LE FOIBE GIULIANE: QUALCHE PROBLEMA DI METODO

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LE FOIBE GIULIANE: QUALCHE PROBLEMA DI METODO

                                       di Raoul Pupo

         Il tema delle foibe molto spesso viene affrontato più che altro per le emo-
      zioni che esso è capace di suscitare, ma questo approccio rischia di mettere in
      ombra altri elementi forse più profondi, di interesse storiografico. Proporrò
      perciò, in questa sede, essenzialmente alcune questioni di metodo.

      Che vuol dire foibe? Che vuol dire infoibati?

          Il termine può essere inteso in senso letterale o simbolico: la differenza
      non è affatto semplicemente nominalistica. Nel significato letterale, il termine
      foibe fa riferimento alle voragini carsiche, mentre con infoibamento si inten-
      de l’uccisione mediante il lancio nelle voragini e/o l’occultamento dei cada-
      veri con il medesimo sistema. Però, una tipologia del genere, riguarda solo
      una parte, forse anche la parte minore, degli uccisi nelle ondate di violenza nel
      corso delle quali vennero usate anche le foibe. Volendo essere precisi quindi,
      bisognerebbe parlare di uccisi e scomparsi, in modo da riferirsi anche a tutti
      quelli che furono eliminati in prigionia o dei quali non si hanno più avute no-
      tizie. Solo in questo modo è possibile evitare equivoci. Molto più diffuso in-
      vece risulta l’uso generico del termine foibe per individuare due ondate di
      violenza (autunno del 1943 e primavera del 1945), che presentano alcuni ca-
      ratteri comuni: la dimensione di massa, la concentrazione nel tempo, l’attua-
      zione in un periodo di trapasso di poteri e ai danni di soggetti inermi. A sua
      volta, il termine infoibati viene adoperato per identificare tutte le vittime di
      quelle due ondate di violenza, indipendentemente dal modo in cui trovarono
      la morte. Evidentemente, in quest’ultimo caso siamo di fronte ad un significa-
      to simbolico, che può dare adito ad equivoci, e di fatto è origine di grande
      confusione, talvolta anche voluta. Nella ricerca storica infatti, prevale il rife-
      rimento esclusivo ai due momenti cruciali, quello successivo all’8 settembre
      1943 e quello seguente al 1 maggio 1945, anche se quest’ultima fase ha poi
      dei lunghi strascichi, perché la gestione e la sorte dei prigionieri copre un cer-
      to numero di anni del dopoguerra. Invece nell’uso politico, anche recente, il
      significato simbolico del termine foiba viene spesso dilatato fino a compren-

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dere tutte le vittime italiane della Venezia Giulia nel biennio 1943-1945 e for-     B Se però spostiamo l’osservatorio dalla memoria alla storia, cioè all’analisi
se anche dopo, compresi quindi – ad esempio – i caduti in combattimento: a             dei fatti e non dei ricordi e della loro gestione politica, questa immagine ri-
mio avviso, questo è il modo migliore per non capire più nulla di quanto è ef-         mane la stessa oppure cambia? Ovviamente non si tratta di mettere in di-
fettivamente successo, né sotto il profilo fattuale, né sotto quello dell’indivi-      scussione né la tragicità dei fatti, né il loro ruolo all’interno della coscien-
duazione della logica dei massacri.                                                    za nazionale, ma cercare di riflettere, assieme a voi, su cosa quei fatti han-
                                                                                       no significato per il paese.
Il problema della rilevanza storica
                                                                                         A questo proposito c’è una scuola di pensiero, che ha tuttora un certo suc-
    La questione delle foibe ha avuto negli anni Cinquanta, e poi nuovamente         cesso, secondo la quale le foibe rappresentano una catastrofe nazionale esem-
a partire dagli anni Novanta, una forte rilevanza sul piano civile e politico,       plare; catastrofe nazionale nel senso di un attacco mortale all’italianità giulia-
molto meno invece sul piano dell’indagine storica; al riguardo, si è parlato         na da parte del peggiore dei suoi “nemici storici”, lo slavismo, che cerca, e in
spesso di una sorta di “cortina di silenzio” da parte degli storici. Questo è un     parte riesce, a distruggere fisicamente la presenza italiana nella regione. Le
giudizio che andrebbe precisato e articolato, ma in ogni caso, è vero che la         espressioni utilizzate per esprimere questo concetto sono: genocidio naziona-
cortina è stata sollevata più dalla politica, che dalla ricerca storica, nel senso   le, olocausto giuliano, pulizia etnica. La catastrofe viene considerata esempla-
che la “nazionalizzazione” del problema è avvenuta prima in campo politico,          re perché rappresenta – secondo questo modo di intendere – un esempio di ciò
che non storiografico. Infatti fino a buona parte degli anni ‘90 la storia delle     che sarebbe accaduto in tutta Italia se avesse vinto il comunismo. Nel lontano
foibe è stata considerata un argomento di rilevanza “locale”, tanto è vero che       1948, un ufficiale della RSI (tuttora uno degli autori più prolifici in materia di
ad occuparsene sono stati pressoché soltanto ricercatori locali, mentre l’edito-     foibe) ha scritto: “Morti calcolati a metri cubi. Questo è il comunismo. Questa
ria nazionale si è quasi completamente disinteressata del loro lavoro.               è la sorte toccata agli italiani della Dalmazia e di quella zona della Venezia
                                                                                     Giulia che ebbero la sventura di provare le delizie del troppo grande paradiso
   A questo punto è legittimo l’interrogativo sulla rilevanza effettiva della        rosso. La sorte che minaccia di continuo quelle migliaia di italiani che non so-
questione delle foibe: il prolungato disinteresse della cultura storica italiana     no potuti fuggire, che minaccia l’Italia tutta: ché anche in Puglia ed in Lom-
(non solo di sinistra) va considerato come frutto di una congiura, o per lo me-      bardia ci sono miniere o cave o voragini, e terra ce n’è dovunque per essere ri-
no di un certo imbarazzo, degli studiosi, oppure è sintomo di un’effettiva mar-      dotta a fosse comuni e il mare circonda tutta l’Italia per accogliere coloro che
ginalità di quelle vicende nella storia del paese?                                   in questa Patria ancora credono e nella sua rinascita sperano”.

La domanda esige una risposta articolata:                                               Questa è una proposta di lettura molto compatta, e molto ideologica, ri-
                                                                                     spetto alla quale sono possibili varie osservazioni, che non intaccano la so-
A Se una vicenda è in grado, dopo mezzo secolo, di suscitare non solo forti          stanza drammatica di quelli avvenimenti, ma ne precisano lo spessore storico:
  emozioni, ma anche l’interesse delle istituzioni e di quasi tutte le forze po-
  litiche (magari con il corredo di “mea culpa” da parte di chi in passato l’a-      - Innanzitutto le sue dimensioni rispetto ad altri fenomeni di violenza belli-
  veva ignorata), si può ritenere che un certo rilievo lo debba proprio avere,         ca che hanno interessato le medesime popolazioni. Ad esempio per le foi-
  tanto più che questa ripresa di interesse non può essere considerata mero            be istriane si calcolano circa 700 vittime, mentre la successiva offensiva
  frutto di manipolazione, perché alla sua base stanno dei fatti assolutamen-          tedesca nello stesso territorio ne causò migliaia (circa 3.000); lo stesso nu-
  te reali e ben documentati; quindi il problema esiste ed ha una dimensione           mero complessivo delle vittime di cui si attribuisce la responsabilità alle
  nazionale, soprattutto come elemento importante, addirittura come simbo-             autorità jugoslave a fine guerra (circa 4.000-5.000), risulta inferiore a
  lo di una memoria non condivisa.                                                     quelle dei bombardamenti alleati nella Venezia Giulia. Si tratta di raffronti

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sui quali si può discutere molto, ma in ogni caso è certo che le foibe non           abissi di violenza si riesca a gettare uno sguardo in profondità su di una serie
  innescarono una catastrofe demografica a danno degli italiani.                       di fenomeni storici cruciali per la comprensione di una storia di frontiera, non
- L’obiettivo principale non sembra essere stato di distruggere totalmente gli         solo tra nazioni e stati, ma fra culture politiche molto diverse, fra strategie po-
  italiani, ma quello intimidirli; e intimidirli non tanto per metterli in fuga,       litiche antagoniste, fra mondi (nel significato assunto durante la guerra fred-
  quanto per forzarli ad aderire al nuovo ordine imposto della Jugoslavia co-          da) tra loro alternativi.
  munista, scoraggiando qualsiasi forma di opposizione e “normalizzando”
  in tempi accelerati la situazione dei territori giuliani a quella del resto del-     1. La guerra ad est
  la Jugoslavia.                                                                       Le foibe sono uno degli anelli della guerra iniziata nell’aprile 1941 contro la
- Alla fine della crisi, gli equilibri quantitativi fra i gruppi nazionali non era-    Jugoslavia, che a sua volta sta tutta dentro a quel grande contenitore che fu la
  no stati modificati, e quelli politici dipendevano da altri fattori, in primis       guerra di sterminio lanciata dai nazisti sul fronte orientale, una guerra che in-
  dai regimi delle occupazioni, anglo-americana e jugoslava.                           nescò una spirale di orrori, spero ormai abbastanza nota. All’interno di quella
                                                                                       concezione di guerra totale – in cui la popolazione civile era completamente
    Queste considerazioni non vogliono significare che le foibe non abbiano            travolta – alla fine del 1943 i tedeschi a Trieste crearono il campo della Risie-
avuto conseguenze politiche; ne hanno avute almeno su due piani: dopo il               ra di San Sabba, ed è all’interno di quella logica, senza pietà e al di fuori di
1943, hanno determinato difficoltà all’adesione degli italiani al movimento            tutte le regole, che nel 1945 l’esercito jugoslavo fucilò molti dei soldati italia-
resistenziale nella regione istriana, perché si temeva l’egemonia del movi-            ni e tedeschi che si erano appena arresi e lasciò morire di fame gli altri nei
mento di liberazione jugoslavo in chiave antitaliana, e poi, dopo il 1945, si          campi di prigionia.
aprì una conflittualità durissima – anche tra gli antifascisti – fra chi voleva l’I-
talia e chi voleva la Jugoslavia. Se le foibe non procurarono alcuna frattura          2. Diverse risposte alla dominazione fascista
sostanziale nella storia dell’area giuliana, una frattura irrimediabile si verificò    Nelle foibe si esprime una logica estremista, presente solo in parte nella resi-
invece, in maniera chiarissima, a seguito di un altro fenomeno, di poco poste-         stenza italiana, vincente invece in quella jugoslava, sia perché il dominio na-
riore ed in parte collegato alle violenze dell’esercito jugoslavo: l’esodo dei         zifascista colà fu più duro, sia perché a guidare quella resistenza fu quello che
giuliano-dalmati, che coinvolse almeno un quarto di milione di abitanti,               era probabilmente il partito comunista più estremista d’Europa.
espulsi e non uccisi. Ciò comportò la sparizione dal territorio del proprio in-
sediamento di un intero gruppo nazionale autoctono e la fine di una storia ini-        3. Diverse concezioni dell’antifascismo
ziata con la romanizzazione (II secolo a.C.) e poi proseguita senza soluzione          Il movimento di liberazione jugoslavo esprimeva una concezione dell’antifa-
di continuità; l’esodo produsse un’evidente frattura storica, determinando una         scismo assai estensiva: chiunque si opponeva al movimento partigiano, o an-
reale catastrofe dell’italianità adriatica: è come se, di colpo, scomparissero le      che soltanto non ne riconosceva la guida, e non ne condivideva le finalità po-
Marche o la Romagna.                                                                   litiche, era per ciò stesso considerato fascista o “residuo del fascismo”. Per-
    Ovviamente, non si tratta qui di porre una questione di gerarchia fra le di-       tanto infoibare italiani o sloveni anticomunisti, al di là di ciò che potevano in-
sgrazie, ma sia le foibe che l’esodo hanno avuto scarsa cittadinanza nella cul-        dividualmente aver compiuto, significava lottare contro il fascismo.
tura storica e nella coscienza nazionale italiana a partire dagli anni ‘60; en-
trambi i fenomeni sono stati recentemente riscoperti, ma con uno sbilancia-            4. Compresenza sul medesimo territorio di diversi movimenti resistenziali
mento, che sottolinea l’interesse prevalentemente emotivo e politico, piutto-          Sul confine orientale d’Italia si organizzarono diversi movimenti resistenzia-
sto che storico. di tale riscoperta. Per dare risposta all’interrogativo sulla rile-   li, non solo come riferimento statuale, ma anche sul piano dei modelli politi-
vanza delle foibe nella storia d’Italia, conviene quindi seguire un percorso un        ci: quello ciellenista e quello ad egemonia comunista. La resistenza italiana
po’ meno tradizionale, che ci consente però di scoprire come attraverso quegli         non ha nulla a che vedere con le foibe (è per questo che il 25 aprile a Trieste i

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componenti del Comitato per la difesa dei valori della resistenza si rifiutano         Questa è una delle basi teoriche dell’annessionismo jugoslavo nel 1945, e di
di andare a Basovizza), mentre il movimento di liberazione jugoslavo è pie-            conseguenza chi si oppone all’annessione è un reazionario e va eliminato.
namente coinvolto con le foibe, anzi, le foibe non rappresentano una devia-
zione, un eccesso (come diceva un tempo parte della storiografia), bensì una           6. Diverse concezioni della nazione
conseguenza diretta di quel modo di intendere la lotta di liberazione, che era         Secondo il nazionalismo italiano l’appartenenza ad una nazione avviene su
anche rivoluzione e guerra di sterminio degli avversari. L’uso della violenza          base volontaristica, mentre per gran parte delle popolazioni dell’Europa cen-
nella fase finale della guerra e nel primo dopoguerra è diverso in Italia e in Ju-     tro-orientale la nazione ha precisi connotati etnici; si confrontano cioè due
goslavia: nel primo caso la violenza (la diffusa uccisione di fascisti) fu un fat-     idee di nazione: una a base volontaristica, una a base etnica. Ne deriva un dif-
to residuale, a conclusione della guerra civile apertasi nel 1920-1922, o un se-       ferente giudizio sui processi di assimilazione, che per gli italiani sono ovvia-
gno di insofferenza per i limiti posti dal quadro internazionale e dallo stesso        mente possibili, mentre per gli jugoslavi costituiscono un evento contro-natu-
Togliatti alla lotta di classe, ma comunque non si inserì in un disegno strategi-      ra. Tra le tante conseguenze di queste posizioni differenziate, va segnalato che
co, poiché Togliatti non mirava alla rivoluzione comunista; nel secondo caso           per gli italiani tutti gli abitanti dei territori annessi nel 1918 erano natural-
invece la violenza svolgeva una funzione strategica e costituiva uno dei pas-          mente diventati italiani, mentre per gli jugoslavi, rimanevano sloveni o croati
saggi chiave per l’affermazione e per il consolidamento del regime di Tito.            denazionalizzati. Questa è una delle ragioni per cui non è accettabile parlare
Questi due modelli resistenziali non soltanto erano diversi, ma in parte con-          di “pulizia etnica” per le uccisioni legate alle foibe; in proposito l’espressione
correnziali, fino al punto di entrare in conflitto nel 1945, quando gli jugoslavi      più equivoca, ma anche una delle più diffuse è quella che le vittime delle foi-
infoibarono un certo numero di partigiani italiani che facevano capo al Cln            be furono uccise soltanto perché italiane: se intendiamo “italiani” nel signifi-
giuliano, e considerano lo stesso Cln un “organismo criminale”.                        cato etnico della parola, è una lettura debole, perché molti dei perseguitati non
                                                                                       lo erano, mentre altri che invece erano di origine italiana, ma la pensavano nel
5. Diverse concezioni dell’internazionalismo                                           modo “giusto” – intendo i comunisti che volevano l’annessione di parte della
Nel 1943 la contaminazione del nazionalismo sul movimento partigiano croa-             Venezia Giulia alla jugoslavia – ebbero meno guai, almeno nell’immediato, di
to che gestisce l’insurrezione popolare e le violenze delle foibe in Istria è mol-     quanti non ne ebbero, ad esempio, gli sloveni anticomunisti che finirono an-
to evidente: lo dimostra la dinamica dei fatti, ma non va dimenticato che in           ch’essi nelle foibe. Se invece intendiamo “italiani” nel significato politico del
Istria lo stesso processo di formazione del movimento popolare di liberazione          termine, cioè come coloro che non solo “si sentivano” italiani, ma volevano
è avvenuto sul ceppo del tradizionale nazionalismo croato, e le conseguenze            l’Italia come proprio stato, il discorso cambia completamente: questi erano
si vedono. Nel 1945 da parte dei comunisti jugoslavi viene espressa una con-           considerati nemici da mettere fuori gioco, a prescindere dal nome che porta-
cezione dell’internazionalismo che è molto diversa da quella dei comunisti             vano e dalle loro origini.
italiani, che difatti ne sono stati messi in crisi. Alle spalle sta una lettura mol-
to radicale del quadro internazionale, che ha preso corpo già all’inizio del           7. Sovrapposizione di diverse storie nazionali
1944: quando manca ancora più di un anno dalla fine della guerra, il nemico            Gli avvenimenti che hanno caratterizzato la Venezia Giulia dal 1943 ai primi
principale da battere viene individuato nella Gran Bretagna e negli Stati Uni-         anni del dopoguerra, possono essere analizzati da diverse prospettive e con
ti; perciò bisogna prepararsi al prossimo conflitto, estendendo il più possibile,      differenti risultati, se considerati dal punto di vista della storia nazionale ita-
anche sul terreno, l’area del socialismo. Nel febbraio 1944, Edvard Kardelj            liana o di quella jugoslava. Nella prospettiva della storia italiana, la resistenza
considera Trieste una città jugoslava, quindi appartenente al campo sovietico,         fu essenzialmente una lotta per la liberazione dai tedeschi e per la fondazione
cioè un trampolino per l’espansione del comunismo verso ovest. È chiaro che            di un sistema liberal-democratico; una prospettiva secondo la quale i massacri
si tratta di un discorso strumentale, ma non solo, difatti trova larghi consensi       di italiani avvenuti in una regione di confine, si prestano quasi automatica-
anche fra i comunisti italiani della regione (anche se non tutti e non subito).        mente a venir letti come un’irruzione di violenza esterna, volta a spiantare la

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fragile italianità giuliana. L’attenzione è concentrata sulla sorte della Venezia       agli italiani veniva richiesto di dimostrare con i fatti di stare dalla parte giusta,
Giulia, regione di frontiera, e soprattutto su Trieste e sull’Istria, abitate in buo-   ossia di battersi per l’annessione alla Jugoslavia e collaborare alla persecuzio-
na parte da italiani: è questa la parte di maggior visibilità per gli italiani. Nel-    ne di chi invece non la voleva.
la prospettiva della storia jugoslava la guerra di liberazione è anche guerra ci-
vile, combattuta con una radicalità sconosciuta all’esperienza italiana, e fun-         Ultima questione: era così difficile?
zionale all’affermazione del comunismo con metodi rivoluzionari, fra i quali
– come abbiamo visto – rientra anche l’eliminazione in massa degli antagoni-                Voglio dire, ci voleva davvero mezzo secolo per arrivare ad una lettura cri-
sti, reali o anche soltanto potenziali, secondo la logica della purghe staliniane.      tica sulle violenze legate alle foibe, una lettura ragionevolmente seria, come
Questi sistemi vengono messi in atto in tutto il Paese, man mano che viene li-          quella che è stata prodotta negli ultimi anni, in maniera convergente, da stu-
berato dai tedeschi e si insediano le autorità popolari. Un’ondata di violenze          diosi italiani e sloveni di diversa formazione e orientamento politico?
di vastissime proporzioni copre tutta la Jugoslavia e, nelle sue estreme pro-               Probabilmente no; in effetti non si tratta di una questione particolarmente
paggini occidentali, coinvolge anche alcune migliaia di italiani ivi residenti.         complessa, e quando è stata affrontata senza pregiudizi, mettendo in fila quel-
È molto probabile che la prospettiva della storia jugoslava ci faccia capire            lo che si sapeva, vagliando e incrociando le fonti, in pochi anni è stata elabo-
meglio che cosa è successo e perché, con un’avvertenza: il problema del co-             rata una ricostruzione sufficientemente articolata. Il problema è, che si è co-
munismo e quello del nazionalismo non possono venir disgiunti. Il fatto che             minciato molto tardi, dopo una lunga disattenzione da parte degli storici; le
nella Venezia Giulia la repressione colpisca un così alto numero di italiani ri-        ragioni di questo ritardo storiografico sono di natura eminentemente ideologi-
spetto a sloveni e croati, che pure vi risiedono, non è dovuto soltanto a motivi        ca e politica.
ideologici oppure all’addensamento degli italiani nei centri urbani, ma nel-                Le preoccupazioni politiche sono state molto forti negli anni del dopo-
l’ambito della crisi legata alla presa del potere comunista in Jugoslavia – di          guerra, ovviamente per il dispiegarsi della guerra fredda con le sue contrap-
cui le terre giuliane erano considerate parte – essere italiani costituiva un fat-      posizioni ideologiche, ma soprattutto perché quello che per il resto d’Italia era
tore di rischio aggiuntivo, che non è difficile da comprendere: per la nuova            oramai dopoguerra, nella Venezia Giulia era un’altra cosa: non guerra, ma
leadership comunista jugoslava, l’Italia e gli italiani – salvo poche eccezioni –       nemmeno pace, in quanto la destinazione statuale della regione è rimasta in-
costituivano il nemico del passato, del presente e del futuro. Il nemico del pas-       certa fino al 1954 e l’espulsione degli italiani dall’Istria è andata avanti alme-
sato, perché l’Italia di Vittorio Veneto aveva annesso nel 1918 terre slave, e          no fino al 1956. Per un decennio, dopo il 1945, la lotta politica era lotta per la
per le colpe del fascismo; il nemico del presente, perché – notoriamente – non          sopravvivenza nazionale e un tema come quello delle foibe divenne l’emble-
solo il governo di Roma ma anche la maggioranza degli italiani della Venezia            ma più clamoroso della minaccia nazionale che incombeva sugli italiani, e di-
Giulia si opponeva all’annessione della regione alla Jugoslavia; il nemico del          ventò pure uno strumento privilegiato dello scontro politico. In quegli anni si
futuro, perché l’Italia sarebbe rimasta uno stato capitalista legato agli Stati         formarono le interpretazioni “militanti”, l’una speculare all’altra, quella nega-
Uniti e quindi, di per sé, fascista, revanscista e imperialista, una perpetua mi-       zionista di parte jugoslava, e quella del “genocidio nazionale” da parte italia-
naccia per la Jugoslavia socialista e le sue rivendicazioni.                            na.
Pertanto agli italiani, nella fase delicatissima della creazione del nuovo ordi-            Ciò è facilmente comprensibile, ma quello che è più deplorevole, è che
ne, andava dedicata un’attenzione affatto particolare, che si traduceva in una          queste tesi si siano poi cristallizzate, divenendo da un lato verità di Stato per
“pulizia” particolarmente rigorosa. Forse sarebbe eccessivo parlare di una              la storiografia di regime jugoslava, dall’altro invece, pilastro di un approccio
presunzione generalizzata di colpevolezza nei confronti degli italiani – alme-          nazionalista italiano alla storia di frontiera; nell’insieme si è determinato un
no a livello teorico – ma a livello pratico (cioè di gestione della repressione da      vuoto di ricerca storica. Per la storiografia d’impianto marxista, è spiegabile
parte dei quadri del partito, del movimento partigiano e del nuovo apparato             in maniera abbastanza semplice:
dello stato) quella presunzione era probabilmente operante, o, quantomeno,

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1. su tutta la vicenda della frontiera orientale i comunisti italiani avevano te-      su quello strategico, acquisendo una funzione di stato cuscinetto nei confron-
   nuto comportamenti che vent’anni dopo non era piacevole ricordare e se ne           ti del patto di Varsavia. Questo mutato scenario internazionale ha costituito un
   diedero versioni molto edulcorate;                                                  forte incentivo a mettere la sordina a temi dirompenti come quello delle foibe,
2. fino a tutti gli anni ‘70, fu diffusissimo il mito dell’esperienza jugoslava,       assieme a quello dell’esodo istriano, che venivano intesi da parte jugoslava
   sia di quella resistenziale, che della successiva opposizione a Stalin e del-       come una provocazione politica.
   l’autogestione: ciò impedì di vedere i lati oscuri di quell’esperienza.                 Mentre a livello statuale l’attenzione alle vicende della frontiera orientale
                                                                                       è passata da una sovra-esposizione ad una sotto-esposizione, a livello giuliano
    In Italia, anche dentro l’università, per venti o trent’anni non si sono leva-     invece, si è affermata nei primi anni Sessanta una nuova dirigenza politica, di
te molte voci sui fatti della Venezia Giulia: a destra (dagli ambienti neo-fasci-      centro-sinistra, consapevole che l’intera area devastata dal nuovo tracciato di
sti, legati al Msi, e da quelli di estrazione nazionalista) è prevalso un approc-      confine sarebbe crollata dal punto di vista economico, se non si fosse avviata
cio riduzionista: foibe, esodo, Istria, Dalmazia, sono stati tutti temi delegati       una politica di collaborazione con la Jugoslavia. Ciò comportava la rottura di
all’utilizzo politico spicciolo a livello locale o nell’ambito del mondo della         ogni rapporto con la tradizione nazionalista italiana e l’avvio di una politica di
diaspora istriana alla ricerca di pochi voti in periodo elettorale; non c’era bi-      ricucitura dei rapporti fra italiani e sloveni in Italia e di buone relazioni con la
sogno di grandi idee, bastava sollecitare opportunamente la memoria dolente.           repubblica federativa jugoslava: la nuova parola d’ordine divenne quindi
                                                                                       quella del “confine-ponte”, e sotto quel ponte foibe ed esodo erano sicura-
   A proposito di questa memoria, credo ci siano due fatti importanti, che             mente delle mine.
vanno tenuti presenti anche per capire molti degli atteggiamenti di oggi:                  La svolta interpretativa si realizza appena alla fine degli anni ‘80, quando
                                                                                       vanno all’aria tutti i riferimenti politici interni ed internazionali della stagione
1. questa memoria ha trovato forti difficoltà a farsi ascoltare, fuori dai circuiti    precedente.
   speciali, ciò ha contribuito da un lato a bloccarla e a stereotiparla, dall’altro       Per la verità, le prime indicazioni forti risalgono a qualche anno prima del
   l’ha resa ancora più sofferta;                                                      grande ribaltone, e sono opera di Elio Apih, studioso triestino della generazio-
2. quando parliamo di foibe, noi non stiamo affatto parlando di una storia con-        ne del dopoguerra, ma alieno da conformismi di ogni tipo: Apih introduce la
   clusa e in qualche modo riposta negli scaffali della conoscenza; al contra-         distinzione tra “scenario” di furor popolare e la “sostanza politica” del dram-
   rio, è una storia aperta, non solo perché vi sono dei soggetti esterni interes-     ma, consistente nell’”epurazione preventiva” della società giuliana.
   sati per varie ragioni a riscoprirla, ma perché manca la conclusione, nel               La sua lezione poi è stata sviluppata da un gruppo ristretto di studiosi (non
   senso che, buona parte delle famiglie delle vittime, dopo mezzo secolo non          più di due o tre), che sono arrivati a convergere su di un’interpretazione che
   ha ancora idea di quale si stata la sorte dei loro congiunti. Si può compren-       pone al centro dell’attenzione il problema della “presa del potere” da parte di
   dere l’impatto devastante che una simile incertezza ha avuto sui destini fa-        un movimento di liberazione che era anche movimento rivoluzionario, che si
   miliari, ma anche sulla vita di intere comunità: il trauma non è stato ancora       affermava con i modi propri delle rivoluzioni, e che si stava trasformando in
   completamente assorbito.                                                            un regime di tipo stalinista, convertendo quindi in “violenza di stato” l’ani-
                                                                                       mosità nazionale ed ideologica diffusa nei quadri partigiani sloveni e croati.
   Per quanto riguarda invece l’area di centro, che nel paese era maggioritaria            Su questo terreno interpretativo si è infine realizzato anche un primo in-
ed aveva un ruolo di governo, il discorso è più complesso. Se fino alla secon-         contro con la nuova storiografia slovena che – dopo l’indipendenza del paese
da metà degli anni ‘50 la Jugoslavia era il nemico, nazionale ed ideologico, e         dalla Jugoslavia – si sta liberando da molti dei precedenti condizionamenti.
la maggior minaccia all’integrità nazionale, a partire dagli anni ‘60 la situa-        L’esempio più eloquente del passo avanti compiuto – impensabile solo dieci
zione è completamente cambiata ed anzi la Jugoslavia progressivamente è di-            anni fa – è costituito da alcuni degli esiti di una Commissione bilaterale stori-
ventata un ottimo vicino dell’Italia, non solo sul piano economico, ma anche           co-culturale costituita nel 1993 dai due Ministeri degli esteri.

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La commissione ha in realtà affrontato un arco cronologico molto più am-
pio (1880-1956), ma comunque nel suo rapporto finale ha fatto proprie tutte le
acquisizioni più recenti della storiografia, parlando quindi esplicitamente di
“violenza di stato” ed affermando sinteticamente che arresti, deportazioni e
uccisioni “si verificarono in un clima di resa dei conti per la violenza fascista
e di guerra ed appaiono in larga misura il frutto di un progetto politico preor-
dinato, in cui confluivano diverse spinte: l’impegno ad eliminare soggetti e
strutture ricollegabili (anche al di là delle responsabilità personali) al fasci-
smo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo ed allo Stato italiano, as-
sieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o
presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista e dell’annessione
della Venezia Giulia al nuovo Stato jugoslavo”.

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