Il Medico del Lavoro nell'analisi e nella gestione dello stress occupazionale e delle patologie emergenti ad esso correlate.
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Il Medico del Lavoro nell'analisi e nella gestione dello stress occupazionale e delle patologie emergenti ad esso correlate. A. Bergamaschi, C. Papadia, B. Sed Cattedra di Medicina del Lavoro Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" Introduzione Scopo del presente lavoro è analizzare le cause, lo sviluppo e gli effetti dello stress occupazionale e di altre patologie emergenti ad esso correlate al fine di fornire alcune considerazioni sulle possibilità di gestione di tali patologie da parte del medico del lavoro. L’argomento è sempre più di attualità sia per la crescente incidenza di tali patologie in ambito lavorativo che per lo sviluppo sempre più consistente di conoscenze biomediche su tale argomento. Ciononostante, nella pratica clinica, tanto più nel campo della medicina del lavoro, si incontrano serie difficoltà nell’affrontare situazioni in cui si presentano alla nostra attenzione malattie cosiddette emergenti rappresentate ad esempio da: stress; patologie psichiche stress correlate; patologie organiche stress correltate; burn-out; ecc.. Le difficoltà nascono soprattutto dalla resistenza, ancora presente, a riconoscere, sia in ambito lavorativo che legislativo, lo stress e le patologie ad esso correlate come patologie vere e proprie, meritevoli delle stesse attenzioni preventive che normalmente vengono riservate alle altre patologie professionali tradizionali. La mancanza di una univoca collocazione nosografica dello stress e delle patologie emergenti ad esso correlate, le relega, infatti, in un ambito quasi sperimentale e di scarsa credibilità. Tale problema è sentito soprattutto nel campo della medicina del lavoro dove il medico deve fare i conti non solo con le difficoltà di ordine scientifico per la diagnosi di tali patologie, ma anche con la legislatura del lavoro, che non sempre fornisce linee guida chiare per gestire una materia così delicata e complessa.
Definizione. Il termine «stress» viene ampiamente usato ed abusato, ma il suo significato non è sempre così chiaro, tanto che viene spesso confuso con i concetti di stanchezza, depressione, ed altre forme di disadattamento psichico. Stress, in inglese, significa tra l’altro, pressione, sollecitazione, ed il termine è stato introdotto proprio per indicare questa spinta a reagire esercitata sull’organismo da diversi stimoli. Per stress si intende “un particolare tipo di rapporto tra la persona e l’ambiente che viene valutato dalla persona stessa come gravoso o superiore alle proprie risorse e minaccioso per il proprio benessere” (35,36). Pertanto lo stress costituisce una interazione dinamica tra le persone e il loro ambiente e non soltanto una caratteristica nociva dell’ambiente stesso o un effetto fisiologico a stimoli avversi. Lo stress, quindi, non determina un effetto necessariamente negativo sull’organismo. Gli effetti negativi si verificano quando vi sia una discrepanza tra le richieste dell’ambiente e la capacità dell’individuo di mettere in atto una risposta per fronteggiarle. In questo caso si parla di “distress”, che si contrappone alla condizione di ”eustress” (figure 1, 2). Le definizioni "meccanicistiche", "psicologiche" e "dinamiche", contenute nella definizione formulata da T. Cox (12), pur restando concettualmente separate, presentano numerosi punti di sovrapposizione. [figure 1, 2] In altri termini, esiste un livello di stimolazione da parte dell’ambiente, ottimale per il benessere dell’individuo. Tale livello genera una condizione di “eustress”. Livelli di stimolazione superiori o inferiori, generano condizioni di “distress” che possono condurre a vere e proprie patologie sia di natura psichica che organica. La suscettibilità individuale e la predisposizione individuale sono gli elementi determinanti per la progressione o l’arresto del processo. La suscettibilità individuale è data da un insieme di variabili strettamente individuali. Tra queste, il significato che viene attribuito ad un evento (valutazione), rappresenta la tappa limitante per lo sviluppo dell’intero processo. Selye (50,51) ha efficacemente espresso questo concetto osservando che il problema di studiare lo stress risiede nel fatto che “ciò che è stressante per una persona può non esserlo per un’altra”.
L’altra variabile individuale che rende i soggetti più o meno suscettibili allo stress, è la capacità di instaurare efficaci meccanismi di “coping” (protezione - adattamento). Il “coping” rappresenta l’insieme di pensieri e azioni che vengono messe in atto dall’individuo per fronteggiare le situazioni di pericolo. Si possono distinguere due forme di “coping”: coping centrato sull’evento e coping centrato sull’emozione .Nel primo caso, il soggetto cercherà di agire sull’evento per ridurne le caratteristiche di pericolo. L’esempio può essere fornito dagli studenti che in condizioni di stress, come avviene prima di un esame, chiedono spiegazioni a tutti i colleghi, studiano e ristudiano continuamente gli stessi argomenti. Nel caso di coping centrato sull’emozione, invece, lo studente svolgerà atti scaramantici, farà pratiche di rilassamento, ecc.. Se i meccanismi di coping sono efficaci, il processo può interrompersi a questo punto e la condizione di stress può dirsi esaurita. Nel caso in cui, invece, le capacità di coping non siano efficaci oppure si esauriscano, vengono attivati meccanismi neurologici per avviare le modificazioni fisiologiche dell’organismo che consentono di fronteggiare le maggiori richieste dell’ambiente. Esempi di tale attivazione sono le modificazioni reversibili di parametri fisiologici misurabili, conseguenti all’attivazione del sistema nervoso simpatico o dell’asse ipotalamo-ipofisi- surrene. A questo livello del processo, si può affermare che, benché siano presenti delle modificazioni organiche misurabili, non si è affatto in presenza di una patologia. Questa condizione è equiparabile a quanto avviene in seguito all’esposizione, ad esempio, al calore: la presenza di sudorazione, corrisponde semplicemente ad un adattamento fisiologico dell’organismo ad una condizione ambientale, non certo ad una condizione patologica o pericolosa per la salute dell’individuo. Se, però, il processo non si esaurisce a questo punto, le capacità di compenso tendono ad esaurirsi e si avvia una fase di irreversibilità degli effetti e di vere e proprie patologie d’organo. La predisposizione individuale entra in gioco nel determinare l’organo bersaglio della patologia stress-correlata. Le figure 3 e 4 descrivono gli eventi che possono condurre da una naturale interazione con situazioni da fronteggiare ad una vera e propria condizione di stress ed alle patologie stress-correlate. [figure 3,4]
Dimensioni del problema. Dal 1992 il Bureau of Labour Statisics (BLS) svolge un «Programma statistico sulla salute e sicurezza» in cui raccoglie dati accurati sulle caratteristiche degli infortuni e malattie professionali con esito non fatale. Secondo le stime del BLS nel 1997 si sono verificati 3418 casi di stress occupazionale, cioè di assenze imputabili alla cosiddetta «reazione neurotica da stress»(60). Il termine «reazione neurotica da stress» viene utilizzato come sinonimo di «stress occupazionale», a sottolineare il concetto che sebbene per molti lavoratori lo stress sia una normale componente del loro lavoro alcuni di essi manifestano livelli più elevati di stress fino al punto di ammalarsi e di aver bisogno di allontanarsi dal lavoro. La durata media della assenza per tale patologia è stata di ben 23 giorni: più di 4 volte la durata media della assenza per altre malattie o infortuni non fatali. Nel 44% dei casi, lo stress occupazionale ha comportato assenze di 31 o più giorni. Tra le altre patologie o infortuni non fatali, solo il 19% ha comportato assenze di 31 o più giorni. Negli USA sono persi a causa dell’assenteismo pressappoco 550 milioni di giorni di lavoro(25) e di questi il 54% e dovuto allo stress (15). Le statistiche del BLS, rivelano un dato interessante riguardo all’incidenza di stress occupazionale nelle diverse categorie di lavoratori. In particolare è stato osservato che la più alta percentuale di stress è presente tra gli impiegati piuttosto che tra gli operai (figura 5). [figura 5] Come mostra la tabella 1, nel corso della stessa analisi è stato rilevato che le donne, più degli uomini, si sono assentate dal lavoro a causa di stress occupazionale. [Tabella 1] Secondo i dati emersi dalla «Second European Survey on Working Conditions in the European Union», pubblicata dalla Fondazione Europea di Dublino, nel 1996 il 28% di lavoratori dell’Unione Europea riferivano disturbi correlati allo stress (17). Questo equivale a circa 41 milioni di lavoratori europei colpiti ogni anno da stress legato ad attività lavorativa (tabella 2). Dalla stessa ricerca risulta che il 23% dei lavoratori aveva dichiarato di essersi assentato dal lavoro per problemi dovuti allo stress nei precedenti 12 mesi (tabella 3).
Studi condotti sulla popolazione europea rivelano che il numero medio di giornate lavorative perse a causa dello stress per lavoratore era di 4 all’anno, il che equivale a di circa 600 milioni di giorni di lavoro persi in un anno (1). Nel 1986 alcuni studi condotti da Kearns, in Inghilterra, avevano messo in evidenza che più del 60% delle assenze dal lavoro erano causate da disturbi correlati allo stress (tabella4) (33). [tabelle 2,3,4] Secondo uno studio del 1996 della Health & Safety Executive, in Inghilterra, allo stress da lavoro sono da attribuire almeno la metà di tutti i giorni di lavoro persi (9). Uno studio del 1998 ha calcolato che, nella sola Gran Bretagna, vengono persi ogni anno circa 5 milioni di giorni di lavoro a causa di stress occupazionale su un totale di 19,5 milioni di giornate perse a causa di patologie correlate al lavoro (27). Alla luce dei dati riportati si comprende come in termini di costi lo stress e le patologie ad esso correlate costituisca un problema estremamente rilevante, sia in Europa che nei paesi extraeuropei. Basti pensare che il NIOSH riporta che le spese sanitarie sono maggiori del circa 50% per i lavoratori che riferiscono elevati livelli di stress (40). In Australia secondo i dati del Federal Assistant Minister for Industrial Relations il costo dello stress occupazionale, nel 1994, si aggirava intorno ai 30 milioni di dollari australiani, equivalenti a circa 36 miliardi di lire (18, 1). Sempre in Australia è stato calcolato che l’assenteismo correlato allo stress in una popolazione di operatori telefonici appartenenti a 126 call centres, nel 1999 ha avuto un costo di 150 dollari per operatore per anno , ed un costo complessivo di 7.5 milioni di dollari australiani per anno (approssimativamente 4.54 milioni di euro) (13). Da questa prima analisi dei dati disponibili, si comprende che il problema dello stress occupazionale costituisce un problema di non trascurabile entità, sia ai fini della protezione e della salute dei lavoratori che dell’economia in generale.
Stress e lavoro Quotidianamente siamo esposti a numerosi stimoli che possono rappresentare una fonte di stress, e tra questi sempre maggiore importanza viene attribuita al lavoro. Sebbene il lavoro rappresenti soltanto uno dei possibili aspetti della vita da cui può derivare l’esperienza di stress e di malattia, in realtà viene identificato come una delle principali fonti di stress da molti gruppi di soggetti studiati. In uno studio condotto da Dohrenwend & Dohrenwend nel 1974 su alcuni gruppi di persone, veniva chiesto di attribuire un punteggio ad alcuni eventi, paragonandoli con il matrimonio a cui era attribuito un valore arbitrario di 500 (14). Nella lista di 102 eventi stressanti, 21 erano relativi al lavoro. I punteggi più alti vennero assegnati ad eventi lavorativi, superati soltanto da “morte di un figlio” e dal “divorzio”. Secondo i dati ottenuti da Cox et al. in una ricerca del 1981, più della metà degli intervistati (54%) ha indicato il lavoro come la principale fonte di problemi e stress; un altro 12% di intervistati ha invece imputato all’“interfaccia lavoro-casa” l’origine del proprio stress (10). E’ noto che non è possibile considerare netto il confine tra l’ambio lavorativo e quello non lavorativo; di conseguenza, come dimostrato da alcuni studi, lo stress lavorativo influenza la vita privata e viceversa. In una ricerca del Canadian Mental Health Association (1984) più della metà dei soggetti in studio ha risposto di percepire “una qualche” o “una grande quantità di” interferenza tra il loro lavoro e la vita privata (5). Si può quindi affermare che entrambi questi aspetti della vita agiscono ed interagiscono tra di loro nel determinare effetti sull’uomo. Se questa interazione ed i relativi effetti appaiono palesi in caso di eventi stressanti “acuti”, possono esserlo meno in caso di eventi stressanti “cronici”. Questi ultimi, anzi, possono venire sottovalutati o addirittura passare inosservati benché giochino un ruolo importante nell’influenzare la vita lavorativa che in quella privata. Vista la stretta interrelazione tra vita privata e lavoro risulta assai difficile individuare i limiti dello stress occupazionale. Si è pertanto sviluppata una ricca letteratura volta a stabilire il ruolo del lavoro come causa di stress. Di seguito vengono riportate le posizioni più autorevoli in merito allo studio del rapporto stress e lavoro.
Il NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health), l’agenzia Federale Statunitense responsabile di condurre ricerche e fornire raccomandazioni per la prevenzione delle patologie e degli infortuni sul lavoro, i cui studi e indicazioni costituiscono un riferimento per la medicina del lavoro a livello mondiale, ha definito lo stress da lavoro come l’insieme delle risposte psichiche e fisiche di allarme che occorrono quando le richieste da parte del lavoro non corrispondono alle capacità, alle risorse o alle necessità del lavoratore.(40). Come evidenziato, anche, nella Ricerca sullo Stress da Lavoro dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (1999), esiste un crescente consenso sulla definizione di stress legato al lavoro in termini di “interazioni” tra lavoratore ed ambiente di lavoro (1). Un particolare accento su questa interazione è stato posto da numerosi Autori. Tra questi French e altri hanno formulato la teoria dell’ “Adattamento Uomo-Ambiente” in cui vengono identificati due aspetti fondamentali di questo adattamento e cioè il grado con cui le capacità e le abilità del lavoratore soddisfano le richieste dell’ambiente di lavoro ed il grado con cui l’ambiente di lavoro soddisfa le necessità del lavoratore ed in modo particolare fino a che punto l’individuo può usare le proprie capacità e conoscenze e fino a che punto è incoraggiato a farlo.(20). Secondo questa teoria lo stress deriva da una mancanza di adattamento tra le due variabili. Un approccio di rilievo allo studio dello stress occupazionale è stato proposto da R. Kalimo ed ha costituito il punto di riferimento per il Gruppo di Lavoro Scientifico ICOH per la Organizzazione del Lavoro e Fattori Psicosociali (WOPS) (1997).(28). Kalimo propone un approccio epidemiologico allo studio dei fattori sociali sul lavoro e dei loro effetti sulla salute. Tale approccio prevede: i) l’individuazione delle relazioni tra problemi di salute e fattori di rischio psicosociali legati al lavoro; ii) lo svolgimento di studi sul campo di tipo longitudinale iii) la attuazione di interventi controllati. Karasek è forse lo psicologo che più di altri nei suoi studi si è occupato del ruolo svolto dalle caratteristiche del lavoro nel determinare stress e conseguenti effetti sulla salute. Egli ha proposto un modello che comprende ed integra quei fattori a cui di solito si attribuisce un elevato potere stressogeno e cioè: l’elevato carico di lavoro, le scarse possibilità di decisione, il basso livello di capacità richieste e l’isolamento sociale.
Karasek sostiene che la soddisfazione sul lavoro dipende dall’autonomia decisionale e che lo stress origina da valutazioni di carichi eccessivi del lavoro.(29,31,3) Individua così le variabili dell’organizzazione del lavoro sulle quali agire per ridurre lo stress e le patologie ad esso correlate ed aumentare la soddisfazione ed il benessere dei lavoratori. Queste variabili sono: - il carico di lavoro, cioè la quantità e la qualità della domanda di operazioni da svolgere e la pressione dei compiti; - l’autonomia decisionale sui comportamenti da intraprendere per svolgere il proprio lavoro, e la varietà del lavoro, ovvero la possibilità di poter scegliere nel proprio lavoro tra un certo numero di abilità o conoscenze acquisite; - il sostegno morale, cioè la qualità dell’ambiente umano e relazionale nel contesto lavorativo, e soprattutto la possibilità di ricorrere ad altri per aiuto e cooperazione nella soluzione dei problemi. In conclusione si può affermare che le caratteristiche fisiche e psicosociali del lavoro, interagendo con eventi stressogeni della vita extralavorativa e dell’ambiente familiare, giocano un ruolo cruciale nel determinare lo stress e i disturbi psico-fisici ad esso correlati. Stress e salute Per studiare la relazione tra stress e patologie ad esso correlate è necessario riconoscere che lo stress non è di per sé una patologia, ma è la possibile causa di patologie psichiche e/o fisiche. Ciononostante in una condizione di stress, acuto o cronico, pur in assenza di una vera e propria patologia, si possono riscontrare delle modificazioni psichiche e/o organiche, per lo più reversibili che, pur non assumendo ancora le connotazioni di una vera e propria patologia, diventano rilevanti in quanto possono compromettere lo stato di benessere psicofisico del soggetto. Lo stress deve essere pertanto considerato come una risposta integrata dell’organismo a richieste dell’ambiente, risposta che diventa dannosa se troppo intensa, ripetuta o prolungata nel tempo. Soltanto in alcune circostanze ed in particolari condizioni, quindi, una esperienza di stress si può trasformare in una vera e propria malattia.
Numerosi sono gli studi che, a partire dal 1920 e 1930 con le ricerche di Cannon (6) e Selye (50,51), hanno cercato di chiarire la relazione tra lo stress e gli effetti sulla salute ad esso correlati. Tra gli Autori che hanno studiato l’interazione tra stress e organismo bisogna ricordare Jenkins di cui riportiamo nello schema seguente il modello proposto.(26). Nel corso degli anni è stato dato particolare rilievo al ruolo del sistema neurovegetativo (attraverso l’attivazione del sistema nervoso simpatico) e del sistema neuroendocrino (attraverso l’attivazione dell’asse ipotalamo - ipofisi – surrene) nel mediare la risposta dell’organismo allo stress. Studi più recenti hanno dimostrato che anche altri sistemi sono coinvolti nella risposta da stress. Tra questi, il sistema immunitario e altri sistemi neuroendocrini sembrano svolgere un ruolo di primaria importanza nella reazione da stress.(7,16,39,42,46,48,52,61) Le figure 6, 7, 8 mostrano alcune delle complesse interazioni tra i diversi sistemi coinvolti nella risposta ad eventi stressanti. [figure 6,7,8 ] In conseguenza dell’attivazione dei sistemi sopracitati, stress intensi, ripetuti o prolungati nel tempo, trasformando una risposta fisiologica, normale e transitoria, in una di significato patologico, possono determinare vere e proprie malattie. Ricerche condotte negli ultimi anni hanno evidenziato che tra i numerosi sistemi fisiologici coinvolti nella riposta da stress quelli maggiormente vulnerabili risultano essere : sistema cardiovascolare,(45,53,63) sistema endocrino, (55) sistema gastrointestinale, (19,37,56) sistema immunitario.(2,4,41,57,58) Tale evidenza è confermata anche da molti studi epidemiologici secondo cui tra le patologie che più frequentemente si correlano con lo stress una importanza sempre maggiore è assunta proprio dalle patologie di tali sistemi.(32,34,38,58). Bisogna, però, ricordare che le modificazioni biologiche variamente associate a situazioni di stress (“indicatori biologici di stress” tabella 5), nonché le patologie ritenute stress- correlate (tabella 6, figure 9 e 10), hanno una eziologia multifattoriale, rendendo pertanto assai difficile, nella pratica clinica, stabilire il nesso di causalità tra l’alterazione di un determinato parametro biologico o una patologia e lo stress.
Modello di interazione tra stress ed organismo Capacità di adattamento Fattore di stress Reazioni di allarme Reazioni difensive Stato patologico finale Livello Stato fisico, nutrizione, Deprivazione dei bisogni Stato di allerta, Sindrome generale di "Esaurimento". vigore. biologici. fame, sete, dolore, adattamento. Assuefazione. Biologico Immunità naturale o Eccessivo input di agenti fatica. Compenso fisiologico. Disfunzioni croniche. acquisita. fisici o biologici. Cambiamenti nelle Variazioni del Danni strutturali. funzioni metabolismo e della fisiologiche. soglia del dolore. Livello Capacità di risolvere i Percezioni e interpretazioni Sensazioni di Difese dell'ego; Disperazione, apatia. problemi. di pericolo, minaccia, deprivazione, noia, negazione, repressione, Disturbi cronici della Psicologico Forza dell'ego. perdita, frustrazione o afflizione, proiezione. personalità. Flessibilità senso di fallimento e di malinconia. Nevrosi di difesa. Psicosi. Doti sociali essere senza speranza. Sensazioni di Desideri, fantasie, motivi. Disordini affettivi cronici. Perdita ansia, disagio, Pianificazione. Perdita di significato. dell'autoaccettazione. colpa. Problem solving. Paura. Livello Rapporti con i familiari. Isolamento sociale. Antagonismo, Relazioni sociali rigide, Esaurimento cronico. Sostegno sociale. Non essere accettati. conflitto, sospetto. difensive. Evitamento. Diventare un reietto. Interpersonale Insulti, punizioni, reiezioni. Sensazione di Assunzione del ruolo di Carcere. Cambiamenti o perdite di reiezione, malato. Rottura dei legami gruppi sociali. punizione. Aggressività. "Tirarsi interpersonali. Incapacità fuori". Cercare il cronica a ricoprire i ruoli. sostegno sociale. Livello socio- Valori. Norme pratiche. Cambiamenti culturali. Comunicazione di Ideologie. Alienazione, anomia. Istituzioni sociali Conflitti di ruolo. preoccupazione ed Sistema morale e legale. Rottura dell'ordine sociale. culturale "terapeutiche". Incongruità di stato. allarme. Disintegrazione dei sistemi Sistemi di conoscenze e Conflitti di valori. culturali di valori e di norme. tecnologie. Cambiamenti forzati nella situazione di vita. Fonte: Jenkins C.D., Psychological modifiers of response to stress, "J Hum Stress", 1979, 5, 4, pp. 3-15
[tabelle 5, 6 E figure 9,10] Misura dello stress occupazionale. Il problema della misura dello stress in generale, e di quello da lavoro in particolare, rappresenta un momento fondamentale ai fini della prevenzione e protezione della salute in ambiente di lavoro. Ciononostante tale misura presenta non poche difficoltà di ordine pratico. Da un punto di vista strettamente medico, il problema fondamentale è quantizzare il peso dello stress nella eziopatogenesi di patologie ad eziologia multifattoriale (es. ipertensione arteriosa, aterosclerosi, patologie gastrointestinale ecc.), oltre a quello di stabilire un nesso di causalità tra patologie o alterazioni di parametri biologici e lo stress. Per il medico del lavoro, si pone inoltre il problema di stabilire un nesso di causalità e misurare non solo lo stress in generale, ma soprattutto lo stress occupazionale. In altre parole, il medico del lavoro deve stabilire anche quanta parte dello stress sia imputabile alla causa lavoro e quanta ad altre cause psico-sociali. Diverse metodiche possono essere impiegate per tali misure a livello sperimentale e possono essere utilizzate per «misurare» lo stress (figura 11). [figura 11] Attraverso l’utilizzo di questionari psicometrici si possono misurare: la percezione dello stress, la percezione delle diverse dimensioni del lavoro (carico di lavoro, supporto da parte dei colleghi, responsabilità ecc.); si possono inoltre correlare le risposte a tali questionari con quelle a questionari per la valutazione dei tratti della personalità.Tutte queste rappresentano sostanzialmente misure della percezione soggettiva dello stress.(21,22,23,24,30,47,59,62) L’utilizzo di questionari in studi epidemiologici su ampie popolazioni di lavoratori, ha portato ad individuare gli aspetti del lavoro che si associano più frequentemente a situazioni di disagio psico-fisico.(43,49,44,54) E’ così possibile associare determinate condizioni di lavoro a specifiche reazioni dei lavoratori che le vivono. Studi di questo tipo sono stati e sono tuttora numerosissimi. Consistono sostanzialmente nell’utilizzare i predetti questionari psicometrici per la valutazione del vissuto dei diversi aspetti del lavoro in diverse categorie di lavoratori. Grazie a questi studi è stato possibile costituire una sorta di elenco delle condizioni di
lavoro maggiormente a rischio di stress (tabelle 7 e 8). [tabelle 7, 8] Per «misurare» lo stress in un ambiente di lavoro, un primo approccio può quindi essere quello di ricercare le condizioni di lavoro comunemente ritenute a rischio di stress. Un secondo momento, per la misura dello stress in ambiente di lavoro, consiste nel ricercare e quantizzare i comportamenti e le caratteristiche del gruppo o del singolo indicativi di disagio psicofisico (tabella 9). [tabella 9] Un terzo momento, consiste nell’identificare e quantizzare, nel gruppo come nel singolo, la presenza di indicatori biologici ritenuti in correlazione a situazioni di stress. La presenza contemporanea di più di un elemento (presenza di numerosi elementi stressanti nell’ambiente [stressors], di comportamenti indicativi di stress nel gruppo di appartenenze del soggetto, di modificazioni stress-correlate del comportamento del soggetto in questione) consente di attribuire allo stress occupazionale la patologia o alterazione psicobiologica in esame. Valutazione e gestione del rischio da stress. La maggior parte dei “lavori sullo stress” tendono solo a definire il pericolo e gli effetti dello stress; di conseguenza la maggior parte degli interventi per la “gestione dello stress” hanno focalizzato l’attenzione sull’individuo invece che sull’organizzazione, e sono spesso separati da un processo di diagnosi del problema.(11). La ricerca sulla natura e gli effetti di un pericolo non è la stessa cosa della valutazione del rischio associato a quel determinato pericolo; il vero oggetto di una valutazione del rischio è, invece, stabilire una associazione tra il pericolo e gli effetti sulla salute e valutare il rischio per la salute derivante dalla esposizione al pericolo stesso. Per attuare una valutazione del rischio si rende pertanto necessario un tipo di approccio che, prima di dare delle risposte, si ponga delle opportune domande. Un strategia di intervento che risponda a queste esigenze è definita, nella legislatura dell’UE, per il controllo dei rischi fisici (Direttiva CEE 98/391) ed è comunemente definita “ciclo di controllo”. Le caratteristiche metodologiche di questo tipo di approccio lo rendono adatto per affrontare i rischi lavorativi a carattere psicosociale come lo stress.
Il ciclo di controllo è il “processo sistematico attraverso il quale i pericoli vengono identificati, i rischi vengono analizzati e gestiti e i lavoratori vengono protetti” e prevede 6 fasi che vengono descritte nella tabella 10. [tabella 10] Per affrontare il problema della gestione dei rischi psicosociali è utile fare riferimento ad alcuni concetti definiti nel Documento Guida della Commissione Europea nel 1996.(8) In merito al “danno”, in tale documento vengono definiti i seguenti livelli per la valutazione della “l’estensione del danno” (tabella 11). [tabella 11] A monte del primo livello di danno vi è, naturalmente, il livello corrispondente a “nessun danno”. In questo caso, benché vi sia l’esposizione ad una noxa, questa non determina nel soggetto esposto alcun danno. Tale considerazione è estremamente importante in tema di quantificazione del danno da stress. Nel caso dello stress, infatti, entrano in gioco due variabili estremamente soggettive, che rendono la valutazione del pericolo, del rischio e soprattutto del danno da stress estremamente complessa. Le due variabili soggettive, di cui si è discusso in precedenza, sono la valutazione degli eventi, e la suscettibilità individuale allo stress. In altri termini non è sufficiente riscontrare la presenza di stress o di indicatori di stress, nell’organizzazione o nel singolo, per affermare che il lavoratore ne abbia subito un danno. I problemi, nell’affrontare i pericoli psicosociali e lo stress in particolare, sono allora legati alle intrinseche difficoltà di definirne gli effetti, essendo questi soggettivi, oltre che di difficile misurazione rispetto agli effetti associati ai pericoli fisici. E’ stata recentemente proposta da Cox et al. una strategia in 5 fasi per realizzare, nella pratica, il processo di valutazione del rischio per lo stress occupazionale. Le cinque fasi sono riassunte nella tabella 12.(12). [tabella 12] Ogni fase si basa su quanto raccolto nella fase precedente. Le fasi iniziali servono a costruire un modello del lavoro e delle condizioni di lavoro. Questo strumento è utilizzato per quantificare l’esposizione dei lavoratori (a livello di gruppo) a tutti gli stressors significativi associati con il loro lavoro e le loro condizioni di lavoro, e per valutarne lo stato di salute.
Le fasi successive prevedono il ricorso a strumenti e meccanismi di valutazione per una efficace conoscenza degli eventi o agenti che generano stress, per una obiettiva determinazione dei loro effetti avversi sulla salute e infine per la messa a punto di una valida strategia di prevenzione. Nelle figure da 12 a 15 vengono illustrate : una strategia per una corretta gestione del rischio stress ed un modello di approccio interdisciplinare per la valutazione e la gestione dello stress e delle patologie ad esso correlate nel singolo e nell'azienda /gruppo. [figure da 12 a 15] Da quanto detto, emerge che lo stress, le patologie d’organo e la altre patologie emergenti ad esso correlate, devono essere affrontate dal medico competente con lo stesso rigore con il quale egli si pone di fronte alle patologie “classiche” della medicina del lavoro. Una breve analisi dei compiti del medico competente e delle metodologie utilizzate per attuarli, è utile ai fini di individuare i momenti della sorveglianza sanitaria critici per la gestione delle patologie emergenti. Nel corso della sorveglianza sanitaria, lo stress e le altre patologie emergenti ad esso correlate, devono essere prese in considerazione, sia nel corso della valutazione del rischio professionale, che nel corso degli accertamenti clinici nei due momenti della visita medica e delle indagini integrative ad essa associate (tabella13). [tabella 13] Considerazioni conclusive Premessa necessaria per la valutazione del rischio professionale, è la conoscenza degli agenti presenti nell’ambiente lavorativo potenzialmente lesivi per la salute del lavoratore. Nel caso delle patologie stress-correlate il punto di partenza è acquisire la consapevolezza che lo stress costituisce un pericolo per la salute. Il secondo punto, come per gli altri pericoli, è valutare il rischio derivante da questo pericolo e quindi valutare le modalità di esposizione. Per lo stress questo vuol dire in primo luogo ricercare nell’ambiente di lavoro i fattori che sono comunemente additati come possibili cause di stress. Pertanto è necessario che, accanto agli agenti fisici, chimici, biologici e alle condizioni di lavoro, classicamente considerati dannosi, il medico competente inserisca le condizioni di organizzazione del lavoro potenzialmente lesive del benessere psichico oltre che fisico del
lavoratore. In altri termini è necessario conoscere, e riconoscere in corso di valutazione del rischio professionale, le cause dello stress occupazionale (tabella 14). [tabella 14] Riconosciute le cause dello stress occupazionale, come per gli altri agenti lesivi, si può attuare la vera e propria valutazione del rischio professionale attraverso l’analisi del livello di esposizione agli agenti lesivi per la salute, delle modalità di esposizione e degli indicatori di dose e degli indicatori di effetto (figura 16). [figura 16] L’analisi del livello di esposizione ai rischi occupazionali può consistere nel monitoraggio biologico dell’ambiente e del lavoratore avvalendosi, a seconda dell’agente lesivo in analisi, di misure della sostanza nell’ambiente e nei fluidi biologici del singolo lavoratore, oppure di misure degli effetti biologici conseguenti all’esposizione. Se l’agente lesivo in analisi è lo stress, ci si può avvalere, per le misure dell’agente nell’ambiente, di questionari psicometrici adatti a valutare la presenza di stress in gruppi di individui; similmente, per la misura dello stress nei singoli lavoratori ci si può avvalere di questionari psicometrici adatti alla valutazione dello stress su singoli individui (tabella15). [tabella 15] La attendibilità dei numerosi questionari proposti, a livello nazionale e internazionale, per la misura dello stress è oggetto di ampie discussioni e ricerche. Un filone certamente promettente è quello che tende a correlare i punteggi ottenuti nei diversi questionari con i segni e sintomi ritenuti precoci indicatori biologici di stress. I risultati di tali studi sono ancora non definitivi in conseguenza della grande varietà di questionari utilizzati e dei parametri biologici testati nei diversi studi. Tale varietà rende infatti difficilmente equiparabili i risultati ottenuti nei diversi studi . Come per altri agenti lesivi, per i quali la misura diretta nell’ambiente risulta indaginosa, anche per lo stress ci si può avvalere di misure degli effetti biologici precoci e reversibili conseguenti all’esposizione, di quei campanelli di allarme che il medico deve riconoscere come primi segni di danno. In altri termini è necessario avvalersi della misura degli “indicatori biologici di stress” (tabella 2). Questi sono numerosissimi in considerazione delle numerose alterazioni o patologie d’organo vere e proprie che lo stress può determinare. La conoscenza e la misura degli indicatori biologici di stress si inserisce come momento essenziale per la comprensione, la analisi e la gestione dello stress.
In conclusione, sebbene per molti lavoratori lo stress sia una normale componente del loro lavoro, alcuni di essi manifestano livelli più elevati di stress fino al punto di ammalarsi e di avere bisogno di allontanarsi dal lavoro. Emerge pertanto la necessità, da parte del medico del lavoro, di attuare condizioni lavorative idonee al fine di prevenire lo stress occupazionale correlato all’organizzazione del lavoro e alla scarsa o assente applicazione dei criteri ergonomici. Figure e Tabelle Bibliografia 1. Agenzia Europea per la Salute e Sicurezza sul Lavoro, Research on work- relates stress, Bilbao 2000. http://www.agency.osha.eu.int/ 2. Arnestad M., & Aanestad B., Work environment at a psychiatric ward : stress, health and immunoglobulin levels. Unpublished PhD thesis, University of Bergen, Bergen 1985. 3. Bagnara S., Vian M., Organizzazione del lavoro, fatica mentale e stress. In: Crepet M., Saia B., Inquinamento ambientale e rischi per la salute; Editoriale Programmi, Padova, 1991. 4. Borella P., Bargellini A., Rovesti S., Pinelli M., Vivoli R., Solfrini V., & Vivoli G., Emotional stability, anxiety, and natural killer activity under examination stress. Psychoneuroendocrinology, Vol.24, No.6, pp. 613-627; 1999. 5. Canadian Mental Health Association Work and Well- being : The Changing Realities of Employment. Toronto, Ontario 1984. 6. Cannon W.B., The Wisdom of the body. New York: Norton, 1932. 7. Cavagnaro J., Molecular basis for the bidirectional modulation of the neuroendocrine and the immune systems. Year Immunol. 2 :303 ; 1986. 8. Commissione Europea, Guidance on risk assessment at work. European Commission, Bruxelles 1996. 9. Cooper C.L, Liukkonen P. & Cartwright S., Stress prevention in the workplace: assessing the costs and benefits to organizations. Dublin: European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions, 1996.
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