Cap. 3: La teoria economica del governo federale.

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    Cap. 3: La teoria economica del governo federale.
    3.0 Introduzione 3.1 Il teorema del decentramento di Oates; 3.2 Il
federalismo competitivo: due modelli; 3.2.1 La teoria dei club di J.
Buchanan; 3.2.2 La rielaborazione da parte di Pauly della teoria dei
club in termini di teoria dei giochi; 3.2.3 I modelli competitivi
senza mobilità dei contribuenti: Breton e Salmon; 3.2.4   La
concorrenza orizzontale; 3.2.5 La concorrenza verticale; 3.3 Il
federalismo cooperativo; 3.4 Federalismo fiscale e federalismo
politico. Appendice: la questione della secessione.

    3.0 Introduzione.
    In questo capitolo illustreremo il fondamento della teoria
economica del governo federale, ossia, del governo a più
livelli. Abbiamo spiegato nel capitolo 1 le ragioni di tale
aggettivazione e non ci torneremo sopra. E’ opportuno ricordare
che la teoria del governo a più livelli dal punto di vista
costituzionale e politologico nasce in particolare con la
rivoluzione americana e l’approvazione della Costituzione
americana del 1787 e i Federalist Papers nei quali si danno
tutte le spiegazioni della doppia suddivisione dei poteri la
tripartizione classica di Montesqieu e la suddivisione del
governo in almeno due livelli al fine di assicurare una doppia
garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali del cittadino.
    La teoria economica ha sviluppi più recenti che partono dalla
teoria pura della spesa pubblica di Samuelson (1954) e dal
contributo pionieristico di Tiebout (1956). Quest’ultimo metteva
in evidenza come era possibile inserire in uno schema
concorrenziale la produzione e distribuzione di beni pubblici
locali le cui caratteristiche sono diverse dai beni pubblici
puri e più vicine ai beni privati per cui era possibile
configurare un equilibrio economico generale sostenuto da
meccanismi concorrenziali. L’affievolirsi del filone delle
ricerche sulla teoria dell’equilibrio concorrenziale non ha
fatto perdere slancio alle ricerche riguardanti la possibilità
di inserimento dei beni pubblici. Da qui lo sviluppo delle
analisi mirate a verificare le ipotesi di governi competitivi.
    Dopo aver ripercorso gli sviluppi dei modelli di tipo con e
senza mobilità dei cittadini, anche alla luce del concreto
svolgersi dell’attività produttiva privata che vede le imprese
da un lato competere e dall’altro cooperare, analizziamo il
passaggio al modello cooperativo in ogni caso necessario quando
si tratti di produrre beni pubblici con caratteristiche
samuelsoniane o con elementi di publicness, quando si tratti di
rimediare ai fallimenti del mercato.
    Tale passaggio illumina da un lato il nesso tra forme di
Stato, forme di governo e modelli di economia pubblica,
dall’altro, il vero rapporto non di alternatività ma di
compenetrazione (complementarità) tra competizione e
cooperazione.

    3.1 Il teorema del decentramento di Oates.
    Nella letteratura corrente, il primo nocciolo fondamentale
della teoria economica del federalismo è individuato nel
teorema del decentramento di Oates (1972) anche se
2

cronologicamente esso giunge sedici anni dopo il contributo di
Tiebout (1956) e sette anni dopo la teoria dei club di Buchanan
(1965).
                          Graf. 1.
    La popolazione è divisa in due gruppi; questi chiedono lo
stesso bene; la domanda è identica in ciascuno dei due; la
domanda differisce solo tra i due gruppi; gli individui
appartenenti al primo gruppo chiedono meno di quanto non
facciano quelli del secondo gruppo. Per semplicità il bene è
prodotto a costi costanti. In una situazione decentrata, il
gruppo D1 chiederebbe q1; il gruppo D2 chiederebbe q2; in una
situazione centralizzata probabilmente il governo centrale
deciderebbe di offrire qc. Il che significa che il primo gruppo
ottiene più di quanto domanda; l’area ABC rappresenta il
sovrapprezzo che i soggetti del primo gruppo sono costretti a
pagare per la quantità q1-qc; l’area CDE rappresenta la perdita
di benessere a cui vanno incontro i soggetti del secondo
gruppo.
    Il risultato principale, ottenuto da Oates, è che il
decentramento consente un uso più efficiente delle risorse
consentendo di massimizzare la rendita dei consumatori che, per
ipotesi, hanno preferenze omogenee. Per contro la soluzione di
compromesso che il governo centralizzato adotterebbe sarebbe
inefficiente.
    Il teorema di Oates parte da assunzioni restrittive che
sono state criticate e che riguardano: a) l’ipotesi della
omogeneità delle preferenze nelle due comunità; b) l’assenza di
effetti di traboccamento tra le due comunità; c) la produzione
a costi costanti dei beni pubblici locali (BPL) per cui il
decentramento della produzione non modifica la funzione
dell’offerta. Le assunzioni restrittive riducono ma non
cancellano la generalità della conclusione.

    3.2 Il federalismo competitivo: due modelli.
    Ci sono modelli di federalismo concorrenziale che prevedono
la mobilità dei cittadini e ci sono quelli che la escludono.
    Al primo gruppo appartiene il modello di Tiebout che prevede
la concorrenza intergiurisdizionale in presenza di perfetta
mobilità dei suoi appartenenti.
    Tiebout espose il suo modello in un saggio pionieristico del
1956, con l’intento di riprendere ed approfondire alcune delle
tematiche trattate da Samuelson ne “La Teoria Pura della Spesa
Pubblica” (1954). Analizzando il problema della fornitura dei
beni pubblici 1 Samuelson aveva dimostrato, infatti, che per essi,
1
   Samuelson (1954 pag.387) definisce i beni pubblici come quei «beni di
consumo collettivo…di cui tutti godono in comune, nel senso che il consumo di un
tal bene da parte di ciascun individuo non implica alcuna riduzione del suo
consumo da parte di qualsiasi altro… ». In questa individua la prima
caratteristica del bene pubblico, ossia, la ‘non rivalità nel consumo’. Il costo
marginale del consumo da parte di un altro soggetto è zero – s’intende nei
limiti della capacità. La seconda caratteristica viene individuata nella non-
escludibilità vuoi per impossibilità tecnica vuoi per scelta politica - quando
la escludibilità sarebbe possibile ma non la si ritiene opportuna o conveniente.
Il fatto che i beni pubblici siano non rivali non significa che per essi si
applichi necessariamente il principio di non esclusione.
3

diversamente da quanto avviene per gli ordinari beni privati:
«non esiste alcun sistema decentralizzato dei prezzi che possa
servire a determinarne, in modo ottimale, i livelli di consumo
collettivo» (Samuelson, 1954, pag.388) ragion per cui
l’allocazione dei medesimi non può essere affidata al mercato ma
va garantita attraverso altri meccanismi di votazione o di
ricognizione delle preferenze, alias, attraverso un meccanismo
di scelta pubblica. Proseguendo nella sua analisi Samuelson
aveva osservato, poi, che: «l’imposizione in base alla teoria
del beneficio», propugnata dai teorici dello scambio volontario,
«non può affatto risolvere il problema della stima nel modo
decentralizzato che è possibile per la categoria dei beni
privati ai quali si applicano gli ordinari prezzi di mercato e
che non hanno gli effetti esterni caratteristici del concetto di
beni di consumo collettivo»(Samuelson, ibidem).
    Proprio in virtù di queste esternalità, infatti, i cittadini
possono godere dei benefici dei beni pubblici anche senza
contribuire al loro finanziamento ed hanno un incentivo, quindi
« a dare false segnalazioni per fingere di avere meno interesse
in una data attività di consumo collettivo di quanto, in realtà,
ne abbiano» (Samuelson, ibidem), in breve, a non rivelare le
proprie preferenze.
    Tiebout riteneva che la problematica della non rivelazione
delle preferenze, alla quale Samuelson aveva connesso, in ultima
analisi, l’impossibilità della soluzione decentralizzata, si
ponesse, nei termini da quest’ultimo descritti, solo per i beni
ed i servizi pubblici che richiedono l’intervento allocativo del
governo centrale (beni pubblici nazionali) non applicandosi,
invece, a quelli che possono essere efficientemente resi dalle
unità di governo periferiche (beni pubblici locali) 2 (cfr.

Come confermato, forse più chiaramente, dalle analisi successive (cfr. J.G.
Head, 1972) è la seconda delle due caratteristiche prima isolate (la non
escludibilità) a determinare, tanto l’impossibilità di un sistema
decentralizzato di prezzi, quanto la difficoltà politica di convincere i
cittadini a dichiarare apertamente le proprie preferenze per i beni pubblici.
2
  Tiebout, nel suo articolo, non fornisce subito una definizione esplicita di
bene pubblico locale, limitandosi, piuttosto ad elencarne alcuni casi: pubblica
sicurezza, protezione antincendio, scuole, ospedali, ecc. ed osservando che
molti di questi beni sono offerti, sovente, dalle amministrazioni locali,
piuttosto che da quella centrale (cfr. Tiebout, 1956, pag.318). Le
caratteristiche tecniche dei beni in esame vengono individuate, dallo studioso,
in una fase successiva, allorquando il medesimo elenca le sette condizioni che
sottendono al suo modello. Da esse si evince, infatti, che i connotati
fondamentali dei beni pubblici locali sono almeno due: a) assenza di spillover
tra le comunità che offrono tali beni, il che equivale a postulare che i
benefici da questi ultimi generati si estendono entro e non oltre la
giurisdizione che ha provveduto a fornirli con la conseguenza che gli abitanti
delle altre giurisdizioni ne sono, di fatto, esclusi; b) parziale rivalità dei
beni in questione: superata una certa soglia critica della popolazione servita i
costi marginali associati alla fornitura degli stessi diventano positivi e
crescenti per l’emergere di effetti di congestione. Diversamente dai beni
pubblici puri di Samuelson, quindi , i beni pubblici locali di Tiebout sono
parzialmente escludibili e parzialmente rivali. In tal senso è possibile
osservare, dunque che l’analisi di quest’ultimo ha contribuito notevolmente a
superare l’astratta dicotomia tra beni perfettamente pubblici (non rivali e non
escludibili) e beni perfettamente privati (rivali ed escludibili) che Samuelson
aveva descritto, intenzionalmente, nel suo studio, spostando l’enfasi su alcuni
degli innumerevoli casi (peraltro la stragrande maggioranza) in cui le
4

Tiebout, 1956, pag.418). Se per i primi, infatti, non esiste
altro modo di accertare la domanda degli elettori se non
rilevandola attraverso le ordinarie procedure politiche di
votazione – nessuna delle quali, tuttavia, è in grado di
risolvere il problema del ‘free riding’− per i secondi è
possibile immaginare, invece, che i cittadini rivelino le
proprie preferenze attraverso il meccanismo della mobilità
residenziale, spostandosi, cioè, verso le giurisdizioni che
offrono loro le combinazioni più gradite di beni ed imposte
locali e stabilendo in esse la propria residenza 3 . Scrive,
infatti, Tiebout: «allo stesso modo in cui è possibile
visualizzare il consumatore nell’atto di spostarsi verso un
negozio privato per acquistare i beni di cui necessita e i cui
prezzi sono fissati, così possiamo immaginare lo stesso
consumatore dirigersi verso una comunità locale ove i prezzi
(imposte) dei servizi forniti sono ugualmente fissati. Ambedue i
movimenti conducono il consumatore al mercato. In un’economia di
tipo spaziale non vi è possibilità alcuna, per il medesimo, di
non rivelare le proprie preferenze. La mobilità spaziale
costituisce, nel settore dei beni pubblici locali, quel che è il
fare gli acquisti (to go shopping) nel mercato dei beni
privati» (Tiebout, 1956, pag.422).
    L’esistenza di numerose giurisdizioni, ciascuna offerente un
proprio pacchetto differenziato di beni e servizi locali,
suggerisce, così, a Tiebout, la possibilità di concepire una
federazione come configurante un mercato dei beni pubblici
locali, all’interno del quale ciascun cittadino può sceglierne
la combinazione che più preferisce spostandosi semplicemente
laddove essa viene fornita.
    Maggiore il numero di giurisdizioni che concorrono
nell’offerta di beni e servizi locali più elevata la probabilità
che il cittadino individui , attraverso i suoi spostamenti, la
comunità che meglio risponde alle proprie esigenze (cfr.
Tiebout, 1956, pag. 418) e che l’allocazione delle risorse
risulti, nel contesto della finanza locale, tanto efficiente
quanto lo è, di norma, nell’economia dei beni privati.
    Per provare la validità di tale analogia lo studioso assume,
quindi, nel suo modello, l’esistenza di sette condizioni (cfr.
Tiebout, 1956, pagg.418-420) e, in particolare:

produzioni del settore pubblico possiedono caratteristiche sia pubbliche che
private (beni pubblici impuri).
3
  A differenza dei beni pubblici nazionali che sono godibili, almeno in teoria,
da tutti i cittadini, ovunque residenti sul territorio nazionale, i beni
pubblici locali possono essere   fruizione solo da parte di coloro che
risiedono all’interno dei ristretti ambiti spaziali in cui questi fanno
avvertire i propri benefici. (cfr. Westhoff, 1977; Atkinson e Stiglitz, 1980).
Ciò equivale ad affermare, parafrasando Thisse e Zoller (1983, pp. 1-2) che, per
il consumatore, la distanza che lo separa dal punto in cui i suddetti beni sono
localizzati costituisce una particolare forma di esclusione dal consumo che può
essere superata solo attraverso lo spostamento nello spazio. In quanto
meccanismo di esclusione la distanza spaziale rende possibile, tuttavia, la
rivelazione delle preferenze. Infatti, i cittadini che, pur desiderando
consumare i beni pubblici locali forniti da una determinata giurisdizione, non
si trovano a risiedere in essa, dovranno dirigersi verso la medesima per
soddisfare le proprie esigenze e, così facendo, dichiareranno anche le proprie
preferenze per i beni in questione o, altrimenti detto, ‘voteranno con i piedi’.
5

1) che i consumatori siano perfettamente mobili e si spostino
verso le comunità la cui offerta di beni e servizi locali meglio
soddisfa le proprie preferenze;
2) che i medesimi abbiano una perfetta conoscenza delle
differenti combinazioni di beni e servizi offerte dai governi
locali oltre che delle imposte necessarie per il loro
finanziamento;
3) che non esista alcuna restrizione alla mobilità individuale
derivante da problemi occupazionali. Si assume, infatti, che
tutti gli individui vivano di redditi non generati da attività
private di produzione (dividend income);
4) che esista un numero sufficientemente elevato di
giurisdizioni tale da accomodare tutti i cittadini secondo le
loro preferenze. Non vi sono barriere alla creazione di nuove
comunità;
5) che non esistano effetti di spillover tra comunità limitrofe
derivanti dalla loro offerta di beni e servizi locali;
6) che ciascuna giurisdizione abbia, in dipendenza del tipo e
della quantità di beni pubblici offerti, una propria dimensione
ottimale corrispondente al numero di residenti che consente di
minimizzare i costi medi di produzione del pacchetto di beni
fornito;
7) che ciascuna giurisdizione cerchi di attrarre, al proprio
interno, nuovi residenti fino al punto in cui non risulterà
ottimamente popolata. Le comunità sottodimensionate attrarranno
residenti da quelle sovradimensionate; quelle che hanno
raggiunto la dimensione efficiente, invece, tenteranno di
mantenere stabile la popolazione.
    Le prime tre ipotesi definiscono il lato della domanda del
modello di Tiebout. Esse assicurano, infatti, che la scelta del
consumatore sia libera e non limitata da costi di transazione ed
informazione oltre che dal vincolo del posto di lavoro.
La soddisfazione delle medesime, unitamente a quella della
condizione n. 4 (numerosità delle produzioni tale da coprire
l’intero ventaglio delle possibili preferenze) garantisce,
inoltre, che, in equilibrio, allorquando, cioè, il processo
migratorio è giunto a conclusione, ciascuna comunità risulti
popolata da individui perfettamente identici in quanto a redditi
e preferenze per i beni pubblici locali.
    Va osservato, tuttavia, che tale stratificazione non è, di
per sé, sufficiente ad assicurare che l’equilibrio, così
raggiunto, risulti efficiente nel senso di Pareto. Per aversi
tale risultato è necessario, ancora, che le comunità in esame
siano tutte ottimamente popolate e che nessun cittadino o gruppo
di cittadini resti ai margini delle medesime. Tiebout ipotizza,
infatti, che, in ciascuna giurisdizione la curva dei costi medi
di produzione del pacchetto di beni locali sia una funzione ad ∪
del numero di cittadini in essa residenti(ipotesi n.6): in un
primo momento essa assume andamento decrescente poiché, con
l’aumentare della popolazione servita, si ha un migliore
sfruttamento delle economie di scala insite nella produzione di
questi servizi; successivamente, una volta superato il punto di
minimo, si registra, invece, l’andamento contrario (crescente),
in quanto, con l’aumentare della domanda, restando fissa
6

l’offerta, il fenomeno prevalente diventa quello della
congestione.
    La dimensione ottimale si situa, quindi, nel punto di minimo
di questa curva per valori della popolazione che sono, a un
tempo, finiti e discreti. Il compito di far sì che ciascuna
comunità si trovi in tale posizione di ottimo spetta, nel
modello elaborato dallo studioso americano, ai governi locali o,
in alternativa, ai community manager (ipotesi n.7). Minimizzando
i costi medi gli operatori in questione rendono massima,
infatti, la funzione di utilità del cittadino rappresentativo e,
con essa, anche quella di tutti gli altri residenti, data
l’identità dei medesimi.
    É bene osservare, tuttavia, che con l’introduzione di queste
due ultime ipotesi, Tiebout riconosce, realisticamente,
l’esistenza di non convessità nel piano di produzione dei beni
pubblici locali 4 e, con esse, di tutta una serie di problemi che,
come vedremo, rendono assai improbabile che la mobilità spaziale
dei cittadini conduca ad equilibri competitivi stabili ed
efficienti.
    E ciò anche nell’ipotesi che tutte le altre condizioni (1-5),
già, di per sé, estremamente irrealistiche, risultino, in
concreto, soddisfatte.
    Per superare questa difficoltà lo studioso elabora, quindi,
una ‘versione severa’ del proprio modello sostituendo le ipotesi
6 e 7 con l’ipotesi 8, assumendo, cioè, che la produzione dei
beni pubblici locali avvenga a costi unitari costanti. A tale
condizione, invero altamente restrittiva, è possibile
dimostrare, come vedremo, che la mobilità fiscale conduce ad una
distribuzione dei cittadini tra le varie comunità e ad

4
  La possibile esistenza di non convessità associate alla fornitura dei beni
pubblici locali (sia sotto il versante della produzione che sotto quello del
consumo) potrebbe rivelarsi particolarmente problematica per l’esistenza e per
l’efficienza di un equilibrio di tipo competitivo. Limitandoci, per il momento,
al versante della produzione, diremo che un ‘production set’ (ossia l’insieme di
tutte le combinazioni di input-output possibili) Y⊂Rn è convesso, se: a) ∀y∈Y
risulta che anche αy ∈Y ∀α∈[0, 1 ] e se: b) ∀y1,y2∈Y risulta anche che y1+y2∈Y
(ove le yi rappresentano, in generale, le differenti possibili combinazioni tra
inputs e output tecnologicamente realizzabili, ossia appartenenti al ‘production
set’). La prima condizione impone che la tecnologia presenti rendimenti non
crescenti di scala, il che equivale a postulare la perfetta divisibiltà di tutti
i fattori utilizzati nel processo produttivo. La seconda condizione, nota come
proprietà dell’additività, esige che l’output di ciascun processo produttivo sia
indipendente da quello dell’altro (se y1=y2 la       condizione (b) può essere
denominata ‘free entry’). La soddisfazione di ambedue le condizioni implica che
il ‘production set’, che abbiamo indicato con Y, è convesso. La violazione di
una delle due, o di entrambe le condizioni comporta, invece, la non convessità
del medesimo (cfr. Mas-Colell,1987).     Nel caso dei beni pubblici che sono
locali in senso tecnico la non convessità della funzione di produzione deriva
soprattutto dall’esistenza di considerevoli economie di scala, ovvero dal fatto
che, entro certi margini (se si ammette la possibilità della congestione), il
costo marginale associato al consumo del bene da parte di un soggetto
addizionale è pari a zero, per cui la curva dei costi medi, fino
all’intersezione con quella dei costi marginali, ha un andamento decrescente.
Dal punto di vista dell’esistenza e dell’efficienza dell’equilibrio competitivo
è fondamentale valutare quanto grandi e significative siano tali economie di
scala     rispetto    all’ampiezza complessiva del mercato.        Analizzeremo,
successivamente, queste importanti implicazioni.
7

un’allocazione delle risorse che sono, entrambe, efficienti nel
senso di Pareto.

    3.2.1   La teoria dei club di J. Buchanan.
    Il caso dei beni pubblici puri (samuelsoniani) è più unico
che raro. Nella realtà ci sono beni pubblici impuri o misti.
Sono beni per i quali è praticabile l’escludibilità e per i
quali occorre selezionare la domanda per evitare la congestione
(caso del ponte, della piscina, dei posti allo stadio, al
teatro, in biblioteca, ecc.). Quello della piscina è l’esempio
utilizzato da Buchanan per spiegare come può nascere il club 5 .
Singoli cittadini amanti del nuoto ma con redditi bassi non
potrebbero sostenere la spesa per costruirsi una piscina
privata. Possono associarsi e mettere su un club che consente
loro di sfruttare le economie di scala connesse ai beni misti.
La teoria dei club assume che: a) il costo per la
discriminazione nei confronti dei non soci è zero; b) i costi e
benefici sono suddivisi in maniera eguale tra tutti i soci; c)
tutti i soci o il socio rappresentativo i.mo massimizzi una
funzione dell’utilità del tipo:

max U i ( B ip , C , G )

    I primi due argomenti della funzione sono rispettivamente
il consumo di beni privati e del bene club mentre il terzo è la
grandezza del club medesimo.
    Come per la giurisdizione di Tiebout anche per il club di
Buchanan occorre verificare le condizioni di efficienza
allocativa e quindi determinare l’ottima quantità da produrre e
l’ottima dimensione del club. La quantità ottima da produrre è
quella che avviene ai costi medi minimi e quindi massimizza la
rendita dei consumatori. Nel punto di minimo i costi cessano di
essere decrescenti e quindi si sono colte tutte le economie di
scala che la produzione in oggetto consente.
    Si tratta quindi di vedere se esistono o se si possano
costituire un numero di club o di giurisdizioni popolati da
soggetti con preferenze omogenee che accomodi tutta la
popolazione della federazione. In altre parole si tratta di
sapere se esiste un numero ottimale di club o di giurisdizioni
che sia un numero intero (an integer) e che, in tutte le
giurisdizioni, i componenti massimizzino la loro funzione di
utilità, di tal che nessuno soggetto ha convenienza a spostarsi
dal club o dalla giurisdizione dove sta perché ciò comporterebbe
un allontanamento dalla situazione di massimo.
    Infatti, se tutte le giurisdizioni sono ottimamente popolate,
tutti godranno dello stesso livello di benessere perché

5
  Sandler and Tschirhart (’80, 1482) distinguono tra club inclusivi e club
esclusivi. I primi producono beni pubblici puri e non richiedono vincoli sul
numero dei soci. I secondi producono beni pubblici impuri o misti e presentano
limiti di capacità dando luogo a problemi di affollamento o congestione.
8

l’ipotesi è quella della omogeneità delle preferenze per un bene
o pacchetto di beni omogenei 6 .
    Se, invece, anche una sola delle giurisdizioni risulterà
sotto-dimensionata non tutte le economie di scala sono
valorizzate ed il livello del benessere non sarà massimo. Se,
allontanandosi dal punto di massimo, un cittadino si sposta da
una giurisdizione ottimamente popolata ad un’altra, provocherà
un costo di congestione nel club di arrivo ed un aumento dei
costi di produzione in quella di origine.
    Seguendo Sandler e Tscirhart (1980) si può dare la
dimostrazione grafica.
                              Graf. 2
    Nel primo quadrante sono rappresentate le funzioni totali dei
costi e dei benefici di tre club di dimensioni diverse crescenti
X* > X3 > X2 e con X* di dimensione ottima. Le quantità del bene
prodotto sono indicate sull’asse dell’ascissa. La forma delle
funzioni del beneficio implica vantaggi marginali decrescenti
mentre quella dei costi assume rendimenti costanti di scala.
    La dimensione del gruppo è rappresentata sul quadrante II con
s1 s2 e s*; si può partire da s1 per vedere che quantità ottima
corrisponde a X1 dove la pendenza della curva B(X1) è uguale alla
pendenza della C(X1); spostandosi a sinistra verso s2 del
quadrante II si vede che rendimenti marginali diminuiscono
perché aumenta l’affollamento e quindi la congestione mentre il
costo marginale diminuisce perché i soci aumentano.
    Nel quadrante I si possono individuare le combinazioni ottime
di (s1,X2), (s2,X3), (s*, X*); queste vengono quindi estrapolate
(mappate) nel quadrante IV sulla linea Xopt.
    Un analogo esercizio di mappatura viene svolto a partire dai
dati del quadrante II dove sono individuati i numeri ottimali
dei soci del club. I vantaggi dei soci che si mettono insieme
prima crescono poi diminuiscono quando si raggiungono i limiti
di capacità. I costi fissi prima pesano di meno poi prevalgono i
costi di affollamento. Le funzioni dei costi sono iperboli
equilatere per via dell’assunto di una eguale suddivisione dei
costi. L’ottimo numero dei soci si determina quando la pendenza
dei costi marginali è eguale alla pendenza dei benefici
marginali.
    Attraverso la bisettrice del quadrante III s1, s2 e s* sono
trasferiti sul luogo Sopt. L’incrocio con la Xopt determina
simultaneamente la quantità ottima del bene offerto e il numero
ottimale dei soci.
    Si può vedere come iterazioni alternative quali ad esempio
X1TSJDF spingerebbero verso E che è il punto di equilibrio. Si
può, infatti, partire da s1; via T si giunge a X1; qui la
differenza tra B(s1) e C(s1) non è massima come in X2 per cui da
T conviene spostarsi a S.
    In questo modo abbiamo fatto vedere come si possa determinare
la dimensione ottima della giurisdizione o del club e la sua
efficienza a condizioni anche qui piuttosto restrittive
(suddivisione in parti eguali dei costi, suddivisione uniforme

6
  In realtà, nella versione originaria, il club produce un solo bene mentre,
nelle versioni successive, si assume che esso possa produrre un gruppo di beni
come la giurisdizione di Tiebout.
9

dei benefici, costo zero di esclusione dei non soci, ecc.). Ma
il mondo non è così semplice. I problemi non sono finiti perché
si tratta ora di vedere innanzitutto il tipo di equilibrio, se
l’equilibrio raggiunto è stabile e se c’è un numero intero di
club ottimamente dimensionati.

    3.2.2 La rielaborazione da parte di Pauly della teoria dei
club in termini di teoria dei giochi.
    Quest’ultima problematica è stata studiata dalla teoria dei
giochi facendo ricorso, generalmente, ad un concetto di
equilibrio, proprio dei giochi non cooperativi ad n-persone,
che risultano particolarmente appropriati per studiare i
problemi di stabilità in cui si incorre nel processo di
formazione delle comunità locali, nella determinazione della
quantità di BPL da offrire, le caratteristiche dell’equilibrio
raggiunto, con partecipanti che massimizzano la loro funzione di
utilità tenendo conto dei vincoli, in un contesto in cui è
inevitabile il manifestarsi di comportamenti free riding,
essendo la strategia dominante di ciascun giocatore quella
massimizzante e quindi essendoci problemi nella manifestazione
delle loro preferenze.
    La teoria dei giochi introduce un concetto alternativo di
equilibrio rispetto a quelli paretiani: il c.d. core 7 .
    Seguendo Lloyd Shapley and John Nash, possiamo definire il
core di un gioco ad n-persone come l’insieme dei possibili
risultati allocativi che non possono essere migliorati da un
qualsiasi giocatore o coalizione di giocatori. In altri termini
una volta raggiunto il core - se esiste - non vi è possibilità
per i partecipanti al gioco di conseguire, attraverso ulteriori
negoziazioni, o mediante la formazione di coalizioni
alternative, risultati più elevati di quelli associati al core
stesso. Le allocazioni interne al core avrebbero, quindi, la
caratteristica di essere simili a quelle Pareto-efficienti e
stabili, in quanto nessuno dei giocatori implicati (o loro
coalizione) ha interesse a discostarsi da esse. In altre parole
si raggiungerebbe un c.d equilibrio di Nash in cui il giocatore
non ha convenienza a cambiare la sua strategia dominante perché
pensa che nessun altro la cambierà venendogli incontro 8 .
    Nell’economia dei beni privati il concetto di core ha un
significato tangibile e non elusivo. Infatti, è stato
dimostrato(Shapley, 1964; Champsaur 1975, 395), che, a certe
condizioni e all’aumentare dei partecipanti al gioco, l’insieme
delle allocazioni interne al core converge con l’equilibrio
competitivo di mercato 9 .
7
  Rispetto al massimo paretiano l‘equilibrio di core deriva dal fatto di dover
considerare che non c’è un ipotesi naturale di equilibrio allocativo della
popolazione. In questi termini c’è una differenza sostanziale con gli equilibri
competitivi dei beni privati che rende meno convincente l’analogia (vedi
Atkinson e Stiglitz, 80, p. 538).
8
  Il gioco è non cooperativo. Il cittadino massimizza la sua utilità, può non
rivelare correttamente le sue preferenze. Se la comunità è molto numerosa ed i
comportamenti free riding sono limitati, si può assumere che i danni siano
limitati rispetto alle decisioni di tutti gli altri.
9
  Le condizioni sono molto restrittive e prevedono giochi cooperativi con piena
informazione degli agenti economici, utilizzo di confronti interpersonali di
utilità di tipo cardinale, ecc. “Un equilibrio competitivo dovrebbe emergere
10

    In presenza di beni pubblici esso diventa meno convincente,
poiché, a differenza del caso precedente, all’aumentare degli
agenti economici coinvolti nel gioco, l’insieme delle
allocazioni interne al core tende ad espandersi e a divergere,
quindi, dall’insieme degli equilibri ottimali di Lindhal: il
core risulterebbe, in tale situazione, troppo ampio.
    Nel caso di un’economia con beni pubblici locali è la
situazione opposta che tende a verificarsi: il core potrebbe, in
teoria, essere vuoto, nel senso, cioè, che non esiste alcuna
allocazione che non possa, attraverso la formazione di
coalizioni alternative, essere migliorata a vantaggio di uno o
più partecipanti al gioco 10 .
    Seguendo Pauly (1967, 1970), dimostreremo che solo nel caso
in cui la popolazione federale risulti interamente ripartibile
all’interno di uno o più club di ottima dimensione, una
soluzione efficiente esiste ed essa è interna al core.
Sia Ψ = { 1,2,...,ψ} l’insieme degli individui che compongono la
collettività federale ed S = {1, 2,..., s} un suo qualsiasi
sottoinsieme. Si indichi, quindi, con S*={1,2,...,s*} il club di
dimensione ottimale, ove S*⊆Ψ, cioè, l’insieme ottimale è
contenuto o corrisponde all’insieme ψ.
Sia ancora V(S) la funzione dei benefici netti totali di S e
V(S)/s la corrispondente funzione dei benefici netti
individuali. Nella Tab. 3.2.2, è descritto l’andamento di
ambedue le funzioni al variare discreto di s: la prima tocca il
suo massimo per s=6 mentre la seconda per s=4.
    Nell’ipotesi che ogni individuo conti esattamente quanto
qualsiasi altro la dimensione ottimale del club è ovviamente
quella che massimizza il valore di V(S)/s e nonanche quella che
rende massima l’utilità del club inteso come un tutto (Cfr
Pauly,1967, pag.315; 1970, pag. 56; Sandler e Tschirhart, 1980,
pag.1499; Cornes e Sandler, 1986; Forte, 1993).
    Nell’esempio proposto da Pauly, il valore massimo dei
benefici netti individuali si registra in corrispondenza di un
club di quattro, allorquando cioè S=S*={1, 2, 3, 4}.

qualunque sia il meccanismo che gli agenti economici sceglieranno per dividere i
benefici provenienti dalla loro cooperazione, purché siano numerosi e piccoli”
(Champsaur, ’75). Se questo è vero per l’economia dei beni privati, certe
contrapposizioni schematiche tra cooperazione e concorrenza nel settore pubblico
lasciano molto perplessi.
10
   L’ipotesi è che la maggior parte degli individui contribuisca volontariamente
senza considerare i benefici che gli altri partecipanti ricevono dalla
produzione del BPL ma se i comportamenti free riding prevalgono si arriva ad una
produzione insufficiente del BPL o addirittura viene meno la possibilità di
produrlo.
11

    A questo punto una prima ipotesi che si potrebbe fare è
    che:Ψ= S*.
    In tal caso il club di dimensione ottima viene a coincidere
con l’intera popolazione federale ed il vettore dei risultati b
= (4, 4, 4, 4), corrispondente al caso in cui non vi è
discriminazione tra i componenti del medesimo , rappresenta un
equilibrio stabile ed efficiente, ossia, interno al core. É
facile dimostrare, infatti, che nessuno dei quattro membri ha
interesse a discostarsi da tale allocazione perché la
formazione di club alternativi, di dimensione inferiore a
quattro, comporterebbe, per ciascuno dei soggetti in esame, un
peggioramento della propria posizione rispetto all’equilibrio
precedente.
    In realtà, quando esiste un solo club, equilibri stabili ed
efficienti sono possibili anche in presenza di comportamenti
discriminatori a danno di qualche componente della collettività
federale. Il vettore dei risultati b =(0.4, 5.2, 5.2, 5.2), per
fare un esempio, corrisponde ad una allocazione interna al core
poiché l’individuo 1, discriminato dai rimanenti 3, non potrebbe
migliorare la propria posizione uscendo dal club di quattro per
fondarne uno a sé stante, né potrebbe convincere uno o due
membri del primo a seguirlo per fondare un club di due o di tre
poiché, così facendo, questi andrebbero incontro ad un
peggioramento della propria posizione. Ovviamente esistono dei
limiti alle possibilità di discriminare uno o più soggetti 11 , ma
l’intento era quello di mostrare che l’esistenza di un solo club
fa sì che talune allocazioni discriminatorie risultino
possibili e siano interne al core, laddove ciò, in presenza di
più club, risulta generalmente improbabile.
    Nel caso in cui Ψ>S*, allorquando, cioè, la popolazione
complessiva è superiore alla dimensione del club ottimale, il
core, come dimostrato da Pauly, esiste solo a condizione che:
∃n∈N ⇒ Ψ/S* = n. Il numero di club ottimali è un multiplo
intero della popolazione.
    Un equilibrio stabile ed efficiente implica, in altri
termini, l’esistenza di n club di dimensione S* i cui membri
ricevono, ciascuno, un risultato pari a V(S*)/s* (senza
discriminazione o sfruttamento). Nell’esempio del Pauly,
l’allocazione rappresentata da n=4 club, di 4 ciascuno, con
risultato pari a b=(4, 4, 4, 4), corrisponde ad un equilibrio
stabile dal quale nessun individuo o coalizione di individui ha
interesse a discostarsi dal momento che non vi è modo di

11
  Infatti l’individuo 1, discriminato dai rimanenti tre, potrebbe comunque
optare per l’opzione ‘exit’ che lo lascerebbe sulla medesima curva di
indifferenza ed infliggere così a questi ultimi una perdita secca di 1 pro-
capite.
Essendo il vettore b3=(3,3,3 ), associato ad un club di 3, inferiore a quello b4=
(4,4,4,4) associato ad un club di 4, a tutti conviene ritornare in 4 ed abolire
le pratiche discriminatorie. Persino nel caso in cui il payoff lucrato
dall’individuo 1 dovesse risultare superiore a 0,4, (ma non di troppo) la
scelta della defezione potrebbe costituire un deterrente all’attuazione di
comportamenti discriminatori ed uno stimolo ad una più equa partizione dei
payoff. Entro tali limiti, quindi, potrebbe risultare razionale autoinfliggersi
un danno per punire il comportamento egoistico degli altri componenti, nella
speranza, ovviamente, che questi ultimi si ravvedano.
12

ottenere un risultato superiore. La formazione, infatti, di club
con dimensione differente da quattro, facendo registrare valori
più bassi di V(S)/S, a causa del mancato sfruttamento delle
economie di scala (per S*4), ridurrebbe i
risultati a disposizione dei giocatori rendendo conveniente, per
tutti, ritornare ai club di 4 o spostarsi verso tale equilibrio.
In generale, poi, l’esistenza di più club di ottima dimensione
è, a differenza del caso in cui ne esiste uno solo, un ottimo
antidoto contro i rischi della discriminazione.
    Nessuna allocazione che discrimini a danno di un soggetto
potrebbe corrispondere, nel caso in esame, ad un equilibrio
interno al core e non è difficile dimostrare il perché.
    Innanzitutto il vettore b=(0.4, 5.2, 5.2, 5.2),
corrispondente all’ipotesi di massima discriminazione del
soggetto 1, consentirebbe a quest’ultimo di operare con
successo l’opzione exit, potendo questo migrare verso un altro
club di 4 e fondarne uno di 5, ove potrà ottenere 1,5 (ossia la
differenza tra V(5) e V(4) senza danneggiare i membri
preesistenti.
    Tale coalizione, peraltro, peggiora la posizione degli altri
tre membri del club che, per effetto dell’uscita di 1,
verrebbero a trovarsi in un club di 3 con risultati b=(3, 3,
3). Questi ultimi, quindi, potrebbero offrire ad 1 un risultato
superiore ad 1,5 e riformare il club di 4 : tale coalizione
migliorerebbe sicuramente il benessere dell’uno e degli altri.
Sennonché all’individuo 1 risulterebbe senza dubbio più
conveniente convincere tre membri di un altro club di 4 a
formare, insieme a lui un nuovo club di tale dimensione,
accettando di ottenere un risultato di poco inferiore a 4: i
quattro soggetti in esame guadagnano tutti da questa nuova
coalizione, ma uno dei membri del club preesistente resta fuori.
Egli, tuttavia, potrebbe fare altrettanto, accettare un
risultato inferiore a 4 e convincere tre membri di un altro
club di 4 ad unirsi a lui, lasciando fuori un altro soggetto che
ha ovviamente la stessa chance dei primi due in un processo che,
tuttavia, non è senza fine. Lo sviluppo di questa situazione,
infatti, consiste in un club di tre dal quale è partita
l’originaria defezione, tre club di 4 che praticano un livello
debole di discriminazione a danno di un loro componente ed un
club di 1 costituito dall’ultimo individuo rimasto fuori a causa
dei processi prima descritti di aggiustamento. Questo,
ovviamente, non è affatto un equilibrio stabile poiché i tre
soggetti discriminati e quello rimasto al di fuori possono
convergere in un club di quattro e migliorare la propria
posizione ottenendo, ciascuno, un risultato pari a quattro.
Resterebbero, così, quattro club di 3 ciascuno con risultato (3,
3, 3) i cui membri hanno convenienza, tuttavia, a trasformare in
3 club di quattro ciascuno con risultato pari a (4, 4, 4, 4).
Siamo tornati, quindi, all’equilibrio iniziale, il quale,
infatti, è l’unico realmente stabile poiché, come abbiamo
dimostrato, corrisponde ad una allocazione delle risorse che
nessun giocatore o coalizione di giocatori potrebbe migliorare.
    Si può convenire, quindi, con Pauly, che allorquando la
popolazione federale è un multiplo intero del club di dimensione
13

ottima, un allocazione costituita da n di tali club, ciascuno
dei quali garantisce ai propri membri un trattamento simmetrico
e non discriminatorio, rappresenta un equilibrio stabile,
l’unico possibile all’interno del core.
    Qualora ciò non dovesse risultare e cioè nell’ipotesi che
Ψ/S* = r con r∉N, ossia, con r che non appartiene a N, allora il
core non esiste, nel senso che non vi è alcuna allocazione che
non possa essere migliorata a vantaggio di uno o più
partecipanti al gioco. Infatti, se, per fare un esempio, dovesse
risultare Ψ=17 e S*=4, allora solo 4 club di 4 membri ciascuno
possono sorgere ed un individuo resta, di conseguenza, ai
margini. Questi potrebbe entrare in un club di 4 formando un
club di 5 e accontentandosi, quindi, di un risultato pari a 1,5
in modo da non infliggere alcuna disutilità agli altri
componenti. É più probabile, tuttavia, che egli cerchi di
sostituirsi ad uno di essi accettando un risultato inferiore a
4, ma superiore ad 1,5, onde guadagnarsi il consenso dei
rimanenti membri. Una simile soluzione, infatti, avvantaggia
tutti all’interno del club, ma lascia di nuovo fuori un
individuo. Questi, ovviamente, può fare altrettanto bene del
primo e negoziare la propria presenza in un altro club di
quattro accettando risultati inferiori a quelli degli altri
membri. A differenza del caso precedente, però, vi è sempre qui
un soggetto che resta ai margini dei club e che, quindi, ha
convenienza a formare nuove coalizioni per incrementare il
proprio benessere. Poiché tale processo non ha fine è possibile
concludere, con Pauly, che nell’eventualità in cui la
popolazione federale sia un multiplo non intero del numero di
individui che compongono il club efficiente, allora nessun
equilibrio stabile esiste ed il core è vuoto 12 .

    3.2.3 I modelli competitivi senza mobilità dei contribuenti:
Breton e Salmon.
    A fronte delle critiche di scarso realismo della ipotesi di
mobilità dei cittadini appartenenti alle varie giurisdizioni,
più recentemente sono state formulate due versioni del modello
competitivo che prescindono dalla mobilità e che si assomigliano
molto. Esse appartengono all’economista canadese Breton (‘87) e
al francese Salmon (‘87).
    Osserviamo subito che se confrontiamo il modello di Tiebout
con quelli di Breton-Salmon, non troviamo una grande
differenza. In qualche modo, tutti e tre i modelli assumono un
mercato virtuale, nel senso dell’assenza di una sua precisa
collocazione spaziale 13 .
    Nel primo sono i governi degli enti locali che mettono in
vetrina i loro pacchetti di BPL e si fermano lì ad aspettare

12
   Non si dimentichi, poi, che l’ipotesi di Tiebout corrisponde al caso di una
popolazione eterogenea eventualmente ripartibile in più club omogenei ciascuno
di dimensione ottimale, ragion per cui la condizione imposta dal Pauly deve
essere soddisfatta per ognuna delle subcollettività omogenee che compongono la
federazione. Questo vincolo, ovviamente, rende ancora più astratta e lontana la
possibilità che esista un numero di giurisdizioni efficienti, popolate da
individui identici, tale da garantire l’esistenza di un equilibrio di mercato
stabile ed efficiente.
13
   Analogamente a quello di Internet, il suo spazio è appunto virtuale.
14

l’eventuale ingresso o uscita dell’elettore marginale che
consente di raggiungere l’ottima dimensione della giurisdizione.
Il pacchetto esposto riflette le preferenze della stragrande
maggioranza dei residenti abituali (più antichi) o al limite di
tutti i membri della giurisdizione. La mobilità effettiva quindi
non interessa tutti ma solo gli elettori marginali 14 .
    Nel modello Breton-Salmon, in buona sostanza, si va un po’
oltre, nel senso che gli enti locali (i club) avrebbero un
marketing più aggressivo. Si immagina che gli amministratori
degli enti locali entrino in una sorta di torneo per soddisfare
meglio le preferenze dell’elettore. Questi viene posto al centro
dell’arena (il mercato politico virtuale) come se esso perdesse
il suo specifico radicamento nel territorio. Più realisticamente
è come se i commercianti non si limitassero ad esporre le loro
merci in vetrina e seguissero un marketing più aggressivo con
spot, manifesti, dimostrazioni e vendite a domicilio, ecc. un
po’ come avviene con le vendite sulla rete.
    Come abbiamo visto sopra, c’è una differenza. Nel modello di
Tiebout la “finanza con i piedi” traduce un meccanismo
“implicito” di rivelazione delle preferenze che in teoria
sostituisce quello formale delle scelte collettive. Invece nel
modello Breton-Salmon da un lato la concorrenza si sposta più
chiaramente dal lato dell’offerta dall’altro resta formalmente
la necessità di procedure di scelta collettiva che pertanto
vengono meglio precisate.
    Secondo Salmon (in Formez 95, 144-45) l’argomento che gioca a
favore del decentramento politico è analogo a quello a favore
del mercato perfettamente concorrenziale, il quale in buona
sostanza consiste in un meccanismo decentrato di decisioni che
consente di rilevare meglio le preferenze dei cittadini
consumatori.

    3.2.4 La concorrenza orizzontale.
    La concorrenza cui fanno riferimento Breton e Salmon non è
quella formalizzata nel modello neo-classico di un imprenditore
autonomo e distinto da ogni altro che opera in un contesto
olimpico. Breton e Salmon (‘87, 270; ’87, 167) chiaramente si
riferiscono all’imprenditore schumpeteriano che non fa la
concorrenza sul prezzo per un prodotto uguale o simile ma
introduce innovazione, nuove tecnologie, offre un bene nuovo,
introduce un nuovo rapporto, attacca frontalmente l’impresa
esistente cercando di travolgerla 15 .

14
  La cinepresa è comunque puntata sui cittadini-utenti (fiscal shoppers) ed i
“produttori” finiscono con l’adeguarsi alle loro domande.
15
  Precedentemente Salmon (ibidem, 157) giustifica l’utilizzo del termine di
concorrenza analizzando una serie di esempi tra cui la concorrenza si esplica
rispetto a un comune indicatore o metro di misura (yardstick competition).
Venendo allo specifico afferma che la concorrenza che gli interessa è “quella
fra grandi città o fra regioni, che è chiaramente discernibile ma che non
implica che esse competano per l’approvazione dello stesso elettorato o
acquirente”. Il riferimento è ovviamente al torneo dove il partecipante, se
vince ottiene innanzitutto l’approvazione del suo collegio (costituency) e se
perde può non essere confermato e sostituito con un altro.
15

    Salmon procede per gradi: dimostra prima che ci può essere
concorrenza di tre tipi diversi in uno stato centralizzato 16 ;
sottolinea di più quella che si svolge alla stregua di tornei e
gare come studiata nell’economia del lavoro; il torneo tra i
lavoratori fa emergere lo sforzo produttivo messo in atto da
ciascuno di essi e aiuta a superare l’asimmetria informativa 17 .
    Salmon ravvisa che un livello minimo di concorrenza sussiste
anche con il governo centralizzato e quindi ne fa discendere
che se tale concorrenza esiste nel c.d. Stato unitario, a
maggior ragione, c’è o dovrebbe esserci nello stato federale
dove esiste pluralità di governi di vario livello o quanto meno
dualismo.
    Non è molto. Ma resta confermato, dal punto di vista
dell’economista, che l’argomento a favore del pluralismo dei
livelli di governo è la sua idoneità a ridurre i problemi di
asimmetria informativa e di adeguamento dei meccanismi
incentivanti (Salmon, ibidem, 157-58);
    Intanto l’analogia tra mercato concorrenziale dei beni
privati e mercato dei beni pubblici locali può apparire meno
teorica ed astratta, se si considera che, in pratica, grossa
parte della produzione industriale avviene più mediante accordi
– e, quindi, forme di cooperazione – che mediante la
competizione tra le imprese.
    Le organizzazioni in forma d’impresa, infatti, tendono a
specializzarsi in attività che, non di rado, risultano essere
complementari (Richardson, 72, 889). Questo significa che la
concorrenza in fatto incontra dei limiti oggettivi nella
concreta organizzazione della produzione; certo essa non
scompare del tutto ma resta operante per quelle produzioni di
beni rivali effettuate da imprese autosufficienti che vendono
direttamente al consumatore (ibidem, 890) 18 . Bisogna dire che
Salmon (ibidem, 147-48) relativizza l’importanza che nella
letteratura sul decentramento si assegna alle differenze
geografiche nei gusti, mettendo in evidenza le differenze tra la
sua analisi e quella di Breton. Egli non ritiene che le
diversità territoriali nelle preferenze siano importanti ai
fini della concorrenza orizzontale.
    A differenza di Breton - mantiene l’ipotesi tradizionale
della concorrenza fra i politici e/o i partiti politici per
accaparrarsi il consenso degli elettori. La concorrenza non si
svolge su un mercato “unico”, come nel modello di Tiebout, ma su
diversi mercati, anzi, Salmon (’87, 156) sostiene “la
possibilità di una concorrenza senza un mercato nel quale essa                     Commento [e.r.1]: Si può
                                                                                   qui chiarire meglio la
possa svolgersi”.                                                                  questione delle
    Salmon mantiene questa seconda ipotesi nonostante lo                           classifiche soggettive
                                                                                   che i cittadini delle
scetticismo di molti economisti circa la sua verifica e i                          varie giurisdizioni
problemi dell’asimmetria informativa che caratterizzano il                         tengono a mente nel
                                                                                   valutare il
rapporto agente-principale ai vari livelli.                                        comportamenti passati e
                                                                                   non solo le promesse
                                                                                   dei vari operatori
                                                                                   politici a livello
16                                                                                 orizzontale e verticale
   Salmon (ibidem, p. 145) si riferisce: a) alla concorrenza tra i politici per    e che naturalmente non
ottenere il voto; b) alla concorrenza tra le giurisdizioni per attirare            sono trasparenti e
residenti e imprese; c) alla concorrenza come rivalità per il potere o per avere   visibili come quelle
responsabilità.                                                                    che possono essere
17                                                                                 redatte da giornali o
   Sui tornei e le gare vedi tra gli altri Nalebuff e Stiglitz (83a e 83b).        altri enti sulla base
18
   Considera ora anche Sabel in Perulli (‘98)e Breton (‘98).                       di indici oggettivi.
16

Il torneo funziona meglio se i rischi o i disturbi sono minori.
Ancora i tornei funzionano meglio se i rischi ed i disturbi sono
di carattere generale piuttosto che idiosincratici 19 , cioè, se
interessano la generalità del partecipanti piuttosto che solo
alcuni di essi. Informazioni insufficienti o imprecise aumentano
i disturbi idiosincratici.
     Tutto questo se si assume che i partecipanti partano da
posizioni paritarie. Se le posizioni di partenza sono
differenziate nel senso che ci sono i più e i meno forti, allora
dice Salmon (154) i più deboli, i meno capaci potrebbero non
partecipare al torneo. Da qui la necessità di meccanismi
perequativi sia di tipo orizzontale che verticale.
    Da entrambi gli autori ed in particolare da Breton vengono
considerati essenziali per assicurare che la concorrenza possa
svilupparsi da soggetti che in questo modo vengono messi in
condizioni di parità.
    La letteratura sui tornei applicata alla produzione di BPL si
scontra con due limiti: la diversa dotazione di risorse (e/o
capacità) e la natura del contratto che intercorre tra eletti
ed elettori. Il primo è ovvio, con riguardo al secondo bisogna
essere avvertiti che si tratta di contratti incompleti. C’è
l’ambiguità della motivazione dell’agente (politico locale).
Anche lo sforzo di quest’ultimo non è del tutto decifrabile e
può essere sopravvalutato per effetto di operazioni d’immagine.
Non è facile distinguere se il Sindaco di Canicattì si dà da
fare per migliorare la qualità del BPL o la sua immagine per
farsi rieleggere e mantenersi al potere ?
    Se nelle imprese e nelle strutture burocratiche la risposta
sta nei contratti incentivanti, nonostante la loro complessità,
ben diverso è il discorso di “trasformare” (intendere) un
mandato politico amministrativo in un vero e proprio contratto
incentivante.
    In ogni caso, anche se non proprio nei modi sostenuti da
Salmon, la scommessa del federalismo sta proprio nel suo
vantaggio comparato circa la possibilità di controllare meglio i
politici a livello locale e quindi nella più alta probabilità
di migliorare il rapporto di agenzia.

    3.2.5 La concorrenza verticale.
    Se, come abbiamo visto sopra, accordi di coordinamento e
integrazione caratterizzano la produzione nel settore privato,
osserviamo che qualcosa di molto simile avviene nella
produzione di beni pubblici tra i diversi livelli di governo. In
un assetto federale i vari livelli tendono o dovrebbero tendere
a specializzarsi in certe attività ma deve essere chiaro che
tali attività restano intrinsecamente complementari. Se così la
produzione di beni pubblici richiede un alto grado di
coordinamento, alias, di cooperazione. Questa in parte è
alternativa alla competizione che, beninteso può esplicarsi per

19
  Idiosincrasia è incompatibilità o ripugnanza soggettiva esasperata. Sui
disturbi o rischi di tipo generale diversi da quelli di tipo idiosincratico
vedi Salmon, ibidem, p. 154.
17

lo più con riguardo alle funzioni condivise nelle quali le
competenze sono attribuite ad almeno due livelli di governo 20 .
    Al riguardo afferma Brosio (94c, 10) che "la concorrenza
verticale nasce dall'inevitabile sovrapposizione di effetti di
politiche diverse attribuite a governi diversi". Riferendosi
alla situazione italiana fa il caso della politica industriale
attribuita al governo centrale e della politica ambientale
attribuita alle regioni. Brosio sostiene che le politiche
industriali hanno effetti sull'ambiente come certe politiche di
protezione dell'ambiente hanno conseguenze sulle politiche
industriali del centro. Egli sostiene che "i cittadini
insoddisfatti di una scelta politica regionale possono
rivolgersi al centro, quelli insoddisfatti di una scelta
centrale si rivolgono alla periferia. Mettono cioè in
concorrenza e a proprio vantaggio un governo contro l'altro".
    Questo a noi sembra solo uno degli esiti possibili e neanche
uno di quelli più probabili. E' più probabile che una politica
rigorosa di protezione ambientale da parte di una regione possa
spingere il governo centrale a localizzare un impianto
industriale in un'altra regione che ha più seri problemi
occupazionali e si preoccupa di meno degli effetti
sull'ambiente; anche questo esempio semmai giustifica la
convenienza, se non proprio la necessità, di una cooperazione
tra governo centrale e governi regionali sugli standard e i
vincoli ambientali da rispettare anche perché l'inquinamento
industriale in una regione non si ferma ai confini della stessa.
    Osserviamo anche qui la confusione in cui cadono alcuni
autori tra la concorrenza dei candidati alle cariche pubbliche
di vario livello e la concorrenza post-elettorale a livello
della migliore offerta di un dato servizio. La concorrenza
verticale si svolge per guadagnarsi o mantenere il favore
dello stesso elettorato. I concorrenti sono strutture di offerta
di livello diverso salvo i casi di funzioni condivise in cui,
come abbiamo detto sopra, i diversi livelli di governo
concorrono a finanziare la medesima funzione. In questi termini,
secondo noi, ai fini della concorrenza verticale, non può
esserci distribuzione delle funzioni sulla base della
competenza esclusiva ma funzioni pubbliche condivise.
    A New York c’è la State University e la NY City University
che si contendono gli studenti. Nonostante l’elemento di
verticalità nelle caratteristiche soggettive di uno dei
soggetti, l’esempio di Salmon (ibidem, 165) ci sembra più
appropriato per descrivere la concorrenza orizzontale e di tipo
oligopolistico con prodotto differenziato. Infatti si tratta di
un bene per il quale c’è libertà di offerta. Negli Stati Uniti
20
  Dualismo e funzioni condivise non sono in contraddizione perché abbiamo
detto, seguendo Elazar e Kincaid (’91), che il federalismo duale è un
presupposto necessario sia al modello competitivo che a quello cooperativo e che
la concorrenza o la cooperazione debbono interessare una stessa funzione.   Sul
punto vedi Breton (’87, 289) e più esplicitamente Salmon (’87, 167) i quali però
assegnano grande rilevanza alla concorrenza di tipo verticale e ne precisano le
condizioni che la rendono possibile. In sintesi, ci devono essere norme
costituzionali che vietino al governo centrale il potere di attribuire o
revocare unilateralmente le funzioni dei governi sub-centrali o di modificare
le norme costituzionali che disciplinano tali poteri senza il consenso delle
entità federate. In sostanza, si deve trattare di un vero assetto federale.
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