L'EVOLUZIONE URBANISTICA DI ROMA DALL'ETÀ ARCAICA AL TARDO IMPERO ATTRAVERSO IL DIRITTO E LE SUE FONTI. ALCUNI ESEMPI

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                            L’EVOLUZIONE URBANISTICA DI ROMA
                            DALL’ETÀ ARCAICA AL TARDO IMPERO
                           ATTRAVERSO IL DIRITTO E LE SUE FONTI.
                                      ALCUNI ESEMPI

          In occasione del Convegno “Rome an 2000” tenutosi presso questa Università nel set-
          tembre dell’anno 2000, i cui atti hanno visto la luce nel giugno 2003, avevo illustrato
          la rappresentazione di Roma antica nel grande plastico che si trova a Roma presso il
          Museo della Civiltà Romana.
               In quella circostanza era stata mia cura descrivere la genesi, le caratteristiche, i
          limiti e le prospettive future dell’opera, mostrando anche documenti d’archivio e par-
          ticolari dell’esecuzione fino ad allora inediti. Avevo in tal modo realizzato un approc-
          cio a questa rappresentazione di Roma che, pur se completo, rappresentava però una
          chiave di lettura volta unicamente alla conoscenza dell’opera.
               Il plastico del Museo della Civiltà Romana rappresenta Roma nel momento della
          sua massima espansione, sotto l’imperatore Costantino. Riflettendo su quest’aspetto,
          mi sono resa conto che sarebbe stato interessante interrogarsi sulla genesi e l’evolu-
          zione dello spazio urbano al di fuori della maniera consueta, ricercandone le cause
          anche sotto il profilo dello sviluppo delle istituzioni e del diritto, fruendo di un par-
          ticolare tipo di fonti : quelle giuridiche.
               Esaminando alcune di esse ho compreso come lo sviluppo dell’urbanistica e
          dell’ordinamento giuridico di Roma si siano vicendevolmente influenzati alla luce
          degli avvenimenti storici, politici e sociali e come tali fonti, raramente sfruttate in
          ambito archeologico, si rivelino invece particolarmente utili a supporto o integra-
          zione di dati di natura storico-topografica.
               Scopo della presente comunicazione è quindi offrire, possibilmente in una visione
          diacronica, alcuni esempi in merito all’utilizzo dello spazio urbano, relativamente a
          specifiche funzioni che verranno esaminate di volta in volta alla luce delle fonti del
          diritto pubblico e di quello privato 1.

          1.    Non è certo questa la sede per trattare esaustivamente del Diritto romano e delle sue fonti : sarà sufficiente
                qui ricordare alcuni dati. Esso ebbe una durata convenzionale di oltre 1300 anni, dalle origini di Roma alla
                morte dell’imperatore Giustiniano nel 565 d.C. Quello di Roma è dunque l’ordinamento giuridico durato
                più a lungo nella storia, non essendoci stata alcuna soluzione di continuità tra l’ordinamento romuleo e

                                            Roma illustrata, P. Fleury, O. Desbordes (dir.), Caen, PUC, 2008, p. 261-290
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            Fig. 1 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Plastico di Roma in età imperiale. L’evoluzione
           urbanistica di Roma può essere letta anche in funzione e come risultato delle sue istituzioni e
                 in generale del suo diritto, che regolava anche i più minuti rapporti tra le persone.

               La principale fonte di cognizione di cui mi sono avvalsa è il Corpus Iuris Civilis,
          denominazione con cui si indica dal XVI secolo un’estesa raccolta di giurisprudenza
          classica, iura, e costituzioni imperiali, leges, fatta redigere dall’imperatore Giustiniano,
          completata dopo il 534 con leges emanate dallo stesso imperatore. Tornato alla luce in

               quello tardo antico. Convenzionalmente, il Diritto romano viene ripartito in diversi periodi, scanditi pren-
               dendo in considerazione o il diritto pubblico o il diritto privato o lo sviluppo della giurisprudenza. Nel
               primo caso si distinguono i seguenti periodi : arcaico-monarchico (dalla fondazione dell’Urbe sino alla
               fine della monarchia), repubblicano (dall’inizio della repubblica sino ad Augusto : è essenziale l’anno 367
               a.C., data di promulgazione delle leges Liciniae Sextiae, che segnano l’avvio della “costituzione perfetta”),
               principato (dal 36-23 a.C. sino al 284, anno della fine della seconda anarchia militare) e dominato (dal 284
               d.C. al 565, anno della morte di Giustiniano). Secondo lo sviluppo del diritto privato, invece, si distingue
               un periodo arcaico (dalle origini sino alla fine del IV sec. a.C.), uno pre-classico (dal III sec. a.C. sino alla
               fine della repubblica), uno classico (corrispondente al principato) ed infine uno post-classico (che con-
               venzionalmente si fa terminare con il 565 d.C.). Seguendo lo sviluppo della giurisprudenza romana, si dis-
               tinguono invece i periodi arcaico (dalle origini sino alla seconda guerra punica del 218-202 a.C.), ellenistico
               (dalla fine della seconda guerra punica alla fine della repubblica), classico (coincidente con il principato) e
               post-classico (coincidente con il dominato e caratterizzato dalla tendenza dei giuristi ad identificarsi sem-
               pre più con i funzionari delle cancellerie imperiali, favorendo la scomparsa di figure di spicco, che restano
               operanti quasi solo nelle università : per tutto ciò questo periodo è detto anche burocratico. Esso termina
               convenzionalmente nel 565 d.C.).
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          Occidente dopo il X secolo, il Corpus è composto da quattro parti : Institutiones, Digesta
          o Pandectae, Codex e Novellae. Pur se questa monumentale opera risente nella forma
          e, a volte, nella sostanza, dello stato del diritto vigente in età giustinianea, è fonte ine-
          sauribile di studio anche per il tema oggetto della presente comunicazione.
               Ugualmente importante si è rivelata la lettura di fonti quali le Institutiones di Gaio
          e il Codex Theodosianus di Teodosio II, la prima databile all’età adrianea, mentre la
          seconda fatta compilare da Teodosio II nel 438 d.C.
               Quando si parla di fonti di cognizione del diritto, tuttavia, non è bene fermarsi a
          quelle di natura strettamente tecnica. Anche una fonte storica, ad esempio, può rive-
          larsi una fonte di cognizione : è il caso di Livio che, descrivendo il processo di Orazio
          sotto il regno di Tullo Ostilio, cita la lex horrendi carminis, su cui avremo modo di
          tornare 2.
               Parimenti, altre fonti di cognizione possono rivelarsi quelle abitualmente usate
          in archeologia, quali, ad esempio, l’epigrafia e la numismatica 3.
               Trovando possibile questo interagire tra fonti tradizionalmente usate ed altre
          neglette, ho pensato alla possibilità, dunque, di allargare il campo di indagine verso
          queste ultime, impiegandole in tal modo nella ricerca sull’origine e lo sviluppo degli
          edifici e, più in generale, degli spazi urbani che maggiormente caratterizzarono l’ur-
          banistica di Roma antica 4.

          2.    Liv. 1, 26, 6. Cfr. a questo proposito la nota nota 16.
          3.    Valga ad esempio l’epigrafe di età augustea, CIL X 787, riguardante la costruzione di un muro lungo il lato
                Ovest del quadriportico del tempio di Apollo a Pompei. L’operazione venne effettuata allo scopo di isolare
                l’area sacra rispetto all’attigua casa di Trittolemo.
          4.    Quelle fonti di cui si è ora detto, costituiscono le “fonti di cognizione”, cioè quelle da cui si viene a cono-
                scenza della norma. Accanto ad esse si distinguono le “fonti di produzione”, cioè tutti quegli atti o fatti da
                cui nasce la norma. In questo senso, in età arcaica sono fonti del diritto le consuetudini degli antenati, i
                mores, e il complesso delle norme di carattere religioso-sacrale, il fas. Tra il 451 ed il 450 a.C. l’apposita
                magistratura dei decemviri legibus scribundis redasse il primo testo scritto giuridico romano : la Lex XII
                Tabularum. Nella successiva età repubblicana la fonte di diritto per eccellenza sarà la lex rogata, cioè la
                legge proposta dal magistrato e fatta votare nelle assemblee popolari regolarmente riunite. Nel 287 a.C. i
                plebis scita, in principio vincolanti per sola plebs vennero resi tali per tutto il populus Romanus ad opera
                della lex Hortensia. Inoltre sino dall’età più arcaica la funzione di creazione del diritto attraverso l’inter-
                pretazione delle norme già esistenti è riconosciuta anche ai pareri, responsa, dei giuristi. In principio questi
                si identificavano con il collegio dei pontifices, mentre in seguito tale attività venne “laicizzata”. E’ impor-
                tante comprendere come le fonti sinora richiamate costituissero il nucleo più antico del Diritto romano,
                lo ius civile o ius Quiritium. Esso, però, tra il III-II sec. a.C. non era più sufficiente a fare fronte alle mutate
                esigenze socio-politiche, così intervenne il pretore che, nei suoi edicta, individuò quelle posizioni giuridi-
                che che pur non essendo contemplate nello ius civile erano meritevoli di tutela, creando così un sistema
                giuridico non alternativo ma complementare a quest’ultimo : lo ius honorarium. Nella successiva età
                imperiale venne riconosciuta portata normativa alle deliberazioni, consulta, del Senato, che saranno par-
                ticolarmente importanti per lo sviluppo del diritto privato. La vera novità del principato, tuttavia, fu la
                creazione di fonti emananti dallo stesso imperatore : le constitutiones principum, cui in questo periodo è
                ancora riconosciuto soltanto “valore di legge”. Esse potevano avere valenza generale, edicta e mandata, o
                essere rivolte a casi particolari e, in teoria, applicabili a quelli soltanto, decreta, epistulae e rescripta. Nella
                fase del dominato sopravvissero gli edicta ed i rescripta, mentre scomparvero decreta e mandata. Venne
                introdotta la adnotatio (forma solenne di rescriptum) e la pragmatica sanctio, inerente di solito l’attività
                amministrativa, emanata con procedura snella e spesso come misura d’urgenza su richiesta delle autorità
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          Fig. 2 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Calco dell’epigrafe nota come ius luminum obstruen-
            dorum. Nel testo si ricorda l’innalzamento di un muro atto a impedire la visione dell’interno
           dell’area sacra del tempio di Apollo a Pompei da un lumen della vicina abitazione. Età augustea.

               Del resto, l’intima connessione tra il Diritto romano e lo stesso tessuto urbano
          della città è connaturata al fenomeno più caratteristico dell’esperienza giuridica
          romana, la giurisprudenza, su cui sarà opportuno soffermarsi brevemente prima di
          affrontare altre questioni. Sin dall’età arcaica essa appare collegata a luoghi pubblici
          ed all’esercizio del potere, essendo monopolio del collegio dei pontifices, cui spettava
          in questo caso “mediare” tra il singolo cittadino ed un ordinamento giuridico le cui
          norme erano ancora tramandate oralmente proprio all’interno di quella stessa cer-
          chia. Nel 304 a.C., tuttavia, Cneo Flavio, segretario di Appio Claudio Cieco, rese noti
          i fondamenti essenziali del diritto, legis actiones e fasti, e questa “laicizzazione” del
          diritto venne accelerata quando nel 280 il primo pontifex maximus plebeo, Tiberio
          Coruncanio, inaugurò il pubblico insegnamento della scienza giuridica. Da questo
          momento e sino a tutto il principato il cuore dell’attività giurisprudenziale, cioè la
          discussione e l’insegnamento, fu fortemente ed intimamente connaturato nel tessuto
          urbano di Roma, poiché i giuristi svolgevano la loro opera di consulenza ed insegna-
          mento soprattutto nelle proprie abitazioni. In seguito, come avverrà per altri feno-
          meni, lo sviluppo del diritto e la storia politica si influenzeranno reciprocamente e

               locali. In questo periodo le fonti del diritto si riducono a due : i pareri dei giuristi, detti ora iura, e le costi-
               tuzioni imperiali, che persero il “valore di legge” per divenire la legge per eccellenza, tanto da essere dette
               semplicemente leges.
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          già in età severiana i giuristi non furono più tanto privati cittadini versati nello studio
          del diritto, ma spesso alti funzionari imperiali, almeno per alcuni periodi : Papiniano,
          Paolo ed Ulpiano, ad esempio, che agendo all’interno di un quadro urbanistico cre-
          ato e modificato proprio per accogliere gli uffici delle cariche da essi ricoperte, ben
          possono simboleggiare quanto andiamo dicendo. Nel tardo impero, infine, si assistette
          ad un’altra trasformazione : non il ritorno della grande giurisprudenza all’interno
          delle domus cittadine, ma il suo arroccarsi in grandi centri di cultura quali le univer-
          sità di Berito e Costantinopoli.
               Sarà ora, tuttavia, opportuno illustrare più concretamente, attraverso alcuni
          esempi, in che modo lo sviluppo del diritto si rifletta su quello dell’urbanistica e
          come questa possa essere letta anche alla luce di quello.
               Tra le classi di edifici che meglio possono esprimere il concetto della connessione
          tra l’evoluzione dello spazio urbano e lo sviluppo del diritto fin dall’epoca arcaica, è
          senz’altro opportuno trattare dei luoghi deputati all’amministrazione della giustizia.
          Prendendo in esame il processo criminale è bene chiarire che per l’età più arcaica
          risulta difficile riuscire a separare il diritto pubblico da quello privato. Roma è ancora
          un modesto abitato, la cui società si muove secondo poche e semplici norme. Gesti
          rituali e determinate formule, certa verba, costituivano i fondamenti su cui si basava
          il diritto in età arcaica, fondato sui mores maiorum, i costumi degli antenati.
               In questo momento, l’esercizio della giustizia appare chiaramente una delle fun-
          zioni essenziali della nuova comunità e tale attività trova spazio nei nascenti luoghi
          istituzionali e di riunione del popolo. E’ proprio questo il periodo in cui dopo una
          fase proto-urbana, collocabile tra il 900 ed il 750 a.C., nasce sull’altura del Cermalus,
          sul Palatino, un nuovo abitato che si configura da subito come un centro urbano di
          potere 5. Siamo nella data tradizionale della nascita di Roma e all’incirca nell’arco di
          tempo di cento anni nuove capanne sostituiscono quelle esistenti. Fra queste si distin-
          gue la c.d. “capanna regia”, che sembra assorbire una precedente capanna c.d. “del
          capo”, con accanto un’altra capanna, a due vani, probabile sacrario dei culti regi di
          Marte ed Ops. In seguito alla cerimonia di rifondazione di Numa il primitivo santua-
          rio di Marte viene spostato a valle presso le porte Romanula e Mugonia. Con analoga
          trasposizione verrà collocato più a valle il Mundus.
               Depositario e amministratore della giustizia era dunque il rex che, in virtù del suo
          potere di comando, imperium, verificava eventuali violazioni infliggendo le relative
          pene. La sua potestà di comando, l’imperium, non appare ancora distinta tra quella
          esercitabile presso l’esercito e quella esercitabile nella gestione degli affari civili 6.

          5.    Circa la nascita della monarchia, la fondazione della città, la dissoluzione delle primitive comunità di vil-
                laggio e le connesse modificazioni sociali in questo periodo, cfr. L. Capogrossi Colognesi, Lezioni di Storia
                del Diritto romano. Monarchia e repubblica, Napoli, Jovene Editore, 2004, p. 1-19.
          6.    Pur coscienti di semplificare di molto una questione su cui è ancora intenta l’attenzione dei romanisti,
                potremmo definire l’imperium come la forma più alta di potere riconosciuta in Diritto romano. Sarebbe
                arduo dare di esso una definizione positiva, sia data l’ampiezza della sua sfera di attività sia considerato
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               Fig. 3 – Roma, Museo della Civiltà Romana (deposito Università degli Studi di Roma
          “La Sapienza”). Plastico ricostruttivo in scala 1:15 della cosiddetta Capanna Regia e dei santuari
                                 di Marte ed Ops. Seconda metà del VIII sec. a.C.

               Sempre della stessa epoca è il tratto di muro che correva ai piedi del Palatino, edi-
          ficato nella seconda metà dell’VIII sec. a.C. che, identificato anche come limite del
          pomerio, probabilmente segnava il confine oltre il quale poter agire mediante l’uso
          delle armi. Le stesse pene capitali comminate dal rex nell’esercizio della giurisdizione
          criminale, dovevano essere eseguite fuori dal pomerium.
               A partire dalla metà del VII secolo, si creò un’ampia area pavimentata ai piedi del
          colle capitolino, ampia circa 700 mq, ottenuta asportando una grande quantità di ter-
          reno e creando una sorta di depressione profonda più di 2 metri. Nella prima età regia,
          dunque, si individua e viene prescelta come luogo di riunione del popolo, ancora
          diviso in curiae, un’area pianeggiante oltre le mura, ai piedi del Campidoglio, essendo
          l’area opposta, e cioè quella verso l’Aventino e la Valle Murcia, interdetta per motivi
          sacrali. In questa zona, chiamata Comitium, il cui antico nome italico deriva dalla
          funzione svolta, non troppo estesa e poco salubre, ma in posizione chiave, si svolgerà
          gran parte della vita politica e giudiziaria di Roma 7.

            7. come esso sia un istituto che si estese per tutta la durata della storia romana, intrecciandosi e relazionandosi
               pertanto, in modo di volta in volta diverso, con altri poteri pubblici o figure istituzionali portatrici di questi.
               In effetti l’imperium suole essere piuttosto definito in via negativa, identificandone cioè i limiti : in epoca
               repubblicana il maggiore è senz’altro la provocatio ad populum e la connessa distinzione tra imperium domi,
               gestione degli affari civili, e imperium militiae, comando militare vero e proprio sottratto a provocatio.
            7. La creazione, durante le prime fasi della monarchia latina, del sistema delle tribù e delle curie e la previ-
               sione di un apposito spazio urbano preposto alle loro riunioni, è stata anche recentemente sottolineata
               come momento fondamentale della storia arcaica di Roma. Tutto ciò, infatti, concorreva a determinare
               l’attenuazione dei legami tra gruppi parentali di epoca pre-civica, rinforzando viceversa la nuova civitas
               e le sue istituzioni. Su ciò e sul connesso problema della cronologia relativa delle tribù e delle curie, v.
               L. Capogrossi Colognesi, Lezioni di storia del Diritto romano. Monarchia e repubblica, Napoli, Jovene Edi-
               tore, 2004, p. 12-19 ; 23-29.
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          Fig. 4 – Area dell’antico Comitium. Questa zona sin dalla metà del VII sec. a.C. fu deputata alle
          riunioni del popolo costituito in comitia curiata. In questo stesso spazio si svolgevano anche i
               processi civili e quelli criminali almeno sino all’inizio della repubblica (foto autrice).
               Il Comitium, di forma quadrangolare, orientato secondo i punti cardinali, si
          ritiene fosse assimilato alla Roma quadrata e come tale dotato anch’esso di un Mun-
          dus, identificato con l’Umbilicus Urbis, quasi una proiezione dell’abitato del Palatino
          nelle sue varie componenti di potere. Tra i monumenti che ivi avevano sede, era pre-
          sente anzitutto un luogo di amministrazione della giustizia, in seguito detto tribunal,
          e la curia Hostilia 8.
               Il primitivo tribunal doveva essere una struttura mobile situata a Ovest del Comi-
          tium 9 presso la sede dei triumviri capitales ed il Carcer. Da quest’area il magistrato, dal
          367 a.C. il pretore, eserciterà la giurisdizione nelle materie criminali e civili di sua
          competenza.

            8. Per quanto riguarda il Mundus, il monumento viene oggi identificato con la costruzione posta nell’angolo
               Sud-Ovest dell’arco di Settimio Severo, tradizionalmente nota come Umbilicus Urbis, ed aderente ad un
               altro monumento arcaico tradizionalmente identificato con il Volcanal, ma in cui deve piuttosto ricono-
               scersi l’ara Saturni più volte indicata dalle fonti in quella zona del Foro. Interessa qui sottolineare come il
               Mundus fosse un monumento strettamente connesso alle origini della costituzione romana. In primo
               luogo, infatti esso era costruito in modo da rappresentare il fulcro della zona delimitata dal solco di fon-
               dazione, rappresentando pertanto un elemento fisico essenziale del diritto augurale. Contemporanea-
               mente questo monumento illustrava il fondamentale aspetto del sinecismo romano, poiché al suo interno,
               Plutarco, Romulus XI, sarebbero state gettate primizie e zolle di terra provenienti dai luoghi di origine di
               quelli che si apprestavano a diventare nuovi cives Romani. Su tutto ciò v. F. Coarelli, Il Foro Romano. I :
               periodo arcaico, Roma, Quasar, 1992, p. 207-225, nonché “Mundus”, in Lexicon Topographicum Vrbis Romae,
               E.M. Steinby (dir.), vol. III, Roma, Quasar, 1996, p. 288 ss.
            9. Liv. 1, 36, 5.
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               La curia Hostilia, cui sembra appartenere un gruppo di tegole facenti parte del
          primo livello del pavimento, secondo gli scavi del Boni, venne fondata, a detta di
          Varrone 10, da Tullo Ostilio. Ospitava le riunioni del Senato ed era situata a Nord del
          Comitium, costituendo quest’ultimo quasi un vestibulum all’edificio 11. Il Comitium
          arcaico era perciò delimitato a Nord dal Forum Iulium, ad Ovest dall’arco di Settimio
          Severo, ad est dalla curia Iulia. Ancora ben individuabile è il lato Sud, caratterizzato
          da una linea pozzetti che distinguevano l’area al momento della sua inaugurazione
          come templum.
               Sempre in quest’arco temporale, nella repressione arcaica degli atti illeciti, pur
          nell’estrema incertezza delle ricostruzioni, fondamentale appare l’istituto della fami-
          lia che, in età arcaica manteneva ancora molte attribuzioni in seguito proprie della
          sfera dei poteri pubblici. Infatti il suo patriarca, il paterfamilias, deteneva il potere
          assoluto, manus, sugli uomini, sia liberi che schiavi, sugli animali e sulle cose del pro-
          prio gruppo, esercitando la giustizia nello spazio fisico dell’atrio, centro di aggrega-
          zione e rappresentanza della domus primitiva, ove erano conservati i simboli civili e
          religiosi dell’autorità del pater. Queste competenze non vennero del tutto meno nep-
          pure quando furono creati gli organi della nuova civitas 12.
               Nella seconda età regia si assiste ad un ampliamento ed ad una stabilizzazione del
          pomerio che comprenderà tutti i colli, ad eccezione dell’Aventino. Sempre allo stesso
          periodo la tradizione fa risalire l’istituzione dell’ordinamento centuriato. A Servio
          Tullio infatti è attribuita la riforma degli antichi comizi e l’introduzione della divisione
          del popolo in classi in base al censo. Con questa importante riforma costituzionale
          muta il ruolo stesso del cittadino, che diviene sempre più parte attiva nella conduzione
          della cosa pubblica. Polibio dice, riferendosi al popolo “esso infatti è il solo arbitro
          nell’assegnazione degli onori e delle funzioni, […] il solo ad avere il diritto di inflig-
          gere la pena di morte […]”.
               Risulta chiaro come, pur mantenendo la primitiva area del Comitium le funzioni
          giudiziarie soprattutto civili, si ebbe la necessità di riunire l’assemblea popolare degli
          uomini in armi, composta da 193 centurie, in un’area più ampia che venne individuata
          “nel campo che giace tra il Tevere e le mura di Roma”, come dice Livio 13 : il campus

          10. Varro, ling. 5, 155, 2.
          11. Liv. 45, 24, 12.
          12. E’ infatti attribuita a Romolo, Dionigi di Alicarnasso 2, 25, 6, la norma secondo cui “la moglie fosse punita
              dai parenti in caso di rapporto sessuale illecito o qualora avesse bevuto vino”. Usualmente la pena veniva
              inflitta facendo morire di inedia la colpevole. Del resto non mancano nelle fonti esempi di punizioni
              rivolte dal pater anche ai figli maschi. Valga per tutti il caso del supplizio di Spurio Cassio nel 485 a.C. che,
              durante il suo consolato aveva tentato di far promulgare una legge agraria particolarmente favorevole al
              popolo e per questo, una volta tornato privato cittadino, il pater, accusandolo di aspirare al regno, “ordinò
              che fosse fustigato a morte e consacrò a Cerere il suo peculio”. Ancora durante la congiura di Catilina si
              registra un caso eclatante di giustizia domestica, nondimeno accettato come giusto, per la repressione di
              un comportamento che sarebbe stato forse di competenza degli organi pubblici. Si tratta di Aulo Flavio,
              Valerio Massimo 5, 8, 5 e Sallustio, Catil. 39, 5, che mise a morte il figlio mentre si apprestava a raggiungere
              l’accampamento di Catilina.
          13. Liv. 21, 30, 11.
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           Fig. 5 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Archivio Storico G. Gatteschi. Disegno eseguito
           nel 1902. In questi anni si iniziava a scavare l’area del Comitium e la rappresentazione, che si
          riferisce alla cancellazione dei debiti avvenuta sotto Traiano, ha soprattutto una valenza estetica.

          Martius. Quest’area è collegata peraltro a testimonianze molto antiche, quali la morte-
          scomparsa di Romolo avvenuta durante un’assemblea del popolo che, significativa-
          mente, viene individuata sia presso la palus Caprae, appunto nel Campo Marzio, che
          presso l’ara Saturni del Comitium del Foro. Ciò indica chiaramente una continuità di
          funzioni ed uno spostamento di alcune di esse al di là del muro-pomerio entro le
          quali non potevano più essere esercitate. Altrettanto significativamente le funzioni
          che Romolo stava svolgendo al momento della sua scomparsa sono dalle fonti latine
          riferite sia all’esercito che alla iurisdictio.
               L’area adibita ai comitia, chiamata Ovile in epoca risalente e Saepta in quella augu-
          stea, venne anch’essa inaugurata come templum e risulterà avere lo stesso orientamento
          del Comitium del Foro.
               Proprio la sede dei comitia centuriata è legata ad una grande innovazione del
          diritto criminale romano, per comprendere appieno la quale sarà però opportuno
          fare alcune precisazioni. Come già accennato, nel quadro della distinzione tra la sfera
          del pubblico e del privato, i mores vennero integrati da leges publicae, cioè da provve-
          dimenti normativi collegati alla volontà popolare espressa nei comitia. Tra le più anti-
          che si ricorda la Lex XII Tabularum, risalente agli anni 451-450, di cui si discute tuttavia
          l’effettiva votazione da parte del populus Romanus. Doveva quasi sicuramente trattarsi
          infatti di una legge pronunciata dai magistrati, i decemviri legibus scribundis, davanti
          al popolo riunito in assemblea. Queste leggi, incise su tavole di bronzo erano affisse
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           Fig. 6 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Ricostruzione calligrafica della Lex XII Tabularum
                           secondo l’interpretazione dello storico del diritto P. Bonfante.

          ai rostra arcaici, nel Comitium 14. Esse andarono distrutte nel corso dell’invasione gal-
          lica del 387 a.C., ma furono conservate per lungo tempo oralmente e molti dei loro
          precetti sono giunti fino a noi grazie alle fonti scritte 15.
               Come esito di tutto ciò, nel quadro dello scontro tra patrizi e plebei, dal punto di
          vista del diritto criminale tra il V ed il IV sec. a.C., venne creato l’istituto della provo-
          catio ad populum, di grande importanza anche ai fini dello sviluppo dello spazio
          urbano. In precedenza, l’amministrazione della giustizia criminale era esercitata dal
          solo magistrato munito di imperium anche in caso di crimini puniti con la pena capi-
          tale, né era prevista la partecipazione del popolo riunito in assemblea. Ciò significava

          14. Diodoro Siculo 12, 26, 1 ; Dig. 1, 2, 2, 4. L’uso di affiggere in quest’area tavole contenenti leggi e disposizioni
              pubbliche è altresì attestato in altre fonti con riferimento al podio del tempio di Saturno, come ad esem-
              pio Varro, ling. 5, 42, 3.
          15. La codificazione delle XII Tavole non deve intendersi come l’esito di un processo teso in primo luogo alla
              razionalizzazione del diritto vigente, ma come un episodio della lotta tra patrizi e plebei, a seguito del
              quale questi ultimi ottennero che fosse fissato in forma scritta quel diritto sino ad allora tramandato oral-
              mente ed interpretato solo all’interno della cerchia dei pontifices, emanazione dell’aristocrazia. Su ciò v.
              L. Capogrossi Colognesi, Lezioni di storia del Diritto romano. Monarchia e repubblica, Napoli, Jovene Edi-
              tore, 2004, p. 95-98.
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          che il magistrato cum imperio, così come già il rex, avrebbe potuto giudicare un civis
          Romanus e condannarlo a morte senza che la stessa comunità civica, in ultima analisi
          destinataria dell’atto criminale della persona sottoposta a giudizio, potesse interve-
          nire in alcun modo nel processo decisionale. L’istituto della provocatio venne intro-
          dotto invece proprio per limitare la possibilità di condannare a morte un cittadino,
          avendo il presunto colpevole la facoltà di perorare la propria causa nei comitia centu-
          riata.
               Abbiamo già parlato del luogo designato per tali riunioni. L’atto materiale della
          provocatio, che originò dunque quella procedura criminale che in Diritto romano è
          nota come “processo comiziale”, doveva invece svolgersi entro il pomerium e comun-
          que prima della zona in cui iniziava la validità dell’imperium militiae, che avrebbe
          consentito al magistrato di condannare a morte il civis senza ricorso alla provocatio 16.
               Nel processo comiziale, la discussione della causa, l’audizione delle parti, l’escus-
          sione dei testimoni, le questioni relative alle prove, si svolgevano nel corso di riunioni
          del populus Romanus dette contiones e che precedevano la formale riunione del comi-
          zio. Esse avevano luogo nello spazio di tre nundinae, cioè nel corso dei giorni di mer-
          cato in cui, dopo aver lavorato otto giorni nei campi, i Romani […] nono autem die,
          intermisso rure, ad mercatum legesque accipiendas Romam venirent 17.
               In tale fase la partecipazione popolare era garantita dalla coincidenza con i giorni
          di attività commerciale : il commercio dunque, come polo di aggregazione urbana,
          con le sue tabernae nel Foro e nelle adiacenze, forniva l’occasione per queste assem-
          blee che si svolgevano nella parte Sud del Foro, presso i rostra, ma che potevano anche
          avere luogo in altre zone, come ad esempio gli abituali luoghi di riunione del Campo
          Marzio, del resto prossimi alla sede dei comitia centuriata.
               Lo svolgimento delle contiones doveva dunque in qualche modo integrarsi con
          l’attività giudiziaria tipica di uno specifico settore del Comitium. E’ infatti documen-
          tata, tra la fine del VI e l’inizio del V secolo l’esistenza di una tribuna, i rostra, cui si è
          già accennato, proprio in coincidenza con la data tradizionale dell’istituzione della
          repubblica. Viene addirittura ricordata nell’età di Tarquinio Prisco con riferimento al
          foedus Cassianum e, come già detto, in epoca decemvirale a proposito della Lex XII
          Tabularum. Varrone ne dà l’esatta collocazione a Sud-Est del Comitium 18.

          16. Incerta è la data in cui venne creato l’istituto della provocatio, né può escludersi come esso possa aver
              subito alterne vicende. La tradizione, a tratti contraddittoria, ricorda ad esempio una lex Valeria de pro-
              vocatione del 509 a.C., una lex de provocatione ad populum del 449 ed una lex Valeria de provocatione del
              300. A questo proposito giova qui ricordare come la provocatio invocata da Orazio nel racconto liviano del
              noto episodio occorso durante il regno di Servio Tullio, venga usualmente considerata dalla dottrina un
              anacronismo dello storico antico, mentre viene viceversa ritenuto affidabile il testo della lex horrendi car-
              minis, anche se si discute sulla corretta qualificazione del fatto criminale da parte di Livio : se cioè esso
              costituisse veramente alto tradimento, perduellio, o omicidio di un familiare, parricidium. Su ciò v. E. Can-
              tarella, I supplizi capitali, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2005, p. 143-147.
          17. Macrobio, Sat. 1, 16, 34. Si veda su questo argomento G. Crifò, Lezioni di Storia del Diritto romano, VIII ed.,
              Bologna, Monduzzi, 2000, p. 88-91.
          18. Varro, ling. 6, 2, 5.
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               La primitiva tribuna da cui parlavano gli oratori era orientata in modo tale da
          consentire loro di rivolgersi verso la Curia a Nord. Intorno alla fine del IV secolo, il
          podio di questo primitivo suggesto venne innalzato, forse per l’inserimento dei rostra
          tolti alle navi di Anzio durante la guerra latina. Successivamente, intorno al 263 a.C.,
          tutta l’area del Comitium e di conseguenza tutti i relativi monumenti subirono uno
          spostamento, assumendo una forma circolare. E’ in quest’epoca che mutò anche la
          posizione verso cui l’oratore si rivolgeva : non più a Nord, ma a Sud-Est verso il Foro.
          In epoca sillana, in occasione dell’ampliamento della Curia, venne eseguita una nuova
          pavimentazione che in parte cancellò antichi monumenti tra cui il tribunal del pre-
          tore, distrutto nell’80 o nel 52 a.C. 19.
               Chiaramente, a partire dai rostra Augusti, la funzione giudiziaria, che era stata
          una di quelle proprie di questi monumenti, andò sempre di più a diminuire, come
          pure del resto cambiò la vocazione stessa del Comitium, che diventò sempre più luogo
          di rappresentanza e non di vita politica attiva.
               La vera e propria decisione della causa avveniva dunque nella sede dei comitia
          centuriata, la cui indizione il magistrato, esercitando il suo ius agendi cum populo,
          aveva preventivamente fissato facendo in modo che fosse preceduta dalle tre nundi-
          nae di cui si è sinora detto. Nel Campo Marzio, dunque extra pomerium, il populus
          Romanus esprimeva il giudizio definitivo.
               A partire dal II sec. a.C. si affermò un altro tipo di processo criminale che preve-
          deva la creazione di diverse corti per i singoli crimina e che prendeva il nome dalla
          tipologia della corte, le quaestiones perpetuae. Tralasciando aspetti che qui non pos-
          sono essere affrontati, è interessante notare l’istituzione di un numero limitato di cit-
          tadini, una sorta di giuria, avente il compito di esprimere il verdetto : la composizione
          sociale di queste corti, specie di quelle collegate alla repressione del reato di concus-
          sione, sarà uno dei terreni di scontro delle factiones della tarda repubblica 20.

          19.    E’ in questa fase del processo criminale che i rostra ed in generale il Comitium si identificano perfettamente
                 come uno dei luoghi in cui si svolge il processo : il successivo processo delle quaestiones perpetuae non necessa-
                 riamente dovette fruire di quegli spazi urbani, mentre la successiva cognitio extra ordinem si svolse del tutto
                 all’interno di nuovi edifici costruiti per i funzionari imperiali. Quanto allo sviluppo successivo dell’area, giova
                 ricordare come Cesare mise mano ad un’ampia opera di ristrutturazione in tutta la zona, demolendo l’antica
                 tribuna, la curia Hostilia e la Graecostasis, ricostruita lungo il lato Ovest. Proprio lungo questo lato si apprezza
                 tuttora quanto rimane del complesso dei rostra che generalmente passano sotto il nome di rostra Augusti. Fra
                 questi si nota una struttura ad emiciclo che presenta una rampa curva di sei gradini di travertino. Da alcuni
                 attribuita alla Graecostasis, si tratta invece quasi sicuramente dei rostra di Cesare, datati ai primi mesi del 44 a.C.
                 Tra il 42 ed il 12, proseguendo la ristrutturazione intrapresa da Cesare, Augusto mise mano alla nuova sistema-
                 zione dell’area, costruendo nuovi rostra e cambiando tutto l’assetto della piazza, come si può notare dalla
                 disposizione dei monumenti successivi. La tribuna augustea, alta m 3,70 e lunga 23 presenta sulla fronte e sui
                 lati una fodera di marmo composta da lastre verticali di africano alternate ad altre di portasanta. I rostra
                 registrano anche una fase flavia ed una severiana connessa con le radicali alterazioni subite dall’area a causa
                 della costruzione dell’arco. In età tardo-antica i rostra vennero fatti avanzare verso il Foro. Ben riconoscibili
                 nella parte frontale, passano generalmente sotto il nome di rostra Vandalica, anche se sono da attribuire a Dio-
                 cleziano o Aureliano. Occorre infine menzionare i rostra Diocletiani, da collocare a Est dell’antico Comitium.
          20.    A partire almeno dalla metà del V sec. a.C., i Romani non consideravano tutti gli atti illeciti come rilevanti
                 sul piano del diritto criminale, poiché distinguevano tra quelli incidenti sulla sfera del diritto privato e quelli
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             Fig. 7 – Area del Comitium dall’età arcaica alla fine della repubblica. Da L.T.U.R., I, p. 469.

          20.   incidenti sulla sfera del diritto pubblico. Delicta vennero detti gli atti illeciti di diritto privato che creavano tra
                le parti la nascita di un diritto di obbligazione che, dalla media repubblica veniva estinto attraverso il paga-
                mento di una sanzione in denaro detta poena. Tutti i delicta romani costituiscono oggi reati veri e propri, puniti
                dai codici penali o comunque sempre nelle forme del diritto pubblico : furto, danneggiamento, oltraggio, per-
                cosse, lesioni e, in certa misura, la rapina. Accanto ai delicta dello ius civile, lo ius honorarium previde altre
                forme di illeciti che vennero detti “quasi delitti” : il getto di cose dagli edifici, l’incauto posizionamento di cose
                sopra un luogo di pubblico passaggio o il furto in tabernae, cauponae, stazioni di posta ed altri luoghi. I fatti ille-
                citi rilevanti sul piano del diritto criminale, invece, venivano detti crimina. In linea generale si trattava di com-
                portamenti ritenuti così gravi da mettere in pericolo l’incolumità di tutta la comunità. Infatti i primi crimina di
                cui si ha notizia sono l’alto tradimento, perduellio, e l’assassinio di un pater, il parricidium. L’elenco dei crimina
                si ampliò nel corso del tempo, insieme allo sviluppo della relativa procedura processuale. Infatti, a differenza
                dei delicta, i crimina erano puniti nelle forme del processo criminale, cioè di un processo di diritto pubblico.
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                Non trattandosi più di contiones, collegate in qualche modo ad altri aspetti della
          vita urbana, né di comitia centuriata, risulta chiaro come questo tipo di corte stabile
          giudicante dovesse riunirsi in altri luoghi. Uno dei monumenti individuati ricolle-
          gabili alle quaestiones perpetuae è il tribunal Aurelii, peraltro noto solo dalle fonti,
          ove venivano discusse le cause di concussione, quaestiones de repetundis. Il monu-
          mento, eretto dal pretore C. Aurelius Cotta nell’81 a.C., probabilmente era unito ai
          gradus Aurelii, costruiti nel 74 circa, una sorta di gradinata dalla quale era possibile
          assistere alle sedute giudiziarie. Ambedue andarono distrutti nel corso dell’incendio
          del 52 a.C. 21.
                Con l’impero si assiste, come del resto in altri campi, ad un radicale cambiamento
          del processo criminale attraverso la creazione di una nuova procedura gestita diretta-
          mente dai nuovi funzionari imperiali, detta cognitio extra ordinem. Il processo extra
          ordinem trae la sua denominazione dalla circostanza che si svolgeva al di fuori delle
          regole dell’ordo iudiciorum publicorum. Esso, pur configurandosi come uno sviluppo
          tipico del nuovo regimen, da un punto di vista procedurale permise che il funzionario
          imperiale, libero di indagare e di inquadrare il crimine al di fuori dei rigidi schemi
          delle quaestiones, potesse adeguare la pena alla gravità del fatto realmente commesso.
          Si venne perciò creando anche una certa discrezionalità da parte del giudice, nel senso
          che costui poteva tener conto ai fini della decisione di elementi soggettivi, circostanze
          attenuanti e di ogni altro elemento utile 22.
                Per un certo periodo di tempo i tre sistemi, il comiziale, le quaestiones perpetuae
          e la cognitio extra ordinem coesistettero, sovrapponendosi, fino ad un progressivo ina-
          ridimento delle istituzioni repubblicane. Questo cambiamento si può seguire anche
          in ambito topografico ed anzi si presta ad alcune considerazioni. I comitia, che un
          tempo costituivano il nucleo pulsante della città in quanto legiferavano e svolgevano
          attività giurisdizionale, perdono di importanza e l’assemblea popolare per eccellenza
          diventa di fatto quella che si aggrega nelle grandi adunanze dove si svolgono gli spet-
          tacoli pubblici.
                Lo spazio urbano dove si celebravano i processi extra ordinem erano gli uffici dei
          vari funzionari imperiali, che giudicavano in prima istanza o in grado d’appello su
          delega del principe : i praefecti Urbi, praetorio, vigilum ed annonae.

          21. Per la menzione del tribunal Aurelii v. ad es. Cicerone, Sest. 15, 34, mentre per i gradus Aurelii, v. sempre
              Cicerone, Cluent. 34, 93.
          22. Nel processo delle quaestiones perpetuae era pressoché impossibile valutare elementi del comportamento
              criminale se questi non fossero già stati previsti dalla legge, generando così un automatismo eccessivo
              nell’irrogazione della sanzione. Nella cognitio extra ordinem, invece, il funzionario proprio perché giudi-
              cava al di fuori delle norme processuali delle quaestiones poteva valutare circostanze incidenti sulla pena
              quali la mancata attuazione del disegno criminoso o il concorso di persone. Attraverso la procedura cri-
              minale extra ordinem si giunse anche a dare diverso rilievo a elementi di fattispecie criminali già previste
              ovvero a moltiplicare le ipotesi di reato anche indipendentemente dalle figure di reato previste dalle qua-
              estiones perpetuae. In taluni casi si assistette anche alla repressione come crimina di comportamenti in
              precedenza configurabili come delicta.
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               Ogni prefetto organizzò un proprio tribunale secondo le rispettive esigenze e
          competenze.
               Non molto sappiamo della praefectura vigilum e di quella annonae. La prima era
          ospitata probabilmente all’interno della caserma, statio, della I coorte, nell’area dell’
          odierna Piazza dei SS. Apostoli, la seconda aveva sede nel Foro Boario e se ne possono
          vedere ancora i resti all’interno della Chiesa di S. Maria in Cosmedin. Nulla si sa della
          praefectura praetorio, la cui sede presumibilmente si trovava all’interno dei castra
          omonimi. Meglio conosciuta è invece la sede del praefectus Urbi. Inizialmente situata
          in una basilica, probabilmente la Paulli, per la successiva età domizianea è stata loca-
          lizzata all’ingresso della Subura presso l’Argiletum all’interno del templum Pacis. Nel
          tardo impero questa prefettura aveva sede presso il templum Telluris, nelle Carinae e
          da esso prendeva il nome : secretarium Tellurense. Era composta da aule per processi,
          tribunalia, ed uffici amministrativi, scrinia. Le sue strutture, viste nel 1500, si trova-
          vano nell’area compresa tra la basilica di Massenzio e il Colosseo. Vi si accedeva sul
          lato Est ed era collegata alla basilica stessa, sede delle attività del praefectus in deter-
          minate circostanze solenni.
               Proprio in età imperiale e nell’ambito della procedura extra ordinem, si assiste
          anche all’assunzione di funzioni giudicanti da parte della Curia. In effetti il Senato, in
          epoca repubblicana non aveva avuto funzioni giurisdizionali o normative ed il suo
          intervento aveva rivestito piuttosto un carattere politico. Viceversa esso si presenta
          ora come organo giudicante, in grado di pronunciare sentenze su ordine del principe
          e specie nei procedimenti per i crimina politici de maiestate. Del resto non manca-
          rono casi in cui il principe, che giudicava assistito da un proprio consilium, assegnò al
          Senato anche procedimenti di sua competenza.
               Abbiamo già parlato della curia Hostilia, come la sede che in epoca arcaica ospi-
          tava le sedute del Senato. Venne ampliata da Silla e successivamente nel 52 a.C. dal
          figlio di costui, Fausto. Cesare, in connessione con il suo Foro volle edificare una
          nuova curia, la Iulia, inaugurata da Augusto nel 29 a.C. Essa sostituì la precedente,
          Hostilia, ed è quella che attualmente si vede nella ricostruzione dioclezianea. Altre
          sedi ove poteva riunirsi il Senato erano la curia Pompei, in Campo Marzio, divenuta
          famosa per l’uccisione di Cesare, e la biblioteca del tempio di Apollo sul Palatino,
          soprattutto con Augusto. Occorre far notare come, per l’esercizio delle funzioni giu-
          diziarie dell’imperatore, pur esistendo luoghi a ciò istituzionalmente deputati, ad
          esempio la c.d. basilica Iovis della Domus Flavia sul Palatino, in realtà potessero essere
          usati quegli spazi urbani che il principe stesso avesse ritenuto opportuni. Del resto
          l’impiego di spazi monumentali al di fuori delle funzioni loro proprie, è testimoniato
          anche dal fatto che proprio il Diribitorium dei Saepta sia stato usato da Caligola quale
          teatro in occasione di forti calure estive 23.
               Come si è visto, l’esame del processo criminale ci ha dato modo di penetrare
          all’origine di molti edifici e delle loro funzioni, seguendone l’evoluzione attraverso i

          23. Cassio Dione 59, 7.
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          Fig. 8 – Roma, Museo della Civiltà Romana. Archivio Storico G. Gatteschi. Ricostruzione della
                    fronte del complesso dei Saepta Iulia con il Diribitorium nel Campo Marzio.
                               L’edificio è erroneamente posto all’inizio della via Lata.

          dati di una disciplina che a torto viene scarsamente considerata nel corso dell’inda-
          gine storico-archeologica. In questo senso, anche il processo privato può rivelarsi
          utile, ma vediamo come.
               Semplificando di molto, il processo privato si può dividere in tre grandi periodi :
          il processo per legis actiones, quello per formulas, e la cognitio extra ordinem, le cui
          caratteristiche, per ciò che qui interessa, non si discostano da quanto detto con rife-
          rimento al diritto processuale criminale. L’arcaico processo per legis actiones si imper-
          niava, come espresso dal suo stesso nome, sulle actiones, ossia sulle formule, retaggio
          del periodo dell’origine, che le parti dovevano recitare davanti al magistrato per deli-
          neare il contenuto della controversia 24. Il dato caratterizzante di questo tipo di pro-
          cesso, era proprio l’estrema rigorosità formale, che imponeva la pronuncia di certa
          verba. A partire dal 367 a.C. il magistrato incaricato di dirimere la maggior parte delle

          24. Questo arcaico tipo di processo trae la denominazione dalla centralità, nella sua economia, delle legis
              actiones, cioè di precise e rituali formule da recitare davanti al magistrato per richiedere la tutela dei pro-
              pri diritti. Come per altri aspetti del diritto arcaico, anche in questo caso la forma si identificava con la
              sostanza dell’atto. Tali actiones, formalizzate dalla Lex XII Tabularum ma certo più risalenti, erano di due
              tipi : dichiarative, tese ad ottenere la pronuncia del giudice su di una certa questione, ed esecutive, tese
              invece ad ottenere l’esecuzione di una precedente pronuncia del giudice. Erano dichiarative la legis actio
              sacramento in rem aut in personam, quella per iudicis arbitrive postulationem e quella per condictionem.
              Erano invece esecutive la legis actio per manus iniectionem e quella per pignoris capionem.
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          controversie civili fu il pretore. Proprio in quel periodo la società andava rapida-
          mente evolvendosi e a fronte della mutata realtà economico-sociale, le legis actiones
          non risultavano più sufficienti a tutelare tutti i nuovi rapporti giuridici sorti di con-
          seguenza.
               Proprio per questo, il pretore decise di usare il suo imperium per garantire comun-
          que una tutela in sede processuale a quei rapporti che, pur non contemplati dall’an-
          tico ius Quiritium, egli avesse ritenuto meritevoli di tutela 25. Ciò avveniva attraverso
          l’emanazione, all’atto dell’entrata in carica, di un editto che conteneva le formulae
          idonee a tutelare questi nuovi rapporti. Proprio nell’età in cui il processo per legis
          actiones iniziava a sostituirsi a quello per formulas, in età sillana, a causa dei lavori di
          ristrutturazione effettuati nell’area del Foro, scomparvero i tribunalia posti ai cornua
          del Comitium. L’attività del processo privato si spostò nella parte Sud del Comitium
          stesso, non lontano dal tribunal Aurelii, di cui abbiamo già detto parlando del processo
          criminale. Sappiamo che la nuova sede del tribunal del pretore doveva caratterizzarsi
          per la presenza di strutture in legno, poiché nel corso di una nuova pavimentazione
          dell’area, nel 12 a.C., il pretore L. Naevius Surdinus ne curò il rifacimento e la monu-
          mentalizzazione. Di questo magistrato resta, incassata nelle lastre di pavimentazione
          del tribunale l’iscrizione che lo ricorda, verosimilmente in relazione ai lavori di res-
          tauro di quell’area del Foro. Sappiamo che Surdinus dovette essere pretore peregrino,
          cioè quel pretore istituito nel 242 a.C., cui era affidata la iurisdictio peregrina e l’indi-
          viduazione del tipo di diritto da applicare.
               Sia il processo per legis actiones che quello per formulas si svolgevano anche all’
          interno delle basiliche ed erano composti da due fasi, in iure e apud iudicem. Nella
          prima le parti recitavano davanti al magistrato la legis actio o la formula, onde con-
          sentirgli di verificare la corretta impostazione della lite dal punto di vista sia formale
          che sostanziale. Nella seconda fase le parti venivano assegnate ad un giudice privato
          o ad un collegio di giudici privati che, applicando le indicazioni del magistrato, ascol-
          tava il caso concreto ed emanava la sentenza. Anche in questo caso le fonti giuridiche
          contribuiscono a specificare meglio ciò che concretamente doveva accadere all’interno
          degli edifici pubblici. Per l’età arcaica, quando non si ha notizia di basiliche e l’intero
          processo privato doveva svolgersi nel Comitium, si consideri ad esempio la previsione
          della Lex XII Tabularum secondo cui le parti avrebbero dovuto esporre la causa entro
          mezzogiorno : il giudice avrebbe dato ragione alla parte presente se l’altra non si fosse

          25. Le antiche legis actiones e lo stesso ius civile non consentivano di tutelare tutte le nuove situazioni giuridi-
              che sorte con la crescita dell’Urbe. In questo senso, sin dal IV-III sec. a.C. il magistrato introdusse nei pro-
              cessi tra cittadini stranieri o tra stranieri e Romani, cioè nei casi in cui non poteva comunque applicarsi il
              diritto romano, delle formulae che, recitate in sede giudiziaria, sostituirono le arcaiche legis actiones, con-
              sentendo una difesa più articolata delle proprie ragioni nonché maggiormente aderente alle nuove realtà.
              L’estensione di questo processo, detto per formulas, anche alle cause tra soli cittadini Romani fu graduale.
              Tappe fondamentali furono una lex Aebutia del II sec. a.C., che consentì l’applicazione delle formulae
              anche quando si trattasse di difendere rapporti sorti sulla base dello ius civile, e la lex Iulia iudiciorum pri-
              vatorum del 17 a.C. di Augusto, che abolì definitivamente il processo per legis actiones con la sola eccezione
              delle cause di competenza del tribunale dei centumviri litibus iudicandis.
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          presentata in giudizio entro quell’ora, post meridiem praesenti litem addicito. Riguardo
          la durata di questa fase, la norma prescriveva anche : “Se sono entrambi presenti, il
          tramonto del sole sia l’ultimo momento”. E’ anche alla luce di questo dato giuridico
          che va valutata la circostanza come all’epoca delle XII Tavole una delle funzioni del
          Comitium fosse quella di grande orologio solare, appare perciò naturale ritenere che
          tale valenza fosse anche funzionale alla scansione temporale delle attività richiamate 26.
               Oltre che nel tribunal del pretore, una parte del processo privato, essenzialmente
          quella apud iudicem, si svolgeva all’interno delle basiliche. La prima basilica venne
          edificata dopo l’incendio del 210 a.C. sul lato Nord-Est del Foro ed è tradizionalmente
          conosciuta con il nome di Aemilia. Fu costruita da M. Aemilius Lepidus ed è cono-
          sciuta anche come Fulvia dal nome del collega di Emilio Lepido, M. Fulvius Nobilior
          morto nel 179, prima che l’edificio fosse compiuto. Sappiamo dalle fonti che si trovava
          dietro le nuove botteghe degli argentarii, post argentarias novas, e, sempre a seguito
          delle testimonianze delle fonti pare accertato che già intorno al 195-191 esistesse una
          basilica nei pressi del sacello di Venere Cloacina. Nel 55 a.C. la basilica cambiò nome,
          diventando Basilica Paulli in seguito alla ricostruzione effettuata da L. Aemilius Paul-
          lus. Con il suo alzato a tre piani, Plinio la enumera tra gli edifici più belli del mondo.
          Quasi coeva, del 184 a.C., era la basilica Porcia, situata presso la curia Hostilia, dirim-
          petto al Carcer, distrutta nell’incendio del 52 a.C. successivo alla morte di Clodio.
          Un’altra basilica in cui probabilmente si svolgeva attività giudiziaria fu la basilica
          Opimia, costruita dall’omonimo console intorno al 120 a.C. Essa si trovava nell’area
          Ovest dell’antico Comitium ed andò distrutta nel corso della ristrutturazione augu-
          stea della zona. Sicuramente collegata ai processi fu la basilica Iulia, sorta sul luogo
          dell’antica Sempronia, costruita da Ti. Sempronius Gracchus nel 169. Fu inaugurata
          nel 46 a.C. e divenne sede del tribunal centumvirale 27.
               Quanto alla cognitio extra ordinem, anche in questo caso essa risale all’età augu-
          stea e veniva celebrata nella sede delle grandi prefetture. Tra le cause più note, è quella
          riguardante il processo dei fullones, discussa davanti al tribunale del praefectus vigilum
          tra il 226 ed il 244 d.C. Si trattava di una causa promossa dal fisco e dall’erario contro
          un collegium di fullones e tesa ad ottenere il pagamento del canone per il godimento
          di un acquedotto e del luogo circostante. Furono pronunciate ben tre sentenze, essendo
          l’autore ricorso al nuovo praefectus per ben due volte.

          26. Lex XII Tab. 1, 7-9.
          27. I centumviri litibus iudicandis erano i giudici che, nella fase apud iudicem erano competenti per le cause
              ereditarie, sullo status delle persone e su alcune cause di proprietà. La loro corte sorse durante la vigenza
              delle legis actiones, ma rimase attiva anche durante il principato. In generale si ritiene che i centumviri si
              distinguessero in qualche modo dai giudici privati, pur non essendo enumerati tra le magistrature. Erano
              invece magistrati i decemviri litibus iudicandis che, in età imperiale dirigevano le quattro sezioni, hastae,
              del tribunale centumvirale. Gli stessi decemviri in passato avevano presieduto corti loro proprie in materia
              di status libertatis. Quintiliano, inst. 12, 5, 5 ss., informa che le quattro hastae potevano riunirsi in seduta
              comune. Sappiamo poi che l’attività all’interno dell’edificio era continua e frenetica, al punto che, quando
              le sezioni erano divise, da una poteva udirsi l’avvocato che stava patrocinando nell’altra, come nel caso di
              Galerius Trochalus nel 68 d.C.
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