, si è sempre affidato al classicismo – simbolo di
perfezione – per dar vita a quello che Salvatore Settis (1941) definisce “futuro del
classico”: neoclassico appunto. Questa epoca di contro, ha applicato un principio
“rovesciato”: non ha trovato la forza di creare un nuovo stile – come accadde nel
Medioevo con il romanico e il gotico -, e per arroganza ha scelto di non affidarsi
alla matrice neoclassica, per abbracciare uno stile nichilista che non esprime
nulla, se non ostentazione materica e vuoto interiore. Esso ha diversi nomi: stile
decostruttivista, internazionalista, organicista e parametrista, ma tutti
convergono verso un incastro casuale di elementi geometrici lisci e ad angolo
retto che rispecchiano appieno la non-identità della nuova società vigente
europea e soprattutto mondiale. Difatti il grande paradosso di questa architettura
contemporanea consiste proprio nel non avere punti di riferimento con i luoghi,
ma unicamente ostentare la firma dell’architetto, che plasma il progetto. Molte
architetture di tale risma, se traslate dall’Europa all’Asia o dall’Africa alle
Americhe, non si adattano a nessun luogo, proprio perché sono formalmente
astratte. Internazionalismo non a caso: come per il pensiero comunista di Leon
Trotsky (1879 – 1940) – dove il comunismo doveva essere esportato in tutto il
mondo per abbattere l’appartenenza “nazionale” ed essere tutti “figli del partito”
-, queste architetture non sono pensate per la cultura identitaria di un dato
contesto, ma unicamente devono generare un’uguaglianza, dove il “non-stile”
porti verso un abbattimento dell’identità dei popoli attraverso l’architettura.
Questa teoria figlia dell’idealismo cartesiano – che vuole l’uomo pronto ad
abbattere le differenze e le identità, le quali in natura esistono da sempre -, può
farci comprendere il pericolo che la nostra epoca rischia di correre. Non a caso i
centri commerciali, dei “non luoghi” (per citare l’antropologo francese Marc
Augé), hanno sostituito i centri storici con le piazze, da sempre centro nevralgico
della vita culturale e sociale di ogni paese.
Fu sulla base di tale pensiero che due studenti, Andrew Anderson e Malcom
Higgs, fondarono una corrente architettonica che metteva in discussione
l’estetica ed i principi del Modernismo rigoroso, a favore di un’architettura rivolta
ad un recupero degli ideali passati, come il gotico lo stile palladiano, sino all’Arts
and Craft, trasfigurati in chiave contemporanea. Questo gruppo di architetti la cui
etica antimodernista faceva perno sul sentimento cristiano divenne noto come
“The Force Triangle” o “Christian Weirdies”, a causa delle loro solide posizioni
religiose.
Pian piano, seguendo tale matrice di pensiero, sempre più architetti iniziarono,
silenziosamente, ad appassionarsi a questo nuovo stile classico all’insegna della
sobria eleganza e del riuso dei materiali presenti nei luoghi di progetto. Un ottimo
libro che enuncia, tramite accattivanti disegni e schemi, i punti basilari di tale
architettura – in perfetto equilibrio tra stile classico e vernacolare, tra pubblico e
privato -, è il saggio dell’architetto Léon Krier dal titolo “L’armonia architettonica
degli insediamenti”, pubblicato in italiano da la Libreria Editrice Fiorentina. Krier,
nato a Lussemburgo nel 1946, si è laureato all’Università di Stoccarda e in
seguito è diventato professore. Con le sue opere ha inaugurato il movimento per
la rinascita dell’urbanistica tradizionale ed è diventato architetto ed urbanista di
fiducia della corte reale britannica. Recentemente un altro grande contributo alla
causa classica è stato dato dall’imprenditore e filantropo Richard H. Driehaus
(1942), il quale ha indotto un premio architettonico classico, in alternativa al
modernista Premio Pritzker. Il premio Driehaus, conferito ai più meritevoli
architetti di opere in stile classico a partire dal 2003, si svolge presso l’Università
di Notre Dame di Parigi. Nel 2014 il premio è stato vinto dall’architetto italiano
Pier Carlo Bontempi. Egli, coerente col suo stile ispirato all’età classica e
neoclassica, ha scritto svariati saggi in cui promuove i valori estetici, tali la
bellezza e la coerenza con l’ambiente circostante delle costruzioni, e i valori etici
dei materiali adoperati, che debbono essere naturali, tradizionali e duraturi.

Architetti Pier Carlo Bontempi & Dominique Hertenberger: Val d’Europe, Paris –
2006. A est di Parigi, nella ville nouvelle di Val d’Europe, nel comprensorio di
Marne-la-Vallée, tra un grande centro commerciale e la piazza del Comune di
Serris, sorge un isolato di forma quadrangolare con all’interno una piazza ellittica
delle stesse dimensioni dell’anfiteatro romano di Lucca. Una sequenza di edifici
tutti diversi tra loro, ma nello spirito dell’architettura locale dell’Ile de France,
progettata con la sensibilità dell’architettura italiana. Nel progetto torna anche lo
studio cromatico dei manufatti edilizi che si sposano alla perfezione con il
contesto ambientale e la piazza torna tema centrale della progettazione. Place de
Toscane ha vinto il Palladio Award 2008, Boston USA.

Nel suo saggio “Architettura e Tradizione” S.A.R. il principe del Galles ha firmato
l’introduzione del volume, asserendo l’estremo bisogno di un architetto
“difensore” di città, architettura e paesaggio a misura d’uomo. Il senso di
appartenenza deve tornare al centro della progettualità, la quale deve possedere
un linguaggio storico applicato alle nuove costruzioni funzionali, poiché ogni
edificio deve necessariamente tornare ad avere una misura di benessere fisico e
spirituale. Bontempi testimonia piuttosto, con progetti suggestivi e sorprendenti,
che le dimensioni storiche, la simmetria classica e l’artigianato hanno posto
nell’architettura contemporanea. Il suo lavoro obbliga gli altri architetti a
chiedersi se la dedizione alla pura utilità non arrivi a schiacciare altri elementi
essenziali in edifici considerati avanzati. Dei tanti elementi condivisi da tutte le
architetture fanno parte anche le emozioni, come lo stupore ispirato da una
chiesa gotica, oppure il senso di pace di un palazzo Beaux-Arts. Non si può
continuare ad ignorare l’armonia dei paesaggi naturali e l’architettura deve
tornare a comprendere, dopo l’ubriacatura sessantottina, che la progettazione
può contribuire enormemente a migliorare il paesaggio: fenomeno oramai
divenuto raro nell’architettura contemporanea.
È oggetto di discussione notare che oggi le università in Italia, patria dei più
grandi architetti della storia dell’umanità, siano vittima di una dottrina
architettonica internazionalista che viene divulgata come “il solo dei mondi
possibili”, senza lasciare uno spazio didattico allo storicismo architettonico e al
Nuovo Classicismo. Non a caso le opere dei trattatisti classici e rinascimentali,
come Vitruvio Pollione (De Architectura), Leon Battista Alberti (De re ædificatoria
del 1450), Sebastiano Serlio (I sette libri dell’architettura del 1554) e Andrea
Palladio (I quattro libri sull’architettura del 1570) -, sono stati classificati tutti
fuori dal programma didattico, per lasciar posto ad architetti contemporanei con
opere di interesse, ma di non marcata essenzialità come quelle di Aldo Rossi,
Renzo Piano o Rem Koolhaas. Le svariate teorie architettoniche perché non
possono coesistere nel percorso di studi? La domanda è emblematica. La maggior
parte degli architetti italiani, attualmente, sembra rinnegare le proprie origini
storiche e culturali: le nuove “archistar” fanno a gara non a chi edifica l’opera più
bella ed armoniosa, bensì a chi costruisce «l’edificio più scioccante», citando
Walter Benjamin (1892 – 1940). Questi artisti che amano essere posti al centro
delle attenzioni mediatiche, producono discutibili edifici in vetro e cemento
incoerenti con la tradizione europea, inserendo elementi di disturbo nei panorami
del Vecchio Continente. Inoltre l’architettura contemporanea non essendo
costruita in pietra o con materiali duraturi, è destinata a soccombere sotto al peso
della storia e il susseguirsi delle mode. I materiali da costruzione moderni come
acciaio, vetro, e plastiche hanno una aspettativa di vita che va dai 30 ai 60 anni, il
loro coefficiente di espansione sotto stress termico è 3-4 volte maggiore rispetto
alla pietra, al mattone o al marmo. Ciò implica una costosa e continua
manutenzione ed un inevitabile decadimento dell’edificio in tempi molto brevi.
Nel 2010 è stato pubblicato il saggio “New Palladians: Modernity and
Sustainability for 21st Century Architecture” di Alireza Sagharchi (1959) e Lucien
Steil. Tale opera è sia una rassegna che un manifesto di questa corrente artistica
contemporanea fedele ai valori quali la venustas, la firmitas e l’utilitas vitruviani
(bellezza, fermezza, utilità) che erano tanto cari a Palladio. Il libro, un vero atto di
dissidenza nei confronti del decostruttivismo e dell’architettura degenerata, è
quasi introvabile e ha un prezzo di circa 700 euro. Dal punto di vista etico, un
primo grande tentativo di risvegliare le coscienze di tecnici e non, poiché solo la
bellezza può far redimere l’uomo dai nuovi discussi tempi storici e far ricordare,
ovvero “rimettere nel cuore”, l’essenza della progettazione architettonica.
Per approfondimenti:
_Léon Krier, L’armonia architettonica degli insediamenti – Libreria Editrice
Fiorentina;
_Pier Carlo Bontempi, Architettura e Tradizione – Franco Maria Ricci;
_Salvatore Settis, Futuro del classico – Einaudi, 2004;
_Salvatore Settis, Se Venezia muore – Einaudi , 2014.

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