IMMAGINE TRATTA DALLO STENDARDO USATO NELLE TRADIZIONALI PROCESSIONI DELLA SANTA VERGINE DEL POTERE.

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IMMAGINE TRATTA DALLO STENDARDO USATO NELLE TRADIZIONALI PROCESSIONI DELLA SANTA VERGINE DEL POTERE.
IMMAGINE TRATTA DALLO STENDARDO USATO NELLE TRADIZIONALI
       PROCESSIONI DELLA SANTA VERGINE DEL POTERE.
IMMAGINE TRATTA DALLO STENDARDO USATO NELLE TRADIZIONALI PROCESSIONI DELLA SANTA VERGINE DEL POTERE.
ANDREA RUNCO

               SALVATORE RUNCO
IMMAGINE TRATTA DALLO STENDARDO USATO NELLE TRADIZIONALI PROCESSIONI DELLA SANTA VERGINE DEL POTERE.
Scaliti nel tempo
Chiesa e società, Uomini e fatti
                di
     Andrea e Salvatore Runco

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Scaliti, oggi.
Scaliti è uno dei quattro piccoli borghi che formano le frazioni del comune
di Filandari VV, e nello stesso tempo quello più vicino alla sede
comunale,perché si trova giusto a un tiro di sasso; infatti, le case delle due
periferie più prossime tra loro, in linea d’aria distano non più di ottocento
metri, ed è situato tra le ultime propaggini a Sud Est del monte Poro, ad
un’altitudine di circa 420 metri sul livello del mare, incastonato in una
ridente pianura molto fertile, il cui territorio confina a sud Est con il
torrente detto “hiumara ‘i russu”che, probabilmente, divide l’agro di
Mileto VV da quello di Filandari, e a Sud con il territorio di San Calogero
VV, dai restanti lati è contornato dai fondi di Arzona e del medesimo
capoluogo di comune. I suoi cittadini prendono il nome locale di “Scalitani”
ed oggi lo abitano in circa 400 persone. Il villaggio formato da un
agglomerato urbano di case basse, per la maggior parte costituite da un
piano terra e un primo piano, si trova leggermente in disparte dalla
principale via di comunicazione, ossìa la s.p. 33, che attraversa il territorio
partendo da Nicotera Marina fino a congiungersi con la s.s. 18 che percorre
la nostra terra da Reggio Calabria a Salerno. Esso è collegato alla suddetta
s. p. tramite il prolungamento di via Rione case nuove, che partendo
dall’incrocio con via Garibaldi prospiciente la chiesa parrocchiale di San
Pietro, si dirama una prima volta nell’abitato medesimo, con una strada
cieca senza nome orientata in direzione Sud, poi ancora una volta dinanzi
all’attuale calvario con una via che corre verso l’aperta campagna e, infine,
si biforca con una strada secondaria che prosegue in direzione Arzona,
altra frazione del comune dalla quale dista circa600 metri. Un altro
collegamento secondario è possibile tramite la prosecuzione della strada che
attraversa il paese, ossìa via Garibaldi, che in direzioneNord – Ovest, si
                                                     dirige verso Filandari,
                                                     per raggiungere il quale,
                                                     bisogna           passare
                                                     attraverso un suggestivo
                                                     canyon scavato nella
                                                     pietra           calcarea,
                                                     punteggiato qua e là da
                                                     ulivi   e     ciuffi    di
                                                     saracchio,             ma
                                                     soprattutto da olezzanti
                                                     cespugli di ginestra che
                                                     in alcuni casi sono dei
                                                     veri e propri arbusti e
                                                     cespi d’origano, che là
                                                     fanno da padroni in

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questo habitat così difficile, avendo trovato nelle sue crepe la linfa
necessaria alla sopravvivenza. Nel punto di guado di questa enorme
fenditura, molto più prossima a Filandari, che non a Scaliti, la strada
rasenta l’imbocco della famosa grotta di Santa Cristina, formatasi quasi
certamente per erosione naturale, e probabilmente mai esplorata nei
dettagli, per stabilire se, in era preistorica sia stata abitata dai nostri lontani
progenitori, che lì hanno lasciato graffiti o altri segni comprovanti la loro
presenza, non dimenticando che qui, esiste anche una sorgente d’acqua
dove nei giorni più torridi si può trovare ristoro e aria fresca per la
presenza della fiumara che scorre lungo il greto del canalone. L’estremo
opposto della via che qui ci ha condotti, nell’attraversare l’abitato dà
origine      all’incrocio
con via Reno, e alle
traverse Iª e IIª
Garibaldi, nonché alla
diramazione con via
Giacomo        Leopardi
che immette in una
zona       di      nuova
espansione            del
caseggiato, e poi a un
centinaio di metri da
quest’ultima, incrocia
la    via     Domenico
Zagari,     presso     la
quale, un tempo pare
esistessero i locali di
un dopolavoro, dove comitive di amici si ritrovavano insieme la sera dopo la
dura fatica nei campi, per discutere o per qualche partita a carte. Seguendo
la medesima via, in parte su fondo asfaltato e poi attraverso una mulattiera,
è possibile raggiungere la località Casalello nel comune di San Calogero,
dove si trova un’umile chiesetta dedicata a Maria Santissima delle Grazie,
meta di costante pellegrinaggio di fedeli che da paesi vicini e lontani,
giungono colà per chiedere grazie alla beata Vergine. Ma ritornando alla
nostra via Garibaldi, essa, ad un certo punto esce fuori dell’abitato
confluendo con la via Pietro Vangeli in un'unica arteria, dirigendosi verso
Sud, ponendo Scaliti in collegamento con Mileto che, insieme all’appennino
delle serre, sono i suoi naturali dirimpettai. La via interna all’abitato che

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desta il nostro maggiore interesse, è la già citata via Reno, che partendo
dall’incrocio con la Garibaldi, sbocca nella piazza Giuseppe Policaro,
antistante la chiesa della Santissima Vergine del Patire, dove stando a
quello che la memoria popolare ha tramandato, si trovava l’antica chiesa
con lo stesso titolo di quella tuttora esistente. Apparentemente, la via
appena nominata, secondo noi è la più vecchia, considerando che lungo il
suo tragitto si notano le abitazioni più antiche del paese, forse le sole
scampate al disastroso terremoto del 1783, che portò morte e distruzione in
tutta la Calabria, anche se non fu il solo, perché si ripeté in maniera
violenta anche nel 1908, del quale sono rimaste le testimonianze fino ai
                                                                      primissimi
                                                                anni sessanta,
                                                                poiché l’attuale
                                                                rione       case
                                                                nuove, era in
                                                                parte costituito
                                                                da baracche di
                                                                legno mono e
                                                                bilocali,      le
                                                                quali     hanno
                                                                contribuito a
                                                                rendere meno
                                                                opprimente i
                                                                postumi      del
                                                                sisma, e la
                                                                    manifattura
                                                                delle     stesse,
non era certo caratteristica del luogo, ma sicuramente costruite dal genio
dell’esercito o da artigiani esperti di baite e ricoveri alpini, provenienti da
altre regioni d’Italia i quali, probabilmente raggiunsero Scaliti
nell’immediatezza di quest’ultimo movimento tellurico, che provocò
anch’esso ferite profonde, nella vita sociale e nell’aspetto morfologico del
territorio, non solo di Scaliti. Comunque sarà appunto per il pur minimo
isolamento dalle vie di comunicazione, o per motivi a noi ignoti, che nel
corso del tempo l’estensione del paese è stata quasi impercettibile, ed anche
i gruppi famigliari considerando gli attuali cognomi esistenti in loco, si sono
scarsamente amalgamati con soggetti provenienti da altre realtà rimanendo
sostanzialmente sempre gli stessi, non che ciò sia negativo, ma sarebbe
auspicabile che per il futuro il tessuto sociale peraltro molto tenace e
laborioso, si apra di più al nuovo da qualsiasi parte provenga, superando
così l’handicap dell’essere appartato volando verso più alte e nuove mete.

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Lavoro ed emigrazione
Come tutti i paesi del comprensorio del Poro, Scaliti è uno dei villaggi che
nel tempo ha sempre svolto delle attività lavorative in simbiosi con la terra
dalla quale ha sempre tratto il necessario per vivere, sia in passato e in
parte anche nel presente. Quindi, essendo preminente l’impiego in
agricoltura, per proprio conto o alle dipendenze dei proprietari terrieri che
detenevano la quasi totalità del suolo atto alle varie coltivazioni, nonché per
la pastorizia o il foraggio di quegli stessi armenti usati come aiuto nel lavoro
dei campi, si è guadagnato da vivere in una realtà a dir poco difficile, anche
se, il paese ha una favorevole peculiarità che, consiste nell’avere un clima
gradevolmente temperato, perché i contrafforti collinari che si estendono da
Ovest a Nord, trovandosi a ridosso delle sue immediate periferie, lo
proteggono dai venti freddi di borea e tramontana, e ciò, gli consente di
sviluppare una floridissima agricoltura perché, non essendoci escursioni
termiche molto consistenti, né umidità elevata per la scarsezza di sorgenti
d’acqua, le piantagioni vegetano con maggiore facilità, ed appunto per
questo microclima molto favorevole prosperano alberi che, ad altitudine
leggermente superiore, non riescono neanche a fruttificare, anzi il tempo di
maturazione di talune varietà è pressappoco uguale a quello delle coste
marittime, le quali, distano intorno ai venti chilometri. Ovviamente la
gamma dei prodotti è molto vasta, ma, tipica dell’area mediterranea, ed è
sempre in virtù di tale condizione che, si producono cereali e legumi, e in
passato anche lino e canapa per filati, coltivazione ormai caduta in disuso,
visto che ormai non si usa più fare la famosa dote per le donzelle, ne si può
dimenticare l’ottimo vino che gli ubertosi vigneti fornivano con i loro
grappoli rubicondi. Bisogna però riconoscere che lo scettro di re delle
produzioni agricole del posto, l’ha sempre detenuto il sopraffino olio di
oliva, ottenuto da piantagioni che per la vetustà, sicuramente avranno visto
passare gli eserciti invasori della magna Grecia o quanto meno quelli
Normanni. A tal proposito ricordo che, in località “mottula”, quando ero
bambino il nonno materno andava a potare di queste piante, e ve ne era
qualcuna che del tronco era rimasta la parte esterna più vicina alla
corteccia, mentre l’interno veniva costantemente pulito con l’accetta perché
si marciva, quindi si “cacciavanu pezzula ossia si asportavano parti del
legno che poi veniva usato nell’inverno per riscaldarsi” e il vuoto così
praticato, detto localmente “catufulu, ossìa vuoto ottenuto a furia di
svuotare il tronco dalla fibra legnosa che si infeltriva”, era talmente grande
che, potevano trovare rifugio almeno quattro persone, quando nella
raccolta delle olive si veniva sorpresi da pioggia improvvisa. Ed era
appunto per il motivo sopra citato che a Scaliti iniziava la mietitura sempre
alcuni giorni prima degli altri paesi del comune, rispettando però una

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singolare tradizione e cioè, dato che la raccolta della messe cadeva a ridosso
dei festeggiamenti in onore di san Pietro, patrono del villaggio, in quel
giorno poteva cadere il mondo, ch’e gli “Scalitani”, come pure gli abitanti
dei paesi vicini, non toccavano attrezzo da lavoro, e ancor meno la
sfavillante falce che malauguratamente poteva recidere qualche dito, se non
unicamente per accudire gli animali da fattoria dei quali ne erano custodi e
proprietari, questo per ottemperare alla singolare credenza, secondo la
quale, in quel giorno san Pietro vorrebbe la vita di tre persone decedute per
morte violenta, per questo motivo a noi bambini ci veniva impedito perfino
di salire sui ciliegi per
farcene               una
scorpacciata, visto che
il ventinove giugno tali
frutti sono all’apice
della       maturazione,
quindi, nel momento
più idoneo per essere
consumati. Ovviamente
all’agricoltura di Scaliti
erano       direttamente
connesse altre attività,
come la molitura del
grano, che i cittadini a
ridosso      di     asini,
portavano nei mulini ubicati lungo la fiumara che separa il territorio di
Mileto con quello di Filandari, dove c’erano più siti che espletavano questo
lavoro. Altra occupazione strettamente legata al lavoro dei campi era la
                                                   spremitura delle olive, che
                                                   avveniva       in     frantoi
                                                   disseminati nel territorio.
                                                   Impieghi considerati di
                                                   minore           importanza,
                                                   concorrevano        a     far
                                                   guadagnare agli abitanti
                                                   l’umile desco per la
                                                   famiglia, e tra queste, le
                                                   classiche         professioni
                                                   artigianali, come il sarto, il
                                                   barbiere, il calzolaio, la
                                                   tessitrice ecc.; che, loro
                                                   malgrado,              spesso
espletavano le commissioni delle quali se ne facevano carico in cambio del
pagamento in natura che, si concretizzava contro cambiando con prodotti

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agricoli che oimè, spesso erano scarsi di misura, nelle annate in cui il
raccolto era stato avaro d’abbondanza. Quindi, non vi era circolo di danaro
se, non in quelle occasioni in cui taluno andava a lavorare per conto terzi, o
derivante dalla vendita di animali o prodotti che soverchiavano il
fabbisogno famigliare. Ma anche in questo caso erano talmente irrisorie le
somme ricavate, da non permettere l’acquisto di altri beni per espandere la
proprietà o comprare altre cose necessarie alla famiglia; perciò, l’economia
era stagnante e non portava benefici, ma solamente lavoro mal retribuito e
stanchezza, quella sì e ve ne era tanta, e molto era anche lo sconforto di
vivere l’intera vita in un limbo così deprimente. Fu per questo che, a partire
dagli ultimi anni di fine ottocento, anche per Scaliti come per il resto del
Sud Italia, si aprì la piaga dell’emigrazione, che vide partire tanti capi
famiglia, dapprima oltre oceano nelle due Americhe, e in seguito anche in
Australia, posti dai quali molti non son più tornati, rimanendo con
l’amarezza nel cuore, per non aver più rivisto il paese natio.

                          Scaliti e Istruzione
Come in altri piccoli centri del nostro paese, anche a Scaliti, agli inizi del
Novecento, come dicevano gli anziani, mancavano scuole e maestri, per cui
l’analfabetismo era elevato e molto diffuso. Pochi erano quelli che avevano
la possibilità di studiare frequentando collegi generalmente gestiti da
religiosi, lontani dal loro ambiente naturale e, soprattutto, dalle famiglie.
Infatti, ci sono ancora in vita persone nate intorno agli anni venti che,
ricordano con particolare lucidità e amarezza che, allora, vi era, per dir
così, una sorta di uguaglianza in negativo, perché ragazzi e adulti erano
accomunati dalle medesime condizioni culturali, handicap che si estendeva
a numerose persone benestanti, anch’esse prive della pur minima
istruzione. I pochi fortunati, che nel passato si affidavano nelle mani del
parroco o di qualche maestro improvvisato, riuscivano quanto meno a
raggiungere quel minimo di conoscenza necessaria per scrivere la
corrispondenza, quando si era fuori casa o per svolgere il militare o per
emigrazione. Era in quelle serate d’inverno rigido che raccolti intorno ad
un braciere o in estate sotto l’ombra di qualche albero fronzuto che usando
un linguaggio idoneo al tempo e ai costumi si potevano apprendere concetti
e nozioni di vita fino ad allora ignorati . Come raccontano i pochi
sopravvissuti, allora i vecchi del paese ritenuti saggi quanto meno per l’età,
facevano del loro meglio per integrare quel poco d’istruzione ricevuta
appigliandosi a quella saggezza popolare tramandata oralmente, che
richiamava alla mente proverbi e suscitava immagini che oggi, forse, non
riusciremmo a comprendere in tutte le sue sfumature. A cavallo delle due
guerre mondiali, mancando le scuole statali o comunali, venivano
improvvisate spesso delle classi famiglia, ubicate n ambienti angusti, umidi

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e, spesso, malsani
                                                              e     del    tutto
                                                              inadeguati allo
                                                              scopo, che si
                                                                      intendeva
                                                              realizzare,      e
                                                                   generalmente
                                                              erano gli stessi
                                                              genitori, che, a
                                                              loro volta avendo
                                                              ricevuto         i
                                                              rudimenti      del
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                                                                improvvisavano
                                                              insegnanti     dei
                                                              propri figli e di
altri bambini, sottratti malvolentieri alla custodia degli animali o alla dura
fatica dei campi. I rari maestri, del resto, pur volendosi impegnare a titolo
assolutamente gratuito, non sapevano dove organizzare e ospitare gruppi di
ascolto e di apprendimento. Ricorda un signore dalla veneranda età che, a
volte venivano utilizzate anche le stalle, quando le bestie erano al pascolo o
nei campi. Tuttavia, per quel tempo e le condizioni di miseria diffusa, era il
meglio, che si poteva offrire a quei pochi ragazzi, desiderosi di apprendere o
di evitare il lavoro agricolo e pastorale. Di conseguenza, anche Scaliti, come
molti altri paesini del Meridione, dovette attendere fino all’inizio degli anni
settanta, per essere dotato di veri e propri alloggi ad uso scolastico. Infatti,
in seguito alla riforma del settore e all’ampliamento del suolo edificabile, gli
amministratori del comune di Filandari fecero costruire a Scaliti un
bellissimo edificio scolastico, adeguato alle normative vigenti, accogliente e
soprattutto aperto a tutti e non solo ai pochi fortunati. Quindi, a partire dai
più piccoli, i nostri meravigliosi angeli, ebbero la possibilità di frequentare
la scuola materna vivendo con gioia insieme alle maestre e ai coetanei gran
parte della giornata, lontani dalle famiglie e dai pericoli della strada.
Invece, i più grandicelli qui iniziarono il vero e proprio ciclo d’istruzione
dalla prima alla quinta classe, seguendo le lezioni in ambienti idonei e senza
problemi di spazio, di freddo o di luminosità. Anche se in famiglia dovevano
rinunciare ad una preziosa e gratuita mano d’opera, nei campi o con le
poche bestie che si possedevano, grazie a genitori che avendo preso
coscienza della necessità di dare un’istruzione ai loro pargoli, ne
incoraggiavano la frequenza e l’impegno costante per raggiungere un titolo
di studio che avrebbe potuto aprir loro strade meno tortuose per
raggiungere quel modello di vita sociale che essi avevano solo sognato. Ma

10
in seguito all’emigrazione in paesi europei e in altri continenti, dovuta alla
miseria dilagante e al bisogno di un minimo benessere e di riscatto socio-
economico, si verificò un decremento demografico con la conseguente
carenza di allievi, motivo per il quale il bellissimo edificio scolastico fu
definitivamente chiuso e abbandonato all’incuria del tempo e
all’incoscienza di qualche vandalo di passaggio. I pochi ragazzi, perciò,
furono e sono costretti a frequentare l’unica scuola, ubicata presso
Filandari sede comunale.

                    Scaliti nei secoli con la chiesa
La storia di Scaliti non si discosta da quella dei paesi vicini, che
indissolubilmente è legata a quella in chiaro oscuro della chiesa, e ad essa
abbiamo attinto, perché si può dire che in passato sia stata l’unica
organizzazione civile, culturale e religiosa illuminatasi di conoscenza
tenacemente cercata, in tutti quegli scritti antichi, che lo scibile umano ha
compilato e trasmesso fin dagli albori della scrittura come mezzo di
comunicazione, la quale, seppur con lacune ha concorso a tramandarci
copiosa quanto rara documentazione, di come la chiesa è riuscita a
governare i fermenti e le mutazioni, attraversando indenne il tempo. Per
tale motivo crediamo sia opportuno narrare di pari passo le vicissitudini
che hanno visto strettamente connessi Scaliti e la chiesa nella veste di
protagonisti, amalgamandoli per quanto ci è possibile in ordine cronologico.
La chiesa Cattolica è presente in Italia fin dal I secolo d. c., anche se
inizialmente a macchia di leopardo per l’esistenza del paganesimo, e in un
secondo tempo al Sud, per il rito greco bizantino che sul nostro territorio
decadde quasi completamente con la latinizzazione di quest’ultimo ad opera
dei fratelli Normanni, Roberto il Guiscardo e RuggeroI del casato
d’Altavilla, che a seguito del trattato di Melfi del 1059 con il papa Niccolò
II, feudalizzarono tutto il Sud ponendo i monasteri Basiliani che erano sotto
la giurisdizione del Patriarca di Costantinopoli, alle dipendenze dirette
della santa sede Romana, o delle abazie e diocesi presenti sul territorio. E
qui entriamo nel periodo in cui abbiamo trovato le prime notizie che
riportano Scaliti, tra i villaggi della zona, anche se noi crediamo che i suoi
natali sono anteriori a questa data. Era il tempo in cui vi erano lotte
intestine per la reciproca sopraffazione,e per l’accaparramento di beni
temporali, da parte di tutti, clero compreso, che spesso lasciava la cura delle
anime per incombenze ritenute molto più remunerative e immediate, come
la spartizione di averi e proprietà che all’epoca l’ente riceveva ed
amministrava, come un qualsiasi principe di questa terra, per i quali
possedimenti, non sono mancate vere e proprie guerriglie tra religiosi e non,

                                                                            11
per difendere quanto loro donato, ipotizzando che pure il nostro villaggio
sia stato oggetto di disputa tra opposti poteri abbaziali e diocesani, anche se,
abbiamo la certezza che, a differenza degli altri borghi vicini, non è elencato
nel gruppo di paesi che ricadevano sotto la giurisdizione dell’ormai famosa
e potentissima abazia benedettina della Santissima Trinità, ne della diocesi
episcopale, entrambi di Mileto e volute dal gran conte Ruggero I, ma dal
monastero Basiliano del Patirion di Rossano CS, realizzato sempre col
benestare dello stesso re e dotato di numerosi possedimenti; infatti, il nome
di scaliti spuntando dall’oscurità dei secoli, appare per la prima volta in un
documento del citato ordine monastico datato 1114, nel quale si afferma
che, la chiesa di Santa Maria di Scaliti è un possedimento del monastero del
Patire di Rossano, concesso dal re Ruggero II. Una seconda volta viene
nominato Scaliti nel 1130, nella bolla aurea con la quale, lo stesso re
conferma allo già citato possessore l’anzidetta chiesa, con l’aggiunta di un
convento intitolato sempre a Santa Maria di Scaliti, in seguito viene ancora
menzionato nel 1198 in una bolla del Papa Innocenzo III, e nel 1216 in una
bolla di Papa Onorio III. Poi il borgo è come se per oltre due secoli e mezzo
fosse caduto nelle profondità del dimenticatoio, seguendo anonimamente la
prassi dei borghi viciniori assoggettati ai vari regnanti di turno, fino
all’avvento dei duchi Pignatelli che dal 1501, divenuti nuovi feudatari del
territorio, spadroneggiarono razziandolo d’ogni cosa, momento in cui,
parve riemergere dalle tenebre il nome di Scaliti, essendo uno dei loro
villaggi, sotto la giurisdizione dell’università di Mesiano, inserito tra quelli
della zona da Est a Sud-Ovest della stessa, che prendeva il nome di
“quartèri = quartieri”ed inglobava i borghi di: Pizzinni, Arzona, Scaliti,
Filandari, Presinaci, Pernocari, Rombiolo, Orsigliadi, Garavati, Moladi. Un
altro documento del 1586 del Vescovo di Mileto Quinzio de Rusticis “187”,
riporta Scaliti come paese di appartenenza ad un rettore conventuale, un
certo “d. Giov. Marasco Domenico”. Poi nel 1662 Scaliti viene nominato da
Giovanni Fiore nel volume “Della Calabria Illustrata”, ed ancora una volta
in una nota redatta tra il 1697 e il 1699, a cura degli incaricati basiliani che
avevano il compito di raccogliere tutto quanto vi era nelle biblioteche dei
loro conventi di appartenenza, quindi anche da quello di “Santa Maria del
Patire” di Scaliti. Da quest’ultima data trascorse quasi un secolo e questa
volta un evento luttuoso colpì non solo Scaliti, ma tutto il territorio
calabrese, perché il 5 febbraio del 1783, un violentissimo sisma rase al suolo
l’abitato con numerose vittime e il pressoché totale crollo delle case.
Tuttavia, la tenacia non avvilì i sopravvissuti che, decurtati nel numero e
afflitti per le perdite, ripresero alacremente a ricostruire quanto avevano
lasciato nelle macerie,per continuare a vivere dignitosamente, affacciandosi
ormai ai primi anni del diciannovesimo secolo con una popolazione di circa
230 abitanti. Anche il casato dei duchi Pignatelli dopo alterne vicende parve
scosso dalle fondamenta da terremoti di rivolte, ed avendo iniziato a

12
sfaldarsi, ricevette il colpo ferale ad opera dei francesi che da oltralpi
vennero in Italia invadendo il nostro suolo, portando con essi una ventata di
nuovo. Infatti, una volta stanziatisi, dichiararono decadute tutte le feudalità
e i loro privilegi, e con esse anche le vecchie università, trascinando in
questa decadenza anche la gloriosa Mesiano, e nell’approntare una nuova
organizzazione dello stato secondo il modello napoleonico, nel 1806
riconobbero a Tropea il ruolo di distretto del governo di Monteleone per il
controllo dell’amministrazione cittadina, e con la legge del 19 gennaio 1807,
gli venne conferito anche l’incarico di sorvegliare le amministrazioni delle
qui citate comunità del circondario: Alafito, Arzona, Barbalaconi, Brivadi,
Carciadi, Caria, Ciaramiti, Drapia, Garavadi, Mesiano, Moladi, Orsigliadi,
Pernocari, Presinaci, Pizzinni, Ricadi, Rombiolo, Scaliti, Spilinga,
Zaccanopoli, Zungri. In seguito sotto il governo del re di Napoli Gioacchino
Murat, con reggio decreto n° 922, del 4 maggio 1811, recante la firma dello
stesso, venne innalzato Filandari agli onori di comune, e in qualità di
frazioni ad esso assoggettati i villaggi di: Scaliti, Arzona, Pizzinni e la stessa
Mesiano. Contestualmente all’instaurazione di nuove leggi, il regio demanio
francese requisì parecchi possedimenti degli ordini religiosi, compresi quelli
del Patirion e li mise in vendita per finanziare opere pubbliche. Tuttavia, i
borboni che erano stati feriti ed offesi dalla sconfitta, ma non domati nello
spirito,dopo qualche anno ebbero un rigurgito d’orgoglio ben
ricompensato, perché ritornarono alla battaglia ottenendo la vittoria sul
campo e il conseguente diritto di rioccupare la nostra terra, e nel dare un
assetto amministrativo al passo con i tempi, sostanzialmente con propria
legge del 1816, confermarono l’impostazione amministrativa voluta dai
francesi, che tale rimase fino all’unità d’Italia. Altri giorni bui conobbero i
nostri paesi con il terremoto del 1908, che lasciò ferite profonde, nel tessuto
sociale e nell’organizzazione dei villaggi Scaliti compreso, amara eredità di
quell’evento così nefasto.
Non sappiamo se la chiesa parrocchiale di San Pietro visto che è sorta da un
beneficio proveniente da possedimenti basiliani, così come quella di Santa
Maria del Potere, sede della confraternita, era anch’essa sotto l’autorità del
Patirion di Rossano; nè conosciamo l’anno in cui sono cessati tali
pertinenze, e le due chiese sono entrate sotto la giurisdizione dell’attuale
autorità religiosa presente sul territorio. Però siamo certi che attualmente
Scaliti fa parte del vicariato e della diocesi di Mileto, che il decreto della S.
Congregazione per i Vescovi, del 30 settembre 1986, ne ha sancito l’unione
definitiva delle tre ex diocesi presenti sul nostro territorio, in un’unica
istituzione, governata da un solo vescovo con sede in Mileto. La stessa è
suffraganea dell’arcidiocesi di Reggio-Bova e dell’Ordinario d'appello: il
Tribunale Regionale di Reggio Calabria, e i cui santi protettori sono San
Nicola di Bari, Maria Santissima dell’Assunta e Maria Santissima di
Romania, già patroni dei rispettivi vescovati. Una nota, a onor del vero

                                                                               13
molto scarna, ci riferisce che, in epoca passata, non individuabile con
certezza, Arzona era frazione di Scaliti, mentre la tradizione popolare dice
che probabilmente era anche sede di Gendarmeria e forse per l’importanza
dovuta al convento sopra menzionato, era stabilita la data di una o più fiere
o mercati, che si svolgevano durante l’anno, nei quali, lo stesso convento
esigeva delle gabelle per il sostentamento.

                       Scaliti e i luoghi di culto
Per meglio conoscere la storia di due dei luoghi sacri di Scaliti, è necessario
riportare almeno succintamente alcune note biografiche di San Bartolomeo
da Simeri CZ. Al secolo Basilio, nato in questa città nel 1050 e morto a
Rossano CS nel 1130, il quale, fin dalla giovane età,sulla scia di san Nilo, si
diede alla vita eremitica tra le cime della Sila, ed essendo stato scoperto da
alcuni cacciatori, che tornando in paese, raccontarono della sua santità,
suscitando l’effetto di procurare nuovi giovani che volevano aggregarsi a lui
per fare esperienza di vita ascetica, ma egli, non volendo ritornare tra la
gente ne aveva negato l’adesione, fin quando, la Vergine Maria non gli
apparve in quel luogo, dicendogli di aprire una scuola di anime. Quindi
ricorse al patrocinio dell’ammiraglio Cristotalo, uomo di fiducia del re
Ruggero d’Altavilla, il quale lo presentò a corte facendogli ottenere quanto
necessario per la costruzione di un monastero, che venne edificato tra il
1090 e il 1101, di cui il primo sacerdote e abate fu lo stesso Bartolomeo.Il
convento che fu latinizzato fin dalla nascita nel 1105, il Papa Pasquale II lo
pose sotto la diretta giurisdizione della santa sede e fu riccamente dotato di
possedimenti da parte della corona, e per l’aurea di santità che ispirava,
ben accolto anche dall’imperatore di Bisanzio, Alessio e la consorte Irene
con tutto il senato, che colmarono di doni Bartolomeo e i suoi confratelli
quando si recarono colà per l’acquisto di arredi sacri, codici antichi e
manoscritti da trascrivere e studiare. L’eremita prosperò al punto da
suscitare l’invidia dei monaci benedettini dell’abazia della Santissima
Trinità di Mileto VV, che lo accusarono di appropriazione dei beni dell’ente
monastico per fini personali, e addirittura d’eresia, considerato che era un
buon amico dei regnanti di Costantinopoli. Per questo motivo, Bartolomeo
si dovette presentare a Messina davanti al consiglio della corona per
difendersi dalle infamanti accuse e, nonostante tutto, deponesse a suo
favore, venne ugualmente condannato al rogo; ma prima di morire, egli
chiese ed ottenne di celebrare la santa messa alla presenza dei cortigiani,
che rimasero sbigottiti, perché al momento della consacrazione apparve una
colonna di fuoco che partendo dai suoi piedi saliva fino al cielo. Alla vista di
tale prodigio, tutti gli chiesero perdono e il re non solo lo graziò, ma lo
convinse a costruire in quella città il monastero che prese il titolo di “San

14
Salvatore”, completato dal discepolo Luca nel 1132. Nel mentre si trovava
colà, sentendo che era prossima la fine, nel 1129, Bartolomeo volle rientrare
a Rossano dove morì il 17 agosto del 1130, e il martirologio romano ne fissò
la commemorazione il 19 dello stesso mese. Alla sua morte, che avvenne in
chiarissimo odore di santità, il monastero di Rossano che, inizialmente era
stato intitolato a Santa Maria, in onore del venerabile defunto, la dicitura
venne integrata con la parola “patir”, che in greco significa padre, proprio
come era considerato Bartolomeo dai suoi monaci, quindi, d’allora in poi il
titolo al completo fu “Santa Maria del Patir o patire”. Alla dipartita di
Bartolomeo i numerosi possedimenti del convento sono stati riconfermati
dalla corona al successore Luca e a più riprese elencati in varie
documentazioni, bolle ed altre trascrizioni legali, con le quali se ne
conferiva il pieno titolo di possesso o di usufrutto ai legittimi destinatari dei
beni.

                                                                              15
Chiesa a Santa Maria del patire o Potere
Da uno dei tanti scritti detto platea che testimoniano i possedimenti del
monastero di Rossano, recante la data del 1114, si evince che, la chiesa di
Santa Maria di Scaliti, era un suo possedimento, ma non ci chiarisce da chi
è stata fondata, nè l’anno della sua costruzione, nè tanto meno l’esatta
ubicazione. Sappiamo solo che portava lo stesso titolo originario del già
citato monastero, e che forse in un secondo tempo, anche ad essa, si è
tentato di far assumere il titolo definitivo di “Santa Maria del Patire”, che
la pietà popolare nel corso dei secoli, ha tramutato in “Santa Maria del
potere”. Nel 1130, con l’aurea bolla di Ruggero II, il possedimento venne
riconfermato all’abate Luca, che alla morte di Bartolomeo succedette quale
                                                   Archimandrita             ed
                                                   Igumeno del Patire di
                                                   Rossano. Negli anni che
                                                   seguirono,     lo     stesso
                                                   possedimento          venne
                                                   riconfermato una prima
                                                   volta nel 1198, con bolla
                                                   del Papa Innocenzo III, e
                                                   infine nel 1216, dalla bolla
                                                   di Papa Onorio III.
                                                   Comunque        stando     a
                                                   quanto ci è pervenuto da
                                                   Giovanni Fiore, intorno
                                                   alla metà del 17° secolo, la
                                                   vecchia              chiesa,
                                                   probabilmente orientata
                                                   verso Ovest, con l’ingresso
                                                   principale da via Reno
                                                   salvo altri, sicuramente
                                                   era costituita da un locale
                                                   seminterrato, ubicato a
                                                   Sud     Est    del    paese,
                                                   esattamente nella piccola
                                                   piazzetta         antistante
l’attuale luogo sacro, il quale ha preso il posto di quello preesistente ed è
stato realizzato a cavallo degli anni quaranta e cinquanta del ventesimo
secolo. Comunque esso consta di una costruzione di un solo vano , lungo
circa venti metri, largo otto e alto altrettanti, con l’abside semicircolare
orientato verso Sud, e annessa una sacrestia esterna lungo il muro
perimetrale destro osservandola dall’ingresso principale, al di sopra del
quale lungo la parete si trovano due finestre semicircolari con la base piana

16
rivolta al suolo, per dar luce all’interno attraverso vetri artisticamente
decorati con pitture, una delle quali rappresenta la Vergine col Bambino, e
l’altra l’eucaristia. Al centro dello spazio che intercorre tra esse, vi è una
piccola nicchia che ospita una statua che, probabilmente, raffigura San
Basilio e si ipotizza che, forse, faceva parte del sarcofago funerario di
Ruggero Sanseverino fatto costruire tra il 1430 e il 1440 dal maestro di
Mileto c. d.. L’interno della chiesa non ha stucchi o fregi di particolare
valore artistico, nè arredi sacri dello stesso tenore, ma vi sono due opere,
una pittorica ed un’altra scultorea di riconosciuta importanza quantomeno
per la devozione del popolo di Scaliti.

                                                                           17
Dipinto
                         Maria Santissima del Potere

La prima opera è di tipo pittorico, un tempo situata al soffitto ed in seguito
a restauro avvenuto nel 2008 ha assunto un’esposizione a parete, di questa
preferiamo riportare integralmente la scheda tecnica della restauratrice,
che in maniera esaustiva, ben ne riassume caratteristiche e pregi della
stessa.

                                   Relazione:

Sono lieta di riconsegnarvi dopo un non facile lavoro di restauro il dipinto
ad olio su tela raffigurante Santa Maria del Potere, il cui titolo è una
correzione dialettale di Santa Maria del Patire, chiaramente collegato alla
Badia di S. Maria del Patire di Rossano, alla quale nel 1130 Ruggero,
conte di Sicilia e di Calabria, concede il convento di S. Maria di Scaliti in
diocesi di Mileto.
Il dipinto raffigurante la Beata Vergine Maria, seduta su una nuvola e
circondata di luce ,tiene in braccio Gesù benedicente con il mappamondo
in mano, ai lati in basso sono rappresentati due santi;
presenta caratteristiche tecniche esecutive che riconducono alla datazione
del 1600.
I processi di degrado in prevalenza determinati da cause naturali, da cattive
condizioni di conservazione e da restauri precedenti, si sono evidenziati in
maniera consistente sia a livello strutturale nell'eccessivo indebolimento
del supporto tessile costituito da due parti eterogenei, sia estetico
riscontrabile nel progressivo sfaldamento e spolvero degli strati di colore.
L'errata esposizione a soffitto del dipinto ha inoltre favorito il degrado
meccanico e strutturale evidenziato nel rigonfiamento perimetrale del
supporto e nel distacco del film pittorico .
Si è reso necessario un intervento di restauro completo dell'opera volto al
ripristino del suo equilibrio strutturale, conservativo ed estetico.
A seguito della diretta analisi tecnica dell'opera e per una migliore
conservazione della stessa a restauro ultimato si consiglia di collocare il
dipinto a parete all'interno della chiesa favorendo così migliori condizioni
conservative. Nel presentarvi l'opera restaurata dopo un lungo lavoro
impegnativo e delicato, utilizzando materiali reversibili, ritengo opportuno
ricordare le varie fasi del restauro nel modulo conservativo ed estetico
accompagnati da documentazione fotografica di tipo professionale.

Le fasi del modulo conservativo:
- Test preliminari
- Velinatura strati pittorici

18
- Rimozione telaio e vecchi elementi metallici
- Accurata pulitura tergale meccanica
- Giustapposizione di intarsi nelle mancanze di supporto tessile
originale
- Preconsolidamento degli strati pittorici
- Fermatura generale
- Consolidamento del film pittorico
- Intervento di foderatura previo trattamento conservativo del nuovo
supporto tessile
- Trattamento locale frontale per lo spianamento e consolidamento
delle scodelle di colore
- Miglioramento della superficie pittorica
- Svelinatura
- Collocazione del dipinto su un nuovo telaio progettato per favorire la
migliore esposizione conservativa.

Le fasi del modulo estetico:                            t
- Prova dei solventi. Test di pulitura
- Pulitura graduata chimica e meccanica
- Rimozione degli elementi matrici estranei all'esecuzione originale
- Colmatura a stucco delle lacune
- Astrazione materia con imitazione di superfìcie
- Integrazione pittorica delle lacune realizzata con il metodo
differenziato senza alterare l'elemento cromatico e figurativo
originale
- Verniciatura generale a pennello
- Perfezionamento dell'integrazione pittorica con colori a vernice
- Fissaggio generale conclusivo con vernice a spruzzo. Nel ringraziare quanti
hanno voluto e sostenuto suddetto restauro, in modo
particolare il vostro parroco Don Giuseppe Lo Presti, il Priore e la Confraternita,
non mi resta altro che auspicarvi che questo segno tangibile della vostra
pietà popolare accresca filiale e sincero amore verso Colèi che tutte le
generazioni chiameranno beata. Sull'esempio dei vostri antenàti non
esitate a ricorrere alla Madonna del Potere certi che "qual vuol grazia ed a
lei non ricorre, sua distanzia vuol volar senz'ali" (Dante).

ROMBIOLO 6 Settembre 2008

                                                                  Restauratrice
                                                              Pasqualina Catello

                                                                                 19
20
Scultura lignea
La seconda opera è una scultura lignea processionale della vergine del
potere con lo scettro nella mano destra, raffigurazione inusuale, ma stando
a quello che affermano alcune fonti autorevoli, in questo caso lo scettro
simbolo di comando o del potere, sta a raffigurare la potenza di Maria che,
forte delle suppliche di quanti sono nel bisogno, a Lei si rivolgono sicuri
della sua potenza mediatrice presso il suo unico figlio, Gesù, perché da Lui
riesce sempre ad ottenere innumerevoli grazie da dispensare alle anime
devote e bisognose dell’amore di Dio. La stessa opera è stata oggetto di
restauro, il cui artista, abilmente ne traccia i dati salienti nella relazione che
ha accompagnato la riconsegna della statua, e che noi riportiamo qui di
seguito.
                                  Relazione
                                ESIMIO DON SALVATORE CUGLIARI
                               PARROCO DI SCALITI DI FILANDARI
                       GENTILE SIG. PRIORE PIETRO SCALAMANDRÈ
                                    CHIESA MADONNA DEL POTERE

Oggetto: Restauro conservativo della Statua lignea
“Madonna del Potere e Bambin Gesù ".
Relazione tecnica dello stato di conservazione. L'opera lignea è stata
certamente scolpita in legno di tiglio, albero che, alcuni secoli fa, rivestiva
copiosamente la superficie boschiva delle Serre. La base reca la scritta:
scolpita nell'anno 1860. A proposito vorrei far osservare che questa è stata
apposta allorché venne eseguita la costruzione del nuovo scannello. Quindi
vorrei far notare, e questo è quello che più interessa a beneficio dell'opera,
che la scultura secondo la mia esperienza, potrebbe esser più antica; mi
chiedo: quale fonte storica ha determinata quella data? Venne forse
tramandata oralmente da qualche persona molto anziana che ricordava la
base posta sulla base andata perduta? Dico questo perché, a giudicare dalla
linea stilistica mi pare di vedere le opere quattrocentesche del Bellini, o del
Verrocchio.- Ella, matrona di bell'aspetto assisa su un trono di nuvola e
anche tenera mamma col figlio sulle ginocchia, Ella appare severa e
composta nella sua forma stilistica a tutto tondo. Purtroppo le condizioni
generali di conservazione sono pessime. Sicché, su invito di Don Salvatore e
del sig. Priore Scalamandrè, viene stilato il seguente Preventivo di spesa ed
esecuzione tecnica di restauro 06-12-2002 23:24.

Fase I   disinfestazione ad abluzione e consolidamento della opera lignea a
mezzo di antitarlo (marca xilamon, ba-yer per restauro) onde distruggere i

                                                                               21
vari insetti xilofa- gi: tarli, tarme, agenti atmosferici in generale.
Consolidamento di parte lignee malferme ove ve ne fossero. Copertura a
camera per diversi giorni.
Fase II Pulitura ed asportazione di precedenti strati di pittura apposti nel
corso degli anni, fino al raggiungimento di possibili esistenti strati di colore
originale, ove questi dovessero esistere.
Fase III Miglioramento dei vari piani dei panneggi e delle varie parti
anatomiche da definire a tutto tondo, per esempio: le dita dei piedi del
Bambinello non sono ben scolpiti, essendo probàbilmente consunti e
sicuramente anche carichi di vecchie sovrapposizioni di vernice.
Fase IV Stuccatura a gesso dorè per doratore, per rendere la superficie
uniforme, eliminando in tal modo numerosi e piccoli avvallamenti, nonché
vecchie lacune.
Fase V      Applicazione a stesura del fissativo di superficie preparata per
accogliere le tinte.
Fase VI Restauro e consolidamento del colore originale, con intervento di
integrazione pittorica solo sulle lacune.
Fase VII Ove i colori originali non dovessero esistere, si procede ad una
stesura di più mani di colore pari all'iconografìa classica.
Fase ViIi Preparazione della superficie sia degli orli che delle stelle del
mantello, da dorare con oro zecchino a foglia cm.8 x 8 e di k. 24.
Preparazione della superfìcie della nuvola che verrà argentata con foglia
argento cm. 10 x 10 tit. 800. Brunitura final e a pietra agata.
Fase IX Vernice trasparente finale a base di cera d'api. Il compenso viene
definito in €. 7.000 (settemila euro)
                                                          Soverato 06.12.2002.
                               LABORATORIO DI RESTAURO Maida Luigi
                                                         C.da Laganosa 38060
                                                  SATRIANO MARINA (CZ)

La Santa Madre raffigurata nella statua di cui si è appena parlato, con
sommo gaudio viene portata in processione per le vie del paese il giorno dei
festeggiamenti in suo onore, fissati per la seconda domenica di settembre, la
quale, certa d’essere amata dal popolo tutto, dispensa ai suoi fedeli grazie e
sentimenti di amore materno come solo Lei sa fare.
Le due opere sopra descritte, non sappiamo a quale struttura originaria
appartenevano, se alla chiesa o al convento accennato nella scheda tecnica,
ne in quale anno o periodo detti possedimenti sono stati incamerati dalla
diocesi di Mileto; se, il periodo è diverso da quello francese, 1806-1816,
durante il quale, il regio demanio, requisì i beni del Patirion e li mise in
vendita per finanziare opere pubbliche.
Aggiungiamo che non è rimasta traccia alcuna, dell’immagine miracolosa
della quale ci ha narrato lo stesso Fiore.

22
23
Confraternita “Maria Santissima del Potere”
La confraternita di Scaliti, intitolata a Maria Santissima del Potere, è nata
nel 1862,ed ha come sede la chiesa in cui si venera la Santissima vergine alla
quale è intitolata, della stessa non siamo riusciti a rintracciare i dati, relativi
al decreto vescovile, né di quello regio che, approvavano e confermavano
tale associazione. Comunque essa è aperta a tutti i confratelli e le consorelle
che ne vogliono far parte, i quali per appartenervi hanno l’obbligo di essere
moralmente degni e in regola con il pagamento della retta d’ingresso e delle
conseguenti annualità, inoltre presenziare alle processioni e cerimonie
previste dal regolamento interno. I paramenti che la contraddistinguono
sono il classico camice bianco con la mozzetta azzurra per i confratelli,
mentre il Priore e gli assistenti indossano la mozzetta color oro, anche se,
per una ventata di modernità questi abiti cerimoniali sono stati dismessi, e
sostituiti con un medaglione cromato e cordone azzurro, dorato per la
cattedra, da indossare all’occasione. Essa è governata dal presidente, detto
Priore superiore, Camerlengo ecc., e da alcuni collaboratori che prendono il
nome di: assistente o consigliere a secondo del ruolo coperto, ed eventuale
banchiere dove previsto. Appresso riportiamo i dati, dei componenti
l’ultima cattedra eletta dall’assemblea plenaria degli iscritti all’associazione
in data 25 11 2012,

a partire dal 25 11 2012 e Priore         Dicarlo Nicola
I° Assistente                             Tavella Giuseppe
II° assistente                            Vangeli Carmela
Segretario e Cassiere                     Dicarlo Fortunato
Consigliere                               Arena Francesco
Consigliere                               De Carlo Marco

Solitamente anche le associazioni laico religiose hanno delle insegne che,
vengono messe in mostra nelle cerimonie ufficiali, come nel caso delle
processioni, specialmente quando si tratta di quella in onore del santo di
cui, la stessa, ne porta la denominazione. Anche la nostra confraternita
dispone di un vessillo del quale vanno orgogliosi i confratelli di Scaliti. Esso,
è uno stendardo di forma triangolare montato a bandiera sopra una pertica
di legno, il cui tessuto di base è una specie di raso grezzo, al centro del quale
vi è una pittura su tela cucita allo stesso, di forma ovoidale, adagiata
sull’arco di base, alta circa cinquanta cm. e larga quaranta, che, raffigura
la Santa Vergine del Potere, mentre la rimanenza del tessuto circostante, è
tempestato di stelle ricamate in rilievo color oro. Considerata la vetustà del

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filato abbiamo motivo di credere che lo stesso, risalga al periodo in cui è
stato fondato il sodalizio e d’allora in poi, ha sempre presenziato in ogni
processione il giorno dei festeggiamenti alla Santa Madre. Tuttavia, per
meglio rendere l’idea di come è fatto, alleghiamo una foto dello stesso.

                                                                        25
Convento Santa Maria del Patire
Abbiamo accennato alla bolla aurea di Ruggero II con la quale nel 1130
confermava al Patirion di Rossano i possedimenti della chiesa Santa Maria
e del convento Santa Maria entrambi di Scaliti. Della prima ne
conoscevamo l’esistenza fin dal 1114, ma del secondo ne siamo
gradevolmente sorpresi, perché spunta fuori come per incanto e allo stesso
modo si dissolve. Di questo, parimenti alla chiesa non si conosce chi l’ha
costruito, né dove sia andato a finire, visto che non vi sono documenti
successivi tramite i quali è possibile seguirne le tracce attraverso i secoli,
fino a tempi a noi più prossimi. Né ci viene in soccorso la memoria
popolare, che solitamente travalica i secoli, adattata, lacunosa, storpiata,
riduttiva o fantasticamente ingigantita, ma pur sempre, in tali estremi è
possibile scovare un fondo di verità. Né ci sono ruderi visibili nei dintorni
dell’abitato che si potrebbero accreditare a questo fantomatico convento.
Anche se, una nota molto stringata della sua esistenza, ci viene per la
lungimiranza del padre generale dei Basiliani Pietro Menniti, il quale
assunse detta carica il 16 maggio 1696,ed avendo intrapreso la visita delle
abbazie di appartenenza, dedusse da questa, il cattivo stato in cui versavano
le biblioteche nella maggioranza dei vari monasteri, traendo la conclusione
che era necessario rispolverare quei preziosissimi: testi, bolle, titoli e
manoscritti, abbandonati, per necessità o nequizia, alla muffa e all’umidità,
e raggrupparli in due enormi archivi presso altrettante sedi dell’ordine. Fu
in questa ricerca espletata tra il 1697 e il 1699, dalla quale risulta che la
Grancia di Scaliti intitolata a Santa Maria del patire, ormai ridotta a un
monaco ed un solo laico, non diede niente per ottemperare all’iniziativa del
Menniti. Aggiungiamo noi, forse, perché in realtà non era solo povera
spiritualmente ,ossìa mancante di vocazioni, ma anche di materiale
palpabile quali pergamene o libri, per concorrere alla formazione delle due
biblioteche volute dal padre generale.
Comunque da quest’ultima data in poi non è stato più menzionato in altri
documenti di nostra conoscenza, ma cè chi dice che il convento quasi
certamente si trovava ad Ovest di Scaliti in località detta “Crisura”, perché
sembra che durante i primi anni cinquanta, quando si è cominciato a
dissodare il terreno con il trattore raggiungendo profondità mai toccate
dalla zappa, nei solchi lasciati dall’aratro, spesso riaffioravano resti di
laterizi e pietrame vario che facevano supporre che in epoca anteriore in
quel luogo doveva esserci un insediamento sufficientemente grande per
accogliere un’eventuale comunità ristretta, che benissimo poteva essere del
tipo religioso.

26
Miracoli a Scaliti
Solitamente i luoghi sacri sono ammantati da un alone di mistero, se non
altro, per il fatto stesso, che il dogma di fede dei cristiani è quello di credere
in Dio non perché lo si vede, ma perché si deve essere fermamente convinti
che Egli esiste, e aggiungo io, per averne la certezza di ciò, basta guardarsi
intorno, per capire se quanto ci circonda è dovuto al caso oppure c’è
un’entità soprannaturale che noi chiamiamo Creatore, il quale ha voluto
tutto secondo un certo ordine, e non solo per questo, ma anche per i tanti
miracoli o fatti scientificamente inspiegabili che a volte si verificano per
intercessione di un santo. Ciò è sempre successo, e la storia della chiesa è
piena di racconti che gioiosamente fanno accapponare la pelle, concorrendo
a rinsaldare il vincolo all’Unico e Trino Dio, e al sacro che da esso deriva,
legame che in assenza di tali manifestazioni, spesso diviene blando, e lascia
correre l’umanità verso l’assoluto ateismo. E in tali casi, chi è la regina di
tutte le intercessioni verso Dio? Se non la sua Santissima Madre che da Lui
ottiene grazie a piene mani da elargire ai bisognosi dell’amore
incondizionato del suo unico figlio.
In quest’umile monografia riportiamo alcuni dei tanti miracoli raccontati
dal religioso Giovanni Fiore.

Nota:

Si chiarisce che il testo appresso virgolettato descrivente fatti avvenuti in
Scaliti, e contrassegnato dal numero romano XII,è tratto dalla pagina n.
263, del volume Della Calabria Illustrata diGiovanni Fiore, la cui prima
edizione venne pubblicata nel lontano 1691.
Il testo è già presente sul retro di alcune immagini della Santissima Vergine
del Potere, ed è preceduto da poche righe che riguardano altri fatti
verificatisi nella vicina Ionadi VV.

                                                                               27
XII IMMAGINE DI S.MARIA, DETTA DEL POTERE
                                 IN SCALITI

“È Scaliti un picciolo Villaggio di Mesiano. Fuori di questa abitazioncella si
vede una Chiesa antichissima, alquanto sotterranea, e quasi abbandonata,
dedicata al Santissimo nome di Maria , di cui l’Immagine è piccola, antica,
alquanto nera, con un bambinetto nelle braccia. L’anno 1662, per da quindi
passando una donna spiritata, come le fu a fronte , venne trattenuta da
mano invisibile, senza potersi non spingersi oltre, non rivolger i passi
all'indietro. Accorsero a questo inaspettato avvenimento alcuni del
Villaggio, e sospettando di qualche novità, presero ad implorar il nome di
Maria, e far violenza a quella meschina per introdurla dentro la Chiesa. La
vi condussero, alzando più le voci; ed ecco all’entrare si udì un grande
strepito, che recò qualche timore ed avvenne, che la spiritata guardando la
sagra Immagine, aprì la bocca , e buttò un fascio di capelli, di mezzi chiodi,
ed altre brutture, con ciò rimanendo libera, A questo miracolo si aggiunse il
secondo; poiché condottovi un fanciullo storpiato, appena fu a quella
Verginal presenza, che riebbe la salute. Con questi miracoli accesa in
divozione la gente prese a frequentar la Chiesa, e con le occorrenti
elemosine a ristorarla dalle sue rovine. Fu maggiore la maraviglia, quando
li tre Maggio dell’anno medesimo concorsa molta gente dell’uno, e
dell’altro sesso, e disposta a ‘Cori per cantare il Rosario di Maria, nel
mentre già si cantava, estinte d’ improvviso le candele dell’ Altare, fu da
tutti veduta una candela accesa nelle mani della sagra Immagine, la quale
tanto fu veduta, quanto non fu finito il celestial Salterio. Con ciò più
risvegliata la gente vi è più prese a frequentar la Chiesa, corrispondendo di
pari la Vergine con le sue grazie. E fra queste una notte di Sabbato,
suonando , non tirata d’alcuno, la sua campana , vi concorse un gran
popolo, e con esso loro un cieco dal suo nascere, il quale al battersi del petto
avanti la sagra Immagine, tosto gli caddero dagli occhi le tenebre, e fu reso
veggente. Un tal storpio fè voto, che se la Vergine gli concedeva la salute,
egli sarebbe ito per ogni parte a far la cerca per lei, e del ritrovato avrebbe
provisto di cera il suo sagro Altare. Ebbe la grazia; onde in essecuzione del
voto si pose in busea del denaro, qual se gli donava volentieri a cagione del
fine, per il quale si cercava. Ma l’uomo perverso in vece di comprarne le
cere, lo perdè nel giuoco; ed ecco, che senza alzarsi da dove sedeva, ritornò
allo storpio di prima. Intimorito dal castigo, ma non disperato di una nuova
grazia, si fé condurre di nuovo alla Chiesa, ove avanti l'Immagine pentito
dell’errore commesso, replicò il voto , ed ecco , o gran pietà della Vergine!
al punto medesimo riebbe la grazia già perduta; ma divenuto a sue spese
più saggio, come fu sollecito nella cerca, così lo fu fedele nell’applicazione
del danaro.”

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Devozione a Maria Santissima del potere
       Festeggiamenti in suo onore la seconda domenica di settembre
                        Recita e canti della novena
                           di autore sconosciuto

               Gloria al Padre al Figlio e allo Spirito Santo.
      Come era in principio, è ora e sempre, nei secoli dei secoli Amen.

CANTO:
O dei secoli promessa
Bella madre del Signore
A te volgo pien d'amore
Il mio cantico fedel.
Del potere Vergin pia
Prega tu per l'anima mia.

PREGHIERA
Vergine del Potere, ecco il tuo devoto popolo, genuflesso davanti al tuo
stellato trono, riconoscendoti per madre potentissima, Regina del cielo e
della terra, chiede il tuo patrocinio, affinché con la tua protezione, possa
ottenere tutte le grazie di cui ha bisogno.
   Ave Maria...
   Gloria...

CANTO
Dio ti scelse fra le donne
Arca santa del riscatto,
Pur annunzio del gran parto
Porta fulgida del Ciel,
Del potere vergine pia.
Prega tu per l'anima mia.

PREGHIERA
E' vero, o Vergine SS. del Potere, che tu sei il tesoro di tutte le grazie, che
per mezzo tuo vengono a tutta l'infinita progenie di Adàmo. Deh, volgi
benigna lo sguardo alle nostre miserie. Se ci vedi privi della grazia del
Signore, pregalo che ci faccia conoscere il nostro infelice stato, piangere i
nostri
peccati e così sfuggire l'eterna pena del'inferno.

                                                                                  29
Ave Maria...
     gloria...

CANTO
Or che siede sulle sfere
e di stelle e di corone
Il tesor di tutti i doni
Il Signor ti confidò,
Del potere Vergin pia
Prega tu per l’anima mia

PREGHIERA
Vergine del Potere, conoscendo purtroppo la nostra fragilità e debolezza, le
insidie, le frodi del feroce nemico infernale che tenta sempre di far perdere
l'anima nostra, a te ci rivolgiamo, onde, nell'agòne di questa vita, con la tua
infinita potenza, ci concedi la forza necessaria per vincere la suggestione del
demonio, comprendere le sue trame e sfuggirle, così combattendo da forti
possiamo meritare la corona della gloria.
   Ave Maria...
   gloria...

CANTO
Mi proteggi nel cammino
Della vita dolorosa
E nel giorno del riposo
Il tuo nome loderò
Dal Potere Vergine pia
Prega tu per l'anima mia.

PREGHIERA
O vita delle anime nostre e aiuto potente dei miserabili, Vergine del potere,
noi ci affidiamo al tuo potente patrocinio e per il tuo ardente amore, che hai
sempre mostrato per i tuoi devoti, Ti preghiamo di ottenerci il perdono dei
nostri peccati ed un continuo dolore per averli commessi.
   Ave Maria...
   gloria...

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CANTO
Santa Vergine Maria
Io ti prego per pietà.
Empi tu l'anima mia
D'innocenza e di bontà.
Del potere Vergine pia
prega tu per l'anima mia.

PREGHIERA
O dolcezza dei nostri cuori Vergine del Potere, noi confidiamo sempre nel
tuo potente patrocinio, e per quella sollecitudine che il tuo tenero cuore ha
sempre avuto fa la salvezza delle anime nostre, ottienici la grazia, di fuggire
sempre le occasioni del peccato e di tenerci lontani, dai tanti pericoli che ci
circondano.
   Ave Maria...
   gloria...

CANTO
Debil sono in questo mondo
Non so vivere da me,
E però non mi nascondo il bisogno che ho di te
De Potere vergine pia
Prega tu per l'anima mia.

PREGHIERA
Poiché da noi stessi non possiam fare cosa alcuna, essendo troppo deboli,
tutto da te aspettiamo, conoscendo la tua infinita potenza e bontà. O
Vergine SS. del Potere, ti preghiamo a non rigettare le nostre suppliche, ma
come madre dei peccatori sempre inclinata, come dice San Bernardo, al
bene dell'umanità, accògli le nostre preghiere. Quando siamo afflitti dalle
tribolazioni e dalle miserie della vita, a te ci rivolgiamo per non essere da
essi sopraffatti, e se
per disgrazia, siamo in peccato mortale, facci comprendere il nostro infelice
stato e dacci la forza di convertirci prontamente al Signore, per fuggire
l'eterna pena dell'inferno e procurarci la gloria del paradiso.
    Ave Maria...
    gloria...

                                                                             31
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