INTRODUZIONE: UN SGUARDO ALLA CARTINA E UN ASCOLTO ALLE FAMIGLIE

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                               Progetto: un nuovo c.s.e. per minori disabili

     INTRODUZIONE: UN SGUARDO ALLA CARTINA E UN ASCOLTO ALLE FAMIGLIE

Questo progetto nasce da molte riflessioni maturate in me durante le mie diverse esperienze
lavorative, che hanno visto come utenza la disabilità e la diversità più in generale.
Lavorando presso strutture di Varese, rivolte ad una utenza fra età compresa 0-18 anni con
disabilità, l’impostazione prevalente è quella riabilitativa, con figure professionali mediche ed
affini (neuropsichiatra, medico, infermiere, logopedista, fisioterapista, fisiatra, psicomotricista,
musicoterapista ed educatori). In queste strutture viene dato un notevole rilievo principalmente
per queste attività riabilitative, facendo percepire un’importanza secondaria del ruolo e del lavoro
educativo che accompagna la persona nelle questioni pratiche della vita di tutti i giorni, e che
quindi è a stretto contatto con il lato più umano dell’individuo: nello specifico l’educatore assiste il
suo utente nei bisogni primari, per esempio lo aiuta a mangiare quando non è in grado di farlo in
modo autonomo, o qual’ora non sia presente un limite fisico ma solo un incapacità di rispettare le
regole di convivenza sociale durante i momenti dei pasti, lo porta alla comprensione
dell’importanza di queste regole per essere accettato dall’altro; l’utente può aver bisogno di
assistenza durante la minzione; altre volte può necessitare di interventi educativi riguardo il
controllo delle pulsioni sessuali molto presenti in alcune patologie come per chi è affetto dalla
sindrome di Down. Tutti questi aspetti e molti altri fanno entrare in stretto contatto l’educatore
con la sfera più intima e privata dell’utente.
 Le famiglie, per poter accedere a queste strutture, devono essere inserite in liste d’attesa ,spesso
molto lunghe proprio perché non hanno altre alternative, se non quella di tenere il proprio figlio
con le sue difficoltà a casa.
Un dato oggettivo è che sul territorio della provincia di Varese non sono presenti molti servizi
rivolti ad una utenza minore con disabilità e alla sua famiglia 1, ed è importante affermare che un
intervento educativo rivolto ad un bambino/ragazzo è efficace solo se c’è anche il coinvolgimento
della famiglia stessa. Per rendere chiaro questo concetto basti fare un esempio: se per un utente si
ritiene auspicabile il conseguimento dell’obiettivo riguardante l’igiene personale, è fondamentale
che tale obiettivo venga perseguito anche a casa con la collaborazione dei genitori che
sottolineano l’importanza di quanto si sta facendo.
Dalla cartina presentata nella pagina seguente, si può osservare la collocazione di queste strutture
all’interno della nostra provincia: ciò che emerge è la presenza di vaste aree sprovviste di tali
servizi, le quali per soddisfare la richiesta di bisogno devono invitare le famiglie a rivolgersi a
circoscrizioni anche molto distanti da quella di appartenenza.

1
 C.r.s. di Besozzo e Comunità terapeutica di Fogliaro della Fondazione Piatti, Il Seme di Cardano al Campo, C.s.e
Manzoni di Busto Arsizio.
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Con il lavoro di educatrice anche domiciliare questo disappunto relativo alla scarsità di tali servizi e
alle difficoltà di accesso,nelle famiglie si può percepire, ed è stato più volte esplicitamente
affermato; inoltre emerge che, nel momento in cui l’utente diventa adolescente, e si considerano
percorsi differenti, le proposte offerte spesso non soddisfano pienamente la famiglia, e tali
ipotetiche prospettive vengono vissute come poco adatte a favorire un continuo progresso
evolutivo, ma piuttosto l’arresto di quanto prima ottenuto dai propri figli.
Questo avviene per il modo in cui è organizzata per obiettivi e finalità una struttura riabilitativa
per minori disabili, molto diversificata da strutture educative per adulti tipo C.D.D. o C.s.e.: è
evidente che non verrebbero più prese in considerazione le aree riabilitative (linguistica, motoria,
relazionale), fino all’adolescenza ritenute importanti, prioritarie ma anche esclusive, mentre ora si
punterebbe l’attenzione soprattutto sulle autonomie e sull’ inserimento sociale. In questo modo il
messaggio che passa alla famiglia è che il proprio figlio non ha più margini di recupero su quegli
aspetti che per anni sono stati considerati unici.
Per questo motivo è fondamentale far comprendere in primis alla famiglia quanto sia importante il
lavoro educativo che non è separato dal resto, ma è presente in ogni aspetto del quotidiano,
perché l’educatore possiede solide competenze pedagogiche che gli permettono di operare in tutti
i contesti, occupandosi dei problemi di evoluzione e di sviluppo individuale e sociali di chi vive una
condizione di sofferenza fisica, psichica e di isolamento.
Solo così i genitori potranno sentirsi meno soli, accolti, compresi e accompagnati affinchè
diventino anch’essi attori attivi e funzionali ad un percorso di benessere del figlio disabile.
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          Risposte a bisogni impliciti, riflessioni e teorie pedagogiche.

Il servizio si occupa di rispondere alle esigenze più o meno esplicite che un minore disabile
possiede, visto nella sua globalità, e non sezionato.
 ”L’unilateralità e l'autoreferenzialità che ancora oggi distinguono alcune modalità di intervento, settoriali e
giustapposte, rappresentano esiti anti storici ed anti scientifici che si collocano nella direttrice della dis-
umanizzazione, della dis-integrazione della persona ,assunta di volta in volta secondo prospettive parziali,
riduttive, come oggetto da esplorare, indagare, correggere, assistere, curare, mai nella pienezza della sua
soggettività. Alla frammentazione, allo scollamento, ai rischi di subordinazione e della gerarchizzazione, ai
pericoli della regressione e dell'infelicità, si deve contrapporre con la sua dirompente ed indubbia carica
rivoluzionaria la necessità di un approccio integrato, clinico-terapeutico, psicopedagogico, assistenziale,
emotivamente curato, in grado di coniugare le risorse disponibili con l'attenzione alla globalità della
persona che, proprio in virtù della sua graduale conquista di autonomia e coscienza di sè e delle proprie
potenzialità, non può essere esclusa da un significativo e sempre più radicale coinvolgimento2”.
 Quando si lavora, soprattutto, con i bambini bisogna prendere in considerazione tutti i loro canali
comunicativi ed espressivi che in questi casi sono spesso non verbali ( poniamo l’attenzione al
canale sensoriale, emotivo-affettivo, comportamentale, al gioco, al disegno…) perché dietro questi
modi di interagire si possono celare, ben nascoste, bisogni, desideri,aspettative che albergano in
loro ma che non sono in grado di riconoscere e di rielaborare in modo efficace.
 Spesso la famiglia vive in una condizione di solitudine, in seguito a una diagnosi sul figlio, che
riconosce un livello di disabilità medio-grave, faticando nel riconoscimento ed accettazione dei
limiti che questa disabilità comporterebbe al proprio figlio; spesso questi genitori si percepiscono
come generatori di un essere malato, come genitori che hanno fallito.
In generale,una madre in primo luogo, quando partorisce e mette alla luce il proprio bambino,
deve confrontarsi con quella che è “l’elaborazione del lutto”, cioè deve riconoscere che il figlio
ideato, immaginato e pensato quando era nel suo grembo, è differente da quello che in realtà ha
partorito. Spesso è una rielaborazione faticosa per una mamma con figli “ sani-normali”, pensiamo
allora a quelle madri dalle quali nascono bambini con patologie, le cui disabilità si riscontreranno
giorno dopo giorno.
Una mamma di un bambino disabile può percepirsi inadatta, colpevole di ciò che ha partorito, e
portare dentro di sé questi vissuti per tutta la vita, comprometterebbe in modo negativo quella
che è la relazione genitoriale e lo sviluppo globale del figlio. Questi suoi vissuti non le
permetteranno sempre di avere il giusto contatto con quello che è il piano della realtà, vivendo
per sempre il proprio figlio come “un cucciolo da proteggere e da difendere” da tutto ciò che lo
circonda, mettendo in pratica una relazione iperprotettiva e patologica verso il figlio fragile,
relazione dovuta a una ridotta, o distorta comprensione delle proprie risorse e di quelle del figlio.
 A queste madri, quindi deve essere offerta l’opportunità di intraprendere un percorso personale,
durante il quale potranno incontrare figure professionali, degne di fiducia, alla quali affidare il
proprio bambino.
Ora, in primo luogo, questo servizio vuole sostenere le famiglie dei disabili, in modo che capiscano
che i propri vissuti sono normali, ma pericolosi se lasciati irrisolti, portando alla patologizzazione di
tutto il nucleo.

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    L’approccio integrato alla persona diversamente abile” di Giovanni F. Ricci e Domenico Resico.
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Spesso queste situazioni creano fratture notevoli tra i coniugi e le conseguenze si ripercuotono sui
più fragili che sono in figli. La famiglia, allora in questo servizio può essere accolta, ascoltata,
sostenuta, accompagnata nel riconoscimento della disabilità e accettazione di questa; inoltre deve
essere attore attivo che collabora con continuità e in sinergia con le linee educative concordate
insieme al servizio, perché alla famiglia è riconosciuto un ruolo fondamentale: non si potrà mai
raggiungere un risultato se la famiglia non coopera. Riportiamo l’esempio dell’intervento
sull’igiene personale e la cura di sé (aspetto più evidente che può pregiudicare il rapporto con
l’altro): se non c’è continuità anche a casa nel trasmettere l’importanza di questi principi, facendo
fare concretamente tutte le pratiche di cura come la doccia frequente, abbigliamento adeguato,
lavare i denti ecc. ecc. non si raggiungerà mai questo obiettivo, perché in un centro come un c.s.e.
l’utente non avrà mai l’opportunità di fare una doccia per mancanza di spazi adeguati a questa
pratica; piuttosto solo con una stretta collaborazione con i genitori si raggiungerà quanto
auspicato.
E’ un servizio che attraverso le esperienze che propone ai suoi utenti durante il giorno, può
garantire al resto della famiglia quel tempo utile e indispensabile per sé ,necessario per prendersi
cura di se stessi, per rielaborare i propri vissuti e trovare quelle energie e risorse per essere di
maggiore aiuto al proprio figlio; vivere dei momenti di normalità, perché invece il più delle volte ci
si trova davanti a famiglie patologiche, che non riescono a separarsi dal disabile instaurando un
legame simbiotico, ed entrando in una spirale che le fagocita.
Spesso i contesti presenti nella vita sociale non sono pronti e adatti nell’accogliere questi individui,
e ciò genera ansia e paura nei genitori, soprattutto in una prospettiva futura in cui non saranno più
in vita; allora diventa fondamentale trasmettere a questi bambini/ragazzi alcune delle regole della
convivenza comune, attraverso la vita di gruppo e le dinamiche che verrebbero a crearsi in questo
centro socio educativo.
Lavorare su questo, comporterebbe un feedback positivo nella società: una maggiore integrazione
perché il disabile, che riesce a stare in quelle che sono le regole convenzionali delle relazioni, non
spaventa più. Spesso molti disabili hanno bisogno del contatto fisico con l’altro anche se
sconosciuto, per esempio gli autistici; il non rispettare “la distanza sociale” e invadere quella
“proprietà privata” di una persona può spaventare e condurre a una chiusura totale verso la
disabilità. Invece lavorare con i nostri utenti ,fin da bambini, anche su questi aspetti , permetterà
che vengano accolti dal contesto circostante senza quegli stereotipi e pregiudizi di cui si compone
il mondo della disabilità.
 Integrazione per un nostro utente vuol dire sentirsi interi nonostante la minorazione, ma vuol dire
anche sentirsi parte dell'intero sociale, essere parte attiva della propria famiglia, della scuola, dei
differenti gruppi, essere in grado di esercitare le proprie abilità per dare un contributo positivo
nell'interesse di tutti. Praticamente basti pensare ad un bambino disabile che frequenta la scuola:
spesso viene lasciato all’ insegnante di sostegno, che non sempre possiede gli strumenti per
affrontare le situazioni che un disabile pone, ed è costretto a vivere l’esperienza scolastica fuori
dalla classe, perché i contenuti didattici non sono adeguati al suo livello cognitivo e il suo
comportamento è disturbante; invece bisogna lavorare affinchè il bambino, con i suoi limiti e i suoi
tempi, possa svolgere alcune attività con il resto dei compagni per vivere quelle esperienze di
gruppo, di socializzazione e di autoaffermazione del sé, solo così potrà sentirsi parte del gruppo e
della scuola. E la ricaduta sul gruppo dei compagni non può essere che positivo.
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Un terzo significato della parola integrazione riguarda la possibilità di fare insieme agli altri, e non
semplicemente di stare assieme agli altri: un disabile seppur con molte difficoltà può partecipare
alle varie situazione nei modi più consoni a lui. Per esempio se a scuola tutti colorano con i
pennarelli perché il bambino con una limitata motricità fine delle mani deve solo osservare?
Magari non colorerà stando all’interno dei contorni prefissati dall’attività, ma con colori a dita, per
cui non ha la necessità di impugnare nulla, può colorare liberamente per il foglio, e poi sarà
l’adulto in un secondo momento a costruire intorno il disegno, offrendo un’opportunità
gratificante per il lavoro fatto insieme agli altri, partecipando soprattutto alla stessa esperienza.

    Dalla teoria alla pratica: il c.s.e per minori disabili a chi si rivolge, quali sono le
     sue finalità.

   Un centro socio educativo offre un servizio che coinvolge principalmente la sfera sociale, in cui
   è contenuto l’utente, e quella educativa più intimamente connessa con la vita di tutti i giorni e
   le attività del quotidiano. Sono due ambiti correlati e inscindibili fra loro perché solo se c’è un
   buon intervento educativo sulle autonomie di un utente, sui suoi comportamenti e sul piano
   cognitivo, allora questi è più adatto e pronto ad avere scambi con il resto della società che non
   siano frustranti o mortificanti, ma piuttosto saranno scambi di crescita, di arricchimento della
   propria autostima e di autoaffermazione, e questo non sarà uno scambio unidirezionale,
   perché anche il contesto sociale sarà più pronto per accoglierlo e ad assorbirne gli influssi
   positivi che porta con sè .
   Più nello specifico è un servizio diurno che, attraverso la presa in carico nella sua globalità della
   persona con percorsi educativi individualizzati, ha come obiettivo di mantenere/ potenziare le
   sue abilità.
   Ci si occupa dei suoi bisogni primari ( alimentazione, igiene, cura fisica …) e di quelli secondari
   ( istruzione, socializzazione, gioco…).
   E’ un centro rivolto a minori con diagnosi funzionale certificata, in genere la fascia d’età è 0-18
   anni ma in realtà risulterebbe troppo difficile fare una valutazione del genere su un infante che
   può possedere tempi più o meno lunghi riguardo lo sviluppo delle aree motorio, linguistico e
   cognitivo; inoltre sarebbe eticamente scorretto ingabbiare un bambino molto piccolo in una
   diagnosi che per quanto possa essere soggetta a nuove rivalutazioni spesso crea uno
   stereotipo con un’etichettatura immutabile che lo segnerebbe per sempre. Per tanto la fascia
   più piccola dovrebbe avvicinarsi alla struttura intorno ai 3 anni circa ( per esempio per la
   certificazione del disturbo dello spettro autustico l’I.C.D.10 e il D.S.M. IV forniscono come uno
   dei criteri per il riconoscimento, la comparsa di alcuni dei tratti specifici del disturbo intorno ai
   3 anni di vita, anno in cui le tre aree prima citate dovrebbero essersi sviluppate).
   L’altro limite è la maggiore età, ma si cercherà già nella fase adolescenziale di accompagnare
   l’utente verso altre strutture più adatte al proprio percorso di crescita, in modo che avvenga
   gradualmente e naturalmente.
   Si pensa che la fetta maggiore degli utenti sia composta da bambini che frequentino ancora la
   scuola.
   Le finalità vogliono essere:
   
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   Migliorare la qualità della vita della persona favorendo l’interazione e l’integrazione
    sociale: è indispensabile per ognuno di noi avere una buona qualità di vita che non è altro
    che il rimando che le nostre attività hanno agli occhi degli altri. Mediante delle uscite sul
    territorio si cercherà di coinvolgere gli utenti in attività in cui si possono incontrare anche
    altre persone, magari andando al parco, al supermercato e avere degli scambi;
    Rispondere in modo globale e armonico ai livelli di crescita: dopo aver determinato il P.E.I
    (piano educativo individualizzato) si farà in modo che vengano raggiunti gli obiettivi stabiliti
    adeguati alle fasi di crescita dell’utente e a quello che è il concetto di benessere auspicato
    per lui;
   Mediare i bisogni educativi specifici del singolo rispetto alle situazioni interne del gruppo
    ed alle realtà sociali e ambientali: con l’aiuto dell’educatore l’utente sarà guidato a
    trovare un compromesso tra le sue esigenze personali individuali e quelle del gruppo a cui
    appartiene, dal piccolo gruppo ai sistemi più grandi, perché non bisogna mai considerarsi
    sganciati dai contesti circostanti;
   Favorire lo sviluppo di competenze globali finalizzando l’azione al raggiungimento di
    obiettivi significativi, mediante percorsi e progetti personalizzati anche in funzione di
    inserimenti all’esterno del c.s.e. per i più grandi: ogni utente è unico, con le proprie risorse
    e le proprie esigenze, per tanto si costruiranno percorsi ad hoc che siano d’aiuto anche per
    l’inserimento in altri contesti al di fuori del c.s.e. ;
   Incrementare e mantenere livelli di autonomia funzionale contrastando i processi
    involutivi: il costante lavoro educativo deve guardare sempre avanti, deve potenziare le
    competenze dell’utente, e deve impedire che queste competenze in suo possesso vengano
    meno per motivi per esempio di non collaborazione dell’utente stesso;
   Sostenere le famiglie, supportandone il lavoro di cura, riducendo l’isolamento, evitando e
    ritardando il ricorso a strutture residenziali: spesso le famiglie dei disabili vivono sole
    queste situazioni e il loro carico fisico ed emotivo è talmente pesante da non riuscire a
    prendersi cura del proprio bambino/ ragazzo con un progressivo “scivolamento nel
    disagio”. In questi casi l’intervento dei servizi sociali potrebbe decretare l’inserimento del
    figlio in comunità residenziali più adatte; è logico che per un figlio la condizione migliore è
    poter vivere serenamente la propria esistenza nel proprio nucleo familiare, quindi è
    necessario accompagnare la famiglia nell’ assolvere in modo adeguato tutte le funzioni di
    cura verso il figlio. Il sostegno alle famiglie mirerebbe anche al mantenimento dei legami
    familiari, laddove questi presentino aspetti di forte problematicità, ad offrire la possibilità
    di confronto per uscire dall’isolamento e a rafforzare le competenze educative degli adulti.
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       Tipologie di approcci teorici per uno sguardo completo sull’utente.

 Prima di passare ad una strutturazione ancora più concreta di questo servizio è fondamentale
ribadire che questi bambini e ragazzi possono frequentare ancora la scuola dell’obbligo, oppure
sono presi in carico anche da altri servizi come la neuropsichiatria con interventi di logopedia,
psicomotricità, fisioterapia ecc. ecc. e per tanto è indispensabile che tra i vari attori si lavori in
sinergia perché ogni esperto conosce una sfaccettatura dell’utente, ma che può essere compresa e
le si può attribuire un significato solo in armonia con le altre parti.
“L'approccio integrato alla persona diversamente abile richiede ormai necessariamente il
contributo di tutti i soggetti coinvolti, dalla famiglia, alla scuola, dagli enti locali alle aziende
sanitarie, dai centri socio-educativi ai centri per l'impiego, dalle associazioni al volontariato3”.
In una prospettiva sistemica la realtà viene vista come un sistema, un insieme di parti fra loro
interagenti e comunicanti in modo tale che il tutto, cioè il sistema stesso, sia qualcosa di più di che
la somma o giustapposizione delle parti; il sistema ha proprietà che non sono direttamente
rilevabili dalle proprietà delle sue parti prese singolarmente. Queste parti hanno il dovere verso
l’utente di comunicare con un linguaggio comune.
Un altro approccio utile per capire gli scambi che un disabile ha con l’ambiente circostante e le
ricadute che il contesto ha su di lui è quello della Teoria ecologica di Bronfenbrenner4.
Secondo questa teoria, l’ambiente in cui si vive sarebbe costituito tanto di contesti di cui si ha
diretta esperienza, quanto dai sistemi culturali e sociali, che pongono in relazione situazioni
diverse, quali la casa, la scuola, il centro.
Graficamente possiamo immaginare un insieme di cerchi concentrici, il cerchio centrale che è
anche il più piccolo è quello più vicino all’esperienza immediata dell’individuo ed è formato da
microsistemi (famiglia, casa, scuola, centro).
Subito dopo troviamo i mesosistemi che si riferiscono alle relazioni tra i microsistemi vissuti
dall’individuo, per esempio la famiglia è in relazione agli altri (scuola, centro), ciò sottolinea la
sovrapposizione e l’interscambio tra le situazioni e le informazioni in esse contenute.
Successivamente ci sono gli esosistemi che rappresentano il punto di connessione tra i
microsistemi vissuti dal bambino e le situazioni a cui non partecipa direttamente per esempio il
posto di lavoro dei genitori: anche se con questo esosistema non ha un’esperienza diretta ne è
comunque influenzato: l’adempimento dei compiti genitoriali all’interno della famiglia dipende
effettivamente dalle esigenze, dalle tensioni e dal sostegno provenienti dal luogo di lavoro, dalla
famiglia allargata e dalle politiche sociali.
Infine, il macrosistema è costituito dall’ideologia e le istituzioni sociali che dominano la cultura e la
subcultura.
Ancora una volta dobbiamo sottolineare il ruolo delle relazioni tra molteplici situazioni e contesti,
che coinvolgono direttamente o indirettamente i bambini e le loro famiglie.

3
    L’approccio integrato alla persona diversamente abile” di Giovanni F. Ricci e Domenico Resico
4
    La natura culturale dello sviluppo Barbara Rogoff.
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Definizione di C.S.E.
Passiamo ora alla parte più tecnica e concreta, per prima cosa è importante capire bene il
significato di Centro Socio Educativo.
Il quadro normativo di riferimento è quello dell’articolo 77 L.R. 1/86 per i c.s.e per adulti: strutture
inserite nel complesso dei servizi sociali non residenziali che accolgono giornalmente soggetti con
compromissione dell’ autonomia nelle funzioni elementari, che abbisognano di una continua e
specifica assistenza, e non possono essere utilmente inseriti nell’ambiente lavorativo.
 Questi invece vuole essere un servizio diurno dove al centro viene messo il bambino disabile e la
relazione educativa che si instaura tra lui e l’educatore. La relazione educativa è strumento, ma
anche contesto che fa da contenimento alle relazioni tra le due parti; in essa vengono riversate le
difficoltà, i timori, le proiezioni dell’utente e solo con l’aiuto dell’educatore, che possiede gli
strumenti per cogliere tutto ciò, portare alla luce, può far prendere consapevolezza e condurre ad
una rielaborazione di questi contenuti, per un percorso di crescita e di benessere.
 La relazione educativa ha come finalità di condurre il nostro utente ad un livello di autonomia
adatto alla propria condizione psico-fisica e sociale, in modo tale che diventa soggetto sempre più
attivo delle proprie esperienze.
Si offre la possibilità di fare del luogo educativo un contesto di sperimentazione di sé, ossia di
rielaborare la propria esperienza di vita, di individuare nuovi significati da attribuire a sè e alla
propria vita, di aprirsi a nuove prospettive da cui guardare il mondo.
Con l’intervento educativo ci si propone anche di risolvere o alleviare il disagio che questi bambini
possono percepire in particolari momenti di difficoltà o in alcune fasi di transizione della vita ( es. il
passaggio da un ciclo scolastico all’altro, particolari situazioni conflittuali in famiglia come la
separazione…).
L’educatore deve stimolare quindi il cambiamento interagendo faccia a faccia con l’utente,
condividendo spazi, tempi e attività, e da questo duplice scambio anche l’educatore subirà un
cambiamento, il tutto avviene in questo grande contenitore che è la relazione educativa, che
garantisce contesti ad hoc di protezione.
L’educatore investito dai transfert dei suoi utenti, deve vivere questa relazione in modo empatico,
accentando l’altro senza giudicarlo, e deve essere in grado di comprendere, anticipare, progettare
e proporre quegli stimoli catalizzatori del cambiamento auspicato, perché etimologicamente la

parola educare significa ex ducere ossia tirare fuori quelle componenti che compongono
l’individuo e concorrono al suo benessere, proprio mediante gli strumenti che l’educatore gli
propone.
Altra parola fondamentale per capire di cosa ci stiamo occupando è la parola socio, contrazione di
sociale; in questo contesto si sperimenta l’appartenenza a un gruppo che è quello dei pari e la
relazione asimmetrica con l’adulto che rappresenta “l’autorità”, quindi bisogno vivere e interagire
secondo delle regole comuni condivise proprio come in una piccola società, propedeutico e
funzionale all’altro aspetto importante che è l’integrazione con la realtà circostante.
Nei rapporti sociali instaurati l’individuo evolve, si struttura; la sua auspicata trasformazione da
una condizione all’altra, è attivata e fissata mediante scambi organizzati da forme di controllo e di
regolazione dei vari sistemi. Per esempio se un bambino manifesta generalmente comportamenti
aggressivi verso gli altri, è normale che venga isolato; questo isolamento è una forma di controllo
del sistema, come può esserlo anche la figura dell’educatore che interviene sulle sue dinamiche
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aggressive anche contenendolo fisicamente piuttosto che offrendogli uno spazio in cui questo
bambino possa sfogare la sua aggressività senza coinvolgere altre bambini; così facendo gli si
danno gli strumenti per incanalare le sue energie negative in altre direzioni che non coinvolgono
altri, vivendo in modo più positivo lo stare con gli altri, e il rimando positivo che il gruppo gli
fornisce, rinforzerà la sua autostima.
Inoltre dobbiamo pensare sempre il nostro utente in continuo scambio con altre realtà e contesti,
quali la scuola, la famiglia, la società sportiva, le figure mediche di riferimento e questi scambi
vanno sostenuti e favoriti proprio in nome della finalità principale che è l’autonomia finalizzata al
benessere della persona.

    Le attività del c.s.e

       Le attività sono pensate per utenti con disabilità neuromotorie, disturbo relazionale-
       comportamentale e ritardo mentale medio grave; ogni tipo di attività prevede il rispetto
       dei tempi, dei limiti e delle risorse di ciascun utente e l’adattamento di ogni esperienza ad
       ognuno di loro. Ogni laboratorio deve essere vissuto come momento sereno e gratificante
       dove non viene valutato il risultato finale o la prestazione, ma il percorso che viene fatto e
       il senso di benessere vissuto e gratificazione.
       Si cercherà di formare gruppi il più possibili omogenei per età, disabilità e abilità, in modo
       tale che il gruppo possa evolversi più o meno contemporaneamente.
       Il gruppo è ritenuto indispensabile anche come strumento educativo in quanto in esso si
       instaurano regole e dinamiche ben precise di cui ogni membro deve rendere conto, e dal
       punto di vista cognitivo ogni individuo è un potenziale aiuto per l’apprendimento dell’altro:
       socio costruttivismo Vygoskijano.
        Le attività previste saranno svolte in locali caratterizzati dall’accoglienza, ricreando
       ambienti familiari, di protezione e di contenimento.
       Le attività saranno distribuite nell’arco della settimana, anche più di una
       contemporaneamente e sono:
       per gli utenti che frequentano ancora la scuola ci saranno momenti legati alla didattica in
       cui si eseguiranno i compiti assegnati;

      Per gli utenti che sono seguiti da logopedisti o altre figure professionali esterne al centro ci
       saranno attività indicate e concordate con queste figure in modo tale da proseguire con
       continuità quotidiana il lavoro intrapreso durante le loro sedute settimanali o mensili;
      Tutti gli utenti, con certificato medico di idoneità, potranno partecipare alle attività
       motorie di ippoterapia, corso tenuto da esperta in riabilitazione equestre presso
       l’agriturismo Bonè di Caldana (Va); oppure si terranno corsi di acquaticità nelle piscine
       della provincia con le quali si prenderanno accordi e che magari al loro interno prevedono
       una figura riabilitativa fisiatrica. Sarà un’attività in cui si sfrutterà l’acqua come risorsa per il
       rilassamento muscolare degli utenti che nella maggior parte dei casi sono ipertonici, ma
       anche per instaurare un rapporto di fiducia tra i presenti mediante giochi proposti o
       esercizi suggeriti, perché l’acqua pone ogni individuo in un atteggiamento differente: alcuni
       hanno paura e mostrano diffidenza dell’acqua e di chi gli è vicino per aiutarlo, altri si
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    bloccano nel momento in cui le loro propriocezioni cambiano rispetto a quando sono a
    terra, altri invece si sentono molto liberi; il collaborare in acqua può fare in modo che si
    creino nuove relazioni ed alleanze, e che ognuno di loro prenda maggiore consapevolezza
    del proprio corpo e delle proprie capacità perché sarà un’esperienza che coinvolge tutto il
    corpo. Inoltre è importante anche il momento dello spogliatoio in cui si lavorerà sulle
    autonomie persoli ma non solo; la piscina in quanto luogo pubblico metterà in contatto i
    nostri utenti con le altre persone che faranno un po’ da modello per come ci si comporta
    nei luoghi pubblici.
    Per chi non è idoneo a queste attività, offriamo all’interno del c.s.e. esperienze motorie più
    leggere con musica e semplici attrezzi, si costruiranno percorsi e giochi, perché è ritenuta
    importante una condizione di salute fisica buona.
    Il materiale necessario dovrà essere: corde, cerchi, coni, palle, materassini, bastoni.
   Soprattutto per i neuromotori si organizzeranno attività di stimolazioni basali che
    permetteranno di avere una percezione di tutto il corpo, anche di quei segmenti poco
    vissuti, si lavorerà per un’acquisizione di schemi corporei e motori; si utilizzeranno tutti i
    cinque sensi, unici strumenti per scoprire il mondo che li circonda e vivere esperienze
    divertenti e di benessere. Inoltre si faranno attività di massaggi con creme, oli profumati
    per permettere un maggiore rilassamento muscolare dell’utente, ma sarà anche
    un’ulteriore possibilità di creare un legame più forte con l’educatore, perché proprio con
    questa tipologia di utenza la relazione si instaura maggiormente con il contatto corporeo.
    Sarà necessario avere a disposizione materassi e cuscini dalle diverse forme e consistenze,
    teli colorati, amaca, mezzaluna, palla medica, specchio , candele, creme, oli essenziali,
    materiali sensoriali costituiti da diversi materiali.
   Si organizzeranno momenti di gioco di gruppo strutturati con lo scopo che ognuno di loro
    esca dalla visione egocentrica che possiedono, per condividere con gli altri momenti di
    collaborazione e fiducia nell’altro risolvendo situazioni di problem solving; saranno giochi
    che porteranno al rispetto delle regole, a una maggiore sperimentazione del sé, ad un
    accrescimento della propria autostima come membro del gruppo indispensabile per il
    raggiungimento dell’obiettivo del gioco proposto.
    Ci saranno anche momenti di gioco individuale o non strutturato; dove il bambino-ragazzo
    in modo autonomo scoprirà con curiosità il materiale che compone il suo ambiente,
    inventandosi utilizzi e situazioni di tali strumenti si avrà un arricchimento del pensiero
    simbolico. E’ importante disporre di giochi sensoriali per bambini come costruzioni, pongo

    e paste da modellare, animali in gomma, angoli per il gioco di finzione es. la cucina per le
    bambine, il banco del bricolage per i maschietti, ecc. ecc.
   Ci sarà per i più grandi un laboratorio di informatica perché gli si possa offrire un ulteriore
    strumento di accesso alla società, per cui sono necessarie delle postazioni con pc, mouse e
    tastiere anche speciali se l’utente presenta particolari necessità e software che
    permetteranno di svolgere l’attività programmata;
   Si terranno laboratori artistici: si creeranno contesti in cui l’utente potrà venire a contatto
    con le parti più nascoste di sé,dove potrà sperimentare la sua componente più creativa;
    attraverso attività guidate si lavorerà su emozioni, vissuti e comunicazione, utilizzando ogni
    forma d’arte come strumento catartico per prendere maggiore consapevolezza di sé. Si
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    utilizzeranno colori in tutte le loro forme ( pennarelli, matite colorate, pastelli a cera,
    tempere e pennelli, colori a dita da utilizzare anche con spugne o stencil ecc. ecc.) e
    serviranno anche fogli, cartelloni e tipi diversi di carta (velina, crespa, riso…) proprio per
    sperimentare materiali differenti e utilizzi diversi; anche la musica sarà protagonista perché
    è una forma d’arte che guida i nostri corpi, i movimenti e i pensieri. Necessari verranno
    considerati anche libri di storie perché a partire dalla narrazione di storie si possono
    costruire attività che mettono in gioco la personalità dell’utente.
   Nei periodi più adatti si potrà sperimentare il laboratorio di giardinaggio: l’utente è a
    contatto con la natura e dovrà prendersene cura; attraverso le piante ( o cavallo per chi
    farà ippoterapia) acquisirà quelle capacità di cura che riporterà su se stesso in modo da
    essere più autonomo e attivo, conferendogli un vissuto di benessere. Imparerà a conoscere
    meglio la natura, ad osservarla e a rispettarla; sperimenterà praticamente il concetto
    astratto del tempo che scorre e del susseguirsi delle stagioni. Serviranno per esempio vasi,
    palette, rastrelli, annaffiatoi, terra, semi, piantine ecc. ecc.
   Si organizzeranno uscite sul territorio che permetteranno di conoscere meglio i luoghi della
    zona,si offrirà l’opportunità di instaurare relazioni stabili e significative con luoghi esterni
    alla famiglia e con gli attori che vi incontra; verranno affidati piccoli compiti che nel loro
    assolvimento accresceranno l’autostima dell’utente conferendogli un ruolo in quel
    contesto.
   Per i ragazzi più grandi, con i quali si penserà alla fase successiva al c.s.e. per minori, si
    introdurrà il laboratorio di terapia occupazionale, contesto in cui dovranno costruire, in cui
    dovranno attivamente partecipare alla fase di progettazione- esecuzione di semplici
    manufatti. Non solo i più grandi potranno occuparsi anche di piccoli lavori di manutenzione
    del centro sempre sotto la sorveglianza dell’educatore di riferimento. Quindi verranno
    suddivisi ruoli e mansioni come se si stesse lavorando. Qui l’utente ha la possibilità di
    sperimentarsi maggiormente in modo propedeutico ad un percorso di S.F.A.
    Per cui sono necessari semplici attrezzi di lavoro: viti, chiodi, cacciaviti, martelli, seghetti,
    tavole di legno ecc. ecc.
     L’educatore in questi laboratori deve impostare il lavoro ma lasciare poi libertà e
    autonomia, seguendo il principio di scaffolding di Jerome Bruner: creare le impalcature per
    poi sostenere l’utente qual’ora sarà in difficoltà. L’utente possiede un’area effettiva di
    sviluppo, ossia le competenze acquisite effettivamente ad un certo momento dello
    sviluppo cognitivo; l’educatore potrà intervenire per sviluppare l’area potenziale di
    sviluppo, cioè le competenze potenzialmente acquisibili in un futuro ravvicinato o che potrebbe
    già raggiungere attraverso l'aiuto di una persona esperta.
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      Ulteriori servizi.

       Questo è tutto ciò che il servizio vuole offrire per garantire una condizione di benessere
      dagli utenti e del suo nucleo familiare. Inoltre il servizio può offrire alla famiglia, oltre ai
      periodici incontri per discutere sulla situazione del momento, uno sportello psicologico, per
      un percorso individuale, gestito da una figura competente iscritta all’albo degli psicologi e
      uno supporto alla genitorialità e di mediazione familiare per la coppia.
      Inoltre per garantire continuità ai ragazzi quasi maggiorenni c’è la possibilità di fare un
      passaggio al C.S.E./S.F.A. l’AURORA gestito dalla stessa cooperativa.
      Si terranno periodicamente incontri con le scuole, neuropsichiatria e con ogni tipo di
      servizio che si occupa dello sviluppo del bambino-ragazzo proprio per l’ottica sistemica di
      cui abbiamo parlato precedentemente, e per chi ancora avesse bisogno di interventi
      riabilitativi specifici è possibile indirizzare le famiglie verso le neuropsichiatrie che
      collaborano con il nostro servizio.

Dott.ssa Li Pizzi Elena
Educatrice Professionale presso c.s.e.”L’ AURORA”
Educatrice domiciliare
Educatrice scolastica

Dott. Cattan Davide
Presidente ed Amministratore della Stone soc.coop. sociale
Educatore Professionale
Mediatore Famigliare

Dott.ssa Esposito Emanuela
Dirigente della Stone soc.coop. sociale
Riabilitratrice Psichiatrica
Ippoterapista
Mediatrice Famigliare
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