I pericoli legati agli alimenti - Gruppo Maurizi
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Indice dei contenuti 1. 10 falsi miti sugli alimenti 2. I pericoli chimici alimentari 3. Malattie trasmissibili con gli alimenti 4. Pericolo fisico negli alimenti: misure preventive 5. Materiali a contatto con alimenti (MOCA), approvate le nuove sanzioni 6. Come vengono gestiti i pericoli alimentari nel Delivery Food? 7. I pericoli del pesce crudo 8. Energy Drink: i pericoli per bambini e adolescenti 9. Vuoi essere sempre informato sulla Sicurezza Alimentare?
10 falsi miti sugli alimenti Tutto quello che credi di sapere sul cibo Gli alimenti, soprattutto nel nostro Paese, sono spesso al centro di diversi dibattiti riguardanti la loro origine, le loro qualità; soprattutto tutto quello che ruota intorno all’agroalimentare è una fonte inesauribile di falsi miti e bufale che altro non fanno che alimentare polemiche, la maggior parte delle volte inutili, in qualche caso anche dannose. Riteniamo che alla base di una corretta gestione in campo alimentare, ci debba essere innanzi tutto un cittadino correttamente informato e in grado di compiere scelte consapevoli. Abbiamo quindi preparato un elenco (non esaustivo) delle migliori, a nostro avviso, bufale sugli alimenti che periodicamente suscitano lo sdegno dei consumatori. 1.È vero che i numeri colorati sul fondo delle confezioni di latte indicano il numero di volte che è stato riutilizzato? No, in realtà non hanno nulla a che fare con l’alimento contenuto nella confezione Questa bufala (e trattandosi di latte il termine ci sembra particolarmente appropriato) compare in rete ad intervalli regolari e puntualmente ha un seguito di costernazione e sdegno da parte dei consumatori ignari, alla quale immediatamente si accodano le smentite di chi vuole informare correttamente.
Vediamo di fare chiarezza. Per la legge Italiana (L. 169/89) il latte può essere sottoposto ad un singolo trattamento di pastorizzazione; il latte scaduto poi non può mai essere usato per altre preparazioni alimentari e quando è ritirato dai luoghi di vendita viene in realtà avviato allo smaltimento. I numeri sul fondo delle confezioni non sono apposti dai produttori di latte, ma in realtà dai produttori degli imballaggi, che li utilizzano come sistema di rintracciabilità degli imballaggi stessi. 2.Gli alimenti senza glutine migliorano la salute di chi li mangia? Si, ma solo di chi è intollerante! Indubbiamente l’intolleranza al glutine sta diventando un fattore di forte impatto sulla popolazione, vuoi per un e ettivo aumento dei casi di intolleranza, vuoi per un miglioramento delle tecniche di diagnosi.
Insieme a questo incremento dei casi, stiamo assistendo anche ad una esplosione di diete che consigliano di eliminare il glutine dalla dieta in quanto poco digeribile, per trarre da ciò alcuni bene ci. Molto spesso si pensa che eliminando il glutine si possa addirittura dimagrire. Tuttavia non si capisce perché il glutine dovrebbe essere poco digeribile, dato che la specie umana ha legato la propria evoluzione allo sviluppo dei cereali (anche quelli contenenti glutine) e quindi nel corso dei secoli siamo stati “selezionati” per poter assimilare e digerire facilmente questi alimenti. Per quanto riguarda le presunte proprietà dimagranti c’è da dire che il glutine garantisce ad un prodotto a base di farina, tutta una serie di caratteristiche quali consistenza, sapore, compattezza, che lo rendono più appetibile per il consumatore. Eliminando il glutine dagli ingredienti di un prodotto, questo andrà necessariamente sostituito con qualcos’altro che garantisca piacevolezza al palato. Di solito la scelta ricade su ingredienti che alzano il tenore di zuccheri e/o grassi nell’alimento, quindi di solito un alimento senza glutine è più calorico di un alimento paragonabile, contenente glutine.
3.Il kamut ® è davvero il grano dei faraoni? No, le mummie non c’entrano. Innanzi tutto occorre fare una precisazione. Il Kamut® non è un cereale particolare e raro, ma è semplicemente una varietà di grano (quindi contiene glutine, al pari di tuti gli altri grani presenti sul mercato!). Inoltre, come è possibile notare sulle etichette degli alimenti che lo contengono (e anche in questo stesso articolo), il kamut è sempre accompagnato dal simbolo del marchio registrato. Questo ci da un indizio ulteriore: il kamut ® è un marchio vero e proprio di proprietà della Kamut International che lo ha letteralmente inventato nel 1989 e che per pubblicizzarlo e renderlo più accattivante agli occhi dei consumatori, lo ha spacciato come originario dell’Egitto ai tempi dei faraoni. Purtroppo questa non è altro che una semplice operazione di marketing; la realtà dei fatti vuole che una famiglia del Montana abbia ritrovato dei vecchi semi in una polverosa so tta e che li abbia piantati ottenendo un grano diverso dalle specie attualmente in commercio. Tuttavia, la sua origine è molto probabilmente datata all’inizio del secolo scorso, in Anatolia, anche perché pensare che alcuni semi possano germogliare dopo 4000 anni è piuttosto azzardato; il merito di chi lo ha riscoperto è stato semplicemente di mettere sotto i ri ettori un grano non particolarmente famoso e di pubblicizzarlo bene.
4.Naturale = più buono. L’equazione non sempre è dimostrabile Si pensa che tutto quello che viene dalla natura sia automaticamente più buono, più salutare, più saporito, in poche parole migliore. Occorre però so ermarsi su che cosa voglia dire il termine naturale. La “natura” è fatta di atomi che a loro volta formano molecole e questo è vero per tutto quello che ci circonda. Un bicchiere di acqua preso da una fonte spontanea e lo stesso bicchiere riempito a seguito della produzione di acqua “per sintesi” (o in laboratorio se preferite) conterranno sempre la stessa sostanza e cioè H2O. Ovviamente l’acqua prelevata alla fonte sarà più buona per e etto dei numerosi ali minerali in essa disciolti, ma potrebbe benissimo contenere altre sostanza dannose (pensiamo ai metalli pesanti come l’arsenico che rendono molte falde acquifere inutilizzabili). Nel campo alimentare, un alimento cosiddetto “naturale” (possiamo fare l’esempio di un frutto selvatico colto direttamente dall’albero), sarà con molta probabilità meno appetibile, meno nutriente e meno sicuro dello stesso alimento coltivato in condizioni di controllo. Questo per e etto del costante miglioramento che l’uomo ha da sempre ricercato negli alimenti da lui prodotti. Tutto quello che arriva sulle nostre tavole oggi ha in qualche modo subito
quella che scienti camente viene detta “selezione arti ciale” (che a bene vedere è il temine opposto a naturale), cioè una selezione apportata dall’uomo, sia con metodi semplici come gli innesti, sia con metodi più complessi (che chiameremo “di laboratorio”) per migliorare la qualità degli alimenti. 5.Il tonno di Fukushima: la zona FAO indicata in etichetta segnala il pericolo! Peccato che non sia vero. In occasione di un grave incidente, come quello alla centrale nucleare di Fukushima (ma il caso potrebbe essere applicato ad altre catastro ) vi è sempre qualcuno che ,facendo leva sulle paure insite in tutti noi, alimenta la teoria del complotto. In particolare sul web girava la voce che il tonno in scatola, etichettato con le zone FAO 61 e 71, provenisse dal Mare del Giappone dove era avvenuto lo sversamento di residui radioattivi. Innanzi tutto la zona di pesca FAO che comprende il Mar del Giappone è solamente la 61 (e già questo basterebbe a metterci in allarme per via dell’informazione approssimativa); inoltre essendo l’indicazione della zona FAO facoltativa sul tonno in scatola, viene da chiedersi con quale scopo le ditte produttrici abbiano voluto darsi la zappa sui piedi, mettendo in evidenza un dato tanto incriminante.
Possiamo in ne citare i numerosi studi e ettuati sull’inquinamento delle acque, dai quali è risultato che solamente la zona immediatamente limitrofa alla costa di Fukushima abbia risentito dell’e etto dell’incidente e che invece le zone di oceano al largo presentino livelli di radioattività comparabili con quelli naturalmente presenti nelle acque. 6.La spesa a km zero è davvero migliore? Non è così semplice come sembra Il concetto di Km zero ha preso piede da alcuni anni a questa parte e si tende a considerare meno impattante sull’ambiente, un alimento che abbia percorso meno chilometri possibile, in quanto minori viaggi equivalgono a minori consumi di combustibili fossili, minori emissioni di gas serra e di conseguenza un minore impatto sull’ambiente. La logica sembrerebbe quella di preferire il prodotto locale, venduto direttamente “dal produttore al consumatore” Bisogna tuttavia considerare altri fattori, oltre alla sola distanza percorsa dagli alimenti. In primo luogo è un fattore importante anche la distanza percorsa dai compratori (spostarsi in un singolo punto vendita centralizzato è sicuramente meno impattante che spostarsi presso tante piccole aziende sparse sul territorio). Inoltre va considerato che l’e cienza energetica di una grande azienda è spesso incredibilmente migliore di quella di un produttore locale.
Naturalmente è palese che in alcuni casi il Km zero sia preferibile (nel caso di alimenti praticamente identici, prodotti con lo stesso dispendio energetico, la logica vorrebbe che questo venisse acquistato localmente). In ne non possiamo non parlare della qualità del prodotto! È quindi evidente come il discorso dell’impatto del cibo sull’ambiente sia comunque più complicato di un semplice conteggio dei chilometri percorsi dall’alimento e che questo non possa essere l’unico parametro da utilizzare per valutare gli eventuali danni all’ambiente. 7.“Senza glutammato”. Davvero la sua assenza è un valore aggiunto? No, basta chiedere in Cina Il glutammato viene spesso accusato di causare disturbi di vario genere, dal mal di testa al mal di stomaco, passando per la secchezza delle fauci; se aggiungiamo che è considerato da molti solamente come l’ennesima “schifezza chimica” utilizzata in campo alimentare, allora è facilmente comprensibile come ne sia avvenuta la demonizzazione. La verità è che la messa al bando di questo sale dell’acido glutammico è derivata da una serie di malintesi storici e studi scienti ci non propriamente esemplari che ne hanno decretato il destino. Se avete colto il termine “sale” nella frase precedente allora siete a buon punto per capire meglio di cosa stiamo parlando.
Infatti il glutammato viene utilizzato, esattamente al pari del nostro sale, per insaporire i piatti in particolar modo nella cucina orientale. Il problema è che culturalmente il suo utilizzo non si è sviluppato in occidente e quindi noi non siamo abituati al suo sapore caratteristico che, occorre ricordarlo, è stato classi cato con una nomenclatura a parte rispetto ai classici “dolce, salato, amaro, aspro” e cioè de nendolo “sapido”. Potrà essere di conforto sapere che il glutammato è normalmente prodotto e metabolizzato dal nostro organismo e che è presente naturalmente in molti alimenti, non ultimi i pregiatissimi e italianissimi Parmigiano Reggiano e Grana Padano. 8.Il latte è veramente poco digeribile ed è innaturale berlo? Apparentemente no… Il latte e i suoi derivati rientrano nel novero di quelli che sono considerati allergeni alimentari a tutti gli e etti. Questo perché una parte della popolazione(circa il 65%, ma la percentuale scende vertiginosamente nelle popolazioni del Nord Europa e sale in quelle del Sud) non è in grado di assimilare il lattosio (per carenza o assenza dell’enzima tilattasi) e quindi l’assunzione di latte provoca fastidi a livello intestinale più o meno gravi.
Come tutti i fenomeni in campo alimentare tuttavia, anche questo è stato ingigantito più del dovuto, no a far passare il messaggio che bere latte è innaturale e che l’essere umano non dovrebbe berne in età adulta. In realtà chi è in grado di digerire il lattosio può tranquillamente continuare a bere latte senza problemi. Questo perché l’abitudine a consumare latte, sviluppatasi a partire da 10.000 anni fa con “l’invenzione” della pastorizia, he selezionato geneticamente una parte di popolazione adulta che era in grado di assimilare il lattosio. È un dei casi in cui l’evoluzione culturale ha in uenzato il patrimonio genetico umano. Quindi se è vero che il latte è indigeribile per la maggior parte della popolazione, è altrettanto vero che molti altri possono consumarlo senza problemi, non compiendo un atto innaturale. A chi sostiene poi che l’essere umano è l’unico animale a consumare latte abitualmente anche dopo lo svezzamento, si potrebbe tranquillamente rispondere che è anche l’unico che fa molte altre cose (cuocere i cibi, vestirsi, ecc.) ma questi comportamenti non sono certo accusati di essere innaturali! 9.L’additivo E 330 è cancerogeno? Ma se è succo di limone! Questa bufala riguardante la pericolosità degli additivi alimentari circola ormai da circa 40 anni, prima in formato cartaceo e poi, con la sviluppo dei nuovi
media, sul web. La cosa curiosa è che, a fronte di una miriade di additivi, molti dei quali forse non utilissimi e/o necessari, sia stato scelto come esempio di cancerogenicità, proprio l’E330 che probabilmente è il più innocuo. Questi altro non è che acido citrico, contenuto in natura nei limoni ad esempio. È sempre utile poi ricordare che, l’utilizzo degli additivi negli alimenti e le relative quantità utilizzabili, sono regolati a livello europeo dal Reg. CE 1331/08 e che gli additivi sono comunque sempre oggetto di studio da parte dell’EFSA (European Food Safety Authority) per veri carne i possibili e etti dannosi per l’uomo. Naturalmente nessun documento in tal senso è stato mai prodotto in merito all’E330. 10.Il monossido di diidrogeno è tossico? No, in realtà è una sostanza piuttosto comune che entra ogni giorno nella vita di tutti noi... Questa sostanza, esattamente come il monossido di carbonio, uccide, per eccessiva inalazione, migliaia di persone; è usato come solvente dalla maggior parte delle industrie (non solo quelle alimentari), contribuisce all’e etto serra,
è un costituente delle piogge acide e tuttavia nessun governo ha mai pensato di porre rimedio agli enormi danni che questo composto può provocare. Preoccupati o indignati? Non dovreste! La soluzione è non fermarsi all’apparenza di un altisonante nomenclatura chimica, ma andare oltre e ragionare sui fatti. Se si guarda più attentamente è possibile capire che monossido (O) di diidrogeno (H2), altri non è che una formula chimica molto semplice che anche i bambini conoscono: H2O… semplice acqua. Tutti i fatti esposti poco sopra sono assolutamente veri e veri cabili, ma assumono tutto un altro aspetto, una volta svelato il mistero. Questo piccolo gioco viene utilizzato in realtà a più riprese da veri divulgatori scienti ci per dimostrare che molto spesso, dietro notizie sensazionalistiche, si nascondono realtà innocue. Abbiamo voluto concludere questo decalogo con questo argomento proprio per ricordare che tutte le notizie, soprattutto quelle che fanno più sensazione, dovrebbero essere prese con le pinze.
I pericoli chimici alimentari Pericoli chimici negli alimenti: principali categorie e gestione di un pericolo temuto e diffuso Anche quest’anno le principali categorie di alimenti non conformi noti cati in Europa sono quelle in cui le non conformità riguardano prevalentemente i contaminanti chimici. I dati (relativi al 2015) della relazione annuale del Ministero della Salute sul Sistema di allerta rapido europeo (Ras ) indicano un totale 2967 noti che di cui 496 per micotossine, 398 per residui di tofarmaci. Anche i metalli pesanti risultano particolarmente di usi: 109 noti che per i soli prodotti ittici. I principali prodotti non conformi oggetto di noti ca ovvero frutta secca, prodotti della pesca, frutta e vegetali, erbe e spezie, sono proprio quelli in cui
il pericolo chimico risulta prevalente. Da tale tipologia di pericolo, è bene ricordarlo, non sono comunque esenti in maniera più o meno rilevante anche le altre categorie di prodotti alimentari quali cereali e derivati, carni, oli e grassi, bevande, latte e derivati, ecc. Prima di approfondire gli aspetti legati alla gestione del pericolo chimico che gli operatori del settore alimentare sono tenuti ad a rontare è indispensabile ricordare le principali categorie di pericoli chimici trasmissibili con agli alimenti. Cos’è il pericolo chimico associato ai prodotti alimentari? Vedi anche le nostre slide riassuntive sui pericoli chimici alimentari. In linea generale, il pericolo chimico associato ai prodotti alimentari è dovuto: 1. alla presenza di contaminanti ovvero di sostanze non aggiunte intenzionalmente ai prodotti alimentari ma in essi presenti o per contaminazione ambientale o derivanti dalla diverse fasi produttive, dalla coltivazione/allevamento alla trasformazione, confezionamento e distribuzione dei prodotti. 2. alla presenza di sostanze aggiunte intenzionalmenteai prodotti alimentari. Appartengono ad esempio alla prima tipologia di pericoli chimici: Residui di pesticidi utilizzati nei prodotti tosanitari al ne di proteggere le colture prima e dopo il raccolto. La materia è regolamentata a livello europeo dal Reg. CE 396/2005 e s.m. e i. costantemente aggiornato rispetto ai prodotti autorizzati e ai limiti massimi di residuo (LMR) rinvenibili nei
prodotti alimentari e nei mangimi. Residui di farmaci veterinari negli animali destinati alla produzione di alimenti e negli alimenti di origine animale. Tra essi ricordiamo ormoni e beta-agonisti (spesso non utilizzabili negli animali da reddito se non per scopi terapeutici e sotto controllo veterinario), antibatterici, farmaci veterinari antiparassitari, antin ammatori, ecc. Come nel caso dei residui di pesticidi anche per i residui di farmaci veterinari sono stabiliti limiti massimi al superamento dei quali i prodotti sono considerati a rischio e pertanto non commercializzali. La materia è regolamentata a livello europeo dal Reg. UE 37/2010 e s.m. e i. Micotossine, sostanze tossiche prodotte da alcune specie di funghi appartenenti prevalentemente ai generi Aspergillus, Penicillium e Fusarium. Le micotossine presenti nei prodotti alimentari derivano da colture (principalmente cereali) contaminate da tali funghi che in condizioni speci che di temperatura e umidità proliferano producendo i pericolosi metaboliti. Tra essi ricordiamo le a atossine ed in particolare la B1 per la sua di usione tra i prodotti alimentari e la sua elevata tossicità (genotossica e cancerogena). I limiti di micotossine nei prodotti alimentari e nei mangimi sono disciplinati dal Reg. CE 1881/06 e s.m. e i. (per approfondimenti si rimanda all’articolo “Il rischio da mu e e micotossine negli alimenti”) Contaminanti ambientali, di usi sia in natura che in conseguenza di attività antropica. Tra essi ritroviamo l’arsenico in forma inorganica che contamina gli alimenti e l’acqua potabile attraverso il terreno e/o di acqua di falda contaminati, i policlorobifenili diossina simili (PCB), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), le diossine ed i furani, ecc, composti che entrano nella catena alimentare spesso accumulandosi nei tessuti adiposi, muscoli e interiora (in particolare fegato e reni) degli animali da reddito. Sostanze chimiche derivanti dal processo produttivo, in particolare dalla tipologia e condizioni di trattamento termico. Si tratta in alcuni casi di composti particolarmente pericolosi poiché cancerogeni come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), la cui presenza negli alimenti può essere dovuta anche a contaminazione ambientale, composti mutageni
come le ammine eterocicliche, o probabili cancerogeni come l’acrilammide. Sostanze chimiche derivanti da condizioni di lavorazione e/o di stoccaggio non idonee quali ad esempio le ammine biogene. Tra di esse ricordiamo l’istamina nei prodotti ittici, responsabile di una di usa intossicazione alimentare. La formazione di istamina dipende fortemente dalle condizioni di temperatura. I tenori di istamina sono regolamentati dal Reg. CE 2073/05 e s.m. e i.). Sostanze chimiche derivanti dai materiali a contatto (materiali da confezionamento, attrezzature e impianti). La migrazione/cessione nei prodotti alimentari riguarda non solo metalli pesanti (principalmente cromo, nichel, cadmio e piombo), ma anche sostanze come ammine aromatiche, formaldeide, ftalati, bisfenolo A, ecc. La materia è regolamentata a livello europeo sia da norme orizzontali che disciplinano in modo trasversale i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti (Reg. 1935/04 e s.m. e i.), sia da disposizioni che regolano in modo speci co alcuni materiali, quali ad esempio le materie plastiche (Reg. UE 10/11), le ceramiche (Dir. 84/500/CEE recepita con DM 4.4.85 e s.m. e i.). Residui di prodotti disinfettanti utilizzati per la disinfezione degli alimenti e di prodotti sani canti utilizzati per le operazioni di pulizia e disinfezione degli ambienti e delle attrezzature da lavoro. Nel primo caso i residui possono derivare o da sovradosaggio o da operazioni di risciacquo non eseguite correttamente. Nel secondo caso la contaminazione può essere diretta (sversamento nel o sul prodotto) o indiretta attraverso le attrezzature/impianti/super ci per inadeguate modalità operative di sani cazione (errate diluizioni, inadeguato risciacquo, ecc). Appartengono alla seconda tipologia di pericoli chimici le sostanze aggiunte intenzionalmente quali: Additivi alimentari ovvero sostanze aggiunte per uno scopo tecnologico nella fabbricazione, nella trasformazione, nella preparazione, nel trattamento, nell'imballaggio, nel trasporto o nel magazzinaggio dei prodotti alimentari, in quantità superiori ai limiti di legge o in alimenti in cui non ne è consentito l’impiego. La materia è disciplinata a livello europeo
dal Reg. 1333/08 e s.m. e i. Tutte le sostanze chimiche vietate aggiunte dolosamente per so sticazioni e frodi. In che modo l’operatore del settore alimentare (OSA) può e deve gestire il pericolo chimico? Al ne di produrre prodotti alimentari sicuri, il pericolo chimico deve essere attentamente considerato nell’analisi dei pericoli e valutazione dei rischi associati. L’analisi dei pericoli chimici mira infatti ad identi cazione tutti i pericoli chimici che possono interessare il prodotto al ne di prevenirli, eliminarli o ridurli a livelli accettabili. In tale fase quindi, l’OSA deve identi care tutte le fonti di pericolo chimico a partire dalle materie prime utilizzate per poi estendere l’analisi al processo produttivo, alle condizioni di lavorazione e di stoccaggio dei prodotti intermedi e niti, valutando altresì le interazioni di essi con i materiali di confezionamento per tutta la durata del prodotto. La tabella n.1 che segue riporta i limiti di concentrazione di alcuni contaminanti chimici per alcune tipologie di prodotto e costituisce un esempio di schematizzazione prodotto alimentare - contaminante - limite normativo cogente che può essere utilizzata nella fase di identi cazione dei pericoli chimici.
Una volta identi cati i pericoli chimici associabili ai propri prodotti alimentari, l’OSA deve mettere in atto speci che misure di prevenzione e di controllo dei pericoli identi cati. Si riportano di seguito alcuni esempi di misure di prevenzione e di controllo applicabili a tutti i pericoli chimici. Esempi di misure di prevenzione: scelta e quali cazione dei fornitori di materie prime con acquisizione della documentazione (certi cati di analisi) attestante la conformità delle stesse;
scelta e quali cazione dei fornitori di materiale destinato al contatto con i prodotti alimentari (imballi primari) con acquisizione della documentazione attestante l’idoneità e la conformità degli stessi e delle relative analisi (prove di cessione per la determinazione della migrazione globale e speci ca); manutenzione degli impianti e attrezzature relativamente ai materiali di rivestimento che potrebbero cedere elementi e composti chimici indesiderati; formazione del personale, con particolare attenzione agli aspetti relativi all’utilizzo di prodotti sani canti e degli eventuali additivi utilizzati nel processo produttivo; Esempi di misure di controllo: rispetto delle procedure operative di lavorazione (es. dosi di impiego additivi, gestione e utilizzo dei prodotti sani canti, ecc) e di stoccaggio, laddove modalità di stoccaggio inadeguate possano comportare l’insorgenza di un pericolo chimico (es. temperatura di refrigerazione dei prodotti ittici associati ad un elevato contenuto di istidina); rispetto delle speci che produttive (es. temperatura del trattamento termico) preventivamente validate anche in considerazione del pericolo chimico; analitico, in ottemperanza alla normativa cogente e secondo quanto emerso dalla propria analisi dei pericoli e valutazione dei rischi associati. In conclusione, diversi sono gli elementi che dimostrano quanto oggi la sicurezza alimentare sia strettamente legata anche al pericolo chimico. Il numero di alimenti non conformi oggetto di noti ca a livello europeo, l’aggiornamento particolarmente attivo della normativa del settore, così come
lo sviluppo di metodiche analitiche sempre più sensibili, rappresentano un campanello d’allarme per le imprese del settore alimentare tenute ad a rontare, oggi più che in passato, un pericolo sotto la lente d’ingrandimento del legislatore, dell’autorità competente e del consumatore!
Malattie trasmissibili con gli alimenti Quello delle malattie trasmesse con gli alimenti (MTA) rappresenta un problema rilevante con il quale la sanità pubblica deve confrontarsi costantemente. I pericoli microbiologici sono infatti la principale causa di malattia correlata al consumo di alimenti in Europa. Si stima che nell’Unione europea si veri chino ogni anno più di 320000 casi nell’uomo, ma il numero e ettivo è probabilmente molto più elevato.
Stabilire se una malattia è di origine alimentare è complesso, esistono infatti una serie di problematiche che portano a sottostimare la frequenza di insorgenza di tali patologie. Tra le cause c’è sicuramente il fatto che spesso le infezioni sono subcliniche e questo complica la rilevazione dei casi. Inoltre in uisce anche il fatto che si tende a dare scarsa importanza a queste patologie per cui l’ammalato evita di consultare il medico, aspettando la guarigione. Cosa si intende per Malattie Trasmissibili con gli Alimenti (MTA)? Si tratta di patologie causate dal consumo di alimenti o acqua contaminati da agenti di varia natura, come batteri, virus, tossine, parassiti ecc. La via di introduzione nell'organismo è quella gastrointestinale ed è a questo livello che si manifestano generalmente i sintomi. La contaminazione degli alimenti può avvenire in tutte le fasi della liera produttiva, dalla produzione primaria no alla tavola. Nell’uomo il quadro clinico può variare signi cativamente e presentare livelli diversi di gravità, da una lieve sintomatologia no a patologie potenzialmente letali. Le MTA possono essere distinte in: 1. intossicazioni alimentari, 2. infezioni alimentari e 3. tossinfezioni alimentari, a seconda delle modalità con cui i microrganismi riescono a causare la patologia.
1. Le infezioni alimentari derivano dall’ingestione di alimenti contaminati da patogeni vivi che sono in grado di superare la barriera gastrica del consumatore e di arrivare all’intestino. I microrganismi possono provocare in ammazioni localizzate oppure infezioni sistemiche generalizzate, caratterizzate da di usione per via ematica, febbre e formazione di anticorpi. Sono esempi di infezione alimentare le malattie provocate dall’ingestione di alimenti contaminati da: - Listeria monocytogenes - Escherichia coli verocitotossici (STEC) - Salmonella spp. - Campylobacter spp. - Shigella spp. 2. L’intossicazione alimentare è una malattia prodotta dall’ingestione di un alimento contenente una tossina preformata, prodotta da microrganismi che si sono moltiplicati nell’alimento precedentemente al consumo. A nché i microrganismi elaborino la tossina, è necessario che nell’alimento si raggiungano elevate cariche batteriche. Per tale motivo, al ne di ridurre la possibilità di insorgenza di un’intossicazione alimentare, è essenziale che si riducano al minimo le possibilità di replicazione batterica, ponendo, ad esempio, particolare attenzione alle temperature di conservazione degli alimenti. Sono esempi di intossicazione alimentare le malattie provocate dall’ingestione di alimenti contaminati dalle tossine di: - Clostridium botulinum - Bacillus cereus - Staphylococcus aureus.
3. La tossinfezione alimentare è una malattia determinata dal consumo di alimenti contenenti sia tossine che batteri. La malattia si manifesta in seguito alle tossine prodotte all’interno del tratto gastroenterico da microrganismi patogeni ingeriti con gli alimenti. In genere le tossine prodotte manifestano la loro azione a livello gastroenterico determinando la comparsa di fenomeni diarroici; in alcuni casi, invece, le tossine possono andare a colpire altri distretti, così come avviene nel botulismo. - Yersinia enterocolitica - Clostridium botulinum - Bacillus cereus - Clostridium perfringens. Appare chiaro quindi che le malattie trasmissibili con gli alimenti rappresentano un gruppo eterogeno di patologie causate da diversi agenti patogeni, che includono batteri, virus, protozoi, lieviti e mu e, e possono manifestarsi con di erenti sintomi. Con il passare degli anni si è assistito ad un profondo cambiamento dello scenario epidemiologico delle malattie trasmesse da alimenti. Accanto ai patogeni “tradizionali” (Salmonella, Vibrio Cholerae), sono stati identi cati nuovi patogeni (i cosiddetti patogeni emergenti) come Campilobacter jejuni, Escherichia coli O157:H7, Listeria monocytogenes, Yersinia enterocolitica, ecc. Vengono de nite patologie emergenti le infezioni che compaiono per la prima volta in una popolazione perché causate da un microrganismo nuovo, o quelle patologie già esistenti che, per svariati fattori, subiscono un improvviso incremento dell’incidenza o della di usione geogra ca in aree dove prima non erano presenti. Riemergenti sono, invece, quelle infezioni che ricompaiono con una
frequenza rilevante, dopo un periodo variabile di scomparsa, in una certa area territoriale. A cosa è dovuta la comparsa di nuove patologie alimentari? Il cambiamento può essere imputato a numerosi fattori tra cui: il cambiamento delle abitudini alimentari e dello stile di vita con aumento dei pasti consumati fuori casa l’incremento di consumo dei cibi a lunga conservazione la globalizzazione dei mercati con distribuzione dei prodotti su aree sempre più vaste partendo da grandi impianti di produzione centralizzati l’aumento del consumo internazionale di cibi esotici e quindi introduzione di patogeni “nuovi” in una certa area geogra ca l’incremento degli scambi commerciali e demogra ci (turismo, ussi migratori) che portano anche alla di usione dei patogeni la produzione intensiva e quindi l’ammasso di animali da macello, con un’alta percentuale di portatori sani infetti, che genera elevata pressione infettante sui luoghi di lavorazione il notevole aumento delle aspettative di vita e quindi della popolazione a rischio di MTA. Le condizioni ideali per la crescita dei microrganismi, e la capacità di resistere ai metodi di inattivazione, di eriscono da microrganismo a microrganismo. Proprio per questo è importante conoscere i patogeni di interesse per uno speci co alimento e le condizioni che ne favoriscono la crescita, in modo da poter attuare le misure di controllo più idonee per controllarli.
Ad esempio è fondamentale sapere che alcuni patogeni sono “sporigeni”, ossia sono in grado in condizioni ambientali sfavorevoli di formare spore, forme di resistenza non in grado di riprodursi, ma molto resistenti al calore, alla luce e ai disinfettanti. Le spore possono germinare e tornare a moltiplicarsi quando le condizioni ambientali diventano favorevoli ed è a questo punto che diventano pericolose. Tra i microrganismi sporigeni vanno menzionati Bacillus Cereus, Clostridium Botulinum, Clostridium Perfringens. Proprio per le caratteristiche delle spore, i trattamenti necessari alla loro inattivazione sono spesso molto più severi rispetto a quelli necessari a distruggere le cellule vegetative (ad esempio Campylobacter spp, E.Coli, Listeria monocytogenes, Salmonella spp Sta lococco aureo). I patogeni principali Di seguito riportiamo le caratteristiche di alcuni patogeni che sono tra le più comuni cause di patologie correlate al consumo di alimenti.
La Salmonella è uno dei più comuni patogeni alimentari. I sintomi compaiono generalmente dopo 12-72 ore dal consumo di cibo contaminato e comprendono diarrea, febbre, crampi addominali, vomito La principale fonte di contaminazione sono i prodotti crudi di origine animale (quale carne, pollame, uova, prodotti derivati dal latte). La Salmonella è in grado di crescere sia in presenza che in assenza di ossigeno, e trova le condizioni ideali per la crescita alla temperatura del corpo umano, mentre cresce molto poco alla temperatura di refrigerazione e non prolifera sopra i 46°C. Viene facilmente distrutta dalle usuali temperature di cottura. Il Clostridium botulinum è un microrganismo sporigeno che produce di erenti tipi di tossine. I tipi A, B, E, F sono causa di una grave patologia potenzialmente letale chiamata botulismo. I sintomi della patologia insorgono dopo 18-36 ore dall’ingestione di alimenti contaminati e comprendono vista appannata o sdoppiamento della vista, secchezza della bocca, di coltà di deglutizione, paralisi dei muscoli respiratori, vomito e diarrea. Le spore del C. Botulinum sono resistenti al calore e in assenza di ossigeno possono germinare e produrre la tossina. Per distruggere la tossina è necessario raggiungere la temperatura di ebollizione per almeno 5 minuti. Tra i fattori che inibiscono la produzione di tossina ci sono un pH inferiore a 4.6 e l’utilizzo di nitriti di sodio (ad esempio negli alimenti stagionati). Il C. perfringens è microrganismo anaerobio e sporigeno. I sintomi compaiono 6-24 ore dopo l’ingestione di alimenti contaminati e comprendono diarrea e dolori addominali. Lo sviluppo della malattia richiede la crescita del patogeno nell’alimento. Tale
patogeno ha uno dei più rapidi tassi di crescita tra i patogeni alimentari: può raddoppiare in meno di 10 minuti alla temperatura ideale. Il C. perfringens è presente nel suolo e nel tratto intestinale di persone e animali. Le spore sopravvivono alle normali condizioni di cottura, inclusa l’ebollizione. Le principali cause di intossicazione da C. perfringens sono l’inadeguata conservazione a caldo o l’inadeguato ra reddamento di alimenti cotti, in particolar modo carne, stufati, pasticci di carne, condimenti, pratiche che consentono la moltiplicazione dei batteri in quanto le spore possono sopravvivere al processo di cottura. E.coli è un batterio che è normalmente presente nell’intestino di esseri umani e altri animali e la maggior parte dei ceppi di E.coli non sono associati a malattie. Alcuni ceppi però, come E.coli O157:H7, risultano pericolosi per l’uomo. E.Coli 0157:H7 produce una tossina chiamata tossina Shiga nell’intestino umano in grado di causare una grave patologia. I sintomi compaiono 2-3 giorni dopo l’ingestione e comprendono diarrea emorragica, occasionalmente febbre, insu cienza renale e morte, soprattutto nei soggetti immunocompromessi. La condizioni ottimali per la crescita sono una temperatura vicina alla temperatura del corpo umano, e un pH di 4.4. Alimenti particolarmente a rischio sono gli hamburger crudi o non ben cotti. Listeria monocytogenes è un microrganismo in grado di causare la meningite, una grave infezione con sintomi che includono febbre improvvisa, mal di testa intenso, nausea, vomito, delirio e coma in soggetti con sistema immunitario depresso. Questo microrganismo rappresenta un problema principalmente per le donne in gravidanza, in quanto causa di aborto spontaneo, e per gli anziani, mentre nelle persone in buono stato di salute i sintomi sono lievi o simili all’in uenza.
Particolarmente a rischio sono i prodotti a base di carne ready to eat, prodotti lattiero caseari non pastorizzati e altri prodotti a bassa acidità pronti al consumo sono stati associati al manifestarsi di listeriosi. Questo batterio non sporigeno è distrutto dalle temperature di pastorizzazione, cresce sia in presenza che in assenza di ossigeno, e può crescere a temperature di refrigerazione. L. monocytogenes è molto resistente se confrontata con tanti altri batteri, resiste a congelamento e scongelamento, e sopravvive per periodi prolungati in ambienti secchi. Bacillus cereus è un batterio comunemente presente nel suolo e nella polvere. Può contaminare frequentemente alimenti a base di riso, pasta, carne e vegetali, prodotti lattiero-caseari e, in generale, prodotti precucinati che dopo la cottura vengono ra reddati rapidamente ed e cacemente. Il batterio è in grado di produrre una tossina termostabile che ha un e etto emetico, e viene sintetizzata e liberata nell’alimento; la patologia è caratterizzata da nausea, vomito e crampi addominali e ha un periodo di incubazione di 1-6 ore. Staphilococcus aureus si tratta di un microrganismo che è in grado di produrre diverse tossine molte delle quali associate a speci che malattie. Le più importanti sono le Enterotossine Sta lococciche, che causano una forma di intossicazione alimentare. Queste tossine sono termostabili e possono resistere ai trattamenti di cottura ai quali sono sottoposti gli alimenti. Gli Sta lococchi si riscontrano frequentemente come componente della ora batterica di uomo e animali e possono trovarsi come commensali sulla cute. Quali sono le strategie per controllare i pericoli microbiologici?
Ogni azienda alimentare deve porre l’attenzione agli alimenti che rappresentano un terreno favorevole per lo sviluppo di microrganismi ed identi care i pericoli che sono così rilevanti da richiedere delle misure di controllo perché possono in uire sulla sicurezza del prodotto. Il controllo dei pericoli microbiologici può essere attuato a più livelli. Sicuramente lo strumento principale è la prevenzione della contaminazione, e ettuata attraverso il controllo delle materie prime, l’attuazione delle buone pratiche igieniche da parte degli addetti alle lavorazioni, la prevenzione delle contaminazioni crociate attraverso procedure di sani cazione e caci e l’attuazione di una procedura per la quali cazione dei fornitori per minimizzare l’introduzione di patogeni nell’azienda. Un ulteriore strumento per il controllo del pericolo microbiologico è l’eliminazione o la riduzione dei patogeni a livelli accettabili attraverso l’attuazione di trattamenti antimicrobici quali trattamenti termici, irradiazione, trattamenti ad alta pressione, acidi cazione ecc. In ne, uno strumento fondamentale per ridurre l’insorgenza di patologie alimentari consiste nell’evitare la crescita dei microrganismi attraverso il controllo della temperatura di conservazione degli alimenti. Conservare gli alimenti a temperature di refrigerazione consente il rallentamento della crescita dei microrganismi e quindi riduce la probabilità di insorgenza di patologie. In conclusione quindi i pericoli microbiologici rappresentano un rischio per la sicurezza alimentare se non opportunamente controllati. L’attuazione di procedure di autocontrollo messe in atto dalle aziende alimentari rappresentano un mezzo per controllare tale pericolo e tutelare la salute della popolazione. Per essere realmente e caci ed adeguate alla realtà aziendale è fondamentale che le procedure da attuare siano il frutto di un’attenta analisi dei pericoli che tenga conto della speci cità dei prodotti e dei processi produttivi.
Pericolo fisico negli alimenti: misure preventive Nel 2015 circa 60 delle 2967 noti che trasmesse attraverso il Sistema di allerta rapido europeo (Ras ) hanno riguardato la presenza di corpi estranei negli alimenti. Un prodotto alimentare può infatti essere oggetto di ritiro non solo per non conformità microbiologiche, chimiche, da allergeni ma anche per presenza di corpi estranei. Solo pochi mesi fa abbiamo assistito, ad esempio, al ritiro dal mercato di barrette Mars (46 lotti di prodotto solo in Italia!) per il rinvenimento da parte di un consumatore di un pezzo di plastica rossa all’interno di una barretta. E’ di invece pochi giorni fa la noti ca di allerta sanitaria riguardante la presenza di pietre in nocciole tritate prodotte in Austria e distribuite in Italia. Prima di descrivere le principali misure preventive che le imprese alimentari possono adottare per prevenire la contaminazione sica dei prodotti, previste anche dagli standard di certi cazione volontaria quali IFS, BRC, ISO 22000, riepiloghiamo brevemente i più comuni copri estranei e la loro origine. Quali sono i contaminanti fisici più comuni? Le noti che del 2015 relative alla presenza di corpi estranei hanno riguardato prevalentemente vetro e metalli; tuttavia, negli ultimi anni, non sono stati rari i
casi di frammenti di plastica, metalli, tappi, gomme, ossa, lische, sassi, noccioli, gusci, schegge di legno, carta, capelli, che hanno allarmato imprese e consumatori. Da dove hanno origine i corpi estranei nei prodotti alimentari? I contaminanti sici sono numerosi, diversi sia per tipologia che per origine. Nella tabella n.1 riportiamo, in linea generale, le principali tipologie di contaminanti sici e le rispettive fonti/origini: La contaminazione sica può quindi avere origine dall’ambiente di lavoro per carenti condizioni strutturali o per ine cace o scarsa attività di manutenzione degli impianti, ma anche dal mancato rispetto delle norme di igiene e comportamento del personale, dalle materie prime e da ine caci trattamenti di separazione di contaminanti sici “naturali” (pietre, ossa, lische, ecc). In che modo l’operatore del settore alimentare (OSA) può e deve gestire il pericolo fisico? L’insieme delle procedure preventive e di controllo deve basarsi su un’attenta analisi del pericolo sico che vede anzitutto una puntuale identi cazione dei seguenti elementi: corpi estranei che possono interessare i propri prodotti (metalli, sassi, ossa, plastiche, ecc); origine dei corpi estranei (materie prime impiegate, processo produttivo,
attrezzature, struttura, personale, ecc). Identi cati i pericoli sici e le loro fonti all’interno dello stabilimento, l’azienda deve de nire e attuare programmi di prevenzione e di controllo che prevedano: la gestione di tutte le fonti di contaminazione qualora sia inevitabile la loro presenza in aree o fasi produttive in cui il prodotto può essere contaminato; la formazione e sensibilizzazione del personale rispetto ai pericoli sici identi cati, con particolare attenzione agli aspetti operativi di prevenzione e di controllo. la valutazione del potenziale utilizzo di sistemi di identi cazione o rimozione dei contaminanti ( ltri, setacci, magneti, metal detector, raggi X, ecc). Le norme volontarie quali ad esempio BRC e IFS dedicano diversi requisiti alla prevenzione e controllo della contaminazione sica sottolineando la necessità di disporre di procedure e istruzioni documentate che de niscano l’utilizzo e la gestione delle diverse fonti di contaminanti sici quali i metalli, il vetro, le plastiche dure, il legno. Pezzi di spugna e plastica trovati nelle verdure
Vediamo pertanto alcuni esempi delle misure preventive (generali e speci che per i diversi contaminanti sici) richieste tanto dalla norme di buona pratica di lavorazione quanto dagli standard di certi cazione volontaria. Misure preventive per la contaminazione sica da oggetti riconducibili al personale Disporre di ambienti di lavoro e attrezzature in ottimo stato manutentivo, di sistemi di prevenzione e di controllo all’avanguardia può risultare del tutto insu ciente se il personale non opera nel rispetto delle norme igieniche di buona pratica di lavorazione. La formazione del personale rispetto alle regole di igiene e alla prevenzione della contaminazione sica è cruciale per ridurre al minimo la possibilità che un corpo estraneo nisca nel prodotto. La gestione degli imballi primari, la veri ca preoperativa e operativa delle attrezzature e dell’utensileria, il rispetto delle regole di igiene sono solo alcuni esempi di misure preventive la cui e cacia dipende dal livello di formazione e attenzione delle maestranze. Rispetto alle regole di igiene, l’azienda deve prevedere, ad esempio, il divieto di: indossare monili (orologi, collane, piercing, braccialetti); utilizzare unghie nte o decorazione per le unghie; utilizzare divise con tasche esterne sopra la vite e bottoni; indossare guanti o cerotti di colore simile al prodotto (il BRC 7 richiede che i cerotti siano detectabili, ovvero dotati di striscia metallica rilevabile e preferibilmente di colore blu); accedere alle aree in cui è possibile la contaminazione dei prodotti non idoneamente abbigliati (copricapo che raccoglie l’intera capigliatura, mascherine per ba e barba);
introdurre oggetti estranei nelle aree in cui è possibile la contaminazione dei prodotti (cellulari, chiavi, accendini, sigarette, ecc). Misure preventive per la contaminazione sica da vetro o altri materiali fragili La premessa comune è di evitare l’introduzione di vetro e materiali fragili nelle aree di trattamento dei prodotti aperti o in aree in cui esista il rischio di contaminazione. Qualora la presenza del vetro o di materiali fragili di plastica non possa essere evitata, l’azienda deve applicare opportune misure per proteggere tali elementi contro la rottura (ad esempio coperture in materiale infrangibile che non dà luogo a frammenti), nonché procedure per la loro manipolazione e gestione nei casi in cui siano impiegati nel processo produttivo, ad esempio come materiali di confezionamento. L’azienda deve censire tali materiali, spesso incorporati nelle attrezzature (es. pannelli di copertura, display, guarnizioni, strumenti di misura, ecc) indicandone la tipologia, il numero e l’ubicazione, procedendo a sistematici controlli sulle loro condizioni. La frequenza delle ispezioni deve basarsi sulla valutazione del rischio e in ogni caso le ispezioni devono essere condotte da personale adeguatamente formato in grado di riconoscere eventuali danneggiamenti o distacchi dei materiali. Uno strumento di supporto per tale veri ca ampiamente utilizzato è una check list in cui sono indicati, per ogni reparto, i diversi elementi oggetto del controllo. In alcuni casi può risultare utile disporre di dettagli fotogra ci che aiutino il confronto tra le condizioni di riferimento e quelle riscontrate. La prevenzione della contaminazione da vetro o altri materiali fragili si basa in ne su un’accurata gestione delle rotture di tali elementi, a partire dalla registrazione delle stesse no ai trattamenti applicati che, in linea generale, possono essere riepilogati nelle seguenti fasi: identi cazione e quarantena dei prodotti e dell’area di lavorazione
interessata; pulizia dell’ambiente con strumenti di pulizia speci ci e chiaramente identi cati; ispezione dell’area e delle attrezzature interessate volta a veri care che le operazioni di pulizia abbiano eliminato qualsiasi rischio di contaminazione; cambio degli indumenti di lavoro e ispezione delle calzature; autorizzazione alla ripresa della lavorazione. Misure preventive per la contaminazione sica da metalli Che siano utilizzati o meno strumenti di ispezione e di controllo quali i metal detector, l’uso di utensili metallici taglienti, coltelli, lame da taglio installate su attrezzature, aghi e li metallici deve essere sottoposto a controllo che ne evidenzi lo stato manutentivo nonché il loro eventuale smarrimento. La frequenza delle ispezioni delle attrezzature e dell’utensileria deve essere prede nita e scelta in base alla valutazione del rischio; ciò può comportare una frequenza di ispezione speci ca ovvero diversa per le diverse fonti di contaminazione. Un macchinario più soggetto a danneggiamenti o con viti e bulloni non saldati, ad esempio, deve essere ispezionato più frequentemente di un’attrezzatura che non presenti elementi distaccabili. Particolare attenzione deve essere inoltre rivolta alle operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria, sia durante l’esecuzione che al termine delle stesse. I materiali utilizzati per le manutenzioni devono essere: chiaramente identi cati; disponibili solo al personale speci camente autorizzato all’utilizzo; conservati separati dalle aree in cui esiste il rischio di contaminazione dei prodotti.
Requisiti speci ci sono inoltre disposti dalle norme volontarie quali il BRC 7 che vieta l’utilizzo di taglierini e di punti metallici, gra ette e puntine in tutte le aree di trattamento di prodotti aperti; nei casi di strumenti di chiusura come punti metallici, la norma dispone che siano comunque adottate “precauzioni appropriate” al ne di ridurre il rischio di contaminazione dei prodotti. Misure preventive per la contaminazione sica da legno Come per gli elementi in vetro e per le plastiche anche per il legno la misura preventiva migliore è il divieto all’utilizzo nelle aree in cui esiste il rischio di contaminazione dei prodotti. Deve essere pertanto impedito l’accesso delle pedane in legno, tuttora ampiamente utilizzate dalla logistica e dalla distribuzione, nelle aree di produzione provvedendo alla movimentazione delle materie prime e dei prodotti niti con sistemi alternativi. L’azienda deve inoltre prevedere l’utilizzo di utensileria e di attrezzature per le pulizie con manici non in legno. Solo laddove l’uso del legno non possa essere evitato poiché richiesto da processo produttivo (es. maturazione dei prodotti), il legno può essere consentito, purché mantenuto in buone condizioni di manutenzione, privo di danni o schegge sulla super cie. Conclusioni Quello della contaminazione sica è un problema particolarmente sentito dalle imprese alimentari sia per la diretta attribuzione di responsabilità (pensiamo ad un tappo di penna all’interno di un prodotto preimballato) sia per le prevedibili conseguenze che può comportare, tanto per il consumatore quanto per l’azienda. Qualunque ne sia l’origine, il pericolo sico deve essere ridotto al minimo con la de nizione ed implementazione di e caci procedure di prevenzione e di controllo basate su: un’analisi dei pericoli attenta e speci ca per la singola realtà produttiva;
l’applicazione delle norme di buona pratica di lavorazione, capisaldi della sicurezza alimentare sia in ambito cogente (HACCP) che volontario (standard di certi cazione IFS, BRC, ISO 22000, ecc). l’utilizzo e cace di sistemi di identi cazione e rimozione dei corpi estranei.
Materiali a contatto con alimenti (MOCA), approvate le nuove sanzioni Sanzioni no a 800000 euro per chi produce, distribuisce o utilizza materiali non idonei destinati al contatto con alimenti. Arresto no a 3 mesi per chi esporta sostanze chimiche soggette a divieto. Tempi duri per chi non garantisce la qualità degli imballaggi per alimenti, non tutelando la salute dei consumatori e l’ambiente. Il Consiglio dei Ministri ha infatti approvato, il 10 febbraio 2017, due decreti sanzionatori che si applicano in caso di violazione dei regolamenti comunitari in materia di materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti e di commercio di sostanze chimiche pericolose.
Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni riguardanti i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con alimenti. L’obiettivo è quello di limitare i rischi di contaminazione degli alimenti dovuti alla cessione di sostanze pericolose per la salute, e di garantire il blocco o il ritiro dal commercio dell’imballaggio difettoso in caso di necessità attraverso valide procedure di rintracciabilità. Chi è soggetto alle sanzioni? Chiunque produce o immette sul mercato o utilizza materiali o oggetti che possono costituire un pericolo per la salute umana. E’ quindi fondamentale il rispetto delle buone pratiche di fabbricazione, l’attuazione di controlli di qualità e ettuati sui materiali e la produzione di documenti che li attestino. L’ambito di applicazione riguarda anche imballaggi attivi e intelligenti, oggetti in materiale plastico ed in plastica riciclata.
Per quest’ultima tipologia di materiali la normativa prevede una sanzione accessoria: sospensione dell’attività no a sei mesi, in caso di processo di riciclo non autorizzato. In caso di violazioni ritenute lievi (in relazione all’esiguità del pericolo) l’organo di controllo procede ad una di da a regolarizzare la violazione entro i termini previsti, che può concludersi con l’estinzione del procedimento senza sanzioni. Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni sull’esportazione ed importazione di sostanze chimiche pericolose. Sanzioni pecuniarie sono previste anche in caso di illecito in materia di esportazione e importazione di sostanze chimiche pericolose. La violazione delle disposizioni del Reg UE 649/12 prevede infatti multe salate per chiunque sporti sostanze chimiche previste dall’allegato I del regolamento senza prima procedere alla noti ca; in caso di sostanze soggette a divieto di esportazione le sanzioni possono raggiungere i 150000 euro o l’arresto no a tre mesi. Il regolamento applica la Convenzione di Rotterdam, che prevede la procedura di consenso preventivo informato per taluni prodotti chimici e pesticidi pericolosi nel commercio internazionale. Sono previste sanzioni in caso di violazione degli obblighi di informazione sui movimenti di tali prodotti in fase di transito. Le norme hanno la funzione di garantire la salute umana e la protezione dell’ambiente dai pericoli potenziali derivanti dal commercio incontrollato di sostanze chimiche. A garanzia dell’e cacia del sistema sanzionatorio, gli oneri derivanti dal sequestro delle sostanze non idonee sono a carico del trasgressore.
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