Il welfare alla Pirelli dalle origini al secondo dopoguerra
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Il welfare alla Pirelli dalle origini al secondo dopoguerra L’avvio dell’impresa e il suo successo nel tempo si fonda principalmente sulla costruzione di una comunità di persone impegnate nel realizzare un progetto assai ambizioso, quale quello intrapreso dal fondatore Giovan Battista Pirelli: avviare un’impresa in un settore altamente innovativo, a livello internazione, in un paese, L’Italia, agli albori della sua modernizzazione industriale. Obiettivo raggiunto mediante la collaborazione di un sempre più vasto insieme di lavoratori che trovarono nel lavoro l’opportunità di soddisfare i propri bisogni. Bisogni soddisfatti anche grazie all’implementazione di un sistema di opere sociali e assistenziali adatte a rafforzare i legami fiduciari tra l’impresa ed il lavoratore, nonché la sua famiglia. Di seguito verranno illustrate le principali tappe e le finalità di questa costruzione. 1) Giovan Battista Pirelli: “ attaccamento ed eccitamento”. La cassa di mutuo soccorso. Fin dagli esordi la formazione di “una nuova classe d’operai” appare come tratto distintivo, nonché condizione di successo, per la Pirelli. L’ing. Pirelli così si esprimeva sulla “classe operaia” e sulle necessità di investire sul welfare agli inizi del decennio Ottanta, a conclusione di quello che potremmo considerare il periodo di avviamento dell’azienda: La nostra è un industria isolata e bisogna che l’operaio vi si attacchi con qualche eccitamento Affermazione nella quale sono indicate l’essenza della sfida imprenditoriale e la necessità dell’attaccamento inteso, non come mera adesione ideale, bensì come il riconoscimento di una reale opportunità di vita per le maestranze che in essa prestavano la propria opera. Il collante del legame tra impresa e lavoratori stava proprio nella “Cassa sociale [dove l’operaio] possa trovare soccorso per sé e per la sua famiglia”. 1 Pirelli era convinto del rapporto intercorrente tra “una maestranza salda, esperta e sicura” e lo sviluppo “con ogni mezzo … [delle] forze della Cassa Soccorso”. Inoltre della “comunanza” di interessi tra “l’opera e il capitale”, Pirelli era al punto certo da proporre agli azionisti di destinare una parte degli utili a “vantaggio della Cassa di Soccorso” nella convinzione che essa “farà bene nel senso morale e sarà rimunerata al Cento per cento”. A partire da questa convinzione prese avvio l’intensa attività sociale e assistenziale della Pirelli che si sviluppò seguendo in parallelo la crescita dell’azienda. Superate la fasi iniziali dell’avviamento, condizionato anche della negativa congiuntura economica degli anni Ottanta del XIX secolo, si assistette ad una complessiva affermazione aziendale accompagnata da un altrettanto solido welfare. Il primo bilancio: “Statistica delle mercedi giornaliere ed istituzioni di beneficenza”. 1
Il primo bilancio, potremmo dire consolidato, del welfare pirelliano avviene alla fine degli anni Novanta (1898) con la pubblicazione di un importante documento che ne certifica, con l’essenza dei dati contabili, la sua natura permanente: la “Statistica mercedi giornaliere ed Istituzioni di Beneficenza della Ditta Pirelli”. 2 Il caposaldo dell’attività assistenziale era l’elargizione di un sussidio in “caso di malattia” da calcolarsi in base alla “paga ed anzianità di servizio”, ossia secondo il duplice criterio della responsabilità dei compiti svolti nell’azienda e dalla durata del rapporto, assunta come indicatore della fedeltà e incentivo a rendere stabile la permanenza nella stessa. Seguivano le “istituzioni di beneficenza” fondate sulla metafora della famiglia con il sostegno dato all’asilo infantile “Carlo Ciceri”, destinato ad accogliere i “bambini dei nostri operai”, e di seguito alla “Opera Pia Scuola e Famiglia … a favor degli alunni figli dei nostri operai”. Infine il “premio di anzianità ed incoraggiamento” costituiva un concreto incentivo “all’attaccamento” aziendale, fine perseguito fin dai primi anni dal “gerente” Pirelli. Un ultima voce riguardava i “sussidi straordinari” erogati a favore dei “più bisognosi”. I molteplici affluenti del welfare e la loro destinazione. Una specifica attenzione riguarda il finanziamento del welfare aziendale. Ricostruirne i flussi permette di apprezzare quanto esso fosse l’esito di una pluralità di interventi, piuttosto che di un intervento preordinato. Molteplici sono le voci che appaiono nei conti aziendali destinate a questo scopo e rendono alquanto difficile una loro puntuale ricostruzione. I principali affluenti finanziari si componevano della già vista voce delle “Istituzioni di Beneficienza” da sommarsi allo specifico stanziamento riservato alla Cassa di soccorso. Inoltre completavano il quadro d’insieme una quota degli utili, a cui si aggiungevano saltuariamente altre libere elargizioni. Di seguito si illustra, a livello di esemplificazione, come nel tempo le voci destinate al welfare andassero ampliandosi e consolidandosi, anche in relazione al crescere del fatturato aziendale. Tab 1 Il finanziamento del welfare aziendale: le origini (1880 – 1890) 1883 1888 1893 1898 3.767.4 13.726.7 Vendite 872.090 99 3.598.990 04 1.367.19 Manodopera 727.527 5 Soccorso ed elargizione ** 2.695 2.107 Istituti di beneficenza ** 7.724 Gratifiche e regalie alla cassa mutuo soccorso 30.000 33.000 92.000 Azionisti a favore Cassa Soccorso 1.000 1.107 Fonte: Archivio Pirelli (d’ora in poi AP), Bilanci anni indicati; ** parte compresa nella voce manodopera. Questa suddivisione riflette il diverso grado di autonomia decisionale dei soggetti coinvolti. Se le voci in bilancio segnalano la progressiva formalizzazione del welfare, le altre invece sono frutto dei lasciti di singole personalità che ritenevano di adempiere al ruolo da essi ricoperto (azionisti, amministratori, dirigenti) anche con versamenti in denaro a favore della comunità aziendale. 2
Il definitivo affermarsi di queste modalità di finanziamento avvenne con la fine degli anni Novanta, quando le componenti del welfare assunsero una veste stabile e ordinata attorno ai principali pilastri dell’assistenza e previdenza aziendale. Queste possono essere aggregate per specifiche destinazioni a partire dalla centralità del luogo di lavoro, per poi includere nella rete assistenziale la famiglia del lavoratore delineando quindi una comunità allargata che consolida l’appartenenza alla “famiglia” aziendale. 3 Le tipologie dell’assistenza possono essere così raggruppate: - Sussidi agli infortunati sul lavoro. - Sussidi alle partorienti che riflettevano la rilevante quota di lavoratrici donne. - Assistenza sanitaria. Nei primi anni si limitava all’erogazione di sussidi in caso di malattia, mentre a partire dal 1901 assume inedite forme con il riconoscimento di “spettanze pagate a medici curanti per visite a domicilio e d'ambulanza”. Quindi non più solo un corrispettivo monetario in caso di malattia, bensì l’organizzazione di un servizio sanitario a favore dei lavoratori ed esteso oltre i confini della fabbrica. - Assistenza familiare suddivisa in una estesa gamma di interventi: dall’asilo alla scuola elementare. - L’alloggio con i primi sussidi elargiti per pagare gli “affitti … a favore nostri operai”. Tab. 2 Soccorso ed elargizioni Operai per conto Ditta 1895 1896 1901 1904 1905 1908 1913 1915 Soccorsi per ferite sul lavoro 250 1.470 598 454 746 1.244 2.826 Soccorsi per parto 602 1.298 1.650 Assistenza per 23.73 32.02 32.89 40.66 39.58 33.40 malattia 82 6 9 2 6 6 8 11.85 13.09 13.56 13.91 10.98 12.34 Assistenza familiare 1.541 5.975 9 7 1 3 5 5 Premi fiduciari 2.090 2.467 7.475 Altre provvidenze 589 597 181 608 0 37.66 45.90 46.90 55.32 56.18 57.70 Totale 5.155 5.975 3 6 8 6 8 4 Fonte: Archivio Pirelli (d’ora in poi AP), Bilanci anni indicati. A riprova di quanto ormai fosse consolidato questo sistema di welfare, e pure del suo apprezzamento da parte dei lavoratori, si ebbe nel 1902 un primo “concordato” 4 tra l’azienda e i rappresentanti dei lavoratori, che formalizzava le modalità di fruizione per i beneficiari. La novità dell’intesa era sottolineata dagli stessi sottoscrittori che la descrivevano come una “vittoria strepitosa” proprio perché: “ciò che prima era facoltativo ora è obbligatorio … qualunque siano le condizioni finanziarie della ditta”. Negli anni successivi il welfare continuò a crescere incalzato dalla stessa turbinosa espansione della Pirelli che nel periodo della mobilitazione bellica raggiunse livelli di elevata intensità. I primi cinquant’anni. Salde basi poggianti sulla collaborazione tra le maestranze Passati gli anni della guerra e conclusosi il periodo di riconversione dell’economia da bellica a civile la Pirelli si avviò a festeggiare il suo primo cinquantenario dalla fondazione. L’evento divenne l’occasione per riflettere sui risultati conseguiti nel suo primo mezzo secolo di turbinosa espansione. 3
Le celebrazioni ebbero il loro fulcro nella apertura del “Museo nel castello della Bicocca il quale ricorderà la storia della gomma e la storia dell’industria” 5 e dove “hanno trovato sede opportuna le istituzioni di assistenza, di previdenza e di sano divertimento che la ditta ha promosso nei suoi stabilimenti”. 6 Nel dare ragione di questa scelta, la Pirelli esplicitava con chiarezza le motivazioni che l’avevano guidata nella sua opera sociale. Motivazioni da ricercarsi negli “alti fattori morali … senza i quali non è possibile creare un ambiente di lavoro sano e fecondo” che andava fondato sulle “salde basi … della collaborazione e della convivenza”.7 La conferma che le parole pronunciate non fossero solo un espediente retorico dettato dalle celebrazioni del cinquantenario, la si ha nelle modalità adottate per i festeggiamenti. Essi vennero organizzati, volontariamente, da un “comitato generale costituitosi fra i collaboratori e i dipendenti delle società Pirelli”.8 L’adesione spontanea al comitato era comprovata dal finanziamento, basato sulla sottoscrizione del singolo lavoratore con il versamento di “due ore paga” per gli operai e “mezza giornata” per gli impiegati. L’esito fu alquanto significativo con il 75% dei primi e la quasi totalità dei secondi. Si apre quindi un aspetto di assoluto rilievo relativo alla libera e consapevole adesione delle maestranze alla comunità aziendale e agli alti valori, in primis il rispetto per la professionalità del lavoro, sui quali essa si fondava. Comprendere quanto fosse reale questa identificazione del lavoratori con l’azienda è essenziale per dare effettivo peso ai termini di reciproca collaborazione, più volte riscontrati nella terminologia aziendale. La reciprocità infatti presupponeva un atteggiamento del lavoratore di responsabile adesione allo svolgimento delle mansioni ad esso assegnate, nonché il riconoscimento da parte dell’azienda di uno specifico sapere nel compimento del proprio compito. Alcuni indizi, sebbene indiretti ma tuttavia assai significativi, possono essere rintracciati in alcune iniziative intraprese durante gli anni Venti e Trenta del XX secolo. Ad iniziare dalla istituzione nel 1926 del “Servizio delle proposte” che svelava chiaramente nei suoi “scopi” la necessità di “promuovere una più viva partecipazione allo studio di ogni questione di migliore organizzazione del lavoro” 9 e nelle tipologie delle proposte premiate si possono dedurre gli aspetti per i quali era ritenuto indispensabile l’apporto dei lavoratori. Si richiedeva all’operaio di dare suggerimenti “pratici, determinati, precisi” in grado di migliorare i processi produttivi, avendo attenzione alla eliminazione di “spese e di perdite di tempo”, in grado di ridurre “consumi e sprechi”, grazie all’attivazione di “miglioramenti nei metodi, nei sistemi e negli istrumenti di lavoro”; ovvero i miglioramenti potevano venire da coloro che detenevano un sapere tacito acquisito nel tempo e disponibile solo se volontariamente ceduto, anche grazie alla concessione di adeguati incentivi monetari. Il merito diveniva pure un criterio di intervento per alleviare, nei limiti delle disponibilità finanziarie, gli effetti della riduzione di “paghe ed emulenti” adottata nel dicembre 1930 “in ottemperanza agli accordi intervenuti tra le Supreme Gerarchie Sindacali”. 10 Il frangente della generale crisi economica acuitasi nei primi anni trenta e rivelatasi assi pesante anche per la Pirelli, venne affrontata e resa meno cruente grazie al reciproco impegno tra lavoratori ed azienda. Se i primi subivano i provvedimenti restrittivi sulle retribuzioni, la seconda si impegnava nei loro confronti a garantire, per quanto possibile, la “continuità di lavoro”. 11 Era quindi uno scambio fondato sul riconoscimento di un legame duraturo tra le due entità e fondato sulla fiducia nell’adempimento dei propri doveri. La rilevanza del sapere pratico accumulato dalle maestranze era ben chiara alla stessa direzione aziendale che nel descrivere il “grandioso complesso dei laboratori Pirelli”, ritenuti indispensabili per competere nel settore ad alta intensità tecnologica quale 4
quello dei “cavi e conduttori elettrici”, svelava come i risultati conseguiti in termini di innovazioni fossero il frutto della “collaborazione intima” tra “diecine e diecine di laureati e diverse centinaia di assistenti e di operai”.12 Gli anni trenta: l’apogeo del welfare. La compiuta realizzazione del welfare si ebbe nel periodo compreso tra gli anni Venti e Trenta e sfociò nel “Dopolavoro aziende Pirelli”. In questo lasso di tempo si succedettero innumerevoli iniziative a cominciare dalla consegna nel 1921 dei primi 90 appartamenti del Borgo Pirelli, costruiti dall’Istituto Autonomo delle Case Popolari e affittate al personale della società. Sempre nel medesimo anno fu attivata la Unificata Cassa di Previdenza alla quale erano iscritti tutti gli impiegati, con una quota di versamenti “volontari” gravanti sugli iscritti e per un pari importo a carico della ditta. Il capitolo della previdenza seguì in parallelo, spesso con integrazioni, l’evoluzione del quadro normativo anticipando nel tempo numerosi istituti, quali ad esempio le indennità di licenziamento, adottate dall’azienda ben prima dell’obbligatorietà di legge o contrattuale. E’ però opportuno, per non disperdersi in una descrizione eccessivamente analitica, soffermarsi sulla organizzazione del Dopolavoro aziendale13, nel quale fu concentrata la maggior parte del welfare aziendale, anche in ossequio alle direttive imposte dal regime. Iniziamo dalla sezione del Dopolavoro dedicato al tempo libero e precisamente alle attività sportive. Più dell’elenco delle discipline sportive è interessante soffermarsi sul livello di coinvolgimento dei “pirelliani” che fornisce la misura della effettiva partecipazione dei lavoratori alla comunità aziendale, resa ancora più evidente e significativa dalla assenza di un obbligo di iscrizione. Ci limitiamo ad illustrare i dati relativi alle sole attività che registravano il maggior numero di effettivi sportivi, ossia di coloro che praticavano attivamente una disciplina e non si limitavano al solo assistere alle competizioni. Tab. 3 Partecipanti al Dopolavoro sportivo 1935 1936 1937 1938 1939 1940 Alpinismo sci 1009 918 1037 1198 1491 1366 Atletica 114 217 490 535 581 627 Ciclo turismo 361 889 1135 1199 1147 210* Motociclismo 101 189 184 297 568 Fonte: AP, pr. 2111, Dopolavoro aziende Pirelli. Anno XVIII ; * alle sole corse agonistiche. L’impegno della Pirelli sul fronte sportivo comprendeva la messa a disposizione delle strutture adatte, quali palestre e campi sportivi, costruite per lo più attorno al principale stabilimento del gruppo, alla Bicocca. Oltre all’attività sportiva va segnalata quella culturale con la Biblioteca circolante dotata di circa 2500 mila volumi letti da più di 3500 lettori nel 1940, mentre alle gite “turistiche” nel medesimo anno presero parte in 10.403. Sempre nel medesimo ambito i “pirelliani” nell’anno precedente la guerra ritirano dal Dopolavoro 12.500 biglietti per assistere a rappresentazioni teatrali, per le visite alle esposizioni della Fiera di Milano e 26 mila biglietti per la “stagione lirica al Castello Sforzesco”. A concludere le “scuole varie” promosse dalla Pirelli organizzavano corsi di lingue, 5
contabilità, meccanica e disegno, di tecnica superiore, elettrotecnica e chimica con una frequenza nell’anno 1940 di ben 300 allievi. L’altra sezione del Dopolavoro si occupava dell’assistenza. Definita come “fraterno aiuto nelle contingenze più gravi della vita famigliare”, essa prevedeva l’iscrizione gratuita di tutti i dipendenti e con un modesto contributo annuo anche dei loro familiari. I servizi offerti comprendevano “visite ambulatorie e domiciliari, consulti, interventi chirurgici di qualsiasi grado, esami diversi, estrazioni dentarie” eseguite da 18 medici generici e da 52 specialisti. L’insieme delle prestazioni svolte a favore degli iscritti raggiunse livelli elevati e copriva una intera gamma di bisogni oltre quelli più direttamente legati alla cura delle malattie. Tab. Assistenza sanitaria e colonie estive 1935 1936 1937 1938 1939 1940 Visite mediche 25.124 32.769 33.758 34.747 44.168 48.049 Interventi chirurgici 426 495 579 663 730 796 Ricoveri ospedalieri 126 181 221 272 359 657 Operai sussidiati 3.113 4.849 5.183 4.292 6.024 7.888 Giornate sussidiate 73.730 94.171 100.258 93.090 114.156 143.626 Colonie estive 347 447 503 610 671 30* Fonte: AP, pr. 2111, Dopolavoro aziende Pirelli. Anno XVIII; * colonie marine sospese per l’entrata in guerra. A solo titolo d’esempio i sussidi per malattia “a totale carico della Società Italiana Pirelli” erano calcolati in base all’anzianità di servizio, quale ulteriore incentivo a saldare il legame con l’azienda, e potevano durare fino ad un massimo di sei mesi. A completare il servizio vi erano premi per natalità e puerperio, prestiti personalizzati e pacchi natalizi. Ma il Dopolavoro non esauriva il welfare aziendale che si estendeva alla costruzione di opere destinate a soddisfare specifici bisogni, quali asili per l’accoglienza dei figli dei dipendenti, mense e refettori per impiegati ed operai e case per i pirelliani. Soprattutto gli asili e le abitazioni denotavano una forte carenza rispetto alle richieste. Per i primi i locali adibiti dall’azienda potevano accogliere solo 42 bambini nella sede di Milano città e 92 alla Bicocca, mentre gli alloggi erano limitati ai “337 locali del Borgo Pirelli”. Nel frattempo tre nuovi refettori, inaugurati nel 1937, erano in grado di accogliere fino a 3600 ospiti giornalieri e in breve tempo furono talmente saturati da risultare insufficienti rispetto alla domanda. Nel capitolo delle residenze per i dipendenti dobbiamo iscrivere pure il sostegno alla “Cooperativa per Costruzioni Case Popolari fra di Dipendenti della Società Italiana Pirelli” sorta nel primo dopoguerra. L’iniziativa avviata nella speranza, poi rivelatasi infondata, di ottenere un mutuo dalla Cassa di Risparmio ebbe felice esito grazie all’intervento della Pirelli che permise di completare l’opera con un finanziamento di 15 milioni, su complessivi 16 di costo, mutuo concesso nel 1927.14 L’intervento edificatorio era di notevole entità e comprendeva “58 appartamenti e 12 negozi” distribuiti in quattro “case economiche a più piani”, sei palazzine composte da tre a sei appartamenti per un totale di 127 locali e da 42 villette “per n. 314 locali”. 15 Infine funzionavano spacci aziendali ed un servizio di “vendite rateali” dove nei primi erano disponibili soprattutto beni di prima necessità, quali riso, pasta, burro e 6
formaggio, assicurando il loro rifornimento anche in periodo di restrizione dovuto al conflitto bellico. Il regolamento dello spaccio alimentari prevedeva esplicitamente che fosse possibile fare acquisti “limitatamente alla quantità necessaria per sé e per i propri familiari” 16 così da evitare sia eccessivi accaparramenti, sia impedire di indebitarsi oltre la retribuzione. La ricerca dell’autonomia: nascono le fondazioni L’esteso sistema di welfare sedimentatosi nel corso degli anni trovava alimento anche nella diversificazione delle modalità di erogazione, che riproponevano in forme rinnovate l’autonomia decisionale dell’azienda, soprattutto nei confronti della pretesa del regime di influire sulla gestione del Dopolavoro. Così, al crescere della pressione politica e dall’invadenza della normativa, la Pirelli come le altre grandi imprese confinanti dalla Breda alla Falck, provvide a costituire la “Fondazione intitolata al nome del senatore Ing. G.B. Pirelli” dotandola di un patrimonio (L. 1.000.000) destinato “ad opere di assistenza per i figli degli impiegati e degli operai” 17 e affidandone la gestione ai figli Piero e Alberto. Inoltre nella medesima occasione “la famiglia del compianto” versò altre due milioni di lire da utilizzarsi per finanziare borse di studio per i figli dei dipendenti. 18 Si ribadiva così, mutandone in parte le forme, l’autonomia delle forme di assistenza rispetto all’intervento normativo statuale nonché il carattere di liberalità dell’intervento aziendale. Mediante lo strumento della fondazione, l’impresa e la proprietà reagivano ai tentativi di ingerenza del potere politico sulla propria autonomia e nel contempo sperimentavano nuove forme di intervento con la costituzione di istituzioni giuridicamente ed economicamente indipendenti, seppure strettamente legate alla Pirelli. Seconda guerra mondiale: la fabbrica rifugio Durante gli anni della guerra la fabbrica divenne il luogo prediletto per la sicurezza e la sopravvivenza dei lavoratori e dei loro famigliari. Le testimonianze in tal senso sono talmente vaste da non richiedere particolari conferme. Semmai a dimostrazione di questa funzione basterà citare una iniziativa esemplificativa della estensione di questa protezione. Nel 1942 gli amministratori della Pirelli, “insieme con altre importanti aziende” del comprensorio, decisero di “costruire e gestire un vinodotto che faciliti il rifornimento” in grado di portare la “produzione vinicola dell’Oltre Po” direttamente alle “proprie mense”. 19 Era questo un segno tangibile dell’essere l’impresa, al pari di quanto avveniva nella altre grandi fabbriche, il riferimento primo per coloro che operavano al suo servizio. Ma non solo, la rete di protezione si estendeva anche agli “operai anziani pensionati” ai quali era consentito dal novembre 1942 l’accesso agli spacci e alle cure sanitarie. 20 Tutto ciò costituiva un ombrello protettivo che tendeva a rafforzare i legami di appartenenza alla comunità aziendale con quella della famiglia del lavoratore inclusa nei confini solidali, anche mediante l’elargizione di appositi interventi, quali ad esempio l’allontanamento dei bambini da Milano per sottrarli dai rischi dei bombardamenti, destinati a rendere più certa la sicurezza dei congiunti dalle minacce belliche. 7
L’inasprirsi del conflitto bellico nelle sue convulse fasi finali pose in primo piano l’esigenza di mantenere “al lavoro tutti i nostri 18.000 dipendenti”, il cui numero era talmente elevato da renderlo pressoché indifferente ai livelli produttivi. Solo con la fine della guerra e l’avvio della ricostruzione si pose l’obiettivo di riavviare il funzionamento dell’apparato produttivo, assicurandosi un adeguato flusso di rifornimenti ottenuti nell’immediato dagli aiuti UNRRA e nel proseguo con i finanziamenti concessi da Piano Marshall. Altra importante novità rappresentata dal ritorno alla democrazia fu la comparsa del Comitato di gestione e della Commissione Interna quali nuove e più incisive forme di rappresentanza dei lavoratori. Gli anni della ricostruzione: cambia lo scenario. Concluso il periodo bellico e avviata la ricostruzione, per la Pirelli si proposero vecchie e nuove problematiche. Tra le prime, e di maggior rilevo per il nostro interesse, l’edificazione di abitazioni per i dipendenti trovò un più ampio e significativo compimento. Nel maggio del 1946 il consiglio di amministrazione deliberò la cessione all’Istituto Autonomo per le Case Popolari di terreni nell’area adiacente lo stabilimento della Bicocca (viale Suzzani) da destinarsi alla costruzione di “case popolari riservate elusivamente al nostro personale”.21 Anche in questo caso l’azienda preferì agire indirettamente senza farsi carico della costruzione di alloggi ma preferendo, come in passato, affidarsi ad una istituzione prestigiosa e specializzata in questo settore. Altra importante iniziativa fu la creazione della “Fondazione Dott. Piero e Dott. Alberto Pirelli per i lavoratori della Ditta Pirelli” e della “Casa di Riposo Sen. G. B. Pirelli” finanziate con un cospicuo lascito di azioni della società di proprietà dei figli del fondatore. I due amministratori così esplicitarono le ragioni del loro lascito: “essi hanno inteso porre la base per una soluzione di … problemi i quali, per la parte previdenziale, pongono problemi economici – sindacali che trascendono i limiti delle singole aziende e che furono sollevati nell’ambito del Consiglio di gestione e della Commissione aziendale”. 22 In questa dichiarazione compaiono importanti novità rispetto al passato: l’una di carattere economico e riconducibile alla difficoltà del bilancio societario a supportare l’intera spesa degli interventi assistenziali; l’altra sindacale, riguardava la gestione delle attività assistenziali. Sebbene il ricorso alla “Fondazione Piero e Alberto Pirelli” 23 permettesse una più ampia autonomia rispetto alla gestione dell’azienda, proprio per la finalità assistenziale non poteva essere sottratta alle complessive negoziazioni sindacali. Infine l’accrescersi dell’intervento pubblico nel rendere obbligatori i trattamenti previdenziali e assistenziali, specie nel disciplinare il “riordinamento delle pensioni dell’I.N.P.S.” 24, portava a “sostituire o modificare alcuni istituti aziendali già esistenti”, divenuti ormai troppo onerosi per la Pirelli. Si apriva quindi una scenario molto più articolato dove il welfare aziendale diveniva sempre più integrativo di quanto previsto dalla legislazione. Inoltre la contrattazione sindacale, segnata anche da aspra conflittualità, tendeva a concentrare il proprio interesse sulle retribuzioni con la conseguenza di ridurre le risorse destinate alle opere sociali. Tutto ciò generò profonde modificazioni nel welfare connotandolo sempre più come integrativo rispetto all’intervento delle istituzioni pubbliche. 8
Un chiaro esempio di questa trasformazione si rese evidente sul fronte residenziale dove, nel volgere di pochi anni, furono ottenuti cospicui risultati grazie alla collaborazione tra l’impresa e le istituzioni pubbliche. Nell’immediato dopoguerra, come accennato, l’Istituto Autonomo Case Popolari mise a disposizione alloggi a “condizioni locative” particolarmente favorevoli, dove furono accolte 996 famiglie di lavoratori Pirelli, ma il risultato maggiore lo si ebbe con il Piano Ina – Casa. Il piano Ina Casa, promosso dal Ministro Amintore Fanfani, prevedeva una ingente opera di edificazione finanziata da contributi a carico delle imprese e dei lavoratori. La Pirelli integrò l’intervento statale con la messa a disposizione di ampi terreni sui quali costruire Case da destinare ai propri addetti. 25 L’integrazione tra intervento pubblico e supporto privato permise di raggiungere cospicui risultati in un breve lasso di tempo, come chiaramente emerge dai dati esposti. Pirelli e Piano Ina – Casa (1951 – 1953) Località 1951 1953 Totale Milano 230 299 529 Seregno 8 8 16 Pizzighettone 12 12 24 Monza 12 16 28 Rovereto 6 4 10 Arona 2 3 5 Bergamo- Redona 8 6 14 Lainate 4 4 8 Livorno 6 8 14 Napoli 6 6 12 Torino 48 48 96 Vercurago 2 2 4 Tivoli 12 14 26 Totale 356 430 786 Fonte: Si conclude il II piano di costruzione Ina – Casa, in “Fatti e Notizie”, n.6, Giugno 1953. Va comunque sottolineato come la molteplicità degli interventi attuati permise nel periodo compreso tra l’immediato dopoguerra ed i primi anni Cinquanta di mettere a disposizione dei pirelliani ben 1587 appartamenti composti da 5930 vani e distribuiti in tutto il territorio nazionale in prossimità dei vari insediamenti produttivi dell’impresa. Il positivo esito ottenuto nell’ambito residenziale rendeva evidente come il welfare avesse subito una profonda trasformazione e seppure mantenendo ancora a lungo una notevole valenza, di cui vi sono ampie tracce nella cronaca riportata dalla rivista aziendale “Fatti e Notizie”, esso era destinato a ridursi gradualmente nel tempo. Tuttavia la Pirelli si mantenne assai attenta nell’ottemperare al suo iniziale impegno formativo rivolto alle maestranze. Alla scomparsa nel 1956 dell’ing. Piero Pirelli, figlio del fondatore e a lungo amministratore dell’impresa, gli amministratori decisero di “intestare al nome di Piero Pirelli un istituto avente lo scopo di completare la formazione professionale per giovani prevalentemente figli dei dipendenti … ciò al fine di preparare le future leve delle nostre maestranze”.26 La gestione dell’erigendo istituto Piero Pirelli era affidata ad un “fondo” nel quale raccogliere le risorse necessarie al suo sostentamento e garantirne così l’autonomia. 9
Tutto ciò mostra con netta evidenza come il tratto saliente non fosse costituito solo dalla contrazione del welfare, semmai l’accento va posto sulla sua perpetuazione in forme differenti con l’accentuazione di quel carattere di relativa indipendenza rispetto all’impresa e di integrazione con le istituzioni pubbliche, intensificatosi a partire dal secondo dopoguerra. In definitiva il welfare aziendale per quanto ridotto nelle sue dimensioni quantitative e limitato nella sua espressione dalla contrattazione sindacale, continuava a svolgere un’azione complementare e sussidiaria rispetto alle altre istituzioni, mantenendo però intatto il suo fondamento distintivo che, come suggerito dallo stesso fondatore, consisteva nel “eccitare l’attaccamento” alla comunità aziendale. Valerio Varini Università degli studi Milano - Bicocca 1 Archivio storico Pirelli (d’ora in poi AP), Pirelli & C. – Milano. Relazione sull’esercizio 1883. Verbale Assemblea 1884 6 aprile. 2 AP, pr. 410, Statistica mercedi giornaliere ed Istituzioni di Beneficenza della Ditta Pirelli & C. Milano 18 giugno 1898. 3 Con l’apertura del sito produttivo della Bicocca e la crescita degli occupati negli anni vennero ad aggiungersi i sussidi versati agli asili di Niguarda, Greco milanese, Precotto e, dal 1915, Sesto San Giovanni e Prato Centenaro. 4 AP, pr. 523, Concordato fra la Ditta e la Commissione Operai per miglioramenti di trattamento a disposizione varie in seguito alla presentazione del Memoriale Operai. Maggio 1902, Milano, Tip. Angelo Restelli, 1902; per la novità del concordato stilato alla Pirelli nel panorama nazionale vedasi N. Tranfaglia, Via di Alberto Pirelli (1882-1971). La politica attraverso l’economia, Torino, Einaudi, 2010, pp. 48-49. 5 AP, Verbale n. 12 16 giugno 1922. 6 AP, pr. 1746, Le industrie Pirelli. 7 Ibidem. 8 AP, pr. 1337, Libro dei verbali. 2 dicembre 1921. 9 AP, Ordini di Servizio, 23 ottobre 1926. 10 AP, Ordini di Servizio, 23 ottobre 1926. 11 AP, Ordine di servizio, 1° dicembre 1930 12 Tra le “importantissime e recentissime realizzazioni autarchiche indichiamo la sostituzione molto spinta, se non proprio integrale, della gomma sintetica alla naturale e quella del raion di propria speciale fabbricazione al cotone”, (AP, pr. 2122, Realizzazioni industriali della Soc. It. Pirelli nel periodo 1920/1940). 13 L’amministrazione del Dopolavoro era affidata ad un Consiglio generale presieduto dai fratelli Piero e Alberto Pirelli, coadiuvati da altri sei consiglieri, scelti tra i direttori centrali nelle persone di Luigi Emanueli e Cesare Merzagora; vi erano poi altri dieci consiglieri semplici, due sindaci revisori e due ispettori. Data la rilevanza assunta a fianco degli organi amministrativi operava pure un “direttorio sportivo” suddivido in ben sedici sezioni specializzate. Inoltre al Dopolavoro Pirelli facevano capo anche tutti i lavoratori delle imprese controllate dalla capogruppo e operanti per lo più nelle vicinanze dello stabilimento principale della Bicocca (Sirti, Sapsa, Petroflex, Cotonifici Riuniti, Linoleum, Ital. Gomma Sintetica, Istituto per lo Studio Gomma Sintetica), (AP, pr. 2111, Dopolavoro aziende Pirelli. Anno XVIII). 14 AP, Società Italiana Pirelli. Verbale n. 43. 28 settembre 1927. 15 AP, Verbale n. 45, 12 gennaio 1928. 16 AP, Ordine di servizio, 24 dicembre 1926. 17 AP, Verbale n. 65. 17 novembre 1932. 18 AP, Ordine del giorno 19 novembre 1932. 19 AP, Verbali. Adunanze del Consiglio, 13 marzo 1945. 20 “Cura e consulenza medica gratuita … attraverso il Servizio di Assistenza Sanitaria … ricovero in ospedale … assistenza farmaceutica” (AP, Ordine di servizio, 24 novembre 1942). 21 AP, Verbali. Adunanze del Consiglio, 7 maggio 1946; oltre al terreno la Pirelli concedette all’Istituto case Popolari un finanziamento di 30 milioni per la costruzione delle case di cui 6 milioni “a titolo di mutuo semplice” e gli altri a “fondo perduto”, in cambio della costruzione di un “complesso di 120 (centoventi) alloggi; con circa 444 … vani oltre ai servizi generali”, (AP, Verbali. Adunanze del Consiglio, 2 dicembre 1946). 22 Il lascito consisteva in 84 mila azioni della Società Pirelli, (AP, Verbali. Adunanze del Consiglio, 30 settembre 1946). 23 La Fondazione fu dotata di un patrimoni iniziale di 42.000 azioni della Società da vendersi ai dipendenti con la garanzia di un rendimento annuo del 5 %, (AP, pr. 2266, Alla erigenda fondazione). 24 “riassorbimento delle funzioni integrative corrisposte al personale già pensionato … la sostituzione … dello assegno di fedeltà con il premio fedeltà” (AP, Verbali. Adunanze del Consiglio, 2 luglio 1952). 10
25 “la Società ha versato dei contributi pari al 70% del valore delle costruzioni [circa un miliardo e mezzo] ed i dipendenti hanno versato o verseranno il 30 % del valore stesso”, (Si conclude il II piano di costruzione Ina – Casa, in Fatti e Notizie, n.6, Giugno 1953, p. 7). 26 AP, Verbali. Adunanze del Consiglio, 10 ottobre 1956. 11
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