IL CRAC MADOFF TUTTI GLI ELEMENTI DELLA TRUFFA DEL SECOLO - Autore: Andrea Ferrante
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“Your Honor, for many years up until my arrest on December 11, 2008, I operated a Ponzi scheme through the investment advisory side of my business, Bernard L. Madoff Securities LLC, which was located here in Manhattan, New York at 885 Third Avenue.” Queste sono le parole di esordio di fronte al giudice, di Bernard Madoff, l’uomo che ha cavalcato una delle più grandi truffe di tutti i tempi. Nell’esordio si intravede il possibile percorso difensivo, fondato sull’incolpare una parte del business (il lato advisory), sostenendo che gli altri rami (ad es. il brokeraggio) erano perfettamente legali e rispettabili. Non siamo interessati in questa sede a valutare se questa sia la strada difensiva migliore, benchè il tema della “exit strategy” sia interessante, bensì a capire da dove origina e come si è svolta, anche dal punto di vista tecnico, questa colossale truffa, che pare aver coinvolto e bruciato 65 miliardi di dollari. DAL BROKERAGGIO ALL’ADVISORY La società di Madoff (BMIS) nasce come un puro business di brokeraggio, sia sui mercati regolamentati, che su quelli over the counter (OTC). Il termine over the counter, deriva probabilmente la sua etimologia, dall’espressione usata dalle farmacie per i prodotti da banco, per i quali non è necessaria la prescrizione del medico ed i prezzi non sono controllati. In campo finanziario si tratta di mercati la cui negoziazione si svolge al di fuori dei circuiti borsistici ufficiali, quindi con contratti non standardizzati, regole definite dagli operatori e minori controlli. Vi operano, in genere, intermediari istituzionali e grandi player. Madoff diventa uno dei principali broker, perseguendo una doppia strategia: - realizza rilevanti investimenti per dotarsi di tecnologia che gli consenta di fare trading in modo più veloce, meno costoso ed egualmente affidabile, rispetto ai competitor; - avvia una discussa pratica di pay-back, consistente nel rimborsare un certo valore per azione, a tutti quei broker che decidono di spostare su di lui parte della loro operatività. I suoi volumi diventano talmente rilevanti, che entra a far parte del gruppo di aziende scelte per sviluppare il Nasdaq, fino ad arrivare ad averne in seno, incarichi ufficiali. La storia sarebbe potuta terminare qui, ma il successo ed i margini, attirano altri operatori, tanto che il brokeraggio perde nel tempo buona parte della sua profittabilità, dal momento che i broker combattono usando proprio la leva prezzo. Madoff aggiunge alle sue attività quella di market maker. Il market maker è un operatore che si assume il rischio di detenere un certo numero di azioni di un particolare titolo per facilitarne gli scambi sul mercato. Il brokeraggio di Madoff si evolve, perché assumersi un rischio significa essere remunerati maggiormente per sostenerlo. Il market maker è presente sul mercato con determinati quantitativi a specifici prezzi, in acquisto ed in vendita; quando riceve un ordine, immediatamente lo esegue al prezzo che egli stesso offre o cerca un compratore / venditore per il prezzo richiesto dal cliente e grazie alla tecnologia, il processo avviene in pochissimi secondi o frazioni di secondo. Nel 1989 la BMIS gestisce più del 5% dei volumi transati alla borsa di New York (NYSE). Anche in questo caso la storia si sarebbe potuta concludere con un caso di successo, ma nuovamente la concorrenza abbassa i margini ed i profitti. Oggi al Nasdaq, per esempio, operano circa 500 market makers, non vi è dubbio che la fetta a disposizione di ciascun operatore rischia di diventare sempre più sottile. Da qui alla consulenza / advisory, i cui margini sono maggiori, il passo è breve. BMIS però non consiglia solo dove investire, bensì canalizza gli investimenti in alcune direzioni; la consulenza porta ad un chiaro conflitto di interesse. IL TRIPLO RUOLO Si è letto in alcuni articoli che Madoff gestisse uno o più hedge fund (fondi speculativi). L’affermazione non è corretta. Madoff non è mai stato ufficialmente un gestore di fondi, anche se ha sempre dichiarato di poter fornire ai suoi investitori un rendimento costante del 10-12% annuo.
All’inizio del 2008, BMIS gestiva 23 posizioni per 17 miliardi di dollari. La maggior parte di questi conti apparteneva a cd “feeder fund” (fondi finanziatori o di alimentazione) che offrivano quote a numerosi investitori in giro per il mondo oppure venivano usati come sottostante di prodotti strutturati, investimenti speculativi etc… Questo significa che gli investitori non erano clienti di BMIS, bensì dei fondi. I ritorni erano quindi, in prima battuta, dei fondi, i quali dovevano aprire un conto presso BMIS e delegare la gestione dei loro portafogli. Emerge chiaramente che Madoff operasse quindi come broker / market maker e anche gestore di fondi, anche se dietro le quinte di un semplice ruolo di advisor. Ruolo che Madoff riuscì a non dichiarare alla SEC americana (l’equivalente della Consob) fino al 2006, dal momento che potè sfruttare una norma secondo la quale gli advisor con meno di quindici clienti erano dispensati dal segnalare la propria posizione. I clienti di BMIS erano pochi feeder funds, che però gestivano (o meglio, facevano gestire a Madoff) investimenti per migliaia di clienti finali. Se di primo acchito, appare evidente il conflitto di interessi tra il ruolo di intermediario e quello di gestore (sapendo dove si muovono ingenti masse di denaro, il rischio di insider trading è elevatissimo), bisogna però pensare a come sono regolamentati i mercati da una parte e dall’altra dell’oceano: i fondi europei destinati al pubblico (i cosiddetti UCITS III, Undertakings for Collective Investment in Transferable Securities) hanno regole molto restrittive riguardo a tali conflitti di interesse, quali americani no. In particolare, la BMIS aveva anche un terzo ruolo, quello di custode degli asset dei fondi investitori, aspetto che sotto la normativa europea non sarebbe stato mai permesso. Madoff quindi gestiva le attività dei fondi finanziatori (gestore) decidendo dove investire e quando, piazzando gli ordini per loro conto sul mercato ogni giorno (broker) e tenendo in custodia i titoli dei fondi stessi (deposito). Nella maggior parte dei casi queste figure sono distinte, oppure, qualora alcune “dipendenze” siano giustificate da strategie particolarmente complesse o da investimenti meno liquidi, il potenziale conflitto di interessi viene mitigato utilizzando controllori esterni indipendenti appositamente nominati e procedure certificate. I FEEDER FUNDS E LE STRANE COMMISSIONI Il ruolo dei feeder funds è già stato in parte evidenziato. “Giravano” business a Madoff e incassavano i rendimenti. La simbiosi tra le due parti è talmente evidente che l’andamento dei principali feeder funds è stato usato, una volta emersa la crisi, come proxy per stimare l’evoluzione dei risultati “ottenuti” dalla BMIS. In particolare, osservando Fairfield Sentry Ltd (FFS), Kingate Global Fund Ltd (KING), Optimal Strategic US Equity Ltd (OPTI), Santa Clara I Fund (SANTA), LuxAlpha Sicav - American Selection (LUX) e Herald Fund SPC - USA Segregated Portfolio One (HRLD), si nota come su 156 mesi di osservazione (precedenti al Dicembre 2008) solo in 5 casi la performance mensile sia stata negativa. Risultati clamorosi, fuori norma e irreplicati da qualsiasi altro operatore, fatto che già di per se rappresenta un alert. La situazione diviene ancora più anomala se si considera che la BMIS dichiarava di generare ricavi solo a fronte delle commissioni di brokeraggio che i fondi le pagavano per operare sui mercati. Madoff sosteneva di voler far beneficiare i suoi clienti, in primis quindi i feeder funds, del suo elevato expertise nel selezionare gli investimenti. Quindi i ritorni dei fondi erano davvero “pieni”, in quanto non pagavano a Madoff alcuna commissione di gestione o di performance, come avrebbero dovuto fare con qualsiasi altro gestore. Del resto la BMIS formalmente non gestiva alcun fondo, al massimo era un advisor e ufficialmente neanche quello. Rendimenti costanti, più alti della media ed a buon prezzo. In realtà queste “red flag”, che dovrebbero appartenere alla sfera del buon senso, specialmente per un investitore qualificato, erano associate ad altri indicatori più specifici: per esempio lo sharpe ratio. Tale indicatore esprime il rendimento di un portafoglio, in termini percentuali per ogni “unità di rischio” dell’investimento (misurato con la volatilità). Se anche qualcuno avesse creduto alla capacità quasi taumaturgica di Madoff di generare rendimenti eccellenti, credere che questo possa avvenire con un livello di rischio basso rasenta la stupidità. O l’avidità.
COSA MADOFF DICEVA DI FARE: LA STRATEGIA SPLIT-STRIKE A livello di feeder fund, il materiale di marketing ed i regolamenti di sottoscrizione a volte non menzionavano nemmeno la BMIS di Madoff. Semplicemente dichiaravano di allocare asset ad un manager che usava una strategia split-strike e questa segretezza, anomala in un mercato competitivo, era concordata con Madoff stesso. Anche questo era un piccolo alert: se lavorare con Madoff era così vincente, perché nasconderlo? In realtà Madoff selezionava fortemente coloro che potevano investire con lui: non bastava avere molto denaro ed essere “arrivati” dal punto di vista sociale, bisognava far parte di un club ristretto, scelto da Madoff stesso, per investire con o tramite lui. Un ulteriore elemento di scetticismo avrebbe potuto derivare dal mettere alla prova la strategia di Madoff: banalmente, non sarebbe stata in grado di per se di produrre i rendimenti dichiarati. Il sistema era relativamente semplice, una combinazione di azioni e opzioni: - acquisto di un portafoglio di azioni altamente correlate con l’indice S&P 100; azioni con un beta piuttosto alto; - vendita di un’opzione call out-of-the-money (cioè con prezzo d’esercizio superiore al prezzo di mercato del titolo sottostante l'opzione) sull’indice S&P 100 stesso; - acquisto di opzioni put out-of-the-money sempre sull’indice S&P 100; questo crea un limite inferiore sotto il quale ulteriori diminuzioni del valore del portafoglio vengono compensate dai guadagni generati dall’opzione. Lo scopo di un “collar” in genere è quello di garantire una protezione verso possibili ribassi del portafoglio, ad un costo inferiore rispetto alla strategia di acquisto delle sole opzioni put, dal momento che il costo di acquisto delle put è mitigato dai guadagni derivanti dalla vendita delle call. Madoff sosteneva che tale strategia avesse dei pregi: in sintesi un ottimo sharpe ratio ed in più la convenienza di acquistare le opzioni sull’indice, invece che sulle singole azioni del portafoglio. Tutto sommato motivazioni semplicistiche, tenuto conto che positivi rendimenti delle azioni implicano anche maggiori costi delle opzioni put e che, anche a fronte di una fenomenale capacità di scegliere le azioni in portafoglio, il rischio di correlazione può vanificare l’intera strategia. Infatti nessun altro utilizzatore di tale metodo è mai riuscito ad ottenere rendimenti del 12%… A corollario di tale strategia vi è il comportamento tipico di Madoff, di operare a brevissimo termine, cioè a fine mese chiudeva tutte le posizioni e mostrava un portafoglio di soli titoli di stato (americani). Perché? Perché da qualsiasi rendiconto sarebbe apparsa una posizione finale del tutto normale; mentre su tutte le transazioni intermedie Madoff era alquanto evasivo. Gli investitori, in un mondo caratterizzato da un uso crescente della tecnologia informatica e, più semplicemente dell’email, erano abituati a ricevere per posta ordinaria resoconti che riportavano la posizione di partenza e quella finale, senza dettaglio delle transazioni e dei flussi che avevano portato a tale risultato. Indubbiamente bizzarro. A volte il portafoglio finale era direttamente investito in liquidità e la scusa era non mostrare a nessuno (specialmente gli organi di viglianza) ove cadevano le scelte di investimento. Argomentazioni legate alla privacy ed alla segretezza mascheravano ben altro. Insomma, anche se Madoff fosse stato bravissimo a scegliere le azioni ed il timing dell’investimento, i segnali controversi sarebbero stati parecchi. COSA MADOFF FACEVA: LO SCHEMA PONZI Il sistema di Madoff era uno schema Ponzi. I rendimenti promessi agli investitori venivano pagati con la raccolta dei nuovi entranti. Una struttura piramidale che ha iniziato a crollare quando gli investitori, di fronte ai mercati in preda ad una crisi di liquidità e fiducia, hanno cominciato a chiedere il rimborso non solo gli interessi, ma anche il capitale investito. La situazione si presta ad essere descritta con un noto aforisma di Warren Buffet: “it' s only when the tide goes out that you see who has been swimming naked”. La struttura piramidale dello schema Ponzi, ben inteso, non ha sempre intenti truffaldini. Basti pensare alle nuove emissioni di titoli di stato, che un Paese usa per ripagare interessi e debito in
scadenza, oltre che per finanziare il nuovo fabbisogno; lo strumento contribuisce ad evitare shock di breve periodo e si regge sul “quasi-inesistente” rischio di default di un Paese ricco. Per alcuni versi, anche il programma di assistenza medica agli ultrasessantacinquenni americano (Medicare) è uno schema Ponzi. Gli esempi fraudolenti sono numerosi: dai fondi di investimento, alle operazioni a premio, al settore immobiliare, fino al caso Home Stake, società che si occupava di perforazioni di pozzi petroliferi, ovviamente inesistenti: per ingannare i compratori dei titoli della società, i truffatori arrivarono a dipingere di arancione i tubi per l' irrigazione di una fattoria in California, per farla sembrare un giacimento di petrolio. Quando la compagnia andò in bancarotta, gli ignari azionisti persero cento milioni di dollari. Chi era Carlo Ponzi? Un bancarottiere italiano nato a Parma nel 1882 ed emigrato in Canada nel 1903 dove iniziò la sua “carriera” falsificando banconote. Appena scarcerato si spostò negli USA dove si occupò di contrabbando. Nel 1919 a Boston (ancora oggi viene chiamato il “maestro di Boston”) organizzò un colossale schema piramidale applicandolo ai francobolli internazionali prepagati: i "tagliandi internazionali di risposta", creati nel 1906 dai Paesi aderenti all' Unione Postale Universale, venivano acquistati dal mittente di una lettera, in genere gli emigrati negli Stati Uniti, che così pagavano in anticipo il francobollo per la risposta. A quell'epoca il costo della vita in Europa era molto basso e il prezzo d' acquisto di un francobollo equivaleva a un centesimo di dollaro, ma le Poste americane restituivano francobolli locali per un controvalore di sei centesimi. Ponzi lasciò intravvedere ai suoi investitori una possibilità di facile arbitraggio, quantificata in restituzione dell’investimento in 90 giorni più interessi del 45%, che coinvolse oltre 10.000 cittadini. Pagò i primi investitori (un buon specchietto per le allodole), raccolse 9,5 milioni di dollari dell’epoca (una cifra che attualizzata equivale a 160 milioni di dollari odierni) e si permise anche di acquistare quote di una banca locale (la Hanover Trust Company). Dopo circa 6 mesi, la piramide iniziò a crollare, tanto che Ponzi cercò di sostenerla distraendo fondi dalla banca appena “acquistata”, resistendo fino all’estate del 1920. Le richieste di uscita erano ormai insostenibili, comparate con i nuovi ingressi. Per lui si riaprirono le porte del carcere. Ironia della sorte, se avesse “brevettato” a suo nome questo schema, i suoi avi godrebbero ancora oggi di consistenti royalties. La storia è sicuramente “gustosa”, il problema è che quello che fu possibile nel 1920, con limitata tecnologia, informazione e controllo, si è ripetuto su dimensioni globali meno di un secolo dopo. Da 6 mesi a quasi 20 anni di durata, da 6 milioni di dollari persi (sugli oltre 9 raccolti) a 65 miliardi bruciati (sui 17 gestiti). COME SI ARRIVA DAI 17 MILIARDI GESTITI AI 65 PERSI? Vi si arriva per molte strade: 1) hanno realizzato imponenti perdite i feeder fund di diritto americano, europeo o basati in paradisi fiscali (ad es. Cayman e Bermuda): tra gli altri Fairfield Greenwich Group ed il suo Fairfield Sentry fund ($ 7.5 miliardi); Tremont Capital Management ($ 3.1 miliardi); Kingate Management ed il suo Kingate Global Fund ($ 2.8 miliardi); Ascot Partners ($ 1.8 miliardi); e Access International Advisors ($ 1.5 miliardi in LuxAlpha); questi operatori avevano una vasta clientela, colpita dal tracollo di Madoff; 2) hanno sopportato perdite le grandi banche che gestivano fondi di fondi (funds of hedge funds): per es. Santander Optimal (2.33 miliardi di euro), Union Bancaire Privée (796 milioni di euro) e le tante altre citate dai vari articoli dei quotidiani; tali istituiti si ritenevano forti di una solida reputazione generale e di un’elevata qualità delle proprie due diligence; 3) hanno perso le banche depositarie: per anni alcuni istituti europei hanno agito da banca depositaria, e cioè custode dei cespiti di alcuni dei feeder funds che alimentavano il gigantesco schema Ponzi. E poiché quei cespiti sono apparentemente svaniti nel nulla, le banche potrebbero adesso ricevere costosissime richieste di risarcimento da chi aveva investito nei fondi. Per Ubs l' esposizione potrebbe essere di 1,4 miliardi di euro. Per Hsbc di
almeno 1,6 miliardi di euro, che però si andrebbero ad aggiungere al miliardo di dollari di potenziale perdita già dichiarata. 4) hanno perso le banche che hanno partecipato agli investimenti a leva: l’investitore mette un dollaro in un primo fondo, questo effettua una certa operazione con una banca controparte, che investe altri due dollari in un fondo gestito da Madoff. L’investitore può beneficiare di guadagni moltiplicati per tre, ma in caso negativo il sistema moltiplica anche le perdite; il crollo di Madoff infatti fa perdere un dollaro all’investitore e due alla banca. In un esempio chi investe mette i suoi soldi in un primo fondo (il Wickford Fund) proposto dalla società californiana Prospect Capital Llc. Questo fondo effettua uno swap con Hsbc (a volte la banca controparte non è nemmeno menzionata) e quest' ultima mette 3,25 volte tanto nel fondo Fairfield gestito da Madoff. Morale: investi uno, perdi 3,25. DOV’ERANO VIGILANZA E CONTROLLI? Negli ultimi sedici anni la SEC ha ispezionato per otto volte le attività di Madoff senza riuscire a risalire ad infrazioni rilevanti, se non pochi aspetti formali e secondari. Risale al 2005 un memo di un investigatore indipendente (Harry Markopolos) esperto di frodi e derivati, inviato alla SEC e profeticamente intitolato “The world’s largest hedge fund is a fraud”. Il paper di circa 20 pagine più appendici, cita 29 “red flag” che portavano l’autore a parlare di uno schema Ponzi, alcuni anni prima dello scoppio della crisi. Quello che gli esperti di finanza vogliono approfondire sugli strani sharpe ratio, sull’impossibilità della strategia split-strike di generare certi rendimenti, sulle performance troppo costanti dei feeder, sui bizzarri schemi commissionali, sulla presunta market- time ability di Madoff, sulla mancanza di audit etc… era già tutto scritto con largo anticipo. La SEC nonostante le esche che le sono state sventolate letteralmente sotto il naso, non era certo l’unico organismo di vigilanza. Chiaramente la BMIS aveva una società di auditing: la piccola e semisconosciuta Friehling and Horowitz. Benchè fosse accreditata presso la SEC era virtualmente sconosciuta nel settore, dotata di un piccolo ufficio in periferia ed il suo staff consisteva in Jerome Horowitz (un partner sulla settantina, residente a Miami), una segretaria, ed un contabile (David Friehling). Poteva una struttura del genere fare revisione ad un colosso che gestiva fondi tanto importanti? In realtà non bisogna dimenticare che la BMIS ufficialmente era un “semplice” broker e dichiarava (dopo esserne stata costretta nel 2006) che il lato advisory del suo business era seguito da cinque persone al massimo. Non vi è dubbio che la struttura societaria e manageriale della BMIS avrebbe dovuto sollevare parecchi dubbi, perché incentrata su membri della famiglia Madoff e pochi gestori specializzati, appena 5 per seguire 17 miliardi di dollari. Di fatto il cuore dell’auditing avveniva a livello di feeder funds, quindi un passo più lontano da Madoff. Qui si apre forse il tema più doloroso: ma se anche i sistemi di controllo “pubblici” non hanno saputo captare le anomalie della BMIS, se anche i ricchi investitori privati, le fondazioni e le associazioni non hanno capito il trucco che si celava dietro il business model della BMIS, come hanno potuto farsi abbindolare i grandi operatori specializzati (banche, intermediari, gestori di fondi e di fondi di fondi)? Ognuno di loro avrebbe dovuto praticare un’approfondita due diligence, che è lo strumento normalmente usato per valutare in termini quantitativi e qualitativi la bontà di un operatore al quale affidare i propri investimenti. E’ evidente che nonostante le dichiarazioni di facciata, i feeder fund complici non svolgevano alcuna due diligence verso l’operato di Madoff, in parte perché “semplice” broker, in parte perché dotato di una reputazione inattaccabile. Per coloro che invece hanno condotto una due diligence, alcuni non hanno investito, altri si. Non dimentichiamo che la due diligence è una best practice e benchè siano aumentati gli sforzi per standardizzarne il processo con pratiche universalmente accettate, resta comunque uno sforzo “privato” che non ha uno specifico valore legale. Quindi può essere fatta male o manipolata. Lo
possiamo dire senza imbarazzi, perché diversi studi sulla parte quantitativa emergente dalle analisi delle performance dei feeder funds e da altri dati pubblici, stanno ampiamente dimostrando come l’anomalia BMIS potesse essere identificata in anticipo. Il tema della due diligence e dell’analisi del rischio in generale non può e non deve essere sottovalutato, dal momento che ha impatti su molte aree della vita “finanziaria” di un Paese, delle banche e dei vari operatori. Il problema Madoff, infatti, si estende fino a influenzare Basilea II: le attività di una banca sono infatti suddivise in categorie, ad ognuna delle quali è associato un fattore di rischio (beta, tanto per cambiare) e tanto maggiore è la quota di impieghi dedicata a tali attività e tanto maggiori sono le protezioni (in termini di patrimonio disponibile) che la banca deve prendere. Le attività di Asset Management sono quelle a beta più basso (12%), mentre per esempio è associato un 18% a Corporate Finance e Payment & Settlement, oppure un 15% a Commercial Banking e Agency Services e così via. Dopo Madoff ci si sta chiedendo se tale 12% includesse già la possibilità di un evento come quello cui siamo di fronte, oppure no e quindi sia da rivedere. CONCLUSIONI Questo paper vuole posizionarsi tra gli articoli dai toni scandalistici scritti sulla bancarotta di Madoff ed i paper tecnici che analizzano strategie e strumenti utilizzati per condurre la truffa. Questa è una revisione che prescinde da qualsiasi considerazione e giudizio sull’operato delle parti coinvolte, su come hanno operato e su come si sarebbe potuto meglio controllare le azioni degli aventi causa. Questo per un semplice motivo. Anche se il caso Madoff fornirà molti spunti per migliorare il mondo finanziario esistente, non fornirà alcun deterrente all’avidità umana ed ai comportamenti irrazionali, che stanno alla base del comportamento di molte delle parti coinvolte. Sicuramente in questo momento da qualche parte del mondo, qualcuno starà valutando di investire le proprie risorse in operatori che promettono rendimenti superiori alla media in modo anomalo, qualcun altro starà operando uno schema Ponzi e qualcuno si starà arricchendo muovendo denaro. Sono abbastanza convinto che sia necessario riportare l’enfasi sulle aziende reali, sui servizi, sulla produzione, sull’economia “concreta”, con la finanza impegnata ad architettare le migliori strategie di supporto e non ad inventare percorsi di automoltiplicazione delle attività e dei rischi. Il caso Madoff, nella peggiore delle ipotesi,aiuterà in tal senso. PRINCIPALE BIBLIOGRAFIA www.wikipedia.com per le definizioni di Over the Counter, Hedge Fund, Sharpe Ratio, Out-of-the- money, Medicare www.ilsole24ore.com consultazione database articoli on-line www.corriere.it consultazione database articoli on-line http://www.aafinman.ch/articoli/Madoff%20Scheme.html http://www.itfinanza.it/trading-online/madoff-hedge-fund-truffa-50-miliardi-dollari-vertical-spread- 15122008.html http://static.reuters.com/resources/media/editorial/20090127/Markopolos_Memo_SEC.pdf Madoff: A Riot of Red Flags - Greg N. Gregoriou Francois-Serge Lhabitant Risk Management Lessons from Madoff Fraud - Pierre Claussy, Thierry Roncalliz, Guillaume Weisangx Gli ultimi due paper scaricabili al sito www.ssrn.com
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