IL VESTITO DELL'AVVENIRE - Le trame di una moda solidale e sostenibile - QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE - Equo Garantito

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IL VESTITO DELL'AVVENIRE - Le trame di una moda solidale e sostenibile - QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE - Equo Garantito
QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE

     IL VESTITO
DELL’AVVENIRE
   Le trame di una moda
    solidale e sostenibile
                 www.equogarantito.org
IL VESTITO DELL'AVVENIRE - Le trame di una moda solidale e sostenibile - QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE - Equo Garantito
Una pubblicazione di Equo Garantito - Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale
                                    Realizzato con il contributo dell’Unione Europea nell’ambito del progetto “Trade Fair, Live Fair -
                                    Raising Awareness and Mobilizing the European Public to Advance Consumption patterns that
                                    Nurture the Sustainable Development Goals (SDGs) CSO-LA/2016/151103-1/27”.

                                    I contenuti riportati sono responsabilità solo di Equo Garantito e non riflettono necessariamente
                                    la posizione dell’Unione Europea.

(cc) Creative Commons Attribution - Non Commerciale - Non Opere Derivate 4.0 internazionali

Autrici:                   Chiara Spadaro, Elisa Nicoli
Progetto grafico:          Altra Economia Soc. Coop. - www.altreconomia.it
Foto di copertina:         tessitrice di Craft Link Vietnam, foto di AltraQualità

                           Equo Garantito - Assemblea Generale Italiana del Commercio Equo e Solidale - è l’associazione
                           delle organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale .

                           Da 20 anni rappresenta nel Paese, nella società civile, con i media e le istituzioni, le esperienze e
                           la cultura dei suoi Soci: organizzazioni non profit che promuovono i prodotti e i principi di un’e-
                           conomia di giustizia fondata sulla cooperazione e su relazioni paritarie tra i soggetti della filiera.

                           Equo Garantito lavora per:
                           • promuovere il Commercio Equo e Solidale attraverso campagne di sensibilizzazione e informazione;
                           • monitorare le organizzazioni italiane di Commercio Equo e Solidale attraverso un sistema di
                           garanzia che verifica che le attività delle organizzazioni socie siano conformi alla Carta Italiana dei
                           criteri del Commercio Equo e Solidale e agli standard internazionali fissati da WFTO - organizzazione
                           mondiale del Commercio Equo e Solidale;
                           • realizzare attività di formazione ed educazione al consumo responsabile e sostenibile rivolte ai
                           Soci aderenti, ai cittadini, agli studenti, alle aziende;
                           • favorire ed incoraggiare, in collaborazione con istituzioni locali, nazionali ed internazionali, politiche
                           a favore del Commercio Equo e Solidale e per un consumo e una produzione più eque e sostenibili.

                           Ad oggi Equo Garantito raggruppa 70 organizzazioni socie distribuite su tutto il territorio italiano,
                           che impiegano 460 lavoratori e sono animate da 3.500 volontari e più di 25mila soci, in oltre 200
                           Botteghe del Mondo.

                           Info: www.equogarantito.org

QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
IL VESTITO DELL'AVVENIRE - Le trame di una moda solidale e sostenibile - QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE - Equo Garantito
Indice
INTRODUZIONE
Tessere la trama di filiere sostenibili, etiche e dignitose per i lavoratori                            4

1. “WHO MADE OUR CLOTHES?” LA CAMPAGNA FASHION REVOLUTION 6
  1.1   “Gli abiti più sostenibili sono quelli già presenti nel nostro guardaroba”.                     6
		      Intervista a Carry Somers, co-fondatrice di Fashion Revolution
		      Scheda. Il “Fashion Transparency Index”. Perché abbiamo bisogno di trasparenza                  9
  1.2   Fashion Revolution in Italia. Intervista a Marina Spadafora                                     11

2. ABITI PULITI: I DIRITTI UMANI E DEI LAVORATORI                                                       12
  2.1 La trasparenza                                                                                    12
  2.2. Il salario dignitoso                                                                             13
  2.3 Urgent appeal: i casi Uniqlo e Ali Enterprises                                                    14
		     Scheda. “Industria tessile: i diritti negati nelle fabbriche dell’India”                         16

3. L’IMPATTO AMBIENTALE DELLE FILIERE TESSILI                                                           17
  3.1   I tessuti                                                                                       17
  3.2   L’inquinamento da prodotti chimici                                                              17
		      Scheda. Il cotone: l’impatto della coltivazione delle materie prime                             18
  3.3   Dal “fast fashion” allo “slow fashion”                                                          18
  3.4   L’inquinamento da microfibre                                                                    19
  3.5   “Today’s trends are tomorrow’s trash”, ovvero: il fine vita del tessile                         19
  3.6   Possibili soluzioni                                                                             19
		      Le certificazioni del tessile                                                                   19
		      I produttori ecologicamente consapevoli                                                         20

4. FARE MODA IN MODO DIVERSO                                                                            22
   CON IL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
  4.1   I criteri                                                                                       22
  4.2   Perché acquistare in una Bottega del Commercio Equo e Solidale                                  24
  4.3   I protagonisti delle filiere in Italia                                                          25
  4.4   La mappa dei produttori                                                                         28
		      Scheda. Progetto Quid                                                                           29

CONCLUSIONI
Come diventare un rivoluzionario della moda. Una piccola guida                                          30

                                                                           QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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    Introduzione
    Tessere la trama di filiere
    sostenibili, etiche e dignitose
    per i lavoratori
                                                                                                        I sarti si prevede
                                                                                                 che lo consiglieranno.
                                                                                              Chiederanno al governo
                                                                                              qualche decreto drastico
                                                                                               contro il vestito elastico
                                                                                                     che dura in eterno.
                                                                                                Con o senza permesso,
                                                                                                 io lo invento lo stesso.

                                                                             Gianni Rodari, Il vestito dell’avvenire

    Come si possono garantire migliori condizioni di lavoro lungo tutta la filiera tessile, dalla distribuzione dei capi
    alla coltivazione, ad esempio, del cotone? Quali sono i rapporti di forza all’interno di questa filiera e quali i ruoli e
    le responsabilità di ciascun attore, dai lavoratori ai consumatori? E qual è il ruolo del Commercio Equo e Solidale
    nell’industria dell’abbigliamento?
    Sono le domande da cui è partito Patrick Veillard, Fair Trade policy advisor di Oxfam-Magasins du Monde (oxfam-
    magasinsdumonde.be), per fare un’analisi dell’impatto del Commercio Equo e Solidale sulla sostenibilità delle
    filiere tessili, che ha riportato nel report “Fair Trade textile and Decent Work” (2018). All’inizio, Veillard si interroga
    provocatoriamente sulla “necessità” di disastri tragici come quello avvenuto nel 2013 nella fabbrica del Rana Plaza,
    in Bangladesh, per poter risvegliare le coscienze e generare risposte capaci di regolamentare meglio il settore tes-
    sile, tutelando in primis i lavoratori; quindi, l’autore si concentra sulle iniziative volte a ridurre gli impatti negativi
    del mondo della moda, verso filiere più sostenibili.

    In questo scenario, il Commercio Equo e Solidale gioca un ruolo fondamentale nella costruzione di alternative
    etiche e sostenibili, attente ai bisogni dei lavoratori e sensibili a una riduzione dell’impatto ambientale. Il Com-
    mercio Equo e Solidale è infatti “una partnership economica, basata sul dialogo, sulla trasparenza e sul rispetto che
    cerca maggiore equità nel commercio internazionale. Contribuisce ad uno sviluppo sostenibile offrendo migliori
    condizioni commerciali e ne assicura i diritti, ai produttori e lavoratori marginalizzati, soprattutto nel Sud del
    mondo”, come si legge nella Carta internazionale del Commercio Equo e Solidale promossa dalla World Fair Trade
    Organization (WFTO, wfto.com) e da Fairtrade International (fairtrade.net).
    “Le organizzazioni del Commercio Equo e Solidale, supportate dai consumatori, sono impegnate attivamente nel
    sostenere i produttori, sensibilizzare e realizzare campagne per cambiare le regole e le pratiche del commercio
    internazionale convenzionale”. Ed è così anche per il settore tessile.

    Il sistema di garanzia di WFTO - come spiega Patrick Veillard nel report “Fair Trade textile and Decent Work” - è
    “generico, cioè può essere adattato a qualsiasi tipo di prodotto (artigianato, tessile, cosmetica, ecc.), in quanto si
    basa sulle pratiche delle organizzazioni e sui principi generali della WFTO”. Si tratta di criteri “molto elaborati”,

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che “permettono ai membri di migliorare continuamente” e rivolti per lo più ad organizzazioni “di piccole dimen-
sioni, storicamente e filosoficamente coinvolte nel Commercio Equo e Solidale (...), il che assicura una forma di
legittimità e di garanzia rispetto alla qualità sociale dei prodotti”.
Il monitoraggio è fondato su “un mix di valutazioni interne ed esterne: rapporti di autovalutazione, audit esterni,
visite e valutazioni da parte di altri membri di WFTO, e un meccanismo di supervisione”, ed è un sistema di garanzia
basato sull’etichettatura dei prodotti, “che permette ai venditori e ai partner di comunicare meglio il loro impegno
nel Commercio Equo e Solidale”.

Tra i marchi di moda del Commercio Equo e Solidale che Veillard cita nel report e che approfondiremo meglio nelle
pagine di questo quaderno, ci sono “People Tree” nel Regno Unito e in Giappone (peopletree.co.uk); Altromercato,
con la collezione “On Earth” (altromercato.it), e AltraQualità con “Trame di storie” (altraq.it), in Italia; EZA in Au-
stria, con la collezione “Anukoo” (anukoo.com); Oxfam Intermón in Spagna, con “Veraluna” (oxfamintermon.org).
La maggior parte delle organizzazioni di produttori di questo settore sono “di dimensioni molto piccole, con alcuni
vantaggi in termini di partecipazione e responsabilizzazione dei lavoratori, la garanzia di migliori condizioni di
lavoro e l’assenza di subappalti”, sottolinea Patrick Veillard. Ma i bassi volumi prodotti rendono i costi di produ-
zione notevolmente superiori alla media del settore, con un forte impatto sui prezzi finali e quindi sulle vendite.
“Una conseguenza di ciò è che le organizzazioni dipendono spesso da un numero limitato di acquirenti di nicchia
del Commercio Equo e Solidale, la cui redditività finanziaria non è garantita”.
Allo stesso modo, infatti, all’altro capo della filiera, i marchi “occidentali” di WFTO sono di solito di dimensioni
molto limitate, ma anche molto reattive e innovative, “all’avanguardia nella gestione delle forniture, nei rapporti
con i fornitori e nella qualità dei prodotti, in particolare sociale”, scrive Veillard. Tuttavia, il numero di marchi
di moda del Commercio Equo e Solidale resta piccolo, “limitando così la possibilità di soddisfare le richieste dei
consumatori che desiderano vestirsi in modo diverso”.

Nelle prossime pagine approfondiamo questi temi, facendo un aggiornamento del quaderno pubblicato da Equo
Garantito nel 2015: “Tessile, il filo rosso. L’industria della moda tra diritti e business”. In questa nuova pubblicazione,
curata alla fine del 2019, abbiamo anche dato ampio spazio a un altro tema ormai imprescindibile quando parliamo
di equità e sviluppo sostenibile: l’attenzione all’impatto ambientale delle filiere tessili e la ricerca di alternative che
non pesano sul Pianeta. Sono sempre di più, infatti, le produzioni che usano materiali ecologici e fibre naturali, e
cresce l’attenzione verso il fine vita di questi materiali e la possibilità di riciclarli, scambiarli, rigenerarli nell’ottica
di un’economia circolare, con minori scarti possibili.

Come scriveva nel report del 2015 David Cambioli (AltraQualità), “indossare un abito è una necessità e allo stesso
tempo un modo di esprimersi, di comunicare qualcosa relativamente a se stessi e al proprio modo di essere. Un
gesto quotidiano dunque, per tutti gli abitanti del pianeta e proprio per questo di estremo interesse per tutti coloro
che si occupano di vestirci”. Ma con implicazioni enormi, se è vero che l’industria dell’abbigliamento genera un
forte sfruttamento della manodopera ed elevati tassi di inquinamento lungo tutta la catena produttiva. Sta a noi
consumatori, insieme alle associazioni di produttori e alle organizzazioni di Commercio Equo e Solidale, tessere
la trama di filiere sostenibili, etiche e dignitose per i lavoratori.

                                                                                    QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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    1. “Who made our clothes?”
    La campagna Fashion Revolution

    Il 24 aprile 2013 sarà sempre ricordato come il giorno del             creazione dei cappelli Panama “Pachacuti” è mappata: dalle
    drammatico crollo dell’edificio Rana Plaza in Bangladesh,              piantagioni comunitarie dove cresce la paglia alla casa di ogni
    una fabbrica dedicata alla produzione di abbigliamento a               tessitore di copricapi, valorizzando le tradizioni, la qualità e
    basso costo destinato ai mercati occidentali. Sono stati 1.138         la maestria artigianale delle Ande. Nel 2019 “Lyst” ha incluso
    i morti, principalmente giovani donne, e 2.500 i feriti: uno dei       Carry Somers (nella foto in basso)- insieme a Orsola de Castro,
    più gravi disastri industriali della storia. La “Fashion Revolution”   con cui ha fondato Fashion Revolution - tra le otto “icone
    è nata quel giorno, per fondare un movimento globale capace            sostenibili” che stanno rivoluzionando il mondo della moda,
    di costruire una visione critica del mondo della moda.                 promuovendo una transizione etica di questo settore (lyst.com/
                                                                           news/sustainable-ethical-fashion). L’abbiamo intervistata.
    “Vogliamo che i nostri vestiti ci facciano sentire orgogliosi”,
    scrive Fashion Revolution nel dossier “How to be a Fashion                Carry Somers, quante persone coinvolge oggi Fashion
    Revolutionary” - curato nel 2018 insieme al British Council               Revolution?
    e liberamente scaricabile dal sito fashionrevolution.org -, al         CS Fashion Revolution è il più grande movimento di attivismo
    quale ci siamo ispirate per i contenuti di queste pagine.              della moda al mondo, con gruppi in azione in oltre 100 Paesi in
    “Non vogliamo sentirci in colpa per il fatto che i nostri vestiti      tutto il globo. Ogni anno, milioni di persone partecipano alle
    sono stati fatti da operaie e operai che non sono pagati abba-         nostre campagne e nell’aprile 2018 ci sono stati 1.800 eventi
    stanza per poter mandare i loro figli a scuola, o che vivono nel       in 60 Paesi in occasione della “Fashion Revolution Week”, la
    timore di ritorsioni se si uniscono a un sindacato per difendere       settimana dedicata alla moda etica, equa e sostenibile.
    i loro diritti. Non vogliamo che il cotone delle nostre camicie
    sia stato coltivato con pesticidi che avvelenano la terra e i                                                                 Carry Somers,
                                                                                                             Co-fondatrice di Fashion Revolution
    contadini”.

    Una delle reazioni alla strage del Rana Plaza è stata quindi quel-
    la di “ripensare completamente il contenuto dei nostri armadi”,
    a partire da una domanda semplice solo in apparenza: “Chi ha
    fatto i miei vestiti?”. Ne è nata una campagna internazionale e
    collettiva, diventata virale con lo slogan #whomademyclothes,
    che dal 2013 ha raggiunto diversi risultati.

    1.1 “GLI ABITI PIÙ SOSTENIBILI SONO
    QUELLI GIÀ PRESENTI NEL NOSTRO
    GUARDAROBA”. INTERVISTA A CARRY
    SOMERS, CO-FONDATRICE DI FASHION
    REVOLUTION
    “Pachacuti” (panamas.co.uk), il marchio di moda ideato dalla
    fashion designer inglese Carry Somers, co-fondatrice di Fashion
                                                                                                                                                   en.wikipedia.org

    Revolution, 20 anni fa è stato tra i pionieri della trasparenza
    lungo tutta la filiera produttiva. Ogni fase del processo di

    QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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   Quali sono gli obiettivi raggiunti finora da Fashion
   Revolution?
CS Sosteniamo una maggiore responsabilità sociale e ambien-
tale nella filiera della moda, con particolare attenzione alla
trasparenza. La quarta edizione del “Fashion Transparency
Index” (vedi scheda a p. 9, ndr), pubblicato nell’aprile 2019,
analizza 200 tra i più grandi marchi e rivenditori di moda del
mondo sulla base della loro trasparenza. Il 2019 è stato il primo
anno in cui i marchi hanno ottenuto un punteggio superiore al
60%, a dimostrazione del fatto che stanno adottando misure
concrete e tangibili per incidere di più sulle loro politiche,
pratiche e sul loro impatto sociale e ambientale. I dati raccolti

                                                                                                                                                https://www.fashionrevolution.org
mostrano un netto miglioramento rispetto al 2017, quando
nessun marchio aveva ottenuto più del 50% del punteggio. In
termini di tracciabilità, 70 marchi hanno pubblicato quest’anno
un elenco dei loro primi produttori, dove i capi sono tagliati,
                                                                                                         Fanzine 04: Fashion Craft Revolution
cuciti e confezionati; erano solo il 12,5% nel 2016. È il risultato
delle pressioni che abbiamo fatto, insieme ad altre organizza-
zioni, sulle aziende e rappresenta un significativo risultato in      rency Index” è stato uno strumento utile per aprire un dialogo
termini di crescita della trasparenza delle filiere tessili.          con i principali marchi e rivenditori di moda del mondo su ciò
                                                                      che possono fare per essere più trasparenti.
   Carry, oggi quali sono le campagne in corso a livello              Sul piano culturale, invece, Fashion Revolution sta lavorando
   internazionale?                                                    per cambiare il comportamento dei consumatori. Negli ultimi
CS Abbiamo bisogno di cambiamenti sistemici di vasta portata          decenni, abbiamo assistito a un ciclo di crescita accelerata del
per affrontare la povertà, la disuguaglianza economica e di           settore della moda che sta mettendo indebitamente sotto
genere, il cambiamento climatico e il degrado ambientale.             pressione le nostre risorse planetarie e le persone coinvolte
Questo cambiamento deve avvenire su tre livelli: istituzionale,       in questa filiera, dalla produzione fino allo smaltimento delle
industriale e culturale.                                              eccedenze. In generale, la nostra azione è volta a sensibilizzare
Una maggiore regolamentazione istituzionale è sicuramente             e incoraggiare le persone a cercare dei modi diversi di rifornire i
la chiave per livellare le condizioni e far muovere i ritardata-      propri guardaroba, senza acquistare capi nuovi, ma sperimen-
ri. La due diligence (ovvero la “diligenza dovuta”, un’attività       tando ad esempio il riuso e lo scambio di abiti, il noleggio o la
di approfondimento di dati e informazioni sull’oggetto di             personalizzazione di indumenti vintage. Gli abiti più sostenibili,
una trattativa) e le relazioni richieste per legge stanno già         infatti, sono quelli già presenti nel nostro guardaroba. Per
iniziando a concretizzarsi in Francia e Svizzera, e sono oggi         farlo capire, organizziamo periodicamente dei corsi online,
discusse anche a livello europeo. Il “California Transparency         diffondiamo materiali gratuiti utili a cittadini e formatori, e
in Supply Chains Act” (disponibile sul sito oag.ca.gov/SB657,         realizziamo una fanzine. C’è una sensibilità crescente su questi
ndr) e il “Modern Slavery Act” (2015) del Regno Unito hanno           temi, come dimostra il sempre maggior numero di persone
entrambi contribuito a obbligare i marchi nel rendere pubbli-         che si uniscono a Fashion Revolution.
che le informazioni sulle attività delle loro filiere. Sempre nel
Regno Unito, recentemente abbiamo collaborato con “Trai-                 Quali sono i temi emergenti e le urgenze su cui vi
dcraft Exchange” (traidcraftexchange.org) su una petizione per           concentrerete nel 2020?
chiedere al Governo di creare un database di aziende tenute           CS Una delle nostre aree di interesse saranno gli impatti ancora
a pubblicare moderne dichiarazioni di schiavitù e abbiamo             “invisibili” dell’industria della moda: ad esempio, la moderna
anche contribuito alla recente indagine dell’“Environmental           schiavitù e il lavoro forzato, ma anche le microfibre e le sostanze
Audit Committee” sulla sostenibilità dell’industria della moda.       chimiche tossiche presenti nei nostri abiti. A livello personale,
A livello globale, siamo al secondo anno di sperimentazione           sono entusiasta di essere stata selezionata per partecipare a
di un toolkit a favore del dialogo politico su questi temi, in        “eXXpedition Round the World” (exxpedition.com), una circum-
collaborazione con il British Council, che quest’anno si svolgerà     navigazione del globo di due anni con un equipaggio tutto al
in Kenya e in Ruanda.                                                 femminile, con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza degli
In secondo luogo, sul piano industriale, il “Fashion Transpa-         impatti devastanti sull’ambiente e sulla salute delle plastiche

                                                                                               QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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    monouso e delle sostanze tossiche negli oceani. I tessuti sono
    una delle principali fonti di microplastiche: rappresentano oltre
    un terzo dell’inquinamento microplastico globale. Da febbraio
    a marzo 2020 navigherò dalle Galapagos all’Isola di Pasqua per
    circa 2.000 miglia verso il South Pacific Gyre, contribuendo a
    condurre esperimenti innovativi a bordo per misurare i livelli e
    i tipi di plastiche nelle acque superficiali, nelle colonne d’acqua
    e nei sedimenti, al fine di creare un database globale che sarà
    utilizzato dai ricercatori di tutto il mondo. Contribuirò anche a
    svelare come siamo entrati in questo pasticcio e come possiamo
    contribuire a spostare la nostra mentalità verso un futuro più
    sostenibile ed equilibrato, che incoraggi la transizione verso
    un sistema rigenerativo.

                                                                                                                                                                    @Heather Knight
       Che messaggio vorresti dare ai giovani di “Fridays For
       Future” sulla moda etica?
    CS Considerando la necessità di agire con urgenza sul cam-
    biamento climatico e guardando alle comunicazioni sempre
    più diffuse dei grandi marchi sui loro impegni per ridurre
    l’impatto ambientale, dobbiamo sempre chiederci: stanno               parte del cambiamento nel mondo della moda, ad esempio
    facendo abbastanza? Per molti aspetti, infatti, i principali          limitando i nostri consumi, comprando meno e meglio. Ma
    marchi di moda hanno svolto un ruolo chiave nell’accelerare il        anche facendo pressione verso le aziende produttrici, affinché
    riscaldamento globale e sono responsabili di ripetute violazioni      riducano il loro impatto ambientale. Sul tema del consumo
    dei diritti umani che persistono nelle catene di fornitura glo-       di massa, dei rifiuti tessili, del riciclo e della moda circolare
    bale. I grandi marchi di moda hanno l’imperativo morale, ma           abbiamo pubblicato nel 2018 la fanzine “Loved Clothes Last”:
    anche la capacità, di attuare un cambiamento su scala globale,        una vera dichiarazione d’amore verso quei vestiti che durano
    e questo li mette in una posizione di potere. Noi dobbiamo            una vita. La trovate sul nostro sito.
    accelerare il ritmo di questo loro cambiamento. Nell’esta-
    te 2019 abbiamo pubblicato le nostre “Climate Emergency               Tutte le fanzine di Fashion Revolution si possono scaricare dalla library
    Measures”, delle risorse che mettiamo a disposizione per essere       online: fashionrevolution.org/fashion-revolution-fanzine-library.

                                                                                                                                                      Eleanor Church Lark Rise Pictures - exxpedition.com/news/download-press-pack/

     Plastica recuperata in mare durante
     una delle traversate della nave di exxpedition.com

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Il “Fashion Transparency Index”. Perché abbiamo bisogno di trasparenza

Per arrivare a una conoscenza profonda delle filiere produttive, del trattamento dei lavoratori del tessile e
dell’impatto ambientale delle produzioni, Fashion Revolution pubblica dal 2016 il “Fashion Transparency Index”.
L’edizione 2019 (disponibile sul sito fashionrevolution.org/about/transparency) ha esaminato e classificato 200
tra i più grandi marchi e rivenditori di moda e abbigliamento, sulla base delle informazioni che hanno divulgato
sui loro fornitori, sulle politiche e pratiche delle filiere e sull’impatto sociale e ambientale dei prodotti.
Il “Fashion Transparency Index” utilizza una metodologia di rating per valutare la divulgazione pubblica delle
informazioni da parte dei marchi in cinque aree: politiche e impegni, governance, tracciabilità della catena
di fornitura, valutazione e risanamento dei fornitori, e nuove “questioni di rilievo” che riguardano la parità di
genere, il lavoro dignitoso, l’azione per il clima e il consumo e la produzione responsabili.
La metodologia si concentra esclusivamente sulla divulgazione al pubblico delle informazioni sulla catena
di approvvigionamento. Pertanto, la ponderazione dei punteggi è intesa a sottolineare i crescenti livelli di
divulgazione dettagliata. Quando il punteggio di un singolo indicatore è zero, non significa necessariamente
qualcosa di male, ma solo che l’azienda non ha rivelato pubblicamente i propri impegni. Inoltre, l’indice non valuta
le performance etiche o di sostenibilità dei marchi, ma la trasparenza, ovvero quante informazioni divulgano
sui diritti umani, le politiche, le pratiche e l’impatto ambientale.

LE CINQUE AREE DI RATING DELLA TRASPARENZA NEL “FASHION TRANSPARENCY INDEX” 2019

  1                                 2                         3                           4                            5
Politiche & impegni              Governance (Gestione)      Tracciabilità               Valutazione                  Questioni di rilievo
                                                                                        dei fornitori

• Quali sono le politiche        • C’è coscienza a          • Il marchio pubblica una   • Come verifica              • Cosa sta facendo il
ambientali e sociali del         livello del consiglio      lista dei suoi fornitori,   l’applicazione delle sue     marchio per affrontare
marchio?                         di amministrazione         dal livello delle materie   politiche sui fornitori?     le problematiche
                                 dell’impatto sociale       prime a quello della                                     della parità di genere
• Come sta mettendo in           ed ambientale              lavorazione?                • Come risolve gli           e dell’empowerment
pratica le sue politiche?        del marchio?                                           eventuali problemi           femminile?
                                                            • Se sì, quanti dettagli    trovati negli stabilimenti
• Come decide a quali            • È possibile contattare   condividono?                dei fornitori?               • Cosa sta facendo per
tematiche dare priorità?         un dipartimento                                                                     supportare la libertà
                                 specifico o una singola                                • I risultati delle          di associazione e il
• Quali sono i suoi              persona senza difficoltà                               valutazioni vengono          pagamento dei living
obiettivi futuri per             per porre                                              divulgati?                   wages (salari dignitosi)?
migliorare il suo                delle domande?
impatto?                                                                                • Come possono essere        • Cosa sta facendo
                                 • Come collega i diritti                               segnalati reclami da         per ridurre lo spreco
                                 umani e i problemi                                     parte dei lavoratori?        e favorire il riciclo,
                                 ambientali alla                                                                     per contrastare il
                                 performance dei suoi                                                                cambiamento climatico
                                 dipendenti e dei suoi                                                               e promuovere una
                                 fornitori?                                                                          produzione sostenibile?

  I MARCHI CHE PUBBLICANO                                      Inoltre, considerando che le donne rappresentano circa il 75%
  L’ELENCO DEI FORNITORI                                       delle persone che lavorano nell’industria della moda, dalla
  Produttori di primo livello                                  fabbrica al negozio, stupisce il silenzio generalizzato dei marchi
                                                               sui loro sforzi per raggiungere la parità di genere.
  2017                       32%
                                                               Poco più di un terzo dei marchi sostiene progetti di empowerment
                                                               femminile; solo tre marchi hanno diffuso dati sulla violenza
  2018                                  55%
                                                               di genere nelle strutture dei fornitori. Il 63% dei marchi ha
  2019                                           70%           pubblicato politiche sulla parità retributiva, ma solo il 33,5%
                                                               ha diffuso il divario retributivo annuale di genere all’interno
  Tratto da “Fashion Transparency Index” 2019                  dell’azienda.

                                                                                                         QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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                                                                                                            Il 2019 è il primo anno in cui 5, tra marchi e
                        QUANTO SONO TRASPARENTI I 200 PIÙ GRANDI                                            rivenditori, hanno un punteggio superiore
                        FASHION BRANDS MONDIALI?                                                            al 60%. Il punteggio medio è 21%.
                   10 brands
                                                                                                            Infatti, mentre alcuni marchi cominciano
                                          Punteggio
                (5%) punteggio
                     0% nel                 medio
                                                                                              Non un solo
                                                                                                brand       a rivelare maggiori informazioni sulle loro
                      2019                  è 53 su                                             supera
                                          250 (21%).
                                                                             Solo 5
                                                                                                il 70%      politiche, sulle loro pratiche e sull’ impatto
                                                                        brands hanno
                  60
                                                                         un punteggio                       sociale ed ambientale del loro lavoro, ci
                                                                        più alto di oltre
            Numero di brands

                  40
                                                                             il 60%                         sono ancora troppi ritardatari.
                                                                                                            Da un punto di vista ambientale (tema
                  20                                                                                        che approfondiamo meglio nel capitolo
                                                                                                            3), l’industria globale dell’abbigliamento
                        0     1-10 11-20 21-30 31-40 41-50 51-60 61-70                   71-80 81-90 91-100 e delle calzature rappresenta l’8% delle
                                                     Punteggio finale (%)                                   emissioni mondiali di gas serra, quasi
                                                                                     TRASPARENZA            quanto le emissioni totali dell’Europa.
                                                                                                            Se questa tendenza dovesse continuare,
                Tratto da “Fashion Transparency Index” 2019
                                                                                                            l’impatto climatico della moda aumenterà
                                                                                                            del 49% entro il 2030.
            Il 55% dei 200 marchi del “Fashion Transparency Index 2019” ha pubblicato l’impronta annuale di carbonio
            nei propri siti aziendali, anche se solo il 19,5% ha divulgato le emissioni di carbonio della propria catena di
            approvvigionamento, dove si verifica oltre il 50% delle emissioni. Mentre il 43% dei marchi ha pubblicato
            una strategia o una tabella di marcia per la conversione verso materiali sostenibili, solo il 29% ha divulgato la
            percentuale dei propri prodotti realizzati con tali materiali. Inoltre, solo il 26,5% dei marchi ha spiegato quello
            che sta facendo per ridurre l’eccedenza di produzione e i rifiuti tessili; il 23,5% offre ai propri clienti sistemi di
            riciclaggio in negozio o online, e solo il 26% spiega come stanno investendo in forme di economia circolare per
            ridurre gli scarti. È da notare che il 54% ha diffuso i propri obiettivi per ridurre l’impronta ambientale, ma solo
            il 40% ne ha diffusi sui diritti umani.

                                                                                                       Rispetto alle pratiche d’acquisto, solo 6 dei
                           PRATICHE DI ACQUISTO DELL’AZIENDA                                           200 marchi indica un metodo per isolare e
                                                                                                       calcolare il costo del lavoro nel processo di
                                                                                                       negoziazione dei prezzi con i fornitori. 13
                                                                                                       marchi (il 6,5%) indicano una politica di
                                                                                                       pagamento dei fornitori entro un massimo
                                       3%                                       6,5%                   di 60 giorni. Solo quattro hanno pubblicato
                                                                                                       la percentuale dei pagamenti dei fornitori
                                                                                                       effettuati puntualmente, secondo
                                                                                                       quanto concordato. “Dato che i grandi
                                                                                                       marchi si aspettano fiducia e trasparenza
                         Rivela un metodo per                           Pubblica la propria politica
                         isolare il costo del lavoro                    di pagamento dei fornitori     dai fornitori, anche loro dovrebbero
                         nelle trattative sui prezzi                    entro 60 giorni                condividere pubblicamente maggiori
                         con i fornitori                                                               informazioni sui propri impegni per essere
                                                                                                       dei partner commerciali responsabili”,
                          Tratto da “Fashion Transparency Index” 2019                                  sottolinea Fashion Revolution.

     QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
11

1.2 FASHION REVOLUTION IN ITALIA.                                                         Marina Spadafora
INTERVISTA A MARINA SPADAFORA                                                         durante la premiazione
                                                                                                  del Woman
“Scegliere cosa acquistiamo ci aiuta a creare il mondo che                                  Togheter Award
vogliamo: ognuno di noi ha il potere di cambiare le cose
per il meglio e ogni momento è buono per iniziare a farlo”.
La stilista Marina Spadafora, coordinatrice in Italia della
campagna Fashion Revolution, è convinta che il cam-
biamento possa partire dalla nostra sensibilità verso il
Pianeta.

   Marina Spadafora, cosa significa per lei “Fashion
   Revolution”?
MS Significa prendere coscienza di ciò che significa acqui-
stare un capo d’abbigliamento, per costruire un futuro più
etico e sostenibile per l’industria della moda, nel rispetto
delle persone e dell’ambiente.

   Per fare questo, lei punta sulla prospettiva dell’e-
   conomia circolare.
MS Esatto. Da un lato è necessario arrivare a una riduzione
della produzione; dall’altro, dobbiamo riuscire a rivaloriz-
zare in modi nuovi gli scarti che comunque restano, attra-
verso forme di economia circolare. Esistono, infatti, due
tipi di circolarità: la prima è quella dei materiali naturali. Se
utilizziamo le fibre naturali nella produzione dei capi - per
esempio cotone, lino, canapa, eucalipto, bamboo... e molte
altre -, alla fine del loro ciclo di vita avremo molti meno
problemi nello smaltimento, perché questi tessuti sono
naturalmente dei nutrienti per la Terra. Ma, ad esempio,
il cotone biologico è solo l’1% della produzione mondiale
di cotone. Abbiamo molta strada da fare.

   E qual è l’altro tipo di circolarità a cui fa riferi-
   mento?
MS Quella che prevede, alla fine dell’uso di un capo, la
possibilità di dividerne le diverse componenti e fibre, e
riciclarlo correttamente per generare da questi materiali
di scarto un nuovo prodotto. Si tratta di una sensibilità
e un’attenzione che dobbiamo diffondere tra gli stilisti
e i produttori, ma anche tra i consumatori, mettendo al
centro i giovani per costruire un futuro migliore anche
nel campo della moda.

Marina Spadafora è stata insignita nel 2015 - quando era
direttrice creativa di “Auteurs du Monde”, la linea di moda
etica di Altromercato - del prestigioso “Women Together
Award” (womentogether.org), proprio per il suo impegno
per una moda sostenibile ed etica.

                                                                    QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
12

     2. Abiti Puliti: i diritti umani
     e dei lavoratori

     La Campagna Abiti Puliti (abitipuliti.org) è la sezione italiana             La campagna #GoTransparent ha prodotto nel 2017 il report
     della “Clean Clothes Campaign” (CCC, cleanclothes.org), una                  “Follow the thread” - in italiano: “Segui il filo. L’esigenza di
     rete di più 250 partner in 17 paesi europei che collabora anche              trasparenza della catena di fornitura nell’industria dell’ab-
     con le organizzazioni di diritti del lavoro in Canada, Stati Uniti           bigliamento e delle calzature” (disponibile in inglese sul sito
     e Australia per arrivare a un miglioramento delle condizioni di              cleanclothes.org) -, con cui la CCC, insieme a 8 Ong e alle fe-
     lavoro e al rafforzamento dei diritti dei lavoratori dell’industria          derazioni sindacali, sottolinea l’importanza della trasparenza
     della moda globale. La trasparenza e il salario dignitoso sono               della catena di approvvigionamento e riassume le risposte di
     oggi i due filoni principali di intervento di Abiti Puliti, come             oltre 70 aziende.
     racconta Francesco Verdolino della Campagna italiana. “Due                   Per sostenere una maggiore trasparenza delle ditte produt-
     ambiti che spesso si intersecano, ma che possiamo affrontare                 trici, la Clean Clothes Campaign sta predisponendo un nuovo
     anche singolarmente”, spiega.                                                strumento che sarà pronto nel 2020: il “Transparency Tool”.

                                                                  LA CATENA DI APPROVVIGIONAMENTO
     2.1 LA TRASPARENZA                                           DELL’INDUSTRIA DELL’ABBIGLIAMENTO GLOBALE
     Se leggiamo l’etichetta di una maglietta, possiamo             Coltivazione, sgranatura, commercio
     trovare scritto - ad esempio - “Made in China”.                                                                        1. Le imprese di sgranatura ricevono
                                                                                                                            il cotone da molti coltivatori e lo ven-
     “Ma in quale delle migliaia di fabbriche del Paese                                                                     dono al mercato globale attraverso
     è stata realizzata? Quali erano le condizioni di la-                                                                   i trader.

     voro dei lavoratori, soprattutto donne, in queste                                                             Filatura, tessitura, tintura
     fabbriche?” Sono queste le domande alle quali la                2. I filatori usano cotone di diverse
     Clean Clothes Campaign vuole rispondere quando                  origini per produrre il filato; gli sta-
                                                                     bilimenti tessili producono la stoffa
     parla di trasparenza.
     “L’impegno per una maggiore trasparenza nella
                                                                     IL MARCHIO ORDINA I SUOI CAPI
     propria catena di fornitura rende possibile all’a-
     zienda di collaborare con le società civile nell’i-            Taglio, cucitura, rifinitura                            Ricamo, stampa, lavaggio

     dentificare, valutare ed evitare potenziali o reali                                        3a. La fabbrica CMT (dall’inglese
                                                                                                cut-make-trim, “taglia-fai-rifinisci”)
     impatti negativi per i diritti umani”, spiega Fran-                                        realizza i capi.
                                                                                                3b. La fabbrica CMT che non ha
     cesco Verdolino.                                                                           le capacità interne per processi
                                                                                                più piccoli, li subappalta
     In inglese si chiama transparency pledge: la Clean                                         ad un’altra struttura, che poi
                                                                                                rispedisce i capi alla fabbrica CMT.
     Clothes Campaign chiede alle aziende di pubbli-
     care a scadenze regolari sul proprio sito una lista                                                                Immagazzinamento, spedizione

     di tutti i siti produttivi dove vengono realizzati i             4. La fabbrica CMT spedisce i capi all’in-
                                                                      grosso al marchio che ha commissionato
     capi, seguendo queste voci:                                      l’ordine.
         • nome completo di tutte le unità di produzione
           e degli impianti di trasformazione autorizzati;                                                              Vendita

         • indirizzi dei siti produttivi;                                                                               5. Il marchio rivende
                                                                                                                                                                       Clean Clothes Campaign

                                                                                                                        i capi globalmente, in negozi
         • società madre dell’azienda in quel sito;                                                                     al dettaglio e online.
         • tipologie di prodotti realizzati;
         • numero di lavoratori per ogni sito produttivo.

     QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
13

“È una piattaforma online in cui per ciascun marchio saranno                       l’istruzione; e infine, mettere da parte una piccola somma per
pubblicate delle informazioni legate alla trasparenza, dalla                       le spese impreviste. Come spiega Francesco Verdolino, “c’è
filiera alle buste paga, su scala internazionale e multilingue -                   una corrispondenza con il tema della trasparenza: il salario
spiega Francesco Verdolino -. Per raccogliere questi dati stiamo                   equo, infatti, è uno degli aspetti della trasparenza. In questo
incrociando le informazioni da database già esistenti, facendo                     senso, uno dei nostri obiettivi è garantire il salario dignitoso ai
delle interviste direttamente ai lavoratori e distribuendo un                      lavoratori delle fabbriche dove i marchi si riforniscono”.
questionario alle aziende”. Si tratta di una mole importante di                    Nel report “Salari su misura 2019. Lo stato delle retribuzioni
dati, che sarà anche sintetizzata in un report su scala interna-                   nell’industria globale dell’abbigliamento” (consultabile in italia-
zionale dedicato alla trasparenza, oltre che in singole schede                     no e inglese dal sito abitipuliti.org), la Clean Clothes Campaign
sui marchi di moda: materiali che saranno disponibili online                       ha dimostrato come i principali marchi dell’abbigliamento non
per attivisti, formatori, consumatori e istituzioni che vogliano                   riescano ancora a mantenere l’impegno del salario vivibile (in
approfondire il tema, sensibilizzare i cittadini e promuovere                      inglese, living wage). Secondo lo studio, la povertà nell’industria
politiche eque.                                                                    dell’abbigliamento sta peggiorando. “Nessun grande mar-
                                                                                   chio di abbigliamento intervistato è stato in grado di dimostrare,
                                                                                   al di fuori della propria sede centrale, che i lavoratori della sua
2.2. IL SALARIO DIGNITOSO                                                          catena di fornitura siano effettivamente pagati abbastanza per
Il salario dignitoso per la Clean Clothes Campaign è un con-                       vivere con dignità e sostenere una famiglia”, si legge. “I marchi
cetto familiare. Perciò è quel salario netto minimo che spetta                     di abbigliamento e i distributori stanno quindi violando le
a tutti i lavoratori senza bonus, benefit e straordinari e che                     norme sui diritti umani riconosciute a livello internazionale e
permette al lavoratore/trice e alla sua famiglia di vivere con                     i propri codici di condotta”.
dignità e soddisfare i bisogni fondamentali, come provvedere                       Lo studio analizza le risposte di 20 grandi marchi della moda
ai pasti, pagare l’affitto, le spese mediche, i vestiti, i trasporti e             sui loro progressi nell’implementazione di un salario vivibile

  SINTESI IN NUMERI DEL RAPPORTO “SALARI SU MISURA 2019.

      20
  LO STATO DELLE RETRIBUZIONI NELL’INDUSTRIA GLOBALE DELL’ABBIGLIAMENTO”

                            imprese
                            valutate
       85% dei marchi
                  hanno
            assunto un
        impegno verso
                                               Il sostegno attivo per la libertà
                                               di associazione sindacale resta
                                                un tema di scarsa attenzione
                                               con performance molto basse                         7        marchi calcolano se i prezzi
                                                                                                            pagati ai fornitori sono
                                                                                                            sufficienti a pagare ai lavoratori
                                                                                                            un salario vivibile

                                                                 5
      un salario vivibile                             da parte dei marchi

                       75% dei marchi                                    marchi utilizzano                         20% dei marchi valutati
                       hanno reso                                        indicatori specifici                      hanno fornito alcuni
                       pubblica parte                                    per misurare                              dati circa i salari pagati
                       o tutta la lista                                  se stanno pagando                         ai dipendenti

                     0
                       dei loro fornitori                                un salario vivibile                       dei loro fornitori

                                                                 E
                                marchi con un chiaro piano                     Quasi tutti i marchi hanno conseguito un grado E,
                                temporale per definire le                      non mostrando alcuna evidenza significativa
                                modalità con cui corrispondere                 e documentata che un salario vivibile sia corrisposto
                                un salario vivibile nella loro
                                                                               ai lavoratori
                                catena di fornitura
                                                                                                                                                         Campagna Abiti Puliti

                                                                                                            QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
14

     per i lavoratori che producono i loro vestiti. “Dalla ricerca è
     emerso che l’85% dei marchi si è impegnato in qualche modo
     a garantire che i salari siano sufficienti a soddisfare le esigenze
     di base dei lavoratori, ma, al contempo, che nessuno di loro
     ha messo in pratica questo principio per nessun lavoratore
     nei Paesi in cui viene prodotta la stragrande maggioranza dei
     capi di abbigliamento”.
     Dei 20 marchi intervistati, 19 hanno ricevuto il voto più bas-
     so possibile, mostrando di non essere in grado di produrre
     alcuna prova che a un lavoratore che confeziona i loro capi di

                                                                                                                                                                    www.facebook.com/cleanclothescampaign
     abbigliamento sia stato pagato un salario vivibile in qualsiasi
     parte del mondo. L’unica eccezione è stata Gucci che è riuscita
     a dimostrare come, per una piccola parte della sua produzione
     in Italia, grazie alle trattative salariali nazionali, le paghe con-
     sentano a una famiglia di vivere con dignità in alcune zone
     del Sud e del Centro Italia. “I lavoratori che producono quasi
     tutti gli abiti che compriamo vivono in povertà, mentre le
                                                                             Nella foto, Warmi e Yaya protestano davanti a un negozio Uniqlo a Copenaghen.
     grandi marche si arricchiscono grazie al loro lavoro. È tempo
                                                                             Warmi e Yaya hanno realizzato i vestiti di Uniqlo per anni e quando nel 2015
     che i marchi adottino misure efficaci di contrasto al sistema           la ditta smise le ordinazioni, persero il loro lavoro. A 2.000 dei loro colleghi, la
     di sfruttamento che hanno creato e da cui traggono profitto”,           maggior parte donne, sono dovuti per legge 5,5 milioni di dollari
     ha aggiunto Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti.
     “Se i marchi fossero davvero impegnati a pagare un salario              “Le migliaia di lavoratrici e lavoratori della Jaba Garmindo non
     dignitoso, dovrebbero passare dalle parole ai fatti, scegliendo         sapevano nemmeno ci fossero dei problemi. Hanno scoperto
     un parametro di riferimento credibile, informando i fornitori           della bancarotta e della chiusura soltanto attraverso le inchieste
     e aumentando i prezzi di acquisto in coerenza. Dovrebbero               della stampa”, sottolinea la Campagna Abiti Puliti.
     iniziare subito con i 50 maggiori fornitori e rendere pubblici i        Nel settembre 2019, dopo che per anni Uniqlo si è rifiutata di
     libri paga, a dimostrazione che ciò stia realmente accadendo.           prendere parte seriamente a qualsiasi processo di mediazione,
     È una questione affrontabile, basta mettere mano alla redi-             la Clean Clothes Campaign, insieme ai lavoratori indonesiani
     stribuzione della catena del valore e pagare di più i lavoratori”.      della fabbrica Jaba Garmindo, ha presentato una denuncia
                                                                             alla Fair Labor Association (FLA, fairlabor.org), come spiega
                                                                             Francesco Verdolino. L’atto è stato indirizzato a Fast Retailing
     2.3 URGENT APPEAL: I CASI UNIQLO                                        - società madre del marchio Uniqlo - e al marchio tedesco
     E ALI ENTERPRISES                                                       s. Oliver, ovvero agli acquirenti più significativi negli anni prece-
     Un altro ambito di intervento di Abiti Puliti sono i “casi ur-          denti alla chiusura: oltre il 50% del volume di produzione della
     genti” - in inglese, Urgent Appeal -, una metodologia messa a           fabbrica nel 2014 era su loro commissione. Ora ci aspettiamo
     punto dalla Clean Clothes Campaign per sostenere i lavoratori           che FLA intervenga, in coerenza con quanto previsto dal suo
     dell’abbigliamento in casi specifici in cui i loro diritti sono stati   codice di condotta e si adoperi concretamente per garantire
     violati. “Un appello urgente della CCC contiene una richiesta           un pieno risarcimento per i lavoratori della Jaba Garmindo.
     da parte dei lavoratori o delle loro organizzazioni per avere un        Dal 2016 la campagna #PayUpUniqlo ha ricevuto un significativo
     sostegno pubblico a una situazione in cui i loro diritti non sono       sostegno pubblico globale, portando all’avvio di un processo
     rispettati”, spiega la Campagna.                                        di mediazione tra Uniqlo e i lavoratori della Jaba Garmindo”.
     Tra i casi urgenti che la campagna italiana sta seguendo c’è            Tuttavia, Uniqlo ha poi rifiutato di impegnarsi in maniera
     quello della fabbrica indonesiana Jaba Garmindo, uno dei                significativa.
     fornitori di Uniqlo, terzo distributore di moda nel mondo. Una          “Risulta oltremodo stridente osservare che, mentre Uniqlo
     vicenda che ha origine nell’aprile 2015 con l’improvvisa chiusura       ignora le richieste di migliaia di lavoratrici che l’hanno reso uno
     di due stabilimenti indonesiani a Cikupa e Majalengka, senza            dei brand più redditizi al mondo, il marchio acquisisce credibilità
     pagare agli operai, all’80% donne, le indennità di licenziamento        attraverso le recenti partnership con l’Organizzazione Interna-
     obbligatorie per legge, né diversi mesi di salario. Le chiusure         zionale del Lavoro e UN Women”, sottolinea la Campagna.
     sono avvenute dopo la bancarotta causata dal ritiro delle com-          Uniqlo ha infatti recentemente annunciato una collaborazione
     messe da parte dei principali acquirenti, in particolare Uniqlo.        con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro nel più gran-

     QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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                                                                                                          dopo sette anni da quel disastro le fabbriche tessili del Paese
                                                                                                          restino insicure. Le iniziative avviate negli ultimi anni non sono
                                                                                                          riuscite a porre i lavoratori, né i sindacati che li rappresentano,
                                                                                                          al centro dei programmi di sicurezza. “La totale mancanza di un
                                                                                                          adeguato sistema di monitoraggio della sicurezza nell’indu-
                                                                                                          stria dell’abbigliamento in Pakistan è costata centinaia di vite
                                                                                                          umane negli ultimi anni. Così come l’assenza delle misure che
                                                                                                          potrebbero essere messe immediatamente in atto: ad esempio,
                                                                                                          assicurare che gli operai non restino mai bloccati all’interno
                                                                                                          degli edifici, o rimuovere i prodotti accumulati davanti alle
                                                                                                          uscite di emergenza”, ha dichiarato Khalid Mahmood, diret-
                                                                                                          tore del Labour Education Foundation in Pakistan. Il report
                                                                                                          evidenzia come tutte le iniziative avviate dal 2012 in Pakistan
                                                                                  Campagna Abiti Puliti   volte a migliorare la sicurezza sul lavoro siano in realtà carat-
                                                                                                          terizzate da scarsa trasparenza, e nessuna è stata sviluppata
                                                                                                          coinvolgendo i sindacati e le altre organizzazioni per i diritti dei
                                                                                                          lavoratori. L’esortazione della Clean Clothes Campaign è invece
Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti in un'azione di solidarietà ai
                                                                                                          quella di considerare le richieste del movimento sindacale
lavoratori della PT Jaba Garmindo in occasione dell'apertura dello store Uniqlo
a Milano                                                                                                  pakistano verso un accordo giuridicamente vincolante tra i
                                                                                                          brand dell’abbigliamento, i sindacati e i gruppi, locali e globali
                                                                                                          impegnati per i diritti dei lavoratori, sul modello dell’Accordo
de progetto mai finanziato dal settore privato: 1,8 milioni di                                            per la prevenzione degli incendi e sulla sicurezza degli edifici
dollari per promuovere la protezione sociale, lo sviluppo delle                                           del Bangladesh.
competenze e il sostegno all’occupazione in Indonesia.                                                    “Abbiamo visto in Bangladesh, dove sono emerse contem-
Un altro caso di Urgent Appeal è legato dell’incendio alla fab-                                           poraneamente due iniziative in materia di sicurezza, che il
brica tessile Ali Enterprises (nella foto in basso), che nel 2012                                         coinvolgimento dei lavoratori, la trasparenza e la natura vin-
in Pakistan uccise oltre 250 lavoratori e lavoratrici. Con il nuovo                                       colante sono essenziali per creare un programma di sicurezza
rapporto “I lavoratori tessili del Pakistan hanno bisogno di un                                           di successo”, ha detto Deborah Lucchetti.
accordo sulla sicurezza” (in inglese anche sul sito abitipuliti.                                          Infine, il rapporto chiede ai Governi dei Paesi che ospitano le
org), nel settembre 2019 la Clean Clothes Campaign con l’Inter-                                           sedi dei principali marchi di abbigliamento e dei distributori
national Labor Rights Forum, la Labour Education Foundation,                                              di introdurre una legislazione obbligatoria di due diligence in
la National Trade Union Federation e il Pakistan Institute of                                             materia di diritti umani, garantendo che i brand si assumano
Labour Education and Research, ha denunciato come ancora                                                  le loro responsabilità lungo tutta la catena di fornitura.             www.ipsnews.net

                                                                                                                                   QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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                 “Industria tessile: i diritti negati nelle fabbriche dell’India”,
                 di Maria Tavernini. Tratto da altreconomia.it, luglio 2019
                                                                                    Dal 2014 a metà 2019, 106 giovani ragazze si sono
                                                                                    suicidate per lo stress e i ritmi disumani cui sono costrette
                                                                                    a lavorare nelle fabbriche tessili indiane, quelle che
                                                                                    producono il filo per cucire vestiti o magliette della
                                                                                    moda a basso costo.
                                                                                    È quanto emerge da una recente ricerca pubblicata
                                                                                    da Fair Wear, una multistakeholder initiative che lavora con
                                                                                    marchi di vestiario, fabbriche, sindacati, Ong e governi
                                                                                    per migliorare le condizioni di lavoro nell’industria
                                                                                    dell’abbigliamento. Tra i membri di Fair Wear ci sono
                   Una lavoratrice in una fabbrica indiana                          130 brand medio piccoli europei che producono in 160
         © Ilo

                                                                                    fabbriche sparse nel subcontinente e sostengono un
                 modello diverso di produrre vestiti, che non passi necessariamente per lo sfruttamento dei lavoratori nelle fabbriche
                 di India, Cina o Bangladesh. La ricerca evidenzia gli abusi esistenti o potenziali nell’industria del vestiario in India,
                 analizzando le condizioni di lavoro nei tre maggiori hub di produzione: Delhi NCR al nord, e Bangalore e Tirupur al Sud.
                 È l’unica pubblicazione fino a ora a dare un quadro completo sulle condizioni lavorative in tutta la filiera indiana, un
                 settore che impiega 45 milioni di persone. I dati raccolti restituiscono l’immagine di fabbriche in cui i diritti lavorativi
                 sono sistematicamente calpestati: giovani donne, lavoratori migranti e basse caste lavorano in condizioni disumane,
                 per raggiungere target impossibili, senza diritti né garanzie sociali.
                 Gli abusi sul lavoro nelle fabbriche indiane sono stati individuati tramite desk research, ricerca sul campo con il
                 coinvolgimento di 20 interlocutori, associazioni di categoria, sindacati, Ong e autorità pubbliche, oltre agli audit fatti
                 da Fair Wear e ai reclami ricevuti dai lavoratori tramite l’hot line ad hoc. La pubblicazione si rivolge ai brand per portarli
                 a conoscenza degli impatti che hanno sui diritti lavorativi e per farli agire secondo i principi delle Nazioni Unite su
                 diritti umani e aziende (UNGPs), che dovrebbero rappresentare il punto di riferimento in materia. È emerso che
                 alcuni abusi attraversano tutta la filiera, da Nord a Sud, come le condizioni di sicurezza sul lavoro o la mancanza di
                 sindacati, e quindi di accordi collettivi. Un altro fattore costante rilevato nella filiera è il forced overtime, lo straordinario
                 non retribuito, uno degli indicatori di lavoro forzato dell’International Labour Organization (ILO). Sotto altri aspetti
                 dai tre hub presi in analisi emergono importanti differenze strutturali e geografiche.
                 “È interessante evidenziare come si sta muovendo l’industria: le esportazioni stanno perdendo mentre il mercato
                 interno è in costante crescita dal 2008”, spiega ad Altreconomia Emanuela Ranieri, consultant in materia di diritti umani
                 e aziende, cui Fair Wear ha commissionato la ricerca in India, “Il mercato esterno è calato del 6 per cento anche per la
                 Brexit, i lavoratori a contratto, più vulnerabili perché meno protetti legalmente, sono aumentati così come i lavoratori
                 migranti. Sta inoltre avvenendo una delocalizzazione delle fabbriche per abbassare i costi di affitto e manodopera. La
                 gara al ribasso si è sempre giocata, anche in altri settori, ma adesso diventa una gara che va oltre la regione: se prima
                 alzavi di 30 centesimi il costo della maglietta, un colosso del settore andava a produrre in Banglasdesh, adesso se ne
                 va in Etiopia”. “È importante far capire al consumatore come viene prodotta la sua maglietta affinché possa costare
                 9,99 euro, l’obiettivo non è un boicottaggio di massa, ma è far cambiare politica alle imprese”, continua Ranieri. “Chi
                 promuove l’equità dei diritti sta combattendo contro un modello globale di business”. Oggi la Responsabilità Sociale
                 d’Impresa (RSI), intesa come la volontà delle imprese di gestire l’impatto sociale ed etico nei Paesi di produzione, si
                 traduce spesso in azioni di mero compiacimento di consumatori e stakeholders, con un grosso ritorno d’immagine per
                 l’azienda. Chi vuole davvero avere un impatto, oggi, adotta la Human Rights Due Diligence, che l’ONU ha definito come
                 “un processo di gestione del rischio costante al fine di identificare, prevenire, mitigare e spiegare come un’azienda
                 affronta gli impatti negativi che ha sui diritti umani”, riassumibile in “know your impact”. Il cambiamento, per
                 avvenire, deve partire dall’alto e dal basso, e passa necessariamente per la diffusione di conoscenza e informazioni.

     QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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3. L’impatto ambientale
delle filiere tessili
di Elisa Nicoli

L’inquinamento ambientale del settore tessile ha nume-             Con la campagna “Detox” (detox-outdoor.org), Greenpeace
rose sfaccettature: dalla materia prima al fine vita, infatti,     chiede da anni alle aziende produttrici di materiale tecnico
l’impatto di un abito può essere molto pesante. In queste          per l’uso sportivo di eliminare i PFC, che sono persistenti e
pagine approfondiamo il tema con l’aiuto di fonti come i           durevoli nell’ambiente, e potenzialmente dannosi per il
report di Greenpeace (“Fashion At The Cross Roads”, 2017;          sistema riproduttivo e ormonale. Altre di queste sostanze -
“Toxic Threads: Polluting Paradise”, 2013; e “Timeout for          come gli ftalati - sono degli interferenti endocrini e vengono
fast fashion”, greenpeace.org), curato da Pesticide Action         utilizzate nelle stampe al “plastisol”, inchiostro tessile per
Network UK (pan-uk.org), Solidaridad e WWF; il libro di            la serigrafia. L’antimonio è invece un metalloide tossico
Altreconomia edizioni, “Plastica addio”, di Elisa Nicoli e         utilizzato nella produzione del poliestere. Molte sostanze
Chiara Spadaro (2019, altreconomia.it).                            tossiche sono impiegate nel processo di tintura, uno degli
                                                                   elementi più impattanti della lavorazione dei tessuti. La
                                                                   Commissione europea ha modificato le restrizioni esistenti
3.1 I TESSUTI                                                      sul nonilfenolo etossilato (NPE) ai sensi della legislazione
Iniziamo chiarendo i diversi tipi di tessuti che si trovano in     REACH (“Registration, Evaluation, Authorisation and Restri-
commercio. Nella maggior parte dei casi i filati non sono          ction of Chemicals”), limitando dal 3 febbraio 2021 i residui
puri, ma sono un misto di fibre naturali e sintetiche. Il nylon/   di NPE sugli articoli tessili allo 0,01% in peso. Il nonilfenolo
poliammide, l’acrilico, il poliestere e l’elastane/spandex/        etossilato può decomporsi nel nonilfenolo (NP), quando
Lycra® sono fibre sintetiche; ci sono poi fibre semi-sintetiche    viene rilasciato nelle acque: è un potente interferente en-
da materia prima rinnovabile (cellulosa vegetale), come il         docrino, che permane nell’ambiente.
rayon viscosa/modal, l’acetato, il TENCEL™/lyocell. Le fibre       Il cadmio è un’altra sostanza estremamente tossica anche in
naturali in cellulosa (vegetali) sono, ad esempio, cotone          basse quantità, che permane nell’ambiente. Il fosfato di tri-
(vedi scheda a pagina 18), lino, canapa, iuta, ramia, ortica,      butile (TBP) è tossico per la vita acquatica e moderatamente
sisal e kenaf; quelle naturali di origine animale sono invece      persistente. Le ammine sono cancerogene e possono essere
alpaca, angora, cashmere, mohair, seta, lana e la pelle.           presenti nei tessuti, a causa dell’uso di alcuni coloranti azoici.

3.2 L’INQUINAMENTO DA PRODOTTI                                                 Sisal steso ad asciugare dopo la tintura presso Tintsaba, Swaziland

CHIMICI
Sono diverse le sostanze tossiche che possono essere con-
tenute nei tessuti, con un impatto enorme sulla salute dei
lavoratori, ma anche sulla pelle di chi li indossa. Il contatto
prolungato con un tessuto contenente sostanze tossiche
può infatti causarne l’assorbimento attraverso i pori della
pelle. Da un punto di vista ambientale, le sostanze inqui-
nanti sono rilasciate direttamente nelle acqua dove manca
il trattamento dei reflui, con gravi danni sugli organismi
acquatici, sul suolo e le acque potabili. Tra queste sostanze,
                                                                                                                                                     Equo Garantito

i perfluorocarburi (PFC) sono utilizzati per realizzare dei
tessuti resistenti alle macchie, idrorepellenti e ignifughi.

                                                                                              QUADERNO DEL COMMERCIO EQUO E SOLIDALE
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