IMMAGINE TRATTA DALLO STENDARDO USATO NELLE TRADIZIONALI PROCESSIONI DELLA SANTA VERGINE DEL POTERE.
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IMMAGINE TRATTA DALLO STENDARDO USATO NELLE TRADIZIONALI PROCESSIONI DELLA SANTA VERGINE DEL POTERE.
Scaliti, oggi. Scaliti è uno dei quattro piccoli borghi che formano le frazioni del comune di Filandari VV, e nello stesso tempo quello più vicino alla sede comunale,perché si trova giusto a un tiro di sasso; infatti, le case delle due periferie più prossime tra loro, in linea d’aria distano non più di ottocento metri, ed è situato tra le ultime propaggini a Sud Est del monte Poro, ad un’altitudine di circa 420 metri sul livello del mare, incastonato in una ridente pianura molto fertile, il cui territorio confina a sud Est con il torrente detto “hiumara ‘i russu”che, probabilmente, divide l’agro di Mileto VV da quello di Filandari, e a Sud con il territorio di San Calogero VV, dai restanti lati è contornato dai fondi di Arzona e del medesimo capoluogo di comune. I suoi cittadini prendono il nome locale di “Scalitani” ed oggi lo abitano in circa 400 persone. Il villaggio formato da un agglomerato urbano di case basse, per la maggior parte costituite da un piano terra e un primo piano, si trova leggermente in disparte dalla principale via di comunicazione, ossìa la s.p. 33, che attraversa il territorio partendo da Nicotera Marina fino a congiungersi con la s.s. 18 che percorre la nostra terra da Reggio Calabria a Salerno. Esso è collegato alla suddetta s. p. tramite il prolungamento di via Rione case nuove, che partendo dall’incrocio con via Garibaldi prospiciente la chiesa parrocchiale di San Pietro, si dirama una prima volta nell’abitato medesimo, con una strada cieca senza nome orientata in direzione Sud, poi ancora una volta dinanzi all’attuale calvario con una via che corre verso l’aperta campagna e, infine, si biforca con una strada secondaria che prosegue in direzione Arzona, altra frazione del comune dalla quale dista circa600 metri. Un altro collegamento secondario è possibile tramite la prosecuzione della strada che attraversa il paese, ossìa via Garibaldi, che in direzioneNord – Ovest, si dirige verso Filandari, per raggiungere il quale, bisogna passare attraverso un suggestivo canyon scavato nella pietra calcarea, punteggiato qua e là da ulivi e ciuffi di saracchio, ma soprattutto da olezzanti cespugli di ginestra che in alcuni casi sono dei veri e propri arbusti e cespi d’origano, che là fanno da padroni in 4
questo habitat così difficile, avendo trovato nelle sue crepe la linfa necessaria alla sopravvivenza. Nel punto di guado di questa enorme fenditura, molto più prossima a Filandari, che non a Scaliti, la strada rasenta l’imbocco della famosa grotta di Santa Cristina, formatasi quasi certamente per erosione naturale, e probabilmente mai esplorata nei dettagli, per stabilire se, in era preistorica sia stata abitata dai nostri lontani progenitori, che lì hanno lasciato graffiti o altri segni comprovanti la loro presenza, non dimenticando che qui, esiste anche una sorgente d’acqua dove nei giorni più torridi si può trovare ristoro e aria fresca per la presenza della fiumara che scorre lungo il greto del canalone. L’estremo opposto della via che qui ci ha condotti, nell’attraversare l’abitato dà origine all’incrocio con via Reno, e alle traverse Iª e IIª Garibaldi, nonché alla diramazione con via Giacomo Leopardi che immette in una zona di nuova espansione del caseggiato, e poi a un centinaio di metri da quest’ultima, incrocia la via Domenico Zagari, presso la quale, un tempo pare esistessero i locali di un dopolavoro, dove comitive di amici si ritrovavano insieme la sera dopo la dura fatica nei campi, per discutere o per qualche partita a carte. Seguendo la medesima via, in parte su fondo asfaltato e poi attraverso una mulattiera, è possibile raggiungere la località Casalello nel comune di San Calogero, dove si trova un’umile chiesetta dedicata a Maria Santissima delle Grazie, meta di costante pellegrinaggio di fedeli che da paesi vicini e lontani, giungono colà per chiedere grazie alla beata Vergine. Ma ritornando alla nostra via Garibaldi, essa, ad un certo punto esce fuori dell’abitato confluendo con la via Pietro Vangeli in un'unica arteria, dirigendosi verso Sud, ponendo Scaliti in collegamento con Mileto che, insieme all’appennino delle serre, sono i suoi naturali dirimpettai. La via interna all’abitato che 5
desta il nostro maggiore interesse, è la già citata via Reno, che partendo dall’incrocio con la Garibaldi, sbocca nella piazza Giuseppe Policaro, antistante la chiesa della Santissima Vergine del Patire, dove stando a quello che la memoria popolare ha tramandato, si trovava l’antica chiesa con lo stesso titolo di quella tuttora esistente. Apparentemente, la via appena nominata, secondo noi è la più vecchia, considerando che lungo il suo tragitto si notano le abitazioni più antiche del paese, forse le sole scampate al disastroso terremoto del 1783, che portò morte e distruzione in tutta la Calabria, anche se non fu il solo, perché si ripeté in maniera violenta anche nel 1908, del quale sono rimaste le testimonianze fino ai primissimi anni sessanta, poiché l’attuale rione case nuove, era in parte costituito da baracche di legno mono e bilocali, le quali hanno contribuito a rendere meno opprimente i postumi del sisma, e la manifattura delle stesse, non era certo caratteristica del luogo, ma sicuramente costruite dal genio dell’esercito o da artigiani esperti di baite e ricoveri alpini, provenienti da altre regioni d’Italia i quali, probabilmente raggiunsero Scaliti nell’immediatezza di quest’ultimo movimento tellurico, che provocò anch’esso ferite profonde, nella vita sociale e nell’aspetto morfologico del territorio, non solo di Scaliti. Comunque sarà appunto per il pur minimo isolamento dalle vie di comunicazione, o per motivi a noi ignoti, che nel corso del tempo l’estensione del paese è stata quasi impercettibile, ed anche i gruppi famigliari considerando gli attuali cognomi esistenti in loco, si sono scarsamente amalgamati con soggetti provenienti da altre realtà rimanendo sostanzialmente sempre gli stessi, non che ciò sia negativo, ma sarebbe auspicabile che per il futuro il tessuto sociale peraltro molto tenace e laborioso, si apra di più al nuovo da qualsiasi parte provenga, superando così l’handicap dell’essere appartato volando verso più alte e nuove mete. 6
Lavoro ed emigrazione Come tutti i paesi del comprensorio del Poro, Scaliti è uno dei villaggi che nel tempo ha sempre svolto delle attività lavorative in simbiosi con la terra dalla quale ha sempre tratto il necessario per vivere, sia in passato e in parte anche nel presente. Quindi, essendo preminente l’impiego in agricoltura, per proprio conto o alle dipendenze dei proprietari terrieri che detenevano la quasi totalità del suolo atto alle varie coltivazioni, nonché per la pastorizia o il foraggio di quegli stessi armenti usati come aiuto nel lavoro dei campi, si è guadagnato da vivere in una realtà a dir poco difficile, anche se, il paese ha una favorevole peculiarità che, consiste nell’avere un clima gradevolmente temperato, perché i contrafforti collinari che si estendono da Ovest a Nord, trovandosi a ridosso delle sue immediate periferie, lo proteggono dai venti freddi di borea e tramontana, e ciò, gli consente di sviluppare una floridissima agricoltura perché, non essendoci escursioni termiche molto consistenti, né umidità elevata per la scarsezza di sorgenti d’acqua, le piantagioni vegetano con maggiore facilità, ed appunto per questo microclima molto favorevole prosperano alberi che, ad altitudine leggermente superiore, non riescono neanche a fruttificare, anzi il tempo di maturazione di talune varietà è pressappoco uguale a quello delle coste marittime, le quali, distano intorno ai venti chilometri. Ovviamente la gamma dei prodotti è molto vasta, ma, tipica dell’area mediterranea, ed è sempre in virtù di tale condizione che, si producono cereali e legumi, e in passato anche lino e canapa per filati, coltivazione ormai caduta in disuso, visto che ormai non si usa più fare la famosa dote per le donzelle, ne si può dimenticare l’ottimo vino che gli ubertosi vigneti fornivano con i loro grappoli rubicondi. Bisogna però riconoscere che lo scettro di re delle produzioni agricole del posto, l’ha sempre detenuto il sopraffino olio di oliva, ottenuto da piantagioni che per la vetustà, sicuramente avranno visto passare gli eserciti invasori della magna Grecia o quanto meno quelli Normanni. A tal proposito ricordo che, in località “mottula”, quando ero bambino il nonno materno andava a potare di queste piante, e ve ne era qualcuna che del tronco era rimasta la parte esterna più vicina alla corteccia, mentre l’interno veniva costantemente pulito con l’accetta perché si marciva, quindi si “cacciavanu pezzula ossia si asportavano parti del legno che poi veniva usato nell’inverno per riscaldarsi” e il vuoto così praticato, detto localmente “catufulu, ossìa vuoto ottenuto a furia di svuotare il tronco dalla fibra legnosa che si infeltriva”, era talmente grande che, potevano trovare rifugio almeno quattro persone, quando nella raccolta delle olive si veniva sorpresi da pioggia improvvisa. Ed era appunto per il motivo sopra citato che a Scaliti iniziava la mietitura sempre alcuni giorni prima degli altri paesi del comune, rispettando però una 7
singolare tradizione e cioè, dato che la raccolta della messe cadeva a ridosso dei festeggiamenti in onore di san Pietro, patrono del villaggio, in quel giorno poteva cadere il mondo, ch’e gli “Scalitani”, come pure gli abitanti dei paesi vicini, non toccavano attrezzo da lavoro, e ancor meno la sfavillante falce che malauguratamente poteva recidere qualche dito, se non unicamente per accudire gli animali da fattoria dei quali ne erano custodi e proprietari, questo per ottemperare alla singolare credenza, secondo la quale, in quel giorno san Pietro vorrebbe la vita di tre persone decedute per morte violenta, per questo motivo a noi bambini ci veniva impedito perfino di salire sui ciliegi per farcene una scorpacciata, visto che il ventinove giugno tali frutti sono all’apice della maturazione, quindi, nel momento più idoneo per essere consumati. Ovviamente all’agricoltura di Scaliti erano direttamente connesse altre attività, come la molitura del grano, che i cittadini a ridosso di asini, portavano nei mulini ubicati lungo la fiumara che separa il territorio di Mileto con quello di Filandari, dove c’erano più siti che espletavano questo lavoro. Altra occupazione strettamente legata al lavoro dei campi era la spremitura delle olive, che avveniva in frantoi disseminati nel territorio. Impieghi considerati di minore importanza, concorrevano a far guadagnare agli abitanti l’umile desco per la famiglia, e tra queste, le classiche professioni artigianali, come il sarto, il barbiere, il calzolaio, la tessitrice ecc.; che, loro malgrado, spesso espletavano le commissioni delle quali se ne facevano carico in cambio del pagamento in natura che, si concretizzava contro cambiando con prodotti 8
agricoli che oimè, spesso erano scarsi di misura, nelle annate in cui il raccolto era stato avaro d’abbondanza. Quindi, non vi era circolo di danaro se, non in quelle occasioni in cui taluno andava a lavorare per conto terzi, o derivante dalla vendita di animali o prodotti che soverchiavano il fabbisogno famigliare. Ma anche in questo caso erano talmente irrisorie le somme ricavate, da non permettere l’acquisto di altri beni per espandere la proprietà o comprare altre cose necessarie alla famiglia; perciò, l’economia era stagnante e non portava benefici, ma solamente lavoro mal retribuito e stanchezza, quella sì e ve ne era tanta, e molto era anche lo sconforto di vivere l’intera vita in un limbo così deprimente. Fu per questo che, a partire dagli ultimi anni di fine ottocento, anche per Scaliti come per il resto del Sud Italia, si aprì la piaga dell’emigrazione, che vide partire tanti capi famiglia, dapprima oltre oceano nelle due Americhe, e in seguito anche in Australia, posti dai quali molti non son più tornati, rimanendo con l’amarezza nel cuore, per non aver più rivisto il paese natio. Scaliti e Istruzione Come in altri piccoli centri del nostro paese, anche a Scaliti, agli inizi del Novecento, come dicevano gli anziani, mancavano scuole e maestri, per cui l’analfabetismo era elevato e molto diffuso. Pochi erano quelli che avevano la possibilità di studiare frequentando collegi generalmente gestiti da religiosi, lontani dal loro ambiente naturale e, soprattutto, dalle famiglie. Infatti, ci sono ancora in vita persone nate intorno agli anni venti che, ricordano con particolare lucidità e amarezza che, allora, vi era, per dir così, una sorta di uguaglianza in negativo, perché ragazzi e adulti erano accomunati dalle medesime condizioni culturali, handicap che si estendeva a numerose persone benestanti, anch’esse prive della pur minima istruzione. I pochi fortunati, che nel passato si affidavano nelle mani del parroco o di qualche maestro improvvisato, riuscivano quanto meno a raggiungere quel minimo di conoscenza necessaria per scrivere la corrispondenza, quando si era fuori casa o per svolgere il militare o per emigrazione. Era in quelle serate d’inverno rigido che raccolti intorno ad un braciere o in estate sotto l’ombra di qualche albero fronzuto che usando un linguaggio idoneo al tempo e ai costumi si potevano apprendere concetti e nozioni di vita fino ad allora ignorati . Come raccontano i pochi sopravvissuti, allora i vecchi del paese ritenuti saggi quanto meno per l’età, facevano del loro meglio per integrare quel poco d’istruzione ricevuta appigliandosi a quella saggezza popolare tramandata oralmente, che richiamava alla mente proverbi e suscitava immagini che oggi, forse, non riusciremmo a comprendere in tutte le sue sfumature. A cavallo delle due guerre mondiali, mancando le scuole statali o comunali, venivano improvvisate spesso delle classi famiglia, ubicate n ambienti angusti, umidi 9
e, spesso, malsani e del tutto inadeguati allo scopo, che si intendeva realizzare, e generalmente erano gli stessi genitori, che, a loro volta avendo ricevuto i rudimenti del leggere e scrivere, si improvvisavano insegnanti dei propri figli e di altri bambini, sottratti malvolentieri alla custodia degli animali o alla dura fatica dei campi. I rari maestri, del resto, pur volendosi impegnare a titolo assolutamente gratuito, non sapevano dove organizzare e ospitare gruppi di ascolto e di apprendimento. Ricorda un signore dalla veneranda età che, a volte venivano utilizzate anche le stalle, quando le bestie erano al pascolo o nei campi. Tuttavia, per quel tempo e le condizioni di miseria diffusa, era il meglio, che si poteva offrire a quei pochi ragazzi, desiderosi di apprendere o di evitare il lavoro agricolo e pastorale. Di conseguenza, anche Scaliti, come molti altri paesini del Meridione, dovette attendere fino all’inizio degli anni settanta, per essere dotato di veri e propri alloggi ad uso scolastico. Infatti, in seguito alla riforma del settore e all’ampliamento del suolo edificabile, gli amministratori del comune di Filandari fecero costruire a Scaliti un bellissimo edificio scolastico, adeguato alle normative vigenti, accogliente e soprattutto aperto a tutti e non solo ai pochi fortunati. Quindi, a partire dai più piccoli, i nostri meravigliosi angeli, ebbero la possibilità di frequentare la scuola materna vivendo con gioia insieme alle maestre e ai coetanei gran parte della giornata, lontani dalle famiglie e dai pericoli della strada. Invece, i più grandicelli qui iniziarono il vero e proprio ciclo d’istruzione dalla prima alla quinta classe, seguendo le lezioni in ambienti idonei e senza problemi di spazio, di freddo o di luminosità. Anche se in famiglia dovevano rinunciare ad una preziosa e gratuita mano d’opera, nei campi o con le poche bestie che si possedevano, grazie a genitori che avendo preso coscienza della necessità di dare un’istruzione ai loro pargoli, ne incoraggiavano la frequenza e l’impegno costante per raggiungere un titolo di studio che avrebbe potuto aprir loro strade meno tortuose per raggiungere quel modello di vita sociale che essi avevano solo sognato. Ma 10
in seguito all’emigrazione in paesi europei e in altri continenti, dovuta alla miseria dilagante e al bisogno di un minimo benessere e di riscatto socio- economico, si verificò un decremento demografico con la conseguente carenza di allievi, motivo per il quale il bellissimo edificio scolastico fu definitivamente chiuso e abbandonato all’incuria del tempo e all’incoscienza di qualche vandalo di passaggio. I pochi ragazzi, perciò, furono e sono costretti a frequentare l’unica scuola, ubicata presso Filandari sede comunale. Scaliti nei secoli con la chiesa La storia di Scaliti non si discosta da quella dei paesi vicini, che indissolubilmente è legata a quella in chiaro oscuro della chiesa, e ad essa abbiamo attinto, perché si può dire che in passato sia stata l’unica organizzazione civile, culturale e religiosa illuminatasi di conoscenza tenacemente cercata, in tutti quegli scritti antichi, che lo scibile umano ha compilato e trasmesso fin dagli albori della scrittura come mezzo di comunicazione, la quale, seppur con lacune ha concorso a tramandarci copiosa quanto rara documentazione, di come la chiesa è riuscita a governare i fermenti e le mutazioni, attraversando indenne il tempo. Per tale motivo crediamo sia opportuno narrare di pari passo le vicissitudini che hanno visto strettamente connessi Scaliti e la chiesa nella veste di protagonisti, amalgamandoli per quanto ci è possibile in ordine cronologico. La chiesa Cattolica è presente in Italia fin dal I secolo d. c., anche se inizialmente a macchia di leopardo per l’esistenza del paganesimo, e in un secondo tempo al Sud, per il rito greco bizantino che sul nostro territorio decadde quasi completamente con la latinizzazione di quest’ultimo ad opera dei fratelli Normanni, Roberto il Guiscardo e RuggeroI del casato d’Altavilla, che a seguito del trattato di Melfi del 1059 con il papa Niccolò II, feudalizzarono tutto il Sud ponendo i monasteri Basiliani che erano sotto la giurisdizione del Patriarca di Costantinopoli, alle dipendenze dirette della santa sede Romana, o delle abazie e diocesi presenti sul territorio. E qui entriamo nel periodo in cui abbiamo trovato le prime notizie che riportano Scaliti, tra i villaggi della zona, anche se noi crediamo che i suoi natali sono anteriori a questa data. Era il tempo in cui vi erano lotte intestine per la reciproca sopraffazione,e per l’accaparramento di beni temporali, da parte di tutti, clero compreso, che spesso lasciava la cura delle anime per incombenze ritenute molto più remunerative e immediate, come la spartizione di averi e proprietà che all’epoca l’ente riceveva ed amministrava, come un qualsiasi principe di questa terra, per i quali possedimenti, non sono mancate vere e proprie guerriglie tra religiosi e non, 11
per difendere quanto loro donato, ipotizzando che pure il nostro villaggio sia stato oggetto di disputa tra opposti poteri abbaziali e diocesani, anche se, abbiamo la certezza che, a differenza degli altri borghi vicini, non è elencato nel gruppo di paesi che ricadevano sotto la giurisdizione dell’ormai famosa e potentissima abazia benedettina della Santissima Trinità, ne della diocesi episcopale, entrambi di Mileto e volute dal gran conte Ruggero I, ma dal monastero Basiliano del Patirion di Rossano CS, realizzato sempre col benestare dello stesso re e dotato di numerosi possedimenti; infatti, il nome di scaliti spuntando dall’oscurità dei secoli, appare per la prima volta in un documento del citato ordine monastico datato 1114, nel quale si afferma che, la chiesa di Santa Maria di Scaliti è un possedimento del monastero del Patire di Rossano, concesso dal re Ruggero II. Una seconda volta viene nominato Scaliti nel 1130, nella bolla aurea con la quale, lo stesso re conferma allo già citato possessore l’anzidetta chiesa, con l’aggiunta di un convento intitolato sempre a Santa Maria di Scaliti, in seguito viene ancora menzionato nel 1198 in una bolla del Papa Innocenzo III, e nel 1216 in una bolla di Papa Onorio III. Poi il borgo è come se per oltre due secoli e mezzo fosse caduto nelle profondità del dimenticatoio, seguendo anonimamente la prassi dei borghi viciniori assoggettati ai vari regnanti di turno, fino all’avvento dei duchi Pignatelli che dal 1501, divenuti nuovi feudatari del territorio, spadroneggiarono razziandolo d’ogni cosa, momento in cui, parve riemergere dalle tenebre il nome di Scaliti, essendo uno dei loro villaggi, sotto la giurisdizione dell’università di Mesiano, inserito tra quelli della zona da Est a Sud-Ovest della stessa, che prendeva il nome di “quartèri = quartieri”ed inglobava i borghi di: Pizzinni, Arzona, Scaliti, Filandari, Presinaci, Pernocari, Rombiolo, Orsigliadi, Garavati, Moladi. Un altro documento del 1586 del Vescovo di Mileto Quinzio de Rusticis “187”, riporta Scaliti come paese di appartenenza ad un rettore conventuale, un certo “d. Giov. Marasco Domenico”. Poi nel 1662 Scaliti viene nominato da Giovanni Fiore nel volume “Della Calabria Illustrata”, ed ancora una volta in una nota redatta tra il 1697 e il 1699, a cura degli incaricati basiliani che avevano il compito di raccogliere tutto quanto vi era nelle biblioteche dei loro conventi di appartenenza, quindi anche da quello di “Santa Maria del Patire” di Scaliti. Da quest’ultima data trascorse quasi un secolo e questa volta un evento luttuoso colpì non solo Scaliti, ma tutto il territorio calabrese, perché il 5 febbraio del 1783, un violentissimo sisma rase al suolo l’abitato con numerose vittime e il pressoché totale crollo delle case. Tuttavia, la tenacia non avvilì i sopravvissuti che, decurtati nel numero e afflitti per le perdite, ripresero alacremente a ricostruire quanto avevano lasciato nelle macerie,per continuare a vivere dignitosamente, affacciandosi ormai ai primi anni del diciannovesimo secolo con una popolazione di circa 230 abitanti. Anche il casato dei duchi Pignatelli dopo alterne vicende parve scosso dalle fondamenta da terremoti di rivolte, ed avendo iniziato a 12
sfaldarsi, ricevette il colpo ferale ad opera dei francesi che da oltralpi vennero in Italia invadendo il nostro suolo, portando con essi una ventata di nuovo. Infatti, una volta stanziatisi, dichiararono decadute tutte le feudalità e i loro privilegi, e con esse anche le vecchie università, trascinando in questa decadenza anche la gloriosa Mesiano, e nell’approntare una nuova organizzazione dello stato secondo il modello napoleonico, nel 1806 riconobbero a Tropea il ruolo di distretto del governo di Monteleone per il controllo dell’amministrazione cittadina, e con la legge del 19 gennaio 1807, gli venne conferito anche l’incarico di sorvegliare le amministrazioni delle qui citate comunità del circondario: Alafito, Arzona, Barbalaconi, Brivadi, Carciadi, Caria, Ciaramiti, Drapia, Garavadi, Mesiano, Moladi, Orsigliadi, Pernocari, Presinaci, Pizzinni, Ricadi, Rombiolo, Scaliti, Spilinga, Zaccanopoli, Zungri. In seguito sotto il governo del re di Napoli Gioacchino Murat, con reggio decreto n° 922, del 4 maggio 1811, recante la firma dello stesso, venne innalzato Filandari agli onori di comune, e in qualità di frazioni ad esso assoggettati i villaggi di: Scaliti, Arzona, Pizzinni e la stessa Mesiano. Contestualmente all’instaurazione di nuove leggi, il regio demanio francese requisì parecchi possedimenti degli ordini religiosi, compresi quelli del Patirion e li mise in vendita per finanziare opere pubbliche. Tuttavia, i borboni che erano stati feriti ed offesi dalla sconfitta, ma non domati nello spirito,dopo qualche anno ebbero un rigurgito d’orgoglio ben ricompensato, perché ritornarono alla battaglia ottenendo la vittoria sul campo e il conseguente diritto di rioccupare la nostra terra, e nel dare un assetto amministrativo al passo con i tempi, sostanzialmente con propria legge del 1816, confermarono l’impostazione amministrativa voluta dai francesi, che tale rimase fino all’unità d’Italia. Altri giorni bui conobbero i nostri paesi con il terremoto del 1908, che lasciò ferite profonde, nel tessuto sociale e nell’organizzazione dei villaggi Scaliti compreso, amara eredità di quell’evento così nefasto. Non sappiamo se la chiesa parrocchiale di San Pietro visto che è sorta da un beneficio proveniente da possedimenti basiliani, così come quella di Santa Maria del Potere, sede della confraternita, era anch’essa sotto l’autorità del Patirion di Rossano; nè conosciamo l’anno in cui sono cessati tali pertinenze, e le due chiese sono entrate sotto la giurisdizione dell’attuale autorità religiosa presente sul territorio. Però siamo certi che attualmente Scaliti fa parte del vicariato e della diocesi di Mileto, che il decreto della S. Congregazione per i Vescovi, del 30 settembre 1986, ne ha sancito l’unione definitiva delle tre ex diocesi presenti sul nostro territorio, in un’unica istituzione, governata da un solo vescovo con sede in Mileto. La stessa è suffraganea dell’arcidiocesi di Reggio-Bova e dell’Ordinario d'appello: il Tribunale Regionale di Reggio Calabria, e i cui santi protettori sono San Nicola di Bari, Maria Santissima dell’Assunta e Maria Santissima di Romania, già patroni dei rispettivi vescovati. Una nota, a onor del vero 13
molto scarna, ci riferisce che, in epoca passata, non individuabile con certezza, Arzona era frazione di Scaliti, mentre la tradizione popolare dice che probabilmente era anche sede di Gendarmeria e forse per l’importanza dovuta al convento sopra menzionato, era stabilita la data di una o più fiere o mercati, che si svolgevano durante l’anno, nei quali, lo stesso convento esigeva delle gabelle per il sostentamento. Scaliti e i luoghi di culto Per meglio conoscere la storia di due dei luoghi sacri di Scaliti, è necessario riportare almeno succintamente alcune note biografiche di San Bartolomeo da Simeri CZ. Al secolo Basilio, nato in questa città nel 1050 e morto a Rossano CS nel 1130, il quale, fin dalla giovane età,sulla scia di san Nilo, si diede alla vita eremitica tra le cime della Sila, ed essendo stato scoperto da alcuni cacciatori, che tornando in paese, raccontarono della sua santità, suscitando l’effetto di procurare nuovi giovani che volevano aggregarsi a lui per fare esperienza di vita ascetica, ma egli, non volendo ritornare tra la gente ne aveva negato l’adesione, fin quando, la Vergine Maria non gli apparve in quel luogo, dicendogli di aprire una scuola di anime. Quindi ricorse al patrocinio dell’ammiraglio Cristotalo, uomo di fiducia del re Ruggero d’Altavilla, il quale lo presentò a corte facendogli ottenere quanto necessario per la costruzione di un monastero, che venne edificato tra il 1090 e il 1101, di cui il primo sacerdote e abate fu lo stesso Bartolomeo.Il convento che fu latinizzato fin dalla nascita nel 1105, il Papa Pasquale II lo pose sotto la diretta giurisdizione della santa sede e fu riccamente dotato di possedimenti da parte della corona, e per l’aurea di santità che ispirava, ben accolto anche dall’imperatore di Bisanzio, Alessio e la consorte Irene con tutto il senato, che colmarono di doni Bartolomeo e i suoi confratelli quando si recarono colà per l’acquisto di arredi sacri, codici antichi e manoscritti da trascrivere e studiare. L’eremita prosperò al punto da suscitare l’invidia dei monaci benedettini dell’abazia della Santissima Trinità di Mileto VV, che lo accusarono di appropriazione dei beni dell’ente monastico per fini personali, e addirittura d’eresia, considerato che era un buon amico dei regnanti di Costantinopoli. Per questo motivo, Bartolomeo si dovette presentare a Messina davanti al consiglio della corona per difendersi dalle infamanti accuse e, nonostante tutto, deponesse a suo favore, venne ugualmente condannato al rogo; ma prima di morire, egli chiese ed ottenne di celebrare la santa messa alla presenza dei cortigiani, che rimasero sbigottiti, perché al momento della consacrazione apparve una colonna di fuoco che partendo dai suoi piedi saliva fino al cielo. Alla vista di tale prodigio, tutti gli chiesero perdono e il re non solo lo graziò, ma lo convinse a costruire in quella città il monastero che prese il titolo di “San 14
Salvatore”, completato dal discepolo Luca nel 1132. Nel mentre si trovava colà, sentendo che era prossima la fine, nel 1129, Bartolomeo volle rientrare a Rossano dove morì il 17 agosto del 1130, e il martirologio romano ne fissò la commemorazione il 19 dello stesso mese. Alla sua morte, che avvenne in chiarissimo odore di santità, il monastero di Rossano che, inizialmente era stato intitolato a Santa Maria, in onore del venerabile defunto, la dicitura venne integrata con la parola “patir”, che in greco significa padre, proprio come era considerato Bartolomeo dai suoi monaci, quindi, d’allora in poi il titolo al completo fu “Santa Maria del Patir o patire”. Alla dipartita di Bartolomeo i numerosi possedimenti del convento sono stati riconfermati dalla corona al successore Luca e a più riprese elencati in varie documentazioni, bolle ed altre trascrizioni legali, con le quali se ne conferiva il pieno titolo di possesso o di usufrutto ai legittimi destinatari dei beni. 15
Chiesa a Santa Maria del patire o Potere Da uno dei tanti scritti detto platea che testimoniano i possedimenti del monastero di Rossano, recante la data del 1114, si evince che, la chiesa di Santa Maria di Scaliti, era un suo possedimento, ma non ci chiarisce da chi è stata fondata, nè l’anno della sua costruzione, nè tanto meno l’esatta ubicazione. Sappiamo solo che portava lo stesso titolo originario del già citato monastero, e che forse in un secondo tempo, anche ad essa, si è tentato di far assumere il titolo definitivo di “Santa Maria del Patire”, che la pietà popolare nel corso dei secoli, ha tramutato in “Santa Maria del potere”. Nel 1130, con l’aurea bolla di Ruggero II, il possedimento venne riconfermato all’abate Luca, che alla morte di Bartolomeo succedette quale Archimandrita ed Igumeno del Patire di Rossano. Negli anni che seguirono, lo stesso possedimento venne riconfermato una prima volta nel 1198, con bolla del Papa Innocenzo III, e infine nel 1216, dalla bolla di Papa Onorio III. Comunque stando a quanto ci è pervenuto da Giovanni Fiore, intorno alla metà del 17° secolo, la vecchia chiesa, probabilmente orientata verso Ovest, con l’ingresso principale da via Reno salvo altri, sicuramente era costituita da un locale seminterrato, ubicato a Sud Est del paese, esattamente nella piccola piazzetta antistante l’attuale luogo sacro, il quale ha preso il posto di quello preesistente ed è stato realizzato a cavallo degli anni quaranta e cinquanta del ventesimo secolo. Comunque esso consta di una costruzione di un solo vano , lungo circa venti metri, largo otto e alto altrettanti, con l’abside semicircolare orientato verso Sud, e annessa una sacrestia esterna lungo il muro perimetrale destro osservandola dall’ingresso principale, al di sopra del quale lungo la parete si trovano due finestre semicircolari con la base piana 16
rivolta al suolo, per dar luce all’interno attraverso vetri artisticamente decorati con pitture, una delle quali rappresenta la Vergine col Bambino, e l’altra l’eucaristia. Al centro dello spazio che intercorre tra esse, vi è una piccola nicchia che ospita una statua che, probabilmente, raffigura San Basilio e si ipotizza che, forse, faceva parte del sarcofago funerario di Ruggero Sanseverino fatto costruire tra il 1430 e il 1440 dal maestro di Mileto c. d.. L’interno della chiesa non ha stucchi o fregi di particolare valore artistico, nè arredi sacri dello stesso tenore, ma vi sono due opere, una pittorica ed un’altra scultorea di riconosciuta importanza quantomeno per la devozione del popolo di Scaliti. 17
Dipinto Maria Santissima del Potere La prima opera è di tipo pittorico, un tempo situata al soffitto ed in seguito a restauro avvenuto nel 2008 ha assunto un’esposizione a parete, di questa preferiamo riportare integralmente la scheda tecnica della restauratrice, che in maniera esaustiva, ben ne riassume caratteristiche e pregi della stessa. Relazione: Sono lieta di riconsegnarvi dopo un non facile lavoro di restauro il dipinto ad olio su tela raffigurante Santa Maria del Potere, il cui titolo è una correzione dialettale di Santa Maria del Patire, chiaramente collegato alla Badia di S. Maria del Patire di Rossano, alla quale nel 1130 Ruggero, conte di Sicilia e di Calabria, concede il convento di S. Maria di Scaliti in diocesi di Mileto. Il dipinto raffigurante la Beata Vergine Maria, seduta su una nuvola e circondata di luce ,tiene in braccio Gesù benedicente con il mappamondo in mano, ai lati in basso sono rappresentati due santi; presenta caratteristiche tecniche esecutive che riconducono alla datazione del 1600. I processi di degrado in prevalenza determinati da cause naturali, da cattive condizioni di conservazione e da restauri precedenti, si sono evidenziati in maniera consistente sia a livello strutturale nell'eccessivo indebolimento del supporto tessile costituito da due parti eterogenei, sia estetico riscontrabile nel progressivo sfaldamento e spolvero degli strati di colore. L'errata esposizione a soffitto del dipinto ha inoltre favorito il degrado meccanico e strutturale evidenziato nel rigonfiamento perimetrale del supporto e nel distacco del film pittorico . Si è reso necessario un intervento di restauro completo dell'opera volto al ripristino del suo equilibrio strutturale, conservativo ed estetico. A seguito della diretta analisi tecnica dell'opera e per una migliore conservazione della stessa a restauro ultimato si consiglia di collocare il dipinto a parete all'interno della chiesa favorendo così migliori condizioni conservative. Nel presentarvi l'opera restaurata dopo un lungo lavoro impegnativo e delicato, utilizzando materiali reversibili, ritengo opportuno ricordare le varie fasi del restauro nel modulo conservativo ed estetico accompagnati da documentazione fotografica di tipo professionale. Le fasi del modulo conservativo: - Test preliminari - Velinatura strati pittorici 18
- Rimozione telaio e vecchi elementi metallici - Accurata pulitura tergale meccanica - Giustapposizione di intarsi nelle mancanze di supporto tessile originale - Preconsolidamento degli strati pittorici - Fermatura generale - Consolidamento del film pittorico - Intervento di foderatura previo trattamento conservativo del nuovo supporto tessile - Trattamento locale frontale per lo spianamento e consolidamento delle scodelle di colore - Miglioramento della superficie pittorica - Svelinatura - Collocazione del dipinto su un nuovo telaio progettato per favorire la migliore esposizione conservativa. Le fasi del modulo estetico: t - Prova dei solventi. Test di pulitura - Pulitura graduata chimica e meccanica - Rimozione degli elementi matrici estranei all'esecuzione originale - Colmatura a stucco delle lacune - Astrazione materia con imitazione di superfìcie - Integrazione pittorica delle lacune realizzata con il metodo differenziato senza alterare l'elemento cromatico e figurativo originale - Verniciatura generale a pennello - Perfezionamento dell'integrazione pittorica con colori a vernice - Fissaggio generale conclusivo con vernice a spruzzo. Nel ringraziare quanti hanno voluto e sostenuto suddetto restauro, in modo particolare il vostro parroco Don Giuseppe Lo Presti, il Priore e la Confraternita, non mi resta altro che auspicarvi che questo segno tangibile della vostra pietà popolare accresca filiale e sincero amore verso Colèi che tutte le generazioni chiameranno beata. Sull'esempio dei vostri antenàti non esitate a ricorrere alla Madonna del Potere certi che "qual vuol grazia ed a lei non ricorre, sua distanzia vuol volar senz'ali" (Dante). ROMBIOLO 6 Settembre 2008 Restauratrice Pasqualina Catello 19
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Scultura lignea La seconda opera è una scultura lignea processionale della vergine del potere con lo scettro nella mano destra, raffigurazione inusuale, ma stando a quello che affermano alcune fonti autorevoli, in questo caso lo scettro simbolo di comando o del potere, sta a raffigurare la potenza di Maria che, forte delle suppliche di quanti sono nel bisogno, a Lei si rivolgono sicuri della sua potenza mediatrice presso il suo unico figlio, Gesù, perché da Lui riesce sempre ad ottenere innumerevoli grazie da dispensare alle anime devote e bisognose dell’amore di Dio. La stessa opera è stata oggetto di restauro, il cui artista, abilmente ne traccia i dati salienti nella relazione che ha accompagnato la riconsegna della statua, e che noi riportiamo qui di seguito. Relazione ESIMIO DON SALVATORE CUGLIARI PARROCO DI SCALITI DI FILANDARI GENTILE SIG. PRIORE PIETRO SCALAMANDRÈ CHIESA MADONNA DEL POTERE Oggetto: Restauro conservativo della Statua lignea “Madonna del Potere e Bambin Gesù ". Relazione tecnica dello stato di conservazione. L'opera lignea è stata certamente scolpita in legno di tiglio, albero che, alcuni secoli fa, rivestiva copiosamente la superficie boschiva delle Serre. La base reca la scritta: scolpita nell'anno 1860. A proposito vorrei far osservare che questa è stata apposta allorché venne eseguita la costruzione del nuovo scannello. Quindi vorrei far notare, e questo è quello che più interessa a beneficio dell'opera, che la scultura secondo la mia esperienza, potrebbe esser più antica; mi chiedo: quale fonte storica ha determinata quella data? Venne forse tramandata oralmente da qualche persona molto anziana che ricordava la base posta sulla base andata perduta? Dico questo perché, a giudicare dalla linea stilistica mi pare di vedere le opere quattrocentesche del Bellini, o del Verrocchio.- Ella, matrona di bell'aspetto assisa su un trono di nuvola e anche tenera mamma col figlio sulle ginocchia, Ella appare severa e composta nella sua forma stilistica a tutto tondo. Purtroppo le condizioni generali di conservazione sono pessime. Sicché, su invito di Don Salvatore e del sig. Priore Scalamandrè, viene stilato il seguente Preventivo di spesa ed esecuzione tecnica di restauro 06-12-2002 23:24. Fase I disinfestazione ad abluzione e consolidamento della opera lignea a mezzo di antitarlo (marca xilamon, ba-yer per restauro) onde distruggere i 21
vari insetti xilofa- gi: tarli, tarme, agenti atmosferici in generale. Consolidamento di parte lignee malferme ove ve ne fossero. Copertura a camera per diversi giorni. Fase II Pulitura ed asportazione di precedenti strati di pittura apposti nel corso degli anni, fino al raggiungimento di possibili esistenti strati di colore originale, ove questi dovessero esistere. Fase III Miglioramento dei vari piani dei panneggi e delle varie parti anatomiche da definire a tutto tondo, per esempio: le dita dei piedi del Bambinello non sono ben scolpiti, essendo probàbilmente consunti e sicuramente anche carichi di vecchie sovrapposizioni di vernice. Fase IV Stuccatura a gesso dorè per doratore, per rendere la superficie uniforme, eliminando in tal modo numerosi e piccoli avvallamenti, nonché vecchie lacune. Fase V Applicazione a stesura del fissativo di superficie preparata per accogliere le tinte. Fase VI Restauro e consolidamento del colore originale, con intervento di integrazione pittorica solo sulle lacune. Fase VII Ove i colori originali non dovessero esistere, si procede ad una stesura di più mani di colore pari all'iconografìa classica. Fase ViIi Preparazione della superficie sia degli orli che delle stelle del mantello, da dorare con oro zecchino a foglia cm.8 x 8 e di k. 24. Preparazione della superfìcie della nuvola che verrà argentata con foglia argento cm. 10 x 10 tit. 800. Brunitura final e a pietra agata. Fase IX Vernice trasparente finale a base di cera d'api. Il compenso viene definito in €. 7.000 (settemila euro) Soverato 06.12.2002. LABORATORIO DI RESTAURO Maida Luigi C.da Laganosa 38060 SATRIANO MARINA (CZ) La Santa Madre raffigurata nella statua di cui si è appena parlato, con sommo gaudio viene portata in processione per le vie del paese il giorno dei festeggiamenti in suo onore, fissati per la seconda domenica di settembre, la quale, certa d’essere amata dal popolo tutto, dispensa ai suoi fedeli grazie e sentimenti di amore materno come solo Lei sa fare. Le due opere sopra descritte, non sappiamo a quale struttura originaria appartenevano, se alla chiesa o al convento accennato nella scheda tecnica, ne in quale anno o periodo detti possedimenti sono stati incamerati dalla diocesi di Mileto; se, il periodo è diverso da quello francese, 1806-1816, durante il quale, il regio demanio, requisì i beni del Patirion e li mise in vendita per finanziare opere pubbliche. Aggiungiamo che non è rimasta traccia alcuna, dell’immagine miracolosa della quale ci ha narrato lo stesso Fiore. 22
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Confraternita “Maria Santissima del Potere” La confraternita di Scaliti, intitolata a Maria Santissima del Potere, è nata nel 1862,ed ha come sede la chiesa in cui si venera la Santissima vergine alla quale è intitolata, della stessa non siamo riusciti a rintracciare i dati, relativi al decreto vescovile, né di quello regio che, approvavano e confermavano tale associazione. Comunque essa è aperta a tutti i confratelli e le consorelle che ne vogliono far parte, i quali per appartenervi hanno l’obbligo di essere moralmente degni e in regola con il pagamento della retta d’ingresso e delle conseguenti annualità, inoltre presenziare alle processioni e cerimonie previste dal regolamento interno. I paramenti che la contraddistinguono sono il classico camice bianco con la mozzetta azzurra per i confratelli, mentre il Priore e gli assistenti indossano la mozzetta color oro, anche se, per una ventata di modernità questi abiti cerimoniali sono stati dismessi, e sostituiti con un medaglione cromato e cordone azzurro, dorato per la cattedra, da indossare all’occasione. Essa è governata dal presidente, detto Priore superiore, Camerlengo ecc., e da alcuni collaboratori che prendono il nome di: assistente o consigliere a secondo del ruolo coperto, ed eventuale banchiere dove previsto. Appresso riportiamo i dati, dei componenti l’ultima cattedra eletta dall’assemblea plenaria degli iscritti all’associazione in data 25 11 2012, a partire dal 25 11 2012 e Priore Dicarlo Nicola I° Assistente Tavella Giuseppe II° assistente Vangeli Carmela Segretario e Cassiere Dicarlo Fortunato Consigliere Arena Francesco Consigliere De Carlo Marco Solitamente anche le associazioni laico religiose hanno delle insegne che, vengono messe in mostra nelle cerimonie ufficiali, come nel caso delle processioni, specialmente quando si tratta di quella in onore del santo di cui, la stessa, ne porta la denominazione. Anche la nostra confraternita dispone di un vessillo del quale vanno orgogliosi i confratelli di Scaliti. Esso, è uno stendardo di forma triangolare montato a bandiera sopra una pertica di legno, il cui tessuto di base è una specie di raso grezzo, al centro del quale vi è una pittura su tela cucita allo stesso, di forma ovoidale, adagiata sull’arco di base, alta circa cinquanta cm. e larga quaranta, che, raffigura la Santa Vergine del Potere, mentre la rimanenza del tessuto circostante, è tempestato di stelle ricamate in rilievo color oro. Considerata la vetustà del 24
filato abbiamo motivo di credere che lo stesso, risalga al periodo in cui è stato fondato il sodalizio e d’allora in poi, ha sempre presenziato in ogni processione il giorno dei festeggiamenti alla Santa Madre. Tuttavia, per meglio rendere l’idea di come è fatto, alleghiamo una foto dello stesso. 25
Convento Santa Maria del Patire Abbiamo accennato alla bolla aurea di Ruggero II con la quale nel 1130 confermava al Patirion di Rossano i possedimenti della chiesa Santa Maria e del convento Santa Maria entrambi di Scaliti. Della prima ne conoscevamo l’esistenza fin dal 1114, ma del secondo ne siamo gradevolmente sorpresi, perché spunta fuori come per incanto e allo stesso modo si dissolve. Di questo, parimenti alla chiesa non si conosce chi l’ha costruito, né dove sia andato a finire, visto che non vi sono documenti successivi tramite i quali è possibile seguirne le tracce attraverso i secoli, fino a tempi a noi più prossimi. Né ci viene in soccorso la memoria popolare, che solitamente travalica i secoli, adattata, lacunosa, storpiata, riduttiva o fantasticamente ingigantita, ma pur sempre, in tali estremi è possibile scovare un fondo di verità. Né ci sono ruderi visibili nei dintorni dell’abitato che si potrebbero accreditare a questo fantomatico convento. Anche se, una nota molto stringata della sua esistenza, ci viene per la lungimiranza del padre generale dei Basiliani Pietro Menniti, il quale assunse detta carica il 16 maggio 1696,ed avendo intrapreso la visita delle abbazie di appartenenza, dedusse da questa, il cattivo stato in cui versavano le biblioteche nella maggioranza dei vari monasteri, traendo la conclusione che era necessario rispolverare quei preziosissimi: testi, bolle, titoli e manoscritti, abbandonati, per necessità o nequizia, alla muffa e all’umidità, e raggrupparli in due enormi archivi presso altrettante sedi dell’ordine. Fu in questa ricerca espletata tra il 1697 e il 1699, dalla quale risulta che la Grancia di Scaliti intitolata a Santa Maria del patire, ormai ridotta a un monaco ed un solo laico, non diede niente per ottemperare all’iniziativa del Menniti. Aggiungiamo noi, forse, perché in realtà non era solo povera spiritualmente ,ossìa mancante di vocazioni, ma anche di materiale palpabile quali pergamene o libri, per concorrere alla formazione delle due biblioteche volute dal padre generale. Comunque da quest’ultima data in poi non è stato più menzionato in altri documenti di nostra conoscenza, ma cè chi dice che il convento quasi certamente si trovava ad Ovest di Scaliti in località detta “Crisura”, perché sembra che durante i primi anni cinquanta, quando si è cominciato a dissodare il terreno con il trattore raggiungendo profondità mai toccate dalla zappa, nei solchi lasciati dall’aratro, spesso riaffioravano resti di laterizi e pietrame vario che facevano supporre che in epoca anteriore in quel luogo doveva esserci un insediamento sufficientemente grande per accogliere un’eventuale comunità ristretta, che benissimo poteva essere del tipo religioso. 26
Miracoli a Scaliti Solitamente i luoghi sacri sono ammantati da un alone di mistero, se non altro, per il fatto stesso, che il dogma di fede dei cristiani è quello di credere in Dio non perché lo si vede, ma perché si deve essere fermamente convinti che Egli esiste, e aggiungo io, per averne la certezza di ciò, basta guardarsi intorno, per capire se quanto ci circonda è dovuto al caso oppure c’è un’entità soprannaturale che noi chiamiamo Creatore, il quale ha voluto tutto secondo un certo ordine, e non solo per questo, ma anche per i tanti miracoli o fatti scientificamente inspiegabili che a volte si verificano per intercessione di un santo. Ciò è sempre successo, e la storia della chiesa è piena di racconti che gioiosamente fanno accapponare la pelle, concorrendo a rinsaldare il vincolo all’Unico e Trino Dio, e al sacro che da esso deriva, legame che in assenza di tali manifestazioni, spesso diviene blando, e lascia correre l’umanità verso l’assoluto ateismo. E in tali casi, chi è la regina di tutte le intercessioni verso Dio? Se non la sua Santissima Madre che da Lui ottiene grazie a piene mani da elargire ai bisognosi dell’amore incondizionato del suo unico figlio. In quest’umile monografia riportiamo alcuni dei tanti miracoli raccontati dal religioso Giovanni Fiore. Nota: Si chiarisce che il testo appresso virgolettato descrivente fatti avvenuti in Scaliti, e contrassegnato dal numero romano XII,è tratto dalla pagina n. 263, del volume Della Calabria Illustrata diGiovanni Fiore, la cui prima edizione venne pubblicata nel lontano 1691. Il testo è già presente sul retro di alcune immagini della Santissima Vergine del Potere, ed è preceduto da poche righe che riguardano altri fatti verificatisi nella vicina Ionadi VV. 27
XII IMMAGINE DI S.MARIA, DETTA DEL POTERE IN SCALITI “È Scaliti un picciolo Villaggio di Mesiano. Fuori di questa abitazioncella si vede una Chiesa antichissima, alquanto sotterranea, e quasi abbandonata, dedicata al Santissimo nome di Maria , di cui l’Immagine è piccola, antica, alquanto nera, con un bambinetto nelle braccia. L’anno 1662, per da quindi passando una donna spiritata, come le fu a fronte , venne trattenuta da mano invisibile, senza potersi non spingersi oltre, non rivolger i passi all'indietro. Accorsero a questo inaspettato avvenimento alcuni del Villaggio, e sospettando di qualche novità, presero ad implorar il nome di Maria, e far violenza a quella meschina per introdurla dentro la Chiesa. La vi condussero, alzando più le voci; ed ecco all’entrare si udì un grande strepito, che recò qualche timore ed avvenne, che la spiritata guardando la sagra Immagine, aprì la bocca , e buttò un fascio di capelli, di mezzi chiodi, ed altre brutture, con ciò rimanendo libera, A questo miracolo si aggiunse il secondo; poiché condottovi un fanciullo storpiato, appena fu a quella Verginal presenza, che riebbe la salute. Con questi miracoli accesa in divozione la gente prese a frequentar la Chiesa, e con le occorrenti elemosine a ristorarla dalle sue rovine. Fu maggiore la maraviglia, quando li tre Maggio dell’anno medesimo concorsa molta gente dell’uno, e dell’altro sesso, e disposta a ‘Cori per cantare il Rosario di Maria, nel mentre già si cantava, estinte d’ improvviso le candele dell’ Altare, fu da tutti veduta una candela accesa nelle mani della sagra Immagine, la quale tanto fu veduta, quanto non fu finito il celestial Salterio. Con ciò più risvegliata la gente vi è più prese a frequentar la Chiesa, corrispondendo di pari la Vergine con le sue grazie. E fra queste una notte di Sabbato, suonando , non tirata d’alcuno, la sua campana , vi concorse un gran popolo, e con esso loro un cieco dal suo nascere, il quale al battersi del petto avanti la sagra Immagine, tosto gli caddero dagli occhi le tenebre, e fu reso veggente. Un tal storpio fè voto, che se la Vergine gli concedeva la salute, egli sarebbe ito per ogni parte a far la cerca per lei, e del ritrovato avrebbe provisto di cera il suo sagro Altare. Ebbe la grazia; onde in essecuzione del voto si pose in busea del denaro, qual se gli donava volentieri a cagione del fine, per il quale si cercava. Ma l’uomo perverso in vece di comprarne le cere, lo perdè nel giuoco; ed ecco, che senza alzarsi da dove sedeva, ritornò allo storpio di prima. Intimorito dal castigo, ma non disperato di una nuova grazia, si fé condurre di nuovo alla Chiesa, ove avanti l'Immagine pentito dell’errore commesso, replicò il voto , ed ecco , o gran pietà della Vergine! al punto medesimo riebbe la grazia già perduta; ma divenuto a sue spese più saggio, come fu sollecito nella cerca, così lo fu fedele nell’applicazione del danaro.” 28
Devozione a Maria Santissima del potere Festeggiamenti in suo onore la seconda domenica di settembre Recita e canti della novena di autore sconosciuto Gloria al Padre al Figlio e allo Spirito Santo. Come era in principio, è ora e sempre, nei secoli dei secoli Amen. CANTO: O dei secoli promessa Bella madre del Signore A te volgo pien d'amore Il mio cantico fedel. Del potere Vergin pia Prega tu per l'anima mia. PREGHIERA Vergine del Potere, ecco il tuo devoto popolo, genuflesso davanti al tuo stellato trono, riconoscendoti per madre potentissima, Regina del cielo e della terra, chiede il tuo patrocinio, affinché con la tua protezione, possa ottenere tutte le grazie di cui ha bisogno. Ave Maria... Gloria... CANTO Dio ti scelse fra le donne Arca santa del riscatto, Pur annunzio del gran parto Porta fulgida del Ciel, Del potere vergine pia. Prega tu per l'anima mia. PREGHIERA E' vero, o Vergine SS. del Potere, che tu sei il tesoro di tutte le grazie, che per mezzo tuo vengono a tutta l'infinita progenie di Adàmo. Deh, volgi benigna lo sguardo alle nostre miserie. Se ci vedi privi della grazia del Signore, pregalo che ci faccia conoscere il nostro infelice stato, piangere i nostri peccati e così sfuggire l'eterna pena del'inferno. 29
Ave Maria... gloria... CANTO Or che siede sulle sfere e di stelle e di corone Il tesor di tutti i doni Il Signor ti confidò, Del potere Vergin pia Prega tu per l’anima mia PREGHIERA Vergine del Potere, conoscendo purtroppo la nostra fragilità e debolezza, le insidie, le frodi del feroce nemico infernale che tenta sempre di far perdere l'anima nostra, a te ci rivolgiamo, onde, nell'agòne di questa vita, con la tua infinita potenza, ci concedi la forza necessaria per vincere la suggestione del demonio, comprendere le sue trame e sfuggirle, così combattendo da forti possiamo meritare la corona della gloria. Ave Maria... gloria... CANTO Mi proteggi nel cammino Della vita dolorosa E nel giorno del riposo Il tuo nome loderò Dal Potere Vergine pia Prega tu per l'anima mia. PREGHIERA O vita delle anime nostre e aiuto potente dei miserabili, Vergine del potere, noi ci affidiamo al tuo potente patrocinio e per il tuo ardente amore, che hai sempre mostrato per i tuoi devoti, Ti preghiamo di ottenerci il perdono dei nostri peccati ed un continuo dolore per averli commessi. Ave Maria... gloria... 30
CANTO Santa Vergine Maria Io ti prego per pietà. Empi tu l'anima mia D'innocenza e di bontà. Del potere Vergine pia prega tu per l'anima mia. PREGHIERA O dolcezza dei nostri cuori Vergine del Potere, noi confidiamo sempre nel tuo potente patrocinio, e per quella sollecitudine che il tuo tenero cuore ha sempre avuto fa la salvezza delle anime nostre, ottienici la grazia, di fuggire sempre le occasioni del peccato e di tenerci lontani, dai tanti pericoli che ci circondano. Ave Maria... gloria... CANTO Debil sono in questo mondo Non so vivere da me, E però non mi nascondo il bisogno che ho di te De Potere vergine pia Prega tu per l'anima mia. PREGHIERA Poiché da noi stessi non possiam fare cosa alcuna, essendo troppo deboli, tutto da te aspettiamo, conoscendo la tua infinita potenza e bontà. O Vergine SS. del Potere, ti preghiamo a non rigettare le nostre suppliche, ma come madre dei peccatori sempre inclinata, come dice San Bernardo, al bene dell'umanità, accògli le nostre preghiere. Quando siamo afflitti dalle tribolazioni e dalle miserie della vita, a te ci rivolgiamo per non essere da essi sopraffatti, e se per disgrazia, siamo in peccato mortale, facci comprendere il nostro infelice stato e dacci la forza di convertirci prontamente al Signore, per fuggire l'eterna pena dell'inferno e procurarci la gloria del paradiso. Ave Maria... gloria... 31
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