Il Corsaro Nero e il Capitano Blood: Una Lettura Comparata di Alcuni Lavori di Emilio Salgari e di Rafael Sabatini

Pagina creata da Lucia Parodi
 
CONTINUA A LEGGERE
Belphégor

            Michelguglielmo Torri

            Il Corsaro Nero e il Capitano Blood: Una
            Lettura Comparata di Alcuni Lavori di Emilio
            Salgari e di Rafael Sabatini

                              A mo' d'introduzione: come e perché è stato delimitato il tema di questo
                              articolo

                        Vorrei aprire quest'articolo, spiegando perché ho scelto come soggetto
                        un'analisi comparata dei due romanzi di Emilio Salgari in cui compare il
                        Corsaro Nero con il romanzo Il capitano Blood di Rafael Sabatini. Non
                        sono, infatti, né uno studioso di letteratura né, tanto meno, un anglista,
            bensì uno storico. Sabatini ha scritto romanzi e racconti storici più alcuni saggi di
            storia. Quindi, a prima vista, si può pensare che io sia competente, in quanto
            storico, ad analizzare la dimensione storica dell'opera di Sabatini. Tuttavia, la mia
            competenza specifica di storico, per quanto riguardi un'area piuttosto grande del
            mondo (il subcontinente indiano ed il Medio Oriente), non coincide in alcun modo
            con quella in cui Rafael Sabatini ha ambientato le sue opere.

            Le opere di Sabatini, infatti, hanno tutte come scenario l'Europa Occidentale, o il
            Mediterraneo Occidentale, o la Costa Orientale degli Stati Uniti o, infine, il Mar dei
            Caraibi. Anche i pochissimi romanzi di Sabatini che sono di argomento, per così
            dire, «esotico», cioè La spada dell'islam e Lo sparviero del mare, si svolgono nel
            Mediterraneo Occidentale, cioè in un'area in cui la mia competenza storica non
            arriva.

            Quando ho ricevuto da «Belphégor» la proposta di preparare un articolo su Rafael
            Sabatini, quindi, mi sono interrogato sul soggetto che avrei voluto trattare.
            Effettivamente, proprio come storico, un tema che mi avrebbe fatto piacere
            affrontare era rappresentato dal contenuto storico dei romanzi di Sabatini sulla
            Rivoluzione Francese. Scaramouche - ambientato nel periodo immediatamente
            prima ed immediatamente dopo lo scoppio della Rivoluzione Francese - è, a parer
            mio, il migliore in assoluto fra i romanzi di Sabatini e uno dei migliori romanzi
            storici che mi sia mai capitato di leggere.

            Purtroppo, però, per quanto non privo di cognizioni sulla storia della Rivoluzione
            Francese, non ne ho a sufficienza per affrontare in maniera critica una trattazione
            dello sfondo storico dei romanzi sabatiniani ambientati a quei tempi. Questo
            problema si pone anche per gli altri romanzi, nel senso che anche gli altri periodi
            storici trattati da Sabatini, per quanto da me conosciuti, in quanto persona
            genericamente colta, non rientrano nel mio campo specifico di competenza.

            Alla fine, la soluzione del problema mi è stata data dall'idea di comparare l'opera di
            Sabatini a quella di Emilio Salgari.

            Perché questo accostamento di Salgari a Sabatini? Innanzi tutto perché noi italiani

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            che abbiamo letto Sabatini siamo tutti reduci dalla lettura dei romanzi di Salgari. È
            difficile pensare che vi sia un lettore italiano di Sabatini che, prima, non abbia letto
            Salgari. Per molti degli appartenenti alla generazione nata nel secondo dopoguerra
            (che è, poi, l'ultima generazione che ha sistematicamente letto Salgari), in realtà la
            scoperta di Sabatini è dovuta alla ricerca di un autore che potesse sostituire Salgari
            una volta che tutti i libri di quest'ultimo erano stati letti e riletti.

            Un'altra analogia fra Sabatini e Salgari è, poi, che l'uno e l'altro sono autori di
            romanzi storici. Salgari, è vero, a differenza di Sabatini, ha ambientato la gran
            parte dei suoi romanzi in un periodo storico appena trascorso o contemporaneo
            rispetto a quello in cui scriveva, tanto che tali romanzi possono essere considerati
            d'attualità. In proposito, basti pensare al ciclo delle Filippine, scritto in
            contemporanea a quella rivoluzione filippina antispagnola (e antiamericana) che fa
            da sfondo agli avvenimenti dei romanzi in questione. Salgari, però, è anche stato
            autore di alcuni romanzi storici ambientati nel Mediterraneo fra '500 e '600. Si
            tratta de Le pantere di Algeri, di Capitan Tempesta e del suo seguito, Il leone di
            Damasco. Inoltre Salgari ha scritto un romanzo, Cartagine in fiamme, ambientato
            addirittura al tempo della terza guerra punica, cioè un periodo storico assai più
            remoto di quelli che servono da sfondo ai romanzi di Sabatini.

            Ma l'analogia decisiva fra l'opera di Salgari e quella di Sabatini, che mi ha spinto a
            sceglier il tema di quest'articolo, è rappresentata dal fatto che sia Sabatini sia
            Salgari hanno ambientato una serie di romanzi nei Caraibi nel periodo fra il '500 ed
            il '600, all'epoca cioè della guerra da corsa condotta soprattutto da inglesi e francesi
            contro gli spagnoli. Per questo motivo è sembrato logico tentare di fare un
            paragone tra i personaggi che agiscono e il mondo che viene descritto in questi
            romanzi dei due autori. L'idea di fondo è che un paragone fra il modo in cui Salgari
            e Sabatini affrontano lo stesso periodo storico possa darci delle indicazioni
            interessanti sulla maniera di scrivere e sulla personalità dei due autori.

            Dato che, come storico, sono abituato a delimitare i miei temi d'analisi in maniera
            precisa, in modo che non vi siano equivoci o lo spazio per possibili critiche di
            superficialità, ho ritenuto opportuno circoscrivere ulteriormente il campo della
            comparazione e dell'analisi. Non parlerò di tutti i romanzi di Salgari e di Sabatini
            ambientanti nel Mar dei Caraibi fra '500 e '600, bensì solo de Il capitano Blood di
            Rafael Sabatini e dei due romanzi di Emilio Salgari in cui compare il Corsaro Nero,
            cioè Il Corsaro Nero e La regina dei Caraibi.

            Questa selezione è giustificata dal fatto che Il capitano Blood è l'unico romanzo in
            cui compare Peter Blood, dato che Le cronache del capitano Blood e Le fortune del
            capitano Blood sono raccolte di novelle. Per quanto riguarda Il Corsaro Nero e La
            regina dei Caraibi, invece, abbiamo due volumi che costituiscono due romanzi
            differenti, ma che sono l'uno il seguito dell'altro. In effetti, la connessione fra i due
            romanzi è tanto stretta che si può sospettare che Salgari, scrivendo il primo,
            pensasse già alla possibilità di scrivere il secondo. Questo aspetto, più di unicità che
            di continuità, è stato recentemente sottolineato dalla Casa Editrice Nord che, in
            occasione del centenario della pubblicazione de Il Corsaro Nero, ha unificato Il
            Corsaro Nero e La regina dei Caraibi in un unico volume intitolato Avventure del
            Corsaro Nero 1 . Se è permesso un paragone dichiaratamente audace, si può dire che
            l'unificazione dei due romanzi salgariani in un'unica opera è del tutto analoga a
            quella che, a suo tempo, si fece per il Don Chisciotte. L'opera di Cervantes, infatti,

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            è formata, in realtà, da due volumi distinti, scritti in momenti diversi. Anzi, abbiamo
            tutte le ragioni di ritenere che, quando scrisse il primo volume del Don Chisciotte,
            Cervantes non pensasse di scriverne un secondo. Ma, come ognun sa, quei due libri
            furono poi unificati come la prima e la seconda parte della medesima opera. Quindi,
            quando parliamo del Don Chisciotte, parliamo di entrambi i volumi, nonostante che,
            fra il primo ed il secondo, vi sia una certa differenza di stile ed una certa evoluzione
            dei personaggi.

            Lo sfondo storico dei romanzi

            Come si è detto, il periodo storico e l'ambiente delle Avventure del Corsaro Nero di
            Emilio Salgari e de Il capitano Blood di Rafael Sabatini sono gli stessi. Entrambi i
            romanzi sono ambientati nel Mar dei Caraibi, entrambi nella seconda metà del '600.
            Per Il capitano Blood abbiamo delle date ben precise: la vicenda del romanzo
            incomincia nel 1685 e finisce nel 1688 o nel 1689, subito dopo la «Gloriosa
            Rivoluzione» che pose fine al regime degli Stuart in Inghilterra. Per il Corsaro Nero,
            invece, le date non sono così ben definibili e alcuni avvenimenti, che si svolgono
            all'inizio del romanzo o che, addirittura - rievocati nel racconto del Corsaro Nero -,
            ne formano il prologo, coincidono con avvenimenti storici successivi a quelli che si
            verificano nell'ultima parte del romanzo. Non si tratta di un fatto strano, visto che
            Salgari era spesso impreciso con le date dei suoi riferimenti storici, mescolandole
            allegramente, con la disinvoltura di uno sceneggiatore di Hollywood. Ma, in
            sostanza, si può affermare che le vicende del Corsaro Nero si concludano nel 1683-
            84. In altre parole, per quanto non possiamo forse pensare che «La Folgore», cioè
            la nave del Corsaro Nero, e l'«Arabella», cioè la nave del capitano Blood, si
            ancorassero l'una al fianco dell'altra nei medesimi porti, possiamo quanto meno
            pensare che alcuni membri della ciurma che era stata del Corsaro Nero abbiano poi
            servito con quella del capitano Blood.

            Prima di entrare nel merito della discussione non sarà superflua una breve
            introduzione sulla situazione storica che fa da sfondo alle opere che vogliamo
            analizzare. Siamo nella seconda metà del '600: sia il Corsaro Nero sia il capitano
            Blood sono corsari che combattono contro la Spagna nel Mar dei Caraibi. La Spagna
            appare ancora, in questi romanzi, ma soprattutto ne Il capitano Blood, come una
            grande potenza, aggressiva ed arrogante. La realtà storica, però, è un po' diversa:
            nella seconda metà del '600, ormai, la Spagna era in piena decadenza ed era
            diventata più oggetto che soggetto di storia. La potenza militare spagnola era stata
            distrutta sui campi di battaglia europei, alla fine della «Guerra dei Trent'anni», dalle
            truppe francesi. Non solo le fino ad allora invincibili fanterie spagnole erano state
            sterminate fisicamente a Rocroi, ma la Spagna era stata distrutta economicamente
            dallo sforzo di condurre una serie ininterrotta di guerre dall'inizio del '500 alla metà
            del '6002 . Quindi, nella seconda metà del '600, la Spagna era, in verità, un paese in
            decadenza, che si difendeva con difficoltà dalle aggressioni che provenivano,
            soprattutto, dall'Inghilterra e dalla Francia. Nel corso del '500 e del '600,
            l'Inghilterra e la Francia non solo avevano più volte depredato i convogli spagnoli
            che portavano in Europa l'argento del Potosì, ma avevano strappato alla Spagna il
            controllo delle Piccole Antille e di una parte dell'isola di Hispaniola. In effetti, nel
            '500 e nel '600, i Caraibi, ma in particolare l'isola dellaTortuga (nominalmente una
            colonia francese), erano diventati un covo di predoni, detti filibustieri, che, man
            mano che la potenza spagnola aveva preso a declinare, si erano fatti sempre più
            aggressivi. Essi, infatti, non si limitavano più ad attaccare le navi spagnole, ma si

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            erano resi responsabili di una serie di scorrerie contro le principali città costiere
            della Nuova Spagna. Nella più famosa e clamorosa di tale imprese, essi, sotto la
            guida di Harry Morgan, attraversarono l'istmo centroamericano, attaccando e
            saccheggiando la città di Panama 3 . Questi predoni, però, potevano agire grazie alla
            protezione politica e militare della Francia e dell'Inghilterra. Si trattava di una
            protezione simboleggiata dalla concessione di patenti che abilitavano chi le riceveva
            a praticare la «guerra da corsa» contro la Spagna, nel nome dell'Inghilterra o della
            Francia. I predoni del Mar dei Caraibi erano quindi considerati dei «corsari», cioè dei
            combattenti irregolari (il che, ovviamente, non impediva che, se catturati dalla
            Spagna, essi venissero prontamente appesi ad un pennone o ad una forca). Ma
            l'elemento importante era la protezione politico-militare loro accordata
            dall'Inghilterra e dalla Francia. Non è un caso che quando la politica inglese nei
            confronti della Spagna finalmente cambiò (per ragioni legate alla situazione
            europea), le fortune dei corsari dei Caraibi declinassero di colpo e, presto, si
            estinguessero 4 .

            Nella seconda metà del '600 - al tempo cioè del Corsaro Nero e del capitano Blood -
            i possedimenti spagnoli erano ancora estremamente ampi, la Spagna aveva ancora
            l'impero coloniale più grande del mondo e, da esso, continuava a provenire un
            fiume d'argento, ancorché un fiume d'argento ormai insufficiente a tenere in piedi
            l'economia spagnola. D'altra parte, le Piccole Antille - nelle mani degli inglesi, dei
            francesi e degli olandesi - erano esse stesse fonte di grande ricchezza. Esse, infatti,
            erano sede di un sistema di piantagioni basato sullo schiavismo (noi lo sappiamo,
            tra l'altro, leggendo le vicende dello stesso capitano Blood, che viene, ad un certo
            punto, inviato come schiavo nelle Piccole Antille). Dalle piantagioni delle Piccole
            Antille usciva un fiume di ricchezza paragonabile o, forse, a detta di storici come
            Ruggero Romano, superiore a quello costituito dall'argento dell'America spagnola.
            Non c'è da stupirsi, quindi, che un'area del globo crocevia e centro produttore di un
            enorme volume di ricchezza continuasse ad essere un campo di battaglia per circa
            due secoli5 . Ed è in questo campo di battaglia che, per motivi profondamente
            diversi, troviamo come protagonisti il Corsaro Nero e il capitano Blood.

            Trame complesse e trame semplici

            Ma prima di soffermarci sui protagonisti dei nostri romanzi, sarà bene dire qualcosa
            sulle trame delle Avventure del Corsaro Nero e de Il capitano Blood. Si tratta di
            trame fra loro profondamente differenti ed esemplari degli altri romanzi dei due
            autori. Estremamente semplici, perfino semplicistiche, le trame di Salgari;
            estremamente complesse, perfino complicate, quelle di Sabatini.

            Per venire al caso specifico, possiamo notare come ne Il capitano Blood ci siano tre
            parti distinte, ciascuna delle quali avrebbe potuto diventare un romanzo a sé stante.
            La prima è rappresentata dalle vicende di Peter Blood prima come tranquillo
            medico, di padre irlandese e di madre inglese, condannato alla schiavitù perché
            ingiustamente accusato di aver partecipato ad una ribellione contro re Giacomo II
            Stuart, e poi come schiavo nelle colonie americane, fino alla sua fortunosa fuga.

            La seconda parte è rappresentata dalle vicende di Peter Blood, una volta sfuggito
            con i suoi compagni alla schiavitù. Blood si dà alla pirateria, che, per una qualche
            strana ragione, invece che contro gli inglesi (responsabili della sua schiavitù),
            esercita ai danni degli spagnoli (responsabili, per quanto involontariamente, della

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            sua liberazione). Qui, gli episodi che si intrecciano sono molti e, in effetti, le vicende
            di questa parte della carriera di Blood verranno poi riprese da Sabatini in due
            raccolte di novelle: Le cronache del capitano Blood e Le fortune del capitano Blood.
            Ma questa parte del romanzo ha un elemento portante, costituito dal lungo duello
            fra Peter Blood e l'ammiraglio spagnolo Don Miguel de Espinosa, della morte del cui
            fratello Blood è responsabile (ancorché involontariamente). È una parte che si
            conclude con la definitiva sconfitta di Don Miguel. È in occasione della battaglia
            finale fra Blood e l'ammiraglio spagnolo (anzi ex ammiraglio, perché, ormai caduto
            in disgrazia, si è tramutato egli stesso in un pirata) che Blood ha modo di liberare
            una giovane inglese, Arabella Bishop, precedentemente fatta prigioniera da Don
            Miguel. Arabella è nient'altro che la nipote del crudele piantatore a cui Blood era
            stato venduto come schiavo, ma è una persona leggiadra e gentile di cuore, di cui
            Blood, durante la sua schiavitù, si era segretamente innamorato. Ed è con la
            liberazione di Arabella che incomincia la terza parte del romanzo.

            Arabella Bishop, che è una donna moralmente piuttosto rigida, come tutte le eroine
            sabatiniane, umilierà Peter Blood, accusandolo - non del tutto a torto, ma, certo,
            ingenerosamente - di essere un «ladro e pirata». Questa sarà la molla che spingerà
            Blood a passare dalla pirateria alla guerra da corsa. Si metterà in un primo tempo,
            anche se suo malgrado, al servizio degli inglesi; ma il pessimo rapporto con il suo
            diretto superiore, quello stesso colonnello Bishop che era stato il suo ex padrone, lo
            costringerà a disertare. Dopo un periodo di crisi - durante il quale, rifugiatosi alla
            Tortuga, si lascerà andare psicologicamente e fisicamente, dandosi al bere -, Blood
            passerà al servizio dei francesi. Anche in questo caso, i dissapori con il suo diretto
            superiore, il barone de Rivarol, renderanno a Blood la vita difficile. Infine, tradito
            insieme ai propri uomini da Rivarol, Blood troverà una nuova ed onorevole carriera
            tornando al servizio degli inglesi. Mentre, infatti, Blood e i suoi uomini operavano
            come parte del contingente francese nella spedizione contro la città spagnola di
            Cartagena, in Inghilterra si era verificata la «Gloriosa Rivoluzione». Fra le
            conseguenze della rivoluzione vi era stata la cacciata di quel Giacomo II Stuart,
            responsabile della schiavitù dello stesso Blood, e, subito dopo, lo scoppio di una
            guerra fra l'Inghilterra e la Francia del Re Sole (che appoggiava i diritti dello
            Stuart). Nella nuova situazione politica determinata da tali avvenimenti, Blood
            accetta le proposte del rappresentante di Guglielmo d'Orange, il nuovo monarca
            inglese, di passare al servizio dell'Inghilterra. Egli, quindi, si copre d'onore - e
            regola un conto personale - sbaragliando i francesi di Rivarol, che, saputo della
            guerra in corso, stanno tentando di espugnare Port Royal, la capitale della
            Giamaica. Il vittorioso capitano Blood viene quindi nominato governatore della
            Giamaica e, subito dopo, avrà modo di coronare il suo sogno d'amore con Arabella.

            Come si vede, quindi, ne Il capitano Blood ci sono tre trame - e tre trame
            complesse - che avrebbero potuto dar luogo ad altrettanti romanzi. Se prendiamo,
            invece, i due romanzi che compongono le Avventure del Corsaro Nero, abbiamo
            trame talmente semplici, da sembrare semplicistiche: il Corsaro Nero è una persona
            che deve realizzare una vendetta contro colui che gli ha ucciso il fratello maggiore.
            Il responsabile dell'assassinio, il duca Wan Guld, un fiammingo prima al servizio
            della Francia, poi passato al servizio della Spagna, è diventato un personaggio
            importante nelle colonie americane spagnole. È per questo che il Corsaro Nero e gli
            altri due fratelli superstiti si sono trasferiti nei Caraibi, dove combattono contro la
            Spagna. Ma entrambi i fratelli superstiti del Corsaro Nero (che, per il colore da loro
            preferito nell'abbigliamento, sono diventati noti come il Corsaro Verde ed il Corsaro

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            Rosso) periscono sotto i colpi di Wan Guld. In effetti, le Avventure del Corsaro Nero
            si aprono con l'annuncio dell'impiccagione del Corsaro Rosso, l'ultimo dei fratelli del
            Corsaro Nero a perire per mano di Wan Guld. Sia nella prima parte delle Avventure
            del Corsaro Nero sia nella seconda, vediamo, il Corsaro Nero introdursi dapprima in
            una città spagnola, rischiare di cadere prigioniero, liberarsi, prendere d'assalto e
            conquistare la città, vedersi sfuggire il nemico che sta inseguendo e, infine,
            inseguire questo nemico la prima volta senza esito, la seconda con esito letale.

            Dialoghi e descrizioni

            Insomma, come si è già detto, le trame dei due volumi che hanno come
            protagonista il Corsaro Nero e la trama de Il capitano Blood hanno caratteristiche
            assai dissimili (e esemplificative delle differenze fra i due autori). Ma il contrasto nel
            modo di scrivere dei due autori non si arresta qui. Nel romanzo sabatiniano non solo
            il dialogo ha un ruolo importantissimo, ma i dialoghi stessi sono fra i maggiori
            motivi d'interesse del romanzo stesso. Si tratta di dialoghi molto eleganti, molto
            intelligenti, che, quasi sempre, si configurano come veri e propri duelli verbali. I
            dialoghi salgariani, dal canto loro, hanno anch'essi un ruolo importante. Ma, per
            quanto i dialoghi salgariani finiscano anch'essi per riempire una parte considerevole
            dei romanzi di questo autore, si tratta di dialoghi che non sono né molto brillanti, né
            particolarmente acuti. Il loro compito è semplicemente quello di far passare il
            tempo, in attesa che si verifichi un evento drammatico: un combattimento, un
            duello, un attacco da parte di bestie feroci, una tempesta... e così via. A loro modo
            sono dialoghi scritti con un certo mestiere perché, dopo tutto, non stancano. Ma,
            come si è detto, sono dei semplici - anche se in fondo abili - riempitivi, con un ruolo
            ed un'importanza del tutto diversa rispetto ai dialoghi - così scintillanti ed
            intelligenti - di Sabatini.

            Più che i dialoghi, in Salgari hanno grande importanza le descrizioni dei paesaggi.
            Descrizioni che, invece, sono sostanzialmente assenti nelle opere di Sabatini. In tali
            descrizioni Salgari eccelle: la sua capacità di descrivere la natura è veramente
            notevole. Le sue descrizioni del mare, del mare in tempesta e delle giungle non
            possono non colpire. Tanto più che, come noi sappiamo, il più delle volte Salgari
            parlava di luoghi che non aveva mai visto e descriveva fenomeni naturali a cui non
            aveva mai assistito. È cosa nota che Salgari, da giovane, abbia navigato per un paio
            d'anni nel Mare Adriatico. Può darsi che, in quelle occasioni, abbia visto delle
            tempeste, anche se le tempeste nel Mar Mediterraneo si verificano prevalentemente
            nel periodo invernale. Di conseguenza si può perfino dubitare che Salgari abbai mai
            vissuto di persona l'esperienza di una tempesta in alto mare. Ciò nonostante, le
            descrizioni che Salgari fa delle tempeste tropicali, o del mare tropicale quando
            diviene fosforescente, o delle foreste che non ha mai visto e degli animali che vi
            abitano è una cosa che, ancor oggi, cattura l'attenzione anche del lettore che, in
            certi casi, ha avuto occasione di vedere mari e giungle tropicali. Ci si rende conto,
            quindi, dell'impatto esercitato dalla prosa di Salgari. Evidentemente era un impatto
            che doveva essere tanto più percepibile nell'epoca in cui egli incominciò a scrivere,
            cioè in un periodo in cui non esisteva ancora il cinema. Del resto, gli ultimi fruitori -
            che sono poi quelli della generazione di chi scrive, cioè quella nata nel primo
            decennio dopo la seconda guerra mondiale - hanno incominciato a leggere Salgari
            quando, in Italia, ancora non c'era la televisione. Essi, quindi, possono ancora
            ricordare come le immaginifiche descrizioni salgariane sapessero generare, quasi
            immancabilmente, sensazioni visive che, per esempio al cinema, sono suscitate solo

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            da opere di registi eccezionali (il primo esempio che mi viene in mente, anche se si
            tratta di un'opera non ambientata nei Caraibi, è il Lawrence d'Arabia di David Lean).

            Navi e battaglie navali

            Ma, se Salgari è straordinariamente bravo nelle sue descrizioni della natura, è forse
            ancora più abile nella descrizione delle battaglie sia di terra sia di mare. Non è -
            intendiamoci - che Salgari sia molto preciso nel descrivere battaglie terrestri e
            navali. Ma lo stesso vale per Sabatini. E, in questa sede, dove si parla di romanzi in
            cui la guerra sul mare ha tanta importanza, vale forse la pena di soffermarsi sul
            modo in cui i nostri due autori descrivono le navi da guerra dei loro personaggi e gli
            scontri navali in cui essi sono impegnati.

            Non vi è dubbio che Sabatini - un autore certamente assai più colto di Salgari -
            avesse cognizioni storiche più profonde ed una conoscenza molto più precisa di
            come fossero le navi da guerra del '600 di quanto fosse il caso per Salgari. Per
            esempio, Salgari ha idee del tutto errate sulla reale consistenza dell'artiglieria
            imbarcata a bordo delle navi dell'epoca. Le navi più potenti da lui descritte hanno
            una dozzina o, eccezionalmente, 14 cannoni. Fra questi vi sono un paio di «cannoni
            da caccia», cioè cannoni di grosso calibro e di lunga gittata, che Salgari descrive
            come montati su perni girevoli, posti a poppa e/o a prua della nave. Si tratta, cioè,
            di cannoni di un tipo che incominciò ad essere usato solo nella seconda metà
            dell'800, sulle prime navi da guerra a vapore 6 .

            Le navi descritte da Sabatini, invece, hanno, correttamente, da 30 a 40 cannoni,
            nel caso dei velieri che navigavano nel mar dei Carabi (e che non erano «navi di
            linea»), e intorno agli 80 cannoni nel caso dei velieri (evidentemente «navi di
            linea») che compongono il nerbo della flotta francese giunta dall'Europa al comando
            del barone de Rivarol. Altrettanto correttamente, le navi descritte da Sabatini non
            hanno cannoni montati su perni girevoli7 .

            Ma è un dato di fatto che, quando passa a descrivere una battaglia navale, anche
            Sabatini rivela una scarsa conoscenza dell'argomento. L'incongruenza più stridente
            è rappresentata dal fatto che Sabatini fosse convinto del fatto che un'unica
            cannonata - se piazzata sulla linea di galleggiamento - fosse sufficiente a provocare
            danni irreparabili ad una nave da guerra del '600. Sabatini, evidentemente, nello
            scrivere i suoi romanzi storici di ambiente marinaro, immaginava che i cannoni del
            '600 avessero un potere di penetrazione grosso modo simile a quello dei cannoni
            della sua epoca. Ma ancora all'inizio dell'800 - e a tanto maggior ragione nel '600 -
            la scarsa capacità di penetrazione dell'artiglieria faceva sì che un combattimento
            navale fosse una faccenda prolungata. Prima di affondare, una nave dell'epoca
            doveva essere letteralmente scardinata da una serie di bordate che la colpissero
            intorno alla linea di galleggiamento. In effetti, un colpo isolato, anche se
            attraversava da parte a parte la fiancata di una nave sulla linea di galleggiamento
            (e già non era una cosa facile da verificarsi) non faceva, in genere, danni
            irreparabili8 . Nel '600 i calibri dei cannoni erano ormai ridotti ad un numero
            relativamente limitato e ogni nave da guerra era dotata di un adeguato numero di
            tappi di sughero corrispondenti ai calibri in uso. Fatto il buco, si inseriva il tappo e,
            a meno di non incappare in una violenta tempesta, la nave continuava
            tranquillamente a galleggiare 9 . In effetti, questa situazione faceva sì che,
            soprattutto nel '500 e nel '600 - quando il numero dei pezzi e la dimensione dei

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            calibri erano inferiori a quelli del '700 e le navi più agili, in quanto più piccole, di
            quelle del '700 - il momento decisivo di uno scontro navale fosse, spesso,
            l'abbordaggio. Da questo punto di vista diventava una questione d'importanza
            determinante disalberare la nave avversaria (in modo che non potesse più
            manovrare) e smontarne i cannoni (in modo che non potesse più difendersi). In
            questa prospettiva, più che mirare alla linea di galleggiamento, si mirava
            all'alberatura e ai sabordi (cioè le feritoie a cui si affacciavano i cannoni). Un'altra
            tattica importante consisteva nel passare a poppa della nave avversaria, facendo
            fuoco con i propri cannoni appunto contro la poppa. La parte posteriore di una nave
            di tutto il periodo fino all'inizio dell'800 era infatti la sua sezione più vulnerabile.
            Mentre, da ogni altra parte, le fiancate erano massicce, a poppa vi erano gli alloggi
            del comandante e degli ufficiali, a cui davano luce grandi finestre, ornate di infissi
            dorati, colonnine e balconi 10. Se quindi, una nave riusciva a disporsi con un fianco
            rivolto verso la poppa dell'avversaria, era in grado di scaricare i propri cannoni con
            effetti devastanti, prendendo «di infilata» l'altra nave. I proiettili della prima nave,
            infatti, passando oltre l'inesistente difesa rappresentata dalle grandi e artistiche
            finestre di poppa, attraversavano la seconda nave per la sua intera lunghezza,
            smontandone i cannoni, massacrandone l'equipaggio e, in certi casi, spezzandone
            alla base gli alberi (ciò che rendeva la nave colpita incapace di governare).

            Questa sostanziale robustezza delle navi da guerra del '500-'700 era evidentemente
            ignota a Sabatini, anche se non a Salgari11. Però, una volta che si è ricordata le
            limitazioni nella conoscenze tecniche sulla guerra navale del '600 da parte dei nostri
            due autori, bisogna subito aggiungere che, in Salgari, le descrizioni delle battaglie,
            incluse le battaglie navali, sono, al pari delle raffigurazioni della natura e dei
            fenomeni naturali, uno dei suoi punti forti. Attraverso tali descrizioni, infatti, Salgari
            riesce a dare un'impressione di confusione e di violenza estremamente realistica,
            tale da prendere il lettore. È, questo, qualcosa che manca completamente in
            Sabatini. Quando si legge la descrizione di una battaglia o di un duello scritta da
            Sabatini sembra, infatti, di assistere ad una partita a scacchi. Non dico che la cosa
            sia in sé negativa. Le battaglie o i duelli di Sabatini sono come i suoi dialoghi:
            l'evento, cioè, è descritto in modo intelligente, chiaro e preciso. È, insomma, il modo
            in cui una battaglia è descritta da uno storico, piuttosto che da un romanziere. E,
            come storico di professione, devo dire che empatizzo con il metodo sabatiniano (che
            è poi lo stesso da me seguito quando, nei miei scritti, mi è capitato di parlare di
            guerra). Ma è indubbio che le sanguinose e sanguinarie battaglie di Salgari danno
            un'impressione di immediatezza e di verità che nelle descrizioni di Sabatini è
            sostanzialmente assente.

            Due distinti gentiluomini, solo a prima vista simili...

            A questo punto, terminata per così dire la nostra marcia di avvicinamento, possiamo
            finalmente fissare la nostra attenzione sui due personaggi - il Corsaro Nero ed il
            capitano Blood - facendo un parallelo fra i due. Come punto di partenza per questo
            parallelo si può prendere la sovraccoperta illustrata della vecchia edizione Sonzogno
            de Il capitano Blood12. A prima vista, il gentiluomo che compare nell'illustrazione
            della sovraccoperta - che da una serie di elementi si può immediatamente
            individuare come il capitano Blood - sembra iconograficamente simile, quando non
            addirittura identico, al Corsaro Nero. Sia il Corsaro Nero sia il capitano Blood,
            infatti, sono due eleganti gentiluomini che vestono di nero (secondo, del resto, la
            moda spagnola dell'epoca, destinata, di lì a qualche decennio, ad essere soppiantata

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            dal nuovo stile inaugurato in Francia dal Re Sole). Ma si tratta di una somiglianza
            superficiale, come, d'altra parte, non può fare a meno di percepire un qualsiasi
            lettore attento di Salgari, che osservi l'illustrazione a cui alludiamo (un'illustrazione
            a suo modo abbastanza accurata).

            Per quanto, infatti, il Corsaro Nero ed il capitano Peter Blood siano entrambi degli
            eleganti gentiluomini nerovestiti, il Corsaro Nero è completamente ed
            esclusivamente vestito di nero: i pizzi del suo vestito sono neri, così come lo sono
            la piuma sul suo cappello, i suoi stivali, le sue armi. Il capitano Blood, invece,
            corregge il nero del suo vestito con eleganti collari e polsini di pizzo argenteo e con
            una piuma rossa sul cappello. Le sue armi non sono nere e, dimostrando una
            frivolezza ben lungi dall'austerità del Corsaro Nero, Blood impugna spesso un
            elegante bastone da passeggio, ornato di nastri colorati.

            Ci sono poi, anche nell'apparenza fisica, altre differenze. Nel suo romanzo, Sabatini
            descrive Blood come una persona dal colorito di pelle tanto scuro da sembrare uno
            zingaro. Il Corsaro Nero, invece, è descritto da Salgari come pallidissimo. È solo nei
            momenti di intensa emozione che - al pari dell'imperatore Domiziano (ma il
            paragone è mio, non di Salgari) - il Corsaro Nero acquista un po' di colore,
            arrossendo.

            Visto che le differenze fisiche fra i due personaggi sottintendono una diversità
            profonda nei rispettivi caratteri, vale forse la pena di soffermarsi sulle descrizioni
            che i due autori danno dei loro personaggi. Il Corsaro Nero, cioè Emilio di
            Roccanera 13, signore di Valpenta e di Ventimiglia, gentiluomo del duca di Savoia,
            fattosi corsaro per vendicare la morte del fratello maggiore, è descritto da Salgari -
            in modo sostanzialmente identico - sia all'inizio del primo sia all'inizio del secondo
            romanzo di cui è il protagonista.

                  Era vestito - scrive Salgari all'inizio de Il Corsaro Nero - completamente di
                  nero e con un'eleganza che non era abituale fra i filibustieri del grande
                  golfo del Messico...

            Portava una ricca casacca di seta nera, adorna di pizzi d'egual colore coi risvolti di
            pelle ugualmente neri; calzoni pure di seta nera, stretti da una larga fascia
            frangiata; alti stivali alla scudiera e sul capo un grande cappello di feltro adorno di
            una lunga piuma nera che gli scendeva fino alle spalle.

            Anche l'aspetto di quell'uomo aveva, come il vestito, qualche cosa di funebre, con
            quel volto pallido, quasi marmoreo, che spiccava stranamente fra le nere trine del
            colletto e le larghe tese del cappello, adorno di una barba corta, tagliata alla
            nazzarena ed un po' arricciata. 14

            Ma l'aspetto funebre del personaggio, non impediva che egli fosse un bellissimo
            uomo.

                  Aveva però lineamenti bellissimi - si affretta, infatti, ad aggiungere Salgari
                  -: un naso regolare, due labbra piccole e rosse come il corallo, una fronte
                  ampia, solcata da una leggera ruga che dava a quel volto un non so che
                  di malinconico, due occhi, poi, neri come carbone, d'un taglio perfetto,
                  dalle ciglia lunghe, vivi e animati da un lampo tale, che in certi momenti
                  doveva sgomentare anche i più intrepidi filibustieri. La sua statura alta,

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

                  slanciata, il suo portamento elegante, le sue mani aristocratiche lo
                  facevano conoscere, anche a prima vista, per un uomo d'alta condizione
                  sociale e soprattutto per un uomo abituato al comando.15

            La descrizione data da Salgari del Corsaro Nero, all'inizio de La regina dei Caraibi
            (cioè la seconda parte delle Avventure del Corsaro Nero), per quanto più sintetica,
            è, come si è già ricordato, identica:

                  era un bell'uomo sui trentacinque anni, di statura piuttosto alta e dal
                  portamento distinto, aristocratico.

            I suoi lineamenti erano belli, quantunque la sua pelle fosse d'un pallore cadaverico.
            Aveva la fronte spaziosa, solcata da una ruga che dava al suo volto un non so che
            di triste, un bel naso diritto, labbra piccole e rosse come il corallo e occhi nerissimi
            d'un taglio perfetto e dal lampo fierissimo. Se il volto di quell'uomo aveva un
            aspetto triste e funebre, anche l'abito non era più allegro: infatti era vestito di nero
            da capo a piedi, però con una eleganza piuttosto sconosciuta fra i ruvidi corsari
            della Tortue. La sua casacca era di seta nera, adorna di pizzi d'uguale colore; i
            calzoni, la larga fascia sostenente la spada, gli stivali e perfino il cappello erano pure
            neri. Anche la grande piuma che gli scendeva fino sulle spalle era nera, e del pari
            erano nere le sue armi. 16

            In sostanza quindi, il Corsaro Nero è un gentiluomo bello e triste, perfino funebre.
            Assai diverso è invece Peter Blood. Sabatini lo descrive in diversi punti del suo
            romanzo: prima come tranquillo medico in un paesino inglese, poi come schiavo
            nelle Antille e, infine, come vittorioso capo pirata e come corsaro. Si tratta di
            descrizioni che sottolineano tutte l'innata distinzione dell'uomo, una distinzione che -
            come diventa presto chiaro nel romanzo - è lo specchio di un animo intrepido e
            fondamentalmente nobile.

            All'inizio del romanzo, Blood ci viene descritto come segue:

                  Aveva una voce simpatica e forte, il cui timbro metallico era addolcito
                  dall'accento irlandese che i suoi numerosi viaggi non gli avevano mai fatto
                  perdere. Era una voce che poteva parlare d'amore, suadente e
                  carezzevole, ma che sapeva anche comandare in modo tale da costringere
                  all'obbedienza. E in quella voce c'era tutto il carattere di Pietro Blood. Era
                  un giovane alto, magro, bruno come uno zingaro, con degli occhi
                  straordinariamente azzurri sotto delle folte sopracciglia nere. Il loro
                  sguardo penetrante e altiero andava d'accordo con la bocca risoluta e il
                  naso aquilino. Benché vestito tutto di nero come si conveniva alla sua
                  professione, aveva una certa quale eleganza, più consona all'avventuriero
                  che era stato che al medico che ora era. La sua giacca era di una stoffa
                  finissima con galloni d'argento: dei manichini [sic] di merletto gli
                  coprivano i polsi, e intorno al collo aveva una cravatta pure di merletto.
                  La sua parrucca nera era accuratamente arricciata come quella di uno
                  zerbinotto di Whitehall. 17

            Non è forse il caso di soffermarsi sulle descrizioni di Blood durante il periodo della
            schiavitù, salvo che per notare che, anche in quel difficile periodo, il nostro eroe
            riesce a mantenere una certa eleganza. La signorina Arabella Bishop, la giovane e

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            leggiadra nipote del suo proprietario, quando lo vede per la seconda volta,
            osservandolo da lontano lo percepisce come «un uomo alto, magro, vestito
            semplicemente ma elegante» 18. È solo quando il personaggio in questione, che per
            lei rimane ancora uno sconosciuto, si è avvicinato che Arabella si rende conto che il
            vestito di Blood «era semplice ma non elegante» 19.

            La definitiva metamorfosi di Blood in un elegante gentiluomo avviene con la sua
            fortunosa cattura della nave pirata spagnola Cinco Llagas («Cinque piaghe»), che
            Blood ribattezzerà Arabella. Lo sfortunato ex capitano e signore della Cinco Llagas,
            Don Diego de Espinosa y Valdez, è stato tramortito da Blood prima di potersi render
            conto di ciò che succedeva. Ora, Don Diego, nel letto della propria cabina, si sta
            appena riprendendo dal brutto colpo ricevuto quando:

                  ... la porta si aperse, e con sommo stupore Don Diego scorse il suo abito
                  migliore avanzarsi nella cabina. Era un abito di foggia prettamente
                  spagnola, molto elegante, di drappo nero, guarnito di merletti d'argento,
                  che era stato fatto appositamente per lui a Cadice un anno prima, ed egli
                  lo conosceva così bene che non poteva sbagliarsi o confondersi.

            ... dentro l'abito lo spagnolo scorse un signore alto, magro, press'a poco della sua
            stessa statura.20

            Si tratta di un signore, scopre subito dopo Don Diego, con «due occhi azzurri che
            brillavano in un volto beffardo, abbronzato, circondato da capelli nerissimi» 21.
            Insomma, si tratta dello stesso Blood, metamorfosatosi in un elegante gentiluomo.
            E tale continuerà a rimanere per il resto del libro, salvo che durante una crisi
            provocatagli dalle pene d'amore dovute al comportamento di Arabella Bishop, la
            donna che egli ama. La stessa Arabella lo vedrà ricomparire nella sua vita come il
            guerriero vittorioso, che la strapperà dalla nave ormai a pezzi del suo rapitore
            spagnolo, Don Miguel de Espinosa (fratello di Don Diego). Ecco, infatti, come
            Arabella rivede Blood, per la prima volta dal tempo in cui quest'ultimo è fuggito
            dalla schiavitù.

                  Aprendosi la strada tra i rottami [del ponte della nave spagnola di Don
                  Miguel, ormai conquistata], si avvicinava un uomo alto, la cui faccia
                  abbronzata era riparata da un elmo spagnolo. Indossava una corazza di
                  acciaio nero damascata di arabeschi d'oro. Sopra questa portava una
                  sciarpa di seta rossa dalle cui estremità pendevano due pistole.
                  Camminava calmo e tranquillo ... 22.

            Insomma, anche sul ponte cosparso di cadaveri di una nave che affonda, il capitano
            Blood appare come un distinto - e impassibile - gentiluomo. Sarà solo dopo che
            Arabella, la donna che egli ama segretamente, lo avrà accusato di essere un «ladro
            e pirata» che Blood si lascerà andare. E, questa sua crisi si ripercuoterà anche sul
            suo abbigliamento e aspetto fisico.

                  Aveva perduto completamente la grande cura che una volta aveva avuto
                  per la sua persona, ed era diventato trasandato nell'abbigliamento. Una
                  folta barba nera gli copriva le guance così accuratamente rase un tempo e
                  i suoi lunghi capelli neri arricciati con tanta cura incorniciavano ora come
                  una criniera incolta un volto il cui colorito bruno stava tramutandosi in un

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

                  pallore malaticcio, mentre gli occhi azzurri, già così vividi e arditi, erano
                  ora torvi e scialbi 23.

            Ma la crisi sarà presto superata quando l'orgoglio di Blood sarà sferzato dal
            comportamento arrogante del barone de Rivarol, comandante supremo di tutte le
            forze marittime e terrestri del re di Francia in America. Blood, in parte perché
            spintovi dai suoi uomini, in parte per cercare di liberarsi della taccia di «ladro e
            pirata», ha accettato di servire come corsaro al servizio dei francesi. Ma i rapporti
            con il signor de Rivarol si rivelano difficili fin dal primo momento.

            È appunto durante il suo primo incontro con Rivarol che il capitano Blood prova
            «un'improvvisa vergogna per il suo aspetto trascurato» 24. Le conseguenze di questa
            vergogna si faranno presto sentire e, in occasione del secondo incontro di Blood con
            Rivarol, il primo avrà definitivamente riassunto l'aspetto di un elegante e perfetto
            gentiluomo. Ecco come Sabatini descrive Blood in tale occasione:

                  il signor de Rivarol ... vide apparire un elegantissimo gentiluomo,
                  abbigliato molto severamente, con un abito nero e argento, il volto magro
                  accuratamente rasato, i lunghi capelli neri arricciati che ricadevano su un
                  colletto di merletto finissimo. Nella mano destra il gentiluomo teneva un
                  ampio cappello nero con una piuma scarlatta di struzzo e, nella sinistra,
                  una canna d'ebano. Le sue calze erano di seta, un ciuffo di nastri
                  nascondevano le giarrettiere e i nastri delle scarpe erano orlati d'oro 25

            ... ma, in realtà, profondamente diversi

            Come si vede, quindi, l'apparenza estetica del Corsaro Nero e quella del capitano
            Blood sono simili solo superficialmente. Ad un esame appena più attento, le
            differenze risultano, infatti, più degne di nota delle somiglianze. Né c'è da
            stupirsene, dato che si tratta di una diversità esteriore che non è che lo specchio
            della differenza di carattere dei due personaggi. Il Corsaro Nero è, in realtà, il
            cavaliere Emilio di Roccanera, signore di Valpenta e di Ventimiglia, cioè un nobile
            savoiardo. Più volte nel corso dei romanzi di cui è protagonista, egli dice di
            possedere terre, feudi e castelli in patria e di non avere alcun bisogno di derubare
            gli spagnoli. In effetti, il Corsaro Nero ha l'abitudine di cedere la sua parte di preda
            ai propri uomini. Questo peculiare modo di procedere è legato al fatto - già
            ricordato - che egli è nelle Americhe per combattere una sua guerra privata contro
            il duca Wan Guld, il traditore fiammingo che ora è al servizio della Spagna come
            governatore della città di Maracaibo. Ma in tale tentativo - ed anche questo lo si è
            già ricordato - gli altri due fratelli del Corsaro Nero sono uccisi dallo stesso Wan
            Guld. Il risultato sarà che il Corsaro Nero, nel momento in cui seppellisce in alto
            mare l'ultimo dei suoi fratelli, pronuncerà un terribile giuramento. Egli non solo
            vendicherà la morte dei fratelli uccidendo il duca Wan Guld, ma sterminerà la sua
            intera famiglia, come Wan Guld ha fatto con quella del Corsaro Nero.

            Il Corsaro Nero, quindi, è una persona trascinata da una necessità di vendetta e da
            un odio che, gradualmente, divengono qualcosa di sconvolgente. Sono sentimenti
            che tendono a sospingere e a travolgere tutto di fronte a loro. Da questo punto di
            vista, il Corsaro Nero è un eroe prettamente romantico; non solo perché è bello,
            sottile, pallido, elegante e valoroso, ma perché è trascinato dalle passioni.

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            La passione, l'odio nei confronti di Wan Guld, è qualcosa che lo domina in modo
            così completo da spingerlo a perseguire la sua vendetta in un modo addirittura
            temerario. Una delle caratteristiche del Corsaro Nero è, in effetti, la sua
            temerarietà, che è cosa diversa dal coraggio e che, in una serie di occasioni, lo
            porrà in situazioni insostenibili. Le passioni travolgono il cavaliere di Valpenta e di
            Ventimiglia in maniera tale che, in certi momenti, sembrano spingerlo
            pericolosamente vicino alla linea di confine che separa la normalità psichica dalla
            pazzia.

            Il capitano Blood, invece, è profondamente diverso. Più volte si è detto che gli eroi
            di Sabatini sono eroi romantici e che, a questa regola, non fa eccezione il capitano
            Blood. Personalmente, però, non sono del tutto d'accordo. Se il romanticismo è
            caratterizzato dal predominio delle passioni, chiaramente il capitano Blood non è un
            eroe romantico, bensì un eroe profondamente razionale. Egli, infatti, non va mai a
            cercare un pericolo gratuitamente; sfida il pericolo in caso di necessità, ma lo sfida
            essendosi preparato una qualche via di fuga. Il capitano Blood è un grande
            condottiero, perché, come tutti i grandi condottieri, prevede le varie possibilità e
            cerca di studiare sempre una contromossa per tutte le possibili situazioni che si
            troverà ad affrontare.

            Ciò che - secondo me - dà l'impressione che il capitano Blood sia un eroe romantico
            è la sua profonda eticità. Blood ha un preciso codice di comportamento: non uccide
            a sangue freddo, neppure i suoi nemici più spietati; interviene a difendere non solo
            i propri amici e, a tanto maggior ragione, le persone che ama, ma è pronto a
            rischiare in prima persona per difendere i deboli e gli oppressi. Anche durante la
            sua carriere di «ladro e pirata» Blood non viene mai volontariamente meno a certi
            criteri minimi di decenza e di pietà umana. Quando ciò si verifica a Cartagena,
            come conseguenza del tradimento di Rivarol e senza che Blood possa in alcun modo
            influire sulla situazione venutasi a creare, egli ne è profondamente turbato.

            Noi viviamo in un mondo in cui l'etica non ha più un grande peso e, quindi, di
            fronte ad un personaggio profondamente etico, com'è appunto il capitano Blood,
            abbiamo l'impressione di avere a che fare con un personaggio strano, «romantico»
            appunto. Ma, in verità, Peter Blood è un eroe freddo e razionale, che nasconde le
            proprie passioni - che pur ci sono - sotto una maschera di beffarda impassibilità. Da
            questo punto di vista, quindi, è tutt'altro che il classico eroe romantico.

            C'è, infine, un ultimo elemento che differenzia Peter Blood dal cavaliere di Valpenta
            e di Ventimiglia. Mentre il Corsaro Nero è un aristocratico, il capitano Blood è un
            borghese che ha avuto un'istruzione come medico. È anche un borghese molto
            colto, che legge Orazio, Virgilio, Svetonio, e che, quindi, ha una buona conoscenza
            della letteratura latina (ma non, a quanto pare, di quella greca). Il Corsaro Nero
            invece, per quanto non privo di cultura (ad un certo punto spiega le cause
            scientifiche di alcuni fenomeni naturali ad uno dei suoi uomini), non è mai descritto
            dal suo creatore con un libro in mano (cosa che, invece, avviene spesso per Blood,
            così come per altri eroi sabatiniani).

            I comprimari

            Il Corsaro Nero è un personaggio per certi versi monotematico e unidimensionale.
            Questo gentiluomo ossessionato dalla vendetta, cupo e tetro, potrebbe risultare di
            per sé noioso. Salgari reagisce a questa evidente debolezza del suo eroe

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            affiancandogli dei comprimari. In effetti, non solo nelle Avventure del Corsaro Nero,
            ma in quasi tutti i suoi romanzi, Salgari mette accanto ai suoi protagonisti dei
            comprimari. Si tratta di personaggi che sono al fianco dell'eroe, parlano, discutono,
            hanno personalità meno coartate, più libere. I compagni del signore di Roccanera
            sono Carmaux, il biscaglino, Wan Stiller, l'amburghese, e Moko, un gigantesco
            africano. Si tratta di personalità solari, che non hanno grandi preoccupazioni
            esistenziali, godono la vita, sono pieni di coraggio e di ardimento e vivono giorno
            per giorno.

            La cosa interessante è che nei romanzi di Salgari i comprimari - di regola -
            finiscono, gradualmente, per esercitare un ruolo autonomo di importanza crescente;
            tendono, insomma, ad acquisire una vita propria e, in certi casi, a sostituirsi
            addirittura all'eroe principale. È un processo che, in nuce, è visibile anche nell'ultima
            parte delle Avventure del Corsaro Nero, quanto il signore di Roccanera, a causa
            della sua temerarietà, cade nelle mani degli spagnoli. A prendere l'iniziativa
            saranno, allora, i fedeli Carmaux, Wan Stiller e Moko, cioè i suoi comprimari,
            insieme al suo secondo, quell'Harry Morgan che, nella realtà storica, fu uno dei più
            famosi corsari dell'epoca (e che diventerà uno dei protagonisti del seguito delle
            Avventure del Corsaro Nero, cioè Jolanda, la figlia del Corsaro Nero).

            Per quanto riguarda Sabatini, invece, i comprimari sono di fatto assenti. I
            protagonisti di Sabatini giganteggiano da soli e, per quanto abbiano spesso dei
            collaboratori, anche stretti, raramente costoro svolgono un ruolo realmente
            importante. Si può leggere Il capitano Blood ed arrivare alla fine essendosi
            dimenticati, ancor prima di finire il romanzo, di personaggi come Ogle, Pitt o
            Wolverstone. Ma è impossibile arrivare alla fine delle vicende del Corsaro Nero
            senza ricordarsi di Carmaux, Wan Stiller e Moko.

            Le eroine

            Accanto ai comprimari, un ruolo molto importante è giocato nei romanzi di Emilio
            Salgari dalle eroine. Nel Corsaro Nero, in effetti, compaiono due donne molto
            importanti. La prima è Honorata Wan Guld, figlia del duca Wan Guld, la seconda è
            l'indiana Yara.

            Honorata Wan Guld cade nelle mani del Corsaro Nero perché si trova a bordo di una
            nave spagnola catturata da quest'ultimo. Ma, dato che Honorata viaggia in
            incognito, il Corsaro Nero ignora di avere fra le mani la figlia del suo odiato nemico.
            Fra i due, poi, si sviluppa un rapporto d'amore sempre più intenso (anche se,
            ovviamente, visti i tempi in cui scriveva Salgari, assolutamente casto). Ma, del tutto
            fortuitamente, il Corsaro Nero finisce per scoprire la vera identità di Honorata.
            Dilacerato dall'amore che ormai sente per la figlia di Wan Guld, ma ossessionato dal
            giuramento fatto ai suoi fratelli morti - fratelli che il Corsaro Nero, in molte
            occasioni, crede di vedere ricomparire nelle notti dagli abissi del mare - il nostro
            gentiluomo decide di rispettare il proprio giuramento a metà. Egli, cioè, non uccide
            Honorata, come aveva giurato di fare, ma l'abbandona su di una scialuppa in alto
            mare.

            È a questo punto che, in effetti, si conclude il primo dei due volumi dedicati al
            Corsaro Nero. La scialuppa che porta Honorata scompare «sul tenebroso orizzonte,
            che dense nubi, nere come se fossero sature d'inchiostro, avvolgevano» mentre,
            piegato anche fisicamente dal dolore, «fra i gemiti del vento ed il fragore delle

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Belphégor

            onde», anche il Corsaro Nero si abbandona a sordi singhiozzi. E, in uno dei finali più
            famosi del romanzo d'avventura italiano, Carmaux si rivolge a Wan Stiller dicendo:
            «Guarda lassù: il Corsaro Nero piange».

            Nel secondo volume, poi, il Corsaro Nero, sconvolto e pentito da ciò che ha fatto, è
            alla ricerca di Honorata che, secondo alcune voci, potrebbe essere sopravvissuta. La
            ricerca di Honorata, quindi, si intreccerà con la caccia al di lei padre come motivo
            conduttore dell'intera vicenda. Una vicenda che si scioglierà nel momento in cui il
            signore di Roccanera si troverà, solo e impotente, di fronte ad Honorata che, come
            regina e nume tutelare dei selvaggi caribi che hanno fatto prigioniero il Corsaro,
            sarà arbitra del suo destino.

            Yara, la seconda eroina che compare nelle Avventure del Corsaro Nero - più
            precisamente, nella seconda parte -, è, invece, una fanciulla indiana che, come il
            gentiluomo italiano, ha un credito di sangue nei confronti di Wan Guld. Yara salverà
            il Corsaro Nero, se ne innamorerà, e, infine, morirà al suo fianco, uccisa da una
            pallottola spagnola.

            Anche in Sabatini, ovviamente, le eroine hanno un ruolo importante, in certi casi
            risolutivo. È l'amore per Arabella che indurrà Peter Blood a mantenere entro limiti
            etici ben precisi il suo comportamento, anche nel periodo in cui si dà alla pirateria.
            Sarà infine l'amore per Arabella che avvierà la crisi risolutiva che farà sì che Blood
            possa redimersi e conquistare la donna amata.

            Sia le eroine salgariane, sia quelle sabatiniane sono donne con una forte
            personalità. Ma, la forte personalità delle prime le spinge, in realtà, a fare una cosa
            sola: rivendicare il diritto di unirsi a chi è stato da loro scelto: non i loro genitori,
            non i membri della famiglia, ma loro stesse devono decidere chi sposare!

            A parte questo, c'è un altro tratto caratteriale che ritorna in tutte le eroine
            sabatiniane e che, invece, è assente in quelle salgariane. Questo tratto è la facilità
            ad adombrarsi, la predisposizione a giudicare in maniera negativa le persone che
            hanno intorno, in particolare quelle di cui si innamoreranno e che, in genere, sono
            già innamorate di loro. Per cui i poveri eroi sabatiniani hanno, in genere, il compito
            veramente improbo di dover conquistare la fiducia di queste donne «impossibili». In
            realtà, ne Il Capitano Blood, Arabella è un po' diversa dalla media delle altre eroine
            di Sabatini; è, cioè, un po' meno «impossibile». Ma anche lei giudicherà Peter Blood
            in maniera assai poco caritatevole e, per di più, subito dopo che questi la ha salvata
            dalle mani di Don Miguel de Espinosa.

            Le donne salgariane sono diverse. Innanzi tutto, quando danno la loro fiducia, la
            danno completamente. Non ci sono mai equivoci nei romanzi di Salgari fra uomini e
            donne. Le eroine salgariane sono pronte a tutto - anche ad impugnare la spada e a
            combattere - per ottenere ciò che vogliono. Nelle Avventure del Corsaro Nero c'è
            Yara che, come si è già ricordato, combatte e muore al fianco del Corsaro Nero, di
            cui si è innamorata (senza che quest'ultimo si sia ben reso conto della situazione).
            Ma, in realtà, ciò che muove Yara non è la conquista dell'uomo amato, bensì la
            realizzazione del compito che si è assunto di vendicare la propria gente, tradita e
            sterminata da Wan Guld.

            In definitiva, però, Yara e la stessa Honorata occupano un numero limitato di
            «scene» nella storia del Corsaro Nero. Se mi si permette una divagazione - che,

http://etc.dal.ca/belphegor/vol2_no1/articles/02_01_Torri_Salgar_it_cont.html[11/22/2013 11:51:42 AM]
Puoi anche leggere