Giustizia riparativa - Sfs 2019
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Studenti che interrogano la realtà È giusto il carcere? GIUSTIZIA RIPARATIVA Dignità Umana Articolo 1 Giustizia riparativa Origine, caratteristiche e applicazione della giustizia riparativa con particolare attenzione alla mediazione penale in Italia. di Lucia Izzo - Quando si parla di giustizia riparativa o rigenerativa (restorative justice in inglese) si fa riferimento a un paradigma di giustizia nato dal bisogno di un procedimento diverso rispetto a quello tradizionale dove la vittima assume un ruolo marginale e ad essere messo al centro dell'attenzione è l'autore del reato. La restorative justice, infatti, punta sulla partecipazione attiva della vittima, del reo e della stessa comunità civile. In sostanza, anziché delegare allo Stato, sono gli stessi attori del reato a occuparsi di ovviare alle conseguenze del conflitto occupandosi della riparazione, della ricostruzione e della riconciliazione. L'obiettivo non è quello di punire il reo, bensì quello di rimuovere le conseguenze del reato attraverso l'incontro tra vittima e l'autore del reato con l'assistenza di un mediatore terzo e imparziale che si occupa di gestire la ricomposizione del conflitto. Cos'è la giustizia riparativa Le prime teorie, originate dalla crisi del sistema penale, si sono diffuse in Nord America grazie a movimenti sperimentali che ricercavano una soluzione alternativa alla pena carceraria. Difficile racchiudere la giustizia riparativa nel perimetro di una definizione univoca. In ambito comunitario, tuttavia, è la direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio che mira a fornirne una facendo riferimento a: "qualsiasi procedimento che permette alla vittima e Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 1 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà all'autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale." L'obiettivo finale di questa prassi alternativa è dunque quello di guidare le parti, che vi abbiano volontariamente aderito, verso la risoluzione del conflitto e alla ricerca concorde di un'azione che funga da soluzione. Dalla riparazione della relazione "infranta" dall'illecito ne giovano sia il reo, che dimostra di essere più del solo autore della condotta lesiva, sia la vittima, che potrà far emergere le proprie emozioni e mettere Dignità Umana in chiaro i propri bisogni e interessi, sia in ultima battuta la stessa comunità sociale, in quanto viene risanata quella "frattura sociale" determinata dalla fiducia incrinata dal reo e dalla rottura di aspettative e legami sociali simbolicamente condivisi. La mediazione penale Il modello maggiormente compiuto di giustizia riparativa quale modalità di risoluzione dei conflitti è rappresentato dalla c.d. mediazione penale della cui definizione si occupa la Raccomandazione del Consiglio d'Europa n. 19/99, ovvero la fonte più importante e specifica riguardante questo strumento di risoluzione. Tale procedimento "permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato con l'aiuto di un terzo indipendente (mediatore)". Per avviare la mediazione penale, dunque, si rende necessario il consenso delle parti affinché la loro interazione conflittuale si spinga al punto da ricercare un accordo soddisfacente per entrambe risolutivo del conflitto. Necessaria all'uopo l'assistenza di un mediatore, terzo e neutrale, il quale promuova e agevoli l'attività di facilitazione usualmente nel rispetto di rigidi schemi e particolari standard. L'obiettivo principale del procedimento, dunque, è quello di raggiungere un accordo tra le parti, senza che a decidere il giudizio sia una sentenza. Ricorrendo alla mediazione, senza i traumi che un procedimento penale necessariamente implica tra le pari, si possono raggiungere soluzioni in tempi indubbiamente più rapidi rispetto a quelli del processo e si possono trovare accordi validi e soddisfacenti per ambo le parti. In tal modo, inoltre, si evitano non solo i rischi connessi al processo e al suo esito, ma si affrontano costi estremamente ridotti. Gli attori principali, la vittima e il reo, si "riappropriano" del proprio ruolo e il dialogo tra loro viene assicurato da una specifica figura professionale quale quella del mediatore. Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 2 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà La figura del mediatore Per raggiungere gli obiettivi peculiari della mediazione penale, appare evidente il ruolo fondamentale assunto dal mediatore, ovvero un soggetto che ha il compito di "ricostruire una connessione" interrotta, facendo superare alla persona offesa dal reato la diffidenza nei confronti dell'autore, e promuovendo l'incontro in un ambiente di incontro e confronto dove entrambe le parti hanno pari diritti e doveri. Il mediatore è una figura terza, imparziale, equiprossima alle parti e, pertanto, dovrà essere, in primis, Dignità Umana un professionista con un'adeguata formazione specialistica in materia di gestione e risoluzione dei conflitti poiché si troverà a gestire la comunicazione tra due parti fortemente antagoniste. Il linguaggio del mediatore, infatti, è ben diverso da quello di giudici e avvocati e deve puntare al raggiungimento di una possibilità alternativa rispetto a quella offerta dalla aule giudiziarie. Jacqueline Morineau, fondatrice del CMFM (Centre de Médiation et de Formation à la Médiation) descrive il mediatore con una metafora, quale "specchio che accoglie le emozioni dei protagonisti, per rifletterle". Pertanto, per la Morineau il lavoro del mediatore è caratterizzato da accoglienza ed empatia. La mediazione penale in Italia Nonostante in Italia la mediazione penale sia ancora agli albori e le disposizioni attuative di essa davvero scarse, negli ultimi anni è emersa una maggiore attenzione per la giustizia riparativa, complici anche le continue spinte in tal senso da parte delle disposizioni comunitarie e internazionali. Nel nostro paese, infatti, vige il principio della "obbligatorietà dell'azione penale", ma in alcuni settori è stato possibile lo sviluppo di un sistema di mediazione: in particolare, è stato nell'ambito del processo minorile che l'intervento penale è stato ridisegnato allo scopo di fornire giustizia senza ricorrere al processo. Il merito è anche delle singole realtà in cui la comunità ha ritenuto di spronare la partecipazione del minore, con l'ausilio di operatori specializzati, associazioni e organismi di volontariato, all'incontro con la vittima, affinché questi fosse in grado di comprendere il significato della propria azione e venga sollecitato a riparare con attività di volontariato alle proprie azioni responsabilizzandosi. (...) fonte: https://www.studiocataldi.it/articoli/31602-la-giustizia-riparativa.asp Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 3 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Articolo 2 La giustizia riparativa. Una percorso innovativo, per restituire centralità alla vittima Dignità Umana 30 marzo 2018 Come è noto, l’esperienza giudiziaria corrente offre scarse forme di autentica soddisfazione per la persona offesa e questo anche in caso di accesso a riti alternativi, quali il patteggiamento, o in caso di sospensione condizionale della pena: in queste ipotesi, la vittima del reato ha per lo più la sensazione amara che tutto sia accaduto “senza lasciare traccia”. Nelle dinamiche processuali della giustizia ordinaria la vittima, di fatto, risulta estromessa dal processo decisionale in ragione della natura pubblica (statuale) del sistema penale, che “razionalizza” la sua umana vicenda di sofferenza, di paure, di rabbia e dolore, restituendole una compensazione simbolica (la punizione del reo) e una monetaria (il risarcimento del danno). Tuttavia tali provvedimenti non riescono a rendere ragione dei vissuti patiti o a lenire la ferita esistenziale aperta dal reato subito, così come nessuna ricostruzione processuale può permettere una rielaborazione in grado di restituire un senso all’accaduto. D’altra parte, lo stesso autore del reato in molti casi pare subire passivamente la vicenda giudiziale e la sanzione. Quest’ultima, spesso, è da lui vissuta come una “ritorsione” di un apparato statuale alieno e distante, o come un “incidente di percorso” all’interno del proprio percorso di vita. Non sono molte infatti le situazioni in cui la pena innesca nel condannato una riflessione sul reato compiuto e riesce ad attivare una reale presa di coscienza e un’autentica assunzione di responsabilità circa le conseguenze del proprio gesto. La Giustizia Riparativa, invece, distinguendosi nettamente dai modelli della Giustizia Retributiva e Riabilitativa, che normalmente prevalgono nei vari ordinamenti – compreso quello italiano – consiste di percorsi che consentono alla vittima di recuperare una posizione di centralità nel procedimento penale e al reo di accettare la responsabilità delle proprie azioni, così sanando la lesione al tessuto sociale che la commissione del reato di fatto ha determinato. Quindi, soprattutto nella forma degli interventi di mediazione penale, l’intervento si concentra sulla relazione interrotta (o mai costituita) tra la persona- vittima e la persona-reo, e si muove in un’ottica di gestione del conflitto, mettendo entrambe le parti nella condizione di ingaggiarsi in un confronto. In tal modo alla verità processuale si affianca un’altra Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 4 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà “verità”, ricostruita dalle parti, in grado di rendere conto fino in fondo dei vissuti, delle emozioni, della sofferenza, delle motivazioni e dei bisogni dei soggetti coinvolti. I processi di Giustizia Riparativa mirano quindi alla responsabilizzazione del reo da un lato e a offrire, dall’altro lato, alla vittima la possibilità di riappropriarsi dell’evento, ritrovare un ruolo attivo e restituire significato all’accaduto attraverso l’attivazione di un percorso comune che permetta una migliore comprensione reciproca dei fatti e dei loro correlati emozionali ed esistenziali. Più in particolare, Dignità Umana rispetto alle vittime l’obiettivo è fornire loro l’opportunità di uscire dall’isolamento, affrancandosi dal senso di abbandono e solitudine che spesso consegue alla vittimizzazione, attraverso la condivisione del carico emotivo in una condizione di ascolto in un contesto protetto. Inoltre, la possibilità di elaborare ed esporre le proprie istanze, che solo di rado, contrariamente all’opinione corrente, riguardano propositi di vendetta, afferendo invece ad un’esigenza di ricostruzione di senso e di riparazione e superamento del danno sofferto. D’altra parte, la Giustizia Riparativa fornisce anche al reo una doppia opportunità: da un lato, quella di esprimere i propri sentimenti, di mostrare alla vittima di essere una persona e non un’astratta entità minacciosa, e di porre rimedio alla propria azione delittuosa. Dall’altro, di entrare in relazione con la vittima, in quanto persona in carne ed ossa, non più come estranea o addirittura come figura astrattamente considerata e vissuta, e di riconoscersi responsabile verso un “Altro-da-sé”. In tal modo, per il reo la norma giuridica infranta, da generale e astratta, giunge ad assumere valore concreto di protezione di un bene preciso e individuabile (quello della vittima), con significative conseguenze anche all’interno del percorso di reinserimento sociale. 1 E’ da notare tuttavia che anche nel nostro ordinamento si è fatto strada il paradigma della Giustizia Riparativa, ad esempio nelle disposizioni legislative che introducono, ai fini della riabilitazione delle persone colpevoli di qualche crimine, la possibilità di intraprendere un percorso di mediazione penale tra condannato e vittima, si pensi alla possibilità di intraprendere un percorso di mediazione reo-vittima promosse dal pubblico ministero in sede di indagini preliminari (ex art. 9 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448) o alle forme di mediazione reo-vittima impartite dall’Autorità giudiziaria minorile nel progetto di messa alla prova (ex art. 28 d.p.r. 22 settembre 1988, n. 448). Il nostro ordinamento prevede per altro in alcuni casi forme di riparazione riconducibili a una nozione ampia di giustizia riparativa, ad esempio negli istituti del lavoro sostitutivo (legge 689/81), del lavoro di pubblica utilità per alcune violazioni del codice della strada (ex art 54 d.lgs. 274/2000), del lavoro di pubblica utilità previsto per i tossicodipendenti (ex art. 73 comma 5-bis d.p.r. 309/90), dei progetti di pubblica utilità per i soggetti ammessi al lavoro esterno (ex art. 21, comma 4-ter, l. 354/75) fonte:http://www.me-dia-re.it/la-giustizia-riparativa/ Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 5 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Detenzione umana Articolo 1 «Delle celle lisce non vogliamo parlare? E delle celle di punizione dove avevate detenuti senza Dignità Umana materassi e cuscini e dove non potevano avere penne e foglio per scrivere una lettera? E del reparto infermeria dove mettevate anche detenuti con problemi psichici nudi obbligandoli ad avere le finestre aperte? Fino al 2013 qui accadevano cose assurde». Era il 3 marzo del 2017, e questo scriveva, in una lettera indirizzata all’associazione Antigone, Antonio (il nome è di fantasia), un detenuto che ancora oggi si trova recluso all’interno della casa circondariale Carmelo Magli di Taranto. Un anno in carcere: rapporto su condizioni detenzione Storie di questo tipo sono contenute all’interno dell’ultimo rapporto sul sistema carcerario italiano presentato ieri a Roma nella sede del Centro servizi per il volontariato. «Negli scorsi mesi abbiamo visitato 86 carceri, dalla Valle d’Aosta alla Romagna», si legge in “Un anno in carcere: XIV Rapporto sulle condizioni di detenzione” di Antigone. «In dieci istituti, tra quelli che abbiamo visitato, c’erano celle in cui i detenuti non avevano a disposizione neppure 3mq calpestabili. Nella metà dei penitenziari che abbiamo visto c’erano celle senza docce, o, peggio ancora, in quattro istituti abbiamo riscontrato la presenza del wc in un ambiente non separato dal resto della cella». E c’è dell’altro: «Abbiamo riscontrato in media la presenza di un educatore ogni 76 detenuti, il 43% degli istituti visitati non aveva corsi di formazione professionale attivi, oltre che spazi per le eventuali lavorazioni». Ma è il sovraffollamento dei penitenziari una delle maggiori preoccupazioni dell’associazione che da 20 anni è autorizzata dal ministero della Giustizia a visitare i 190 istituti di pena italiani, a entrare nelle carceri con prerogative simili a quelle dei parlamentari. Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 6 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Carceri Italiane: prigioni più sovraffollate in Lombardia Il carcere di Larino, in Molise, presentava fino al 31 marzo scorso il maggior tasso di affollamento. Con una capienza massima pari a 107 posti letto, infatti, ospitava 217 detenuti, con una percentuale di affollamento del 202,8 per cento. A livello regionale, le prigioni della Lombardia sono le più affollate. A Como, con un tasso del 200%, si Dignità Umana trova il carcere più affollato della regione, il secondo d’Italia; un penitenziario in cui «abbiamo trovato detenuti che non avevano 3 metri quadri di spazio a disposizione, dove le condizioni igienico-sanitarie erano critiche, e molte docce erano inutilizzabili a causa degli scarichi intasati». In media, per tutti gli istituti considerati, il tasso di sovraffollamento è pari al 115,2 per cento. Mentre il tasso di detenzione – numero di detenuti per numero di residenti in Italia – è pari a circa un detenuto ogni mille abitanti. Corte dei diritti dell’uomo su sistema carcerario italiano Negli ultimi due anni i detenuti sono cresciuti di circa 6.000 unità. E il sovraffollamento degli spazi è aumentato di conseguenza. Il tutto, va notato, nonostante una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, risalente ormai a 5 anni fa, avesse condannato il comportamento dello Stato italiano proprio per le condizioni dei suoi detenuti. Carceri in Italia: meno reati, più detenuti Non solo. Tutto ciò accade mentre diminuiscono i crimini, come già si registrava nel report dell’anno scorso di Antigone. Per esempio, il numero dei reati denunciati alle forze di polizia e all’autorità giudiziaria nello scorso anno è stato il più basso degli ultimi 10 anni. E c’è una correlazione inversamente proporzionale anche tra l’aumento del numero degli stranieri presenti oggi in Italia e il numero di detenuti stranieri. Questi ultimi, infatti, sono 2.000 in meno rispetto a dieci anni fa. Questa stima conferma come non ci sia alcuna correlazione tra i flussi di migranti in arrivo in Italia e i flussi di migranti che fanno ingresso in carcere. Ogni allarmismo in questo senso, numeri alla mano, pare dunque ingiustificato. Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 7 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Situazione carceri italiane: i suicidi in case circondariali Secondo gli ultimi dati raccolti dall’Osservatorio sulle carceri, Ristretti Orizzonti, nei primi tre mesi del 2018 ci sono stati 11 suicidi nelle carceri italiane. E 52 persone si sono tolte la vita in cella lo scorso anno. Dignità Umana I tentativi di suicidio sono stati oltre un migliaio. E 123 è il numero dei reclusi deceduti nel 2017 in seguito a “morte naturale”. Le chiamano così, “morti naturali”, anche se spesso nascondono un disagio profondo legato alle condizioni di detenzione. Quelle del carcere di Belluno, in Veneto, ad esempio, il detenuto Riccardo (nome di fantasia) le ha raccontate così: «Sono stato detenuto 7 mesi a Baldenich. Dal maggio 2016 fino a gennaio 2017. Le celle sono sovraffollate. Il bagno della cella è di un metro quadrato, e non c’è acqua calda, considerando che a Belluno il clima è molto freddo». E ancora: «Episodi di autolesionismo ne vedi tutti i giorni. Persone che tentano di suicidarsi ingoiando oggetti diversi come batterie, taglia unghie, accendini». fonte: https://www.osservatoriodiritti.it/2018/04/20/carcere-in-italia-detenuti-prigioni-italiane/ Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 8 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Articolo 2 Più alternative, la pena deve rieducare maggio 2018 Dignità Umana Il 16 marzo 2018 può essere considerata una data forse non storica, ma di sicuro importante, per i diritti dei detenuti in Italia. Il consiglio dei ministri ha approvato, su proposta del ministro della giustizia, Andrea Orlando, la riforma dell’ordinamento penitenziario, in attuazione di una legge delega (numero 103, del 23 giugno 2017). Dopo oltre 43 anni, si erano dunque create le premesse perché vada in pensione una parte dell’ordinamento varato nel 1975. Premesse che i nuovi equilibri (e i nuovi protagonisti) politici potrebbero vanificare. L’iter della riforma, infatti, non è ancora concluso. Manca il passaggio parlamentare, di natura eminentemente consultiva. Sembrava dovesse avvenire nelle Commissioni speciali istituite, a inizio legislatura, per ratificare alcuni provvedimenti “pendenti” e già instradati dal governo uscente. Invece a inizio aprile la conferenza dei capigruppo alla Camera, per volontà di Movimento 5 Stelle e Lega, ha demandato la questione alle commissioni permanenti, da istituire dopo il materializzarsi di una maggioranza parlamentare e del nuovo governo. Tempi più lunghi. E il serio dubbio che si trovi l’espediente per affondare una riforma attesa a lungo, chiesta e sollecitata da più voci: il volontariato che opera all’interno e all’esterno degli istituti di pena, gli avvocati, parte della magistratura, organismi internazionali (che, negli anni, hanno segnalato a più riprese quanto il nostro sistema penitenziario non risponda alle norme costituzionali e ai trattati ratificati dall’Italia), sul versante politico il Partito Radicale (i digiuni di Rita Bernardini ed Emma Bonino hanno messo pressione al governo perché procedesse a licenziare i decreti della riforma). La riforma, peraltro, non arriverebbe a modificare di molto la vita detentiva negli istituti penitenziari italiani. Cosa che sarebbe stata auspicabile. Ma riuscirebbe a produrre novità cruciali sul fronte delle misure alternative. Un passo in avanti Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 9 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Leggendo i giornali dopo il voto del 16 marzo, o le dichiarazioni di qualche politico pre e post elezioni, più di un italiano si sarà sentito preoccupato. «Fuori i delinquenti», «Salvacondotto per i ladri», sono stati slogan molto gettonati. La recente campagna elettorale, d’altronde, molto si è giocata sui temi della sicurezza e della paura. Lo scarto tra dati reali e percezione sembra essersi amplificato nella popolazione. L’andamento dei reati nel 2017 in Italia (dati del ministero dell’interno) è stato eloquente: delitti (complessivi) -9,2%; omicidi Dignità Umana (sia quelli della criminalità organizzata che quelli affettivi) -11,8%, rapine -11%, furti -9,1%. Il trend in diminuzione si è consolidato negli ultimi 4 anni. Sembra quindi non spiegarsi la paura generalizzata rispetto ai pericoli che corriamo, a fronte di quanto di buono è stato messo in campo, negli ultimi anni, non solo sul piano della sicurezza, ma soprattutto in tema di integrazione e prevenzione. Lo scarto preoccupa, in un’epoca di fake news, in cui è difficile riuscire a far riflettere l’opinione pubblica sul fatto che molte paure sono irrazionali e non connesse a dati fattuali, benché finiscano per condizionare pesantemente anche rilevanti scelte politiche. È un bene, dunque, che pur in un simile clima qualche passo in avanti si riesca comunque a compiere. È il caso della riforma Orlando: non un cambiamento epocale, ma un deciso cambio di rotta. La riforma è frutto di un intenso lavoro, portato avanti in alcuni anni e accelerato in particolare da una condanna: era il 2013, quando lo stato italiano venne condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per la violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (sentenza Torreggiani e altri contro Italia): la condanna metteva in mora l’intero nostro sistema penitenziario, non solo per la mancanza di spazi (i famosi 3 metri quadri da garantire a ogni detenuto), ma perché la detenzione non rispondeva a criteri di garanzia di trattamento (persone recluse nelle celle anche per 23 ore al giorno, mancanza di possibilità di lavoro o studio, mancanza di attività trattamentali). Carcere, extrema ratio Molti passi da allora sono stati fatti, alcuni normativi – ad esempio la legge 67/2014 sulla messa alla prova –, altri di apertura a un nuovo modo di concepire la pena. È bene ricordare che secondo la Costituzione (articolo 27) una delle principali funzioni della pena è la rieducazione: il legislatore, dando la delega al governo per riformare l’ordinamento penitenziario, ha voluto dare sviluppo proprio a questa funzione. La delega non è stato peraltro un atto estemporaneo; molti sono stati i passaggi preparatori, che hanno coinvolto non solo il governo Gentiloni, ma anche i due precedenti (Letta e Renzi). In questo processo, gli “Stati generali dell’esecuzione penale” (2015-2016) hanno costituito il più Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 10 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà importante evento di discussione, in materia, dalla riforma del 1975: 18 tavoli di lavoro hanno analizzato diversi aspetti del mondo penitenziario, con il coinvolgimento di professori universitari, avvocati, magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, del volontariato, della cultura. Gli Stati generali erano stati anticipati da alcune commissioni (Palma, Giostra I e II), esperienza (non scevra da critiche) da cui però erano emerse molte proposte per realizzare un nuovo modo di concepire la pena, per considerare il carcere davvero extrema ratio, per sviluppare una giustizia conciliativa, per Dignità Umana permettere alle persone recluse – come vogliono le norme europee – una vita simile a quella all’esterno del carcere (la “più vicina possibile agli aspetti positivi della vita nella società libera”, afferma il punto 5 della Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei ministri agli stati membri). La riforma appena varata va dunque in quella direzione. È bene ricordare (per contrastare la cattiva informazione, ivi incluse le dichiarazioni di alcuni magistrati, che possono aver tratto in confusione l’opinione pubblica) che la riforma non dispone alcun cambiamento delle norme per i casi di terrorismo e mafia, del regime 41 bis (che pure andrebbe riformato, perché da regime emergenziale è diventato una tomba dove tumulare migliaia di persone per anni se non decenni, un regime disumano paragonabile alla tortura), così come non sono contemplate alcuna abolizione dell’ergastolo e alcuna modifica all’ergastolo ostativo, se non una pur importante ridefinizione dei reati ostativi (maggiormente orientata ai reati associativi). Tutto ciò, va anche nella direzione indicata da papa Francesco in occasione della Messa in Coena Domini, nel Giovedì di Pasqua, dopo la lavanda dei piedi, parlando alla direttrice del carcere romano di Regina Coeli: «Non c’è alcuna pena giusta – giusta! – senza che sia aperta alla speranza. Una pena che non sia aperta alla speranza non è cristiana, non è umana!(…) E questa è la speranza. Seminare speranza. Sempre, sempre. Il vostro lavoro è questo: aiutare a seminare la speranza di reinserimento, e questo farà bene a tutti». Lo stesso Papa aveva ricordato che «l’ergastolo è una pena di morte nascosta». Al centro del trattamento I timidi passi avanti resi possibili dalla recentissima riforma vanno dunque nella giusta direzione: consentono di aumentare l’area dell’esecuzione penale esterna, e di impedire automatismi che escludano a priori alcune categorie di detenuti dalla fruizione delle misure alternative. Ma cosa cambia, in concreto, per le persone che devono espiare una pena? Una prima novità importante deriva dalla scelta di porre le misure alternative al centro del percorso trattamentale del Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 11 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà detenuto. Si tratta di un passaggio culturale importante, che il ministro Orlando ha evidenziato, citando l’efficacia che le misure alternative hanno nell’abbattimento del tasso di recidiva (la propensione a ricommettere reati): tra coloro che hanno scontato tutta la pena in carcere, tale tasso supera il 60%, tra chi ha svolto l’intera pena, o una parte di essa, in misura alternativa, il tasso scende poco più del 20%. Il nuovo regolamento ha portato inoltre la detenzione domiciliare a 4 anni, così come l’affidamento. Si è ridotta l’incidenza dell’articolo 4 bis sulla concessione delle misure alternative e dei benefici, non Dignità Umana eliminandolo ma permettendo al giudice della sorveglianza di valutare caso per caso (l’articolo 4 bis, sui reati associativi, colpisce buona parte della popolazione carceraria, rendendo difficile per molte persone accedere alle misure in un tempo ragionevole, poiché non fa differenza tra persone a capo di organizzazioni associative e semplice “manovalanza”). Anche gli effetti della legge ex Cirielli si sono molto attenuati: sarà possibile anche per i recidivi accedere ai permessi e alle misure alternative, sempre previa la valutazione del magistrato. Un ulteriore elemento importante della riforma è aver parificato l’infermità psichica all’infermità fisica; anche in caso di infermità psichica potrà ora essere disposta – in alternativa al rinvio dell’esecuzione– la detenzione domiciliare. Vi è inoltre per i condannati affetti da grave infermità psichica una nuova forma di affidamento in prova (articolo 47 septies). Qualche dubbio suscitano invece le sezioni speciali per detenuti con infermità psichica, introdotte dal nuovo ordinamento per i detenuti con grave infermità psichica ma imputabili, che non potranno godere delle misure alternative. Torniamo al sovraffollamento? Nessun passo avanti e nessuna modifica si sono invece registrati sul fronte dell’affettività in carcere, tema affrontato negli Stati generali, poi non tradotto nella riforma. Sarebbe bastato liberalizzare le telefonate, aumentare i colloqui con i famigliari e con le terze persone, introdurre davvero per ogni istituto postazioni skype per permettere ai detenuti che non possono accedere ai colloqui di fare videofonate. Riguardo all’uso di skype, a dire il vero, un timido passaggio è presente nella riforma, ma non sono state previste risorse per attivare il servizio, se non negli istituti ove già presente. Pochi sono anche i passaggi che riguardano il volontariato; se ne parla solo per dire che sarà il direttore dell’istituto di pena a concedere l’autorizzazione alla presenza dei volontari in carcere, non più il magistrato di sorveglianza. Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 12 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà La riforma, insomma, fa alcuni passi avanti, soprattutto sul versante del potenziamento e della diffusione delle misure alternative. Lascia però invariata la vita detentiva. È presto per capire quanto inciderà sui numeri dei detenuti: siamo a 58.223 (al 31 marzo 2018), esito di un nuovo, costante aumento delle persone recluse. Che rischia di riportarci indietro, a una situazione di sovraffollamento, e più in generale a condizioni di detenzione che sono stati assimilati alla tortura e per cui lo stato italiano è stato condannato. Dignità Umana Il nuovo parlamento rifletta: scegliere la scorciatoia punitiva può pagare sul piano del consenso. Non su quello della civiltà. Peraltro nemmeno su quello della sicurezza… fonte: mensile di Caritas Italiana - Organismo pastorale della CEI— anno LI—numero 4—www.caritas.it Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 13 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Pene alternative Articolo 1 Misure alternative alla detenzione Dignità Umana 12 Aprile 2018, Nicola Canestrini Affidamento in prova al servizio socialedetenzione domiciliare semilibertà Le misure alternative alla detenzione consentono al soggetto che ha subito una condanna definitiva di scontare, in tutto o in parte, la pena detentiva fuori dal carcere. A differenza delle misure cautelari, che possono essere applicate durante il processo (se vi sono i gravi indizi e le esigenze cautelari), le misure alternative presuppongono una condanna (e quindi una pena) definitiva, come cristallizzata nel cd. "ordine di esecuzione" per la carcerazione emessa dall'accusa. Con le misure alternative si cerca di facilitare il reinserimento del condannato nella società civile sottraendolo all'ambiente carcerario; è infatti noto che la recidiva si riduce al 17% in casso il codnananto abbia friuto di misure alternative, mentre è del 67% se la detenzione viene scontata dietro le sbarre fino a fine pena (fonte: Lucia Castellano, http://www.luciacastellano.it/carcere/). Le misure alternative alla detenzione, regolate dagli artt. 47-52 della legge 354/1975 sull'ordinamento penitenziario, si applicano esclusivamente ai detenuti definitivi (cioè con sentenza non più impugnabile) e sono principalmente: • l'affidamento in prova al servizio sociale (richiede casa e lavoro), • la detenzione domiciliare (richiede casa), • la semilibertà (richiede lavoro). • per chi intenda sostenere un programma terapeutico, concordato con una unità sociale socio- sanitaria, contro l'abuso patologico di sostanze stupefacenti o bevande alcooliche, è previsto il cd. affidamento in prova per casi particolari. Oltre a queste misure alternative alla detenzione, sono previste anche la liberazione condizionale (art. 176 c.p.) e, per i cittadini di uno stato non appartenente all'Unione europea irregolarmente presenti in Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 14 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà irregolarmente presenti in Italia, condannati o detenuti, l'espulsione dal territorio italiano come sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione; salvo che per i cittadini stranieri appartenenti all'Unione europea non è possibile chiedere di scontare la misura alternativa all'estero o recarsi in viaggio all'estero durante la esecuzione della misura. Rientra nelle misure alternative anche la detenzione domiciliare concessa ai condannati con pena detentiva (anche residua) non superiore a dodici mesi, come previsto dalla legge 26 novembre 2010, n. 199, "Disposizioni relative all'esecuzione Dignità Umana presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno". Il diverso grado di libertà contraddistingue le varie misure: • l'affidamento in prova al servizio sociale è la misura alternativa con il grado di libertà maggiore, con possibilità di spostamento anche ampia, se motivata, ma sempre con l'autorizzazione del magistrato di sorveglianza e la supervisione dell'Ufficio per l'esecuzione penale esterna (Uepe, un tempo chiamato Centro servizi sociali per adulti). • la detenzione domiciliare permette di trascorrere tutto il tempo fuori dall'istituto, in un luogo determinato (abitazione, comunità, luogo di cura o assistenza) potendosene allontanare solo con l'autorizzazione del magistrato di sorveglianza, per brevi periodi e particolari ragioni, in casi e in ore stabiliti, con la vigilanza delle forze dell'ordine; • la semilibertà prevede di compiere un'attività fuori dal carcere per una parte della giornata, tornando nell'istituto penitenziario quando non si svolge tale attività; • I criteri di ammissibilità sono vari e tengono conto innanzitutto dell'entità della condanna, della pena già espiata e da espiare, che andranno poi rapportate anche a determinate condizioni soggettive (per esempio età, stato di salute, stato di gravidanza, tossicodipendenza, presenza di figli con età massima di dieci anni). La concessione di una misura alternativa deve essere chiesta al Tribunale o al Magistrato di Sorveglianza, secondo i criteri di ammissibilità propri di ciascuna misura. I detenuti che hanno beneficiato di permessi premio, senza trasgredire le prescrizioni, durante la permanenza in carcere, hanno maggiore probabilità che sia loro concessa una misura alternativa. Concessione provvisoria di una misura alternativa Nel caso il prolungarsi della permanenza in carcere possa costituire un grave pregiudizio per la salute o le condizioni del detenuto, in casi cioè di urgenza, è possibile chiedere la sospensione dell'esecuzione della pena e la concessione provvisoria di una misura alternativa (art. 47, comma 4, Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 15 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà legge 354/1975 sull'ordinamento penitenziario). Generalmente, poiché si tratta di urgenze derivanti da condizioni di salute o da condizioni particolari, vengono richieste la detenzione domiciliare provvisoria o l'affidamento provvisorio in prova in casi particolari. L'istanza va indirizzata al Magistrato di Sorveglianza competente per il territorio dove si trova il carcere, il quale concederà o meno la misura alternativa in via provvisoria valutando la presenza del grave pregiudizio, la sussistenza dei presupposti per l'ammissione all'affidamento in prova e l'assenza di pericolo di fuga. Gli atti verranno immediatamente Dignità Umana passati al Tribunale di Sorveglianza che prenderà la decisione definitiva entro quarantacinque giorni. Le istanze di concessione di misure alternative in via provvisoria per casi in cui la permanenza in carcere non costituisca "grave pregiudizio", sono ritenute inammissibili. La richiesta di misura alternativa ordinaria Possono beneficiare di una misura alternativa anche persone non detenute, cioè coloro i quali, al momento della condanna a una pena non superiore a 4 anni di reclusione (o a sei anni, se si tratta di soggetto dipendente da alcool o droga), siano in stato di libertà: il pubblico ministero, come prevede l'art. 656 del codice di procedura penale, sospende l'esecuzione della sentenza per trenta giorni, entro i quali l'interessato (o il difensore) potrà presentare istanza di concessione di una misura alternativa. L'istanza va indirizzata al pubblico ministero, il quale la trasmetterà al Tribunale di sorveglianza che deciderà entro quarantacinque giorni. L'ordine di esecuzione: 30 giorni per chiedere la misura alternativa Più in particolare, a seguito dell'entrata il vigore della legge 9 agosto 2013, n. 94, che ha convertito con modificazioni (anche di un certo spessore) il decreto legge 1 luglio 2013, n. 78 il meccanismo di sospensione di cui all'art. 656 co. 5 c.p.p. opera (salvo le preclusioni di cui al co. 9): a) di regola, e dopo la novella legislativa che segue la sentenza della Corte Costituzionale del 2 marzo 2018 n. 41, per le condanne a pene detentive fino a 4 anni; b) nei confronti dei soggetti di cui all'art. 47 ter o.p., per le condanne a pene detentive fino a quattro anni; c) nei confronti dei tossicodipendenti, laddove si debba applicare l'art. 90 o 94 d.P.R. 309/90, per condanne a pene detentive fino a sei anni. Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 16 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Attenzione: per alcuni reati, quando anche il periodo da scontare sia inferire ai limiti di legge, non opera il meccansimo di sospensione (condanne per delitti di criminalità organizzata, sex offenders, ma anche ad es. furto in abitazione). Un'ulteriore ampliamento dell'operatività del meccanismo sospensivo di cui all'art. 656 co. 5 c.p.p. deriva poi dalla possibile anticipazione, al momento dell'emissione dell'ordine di esecuzione, dell'applicazione della liberazione anticipata ex art. 54 o.p. (che prevede come noto uno sconto di pena Dignità Umana di 45 giorni ogni sei mesi di pena scontata o di custodia cautelare). A questo proposito, con il nuovo co. 4 bis dell'art. 656 c.p.p. si prevede che il p.m. - qualora il condannato abbia trascorso dei periodi di custodia cautelare o abbia espiato periodi di pena 'fungibili' in relazione al titolo esecutivo da eseguire e qualora ritenga che, per effetto della liberazione anticipata, la pena da scontare rientri nei limiti di cui al co. 5 dell'art. 656 - sospenda le proprie determinazioni, trasmettendo senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza competente, affinché decida in merito all'applicazione dell'art. 54 o.p. Solo a seguito dell'ordinanza del magistrato, il p.m. potrà emettere il provvedimento ex art. 656 c.p.p.: a) sospendendo l'ordine di esecuzione, qualora per effetto degli sconti di pena ex art. 54 co.p., la pena sia 'scesa' al di sotto dei livelli di cui al co. 5; b) emettendo l'ordine di esecuzione quando la pena residua da scontare sia superiore a tali livelli. Verificate le condizioni di ammissibilità, la concessione di una misura alternativa - e la scelta tra esse, compresa la libertà condizionale - è decisa dal magistrato (in via provvisoria) o dal Tribunale sia sulla base delle valutazioni relative all'interessato (per esempio la cosiddetta "residua pericolosità sociale", il comportamento in carcere, eventuali collegamenti con la criminalità organizzata) sia sulla base di presupposti oggettivi. Per esempio, per ottenere l'affidamento in prova ai servizi sociali è generalmente necessario avere un posto di lavoro, documentandolo con una dichiarazione del futuro datore di lavoro, e un'abitazione, documentandolo con una dichiarazione di disponibilità all'ospitalità da parte dei familiari. Per la detenzione domiciliare può bastare l'abitazione. La semilibertà può essere concessa se vi è un lavoro o un'altra occupazione (per esempio, la documentata frequenza di corsi di istruzione) ma non sussistono i requisiti per la concessione dell'affidamento in prova o della detenzione domiciliare. In tal caso può essere concessa anche se nell'istanza per l'ammissione alle misure alternative non era stata esplicitamente richiesta. Se la misura alternativa è chiesta da persone tossicodipendenti o alcooldipendenti, è necessaria la certificazione rilasciata dai Sert delle Ulss dello stato di tossicodipendenza o alcool dipendenza (la quale deve includere anche l'indicazione delle modalità seguite per porre la diagnosi) e la presenza di un idoneo programma terapeutico, approvato dai Sert Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 17 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà delle Ulss. Ulteriore documentazione occorrerà nel caso si intenda seguire un programma di disintossicazione residenziale, presso una comunità terapeutica. Data la varietà di criteri, possibilità e condizioni, per la redazione di un'istanza di concessione di misura alternativa - e per l'approfondimento sulla "strategia" di richiesta da adottare, le motivazioni da indicare e la documentazione da produrre - è preferibile consultare un avvocato (che verrebbe comunque nominato per l'udienza). Merita ricordare che il Tribunale di Sorveglianza può concedere una misura alternativa diversa da quelle chieste Dignità Umana nell'istanza presentata dall'interessato. Se l'istanza di concessione di misura alternativa non è accolta, si da inizio o si riprende l'esecuzione della pena in regime carcerario. Nel caso in cui l'affidato in prova, il detenuto domiciliare o il semilibero violino le prescrizioni assegnate, la misura alternativa - dopo un eventuale richiamo - può essere sospesa o revocata e l'interessato dovrà scontare la pena in carcere senza poter richiedere, prima che siano trascorsi tre anni, la concessione di altre misure alternative, di permessi-premio, di attività lavorativa all'esterno dell'istituto penitenziario (art. 58 quater legge 354/1975). (....) fonte:https://canestrinilex.com/risorse/misure-alternative-alla-detenzione/ Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 18 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Articolo 2 Televisioni, fotografi, giornalisti si sono precipitati, lo scorso 26 marzo, nel parco romano di Colle Oppio. Non per raccogliere voci e testimonianze sull’ultimo tentativo di stupro o sull’ennesimo scippo ai danni di malcapitate turiste, e neppure per imbastire i soliti servizi sul degrado della Città Eterna. La curiosità, per una volta, era su tutt’altro. Su 16 detenuti Dignità Umana del carcere di Rebibbia – il primo drappello dei 100, anche di altri istituti penitenziari, coinvolti in un progetto concordato tra Ministero della Giustizia e Comune di Roma – portati lì a lavorare. A raccogliere foglie, svuotare cestini, ripulire dai rifiuti panchine e vialetti, sistemare aiuole e fontane. Con regolamentari tute bianche, mascherine, guanti e scarpe adatte, un rastrello in una mano e un sacco di plastica nell’altra. A controllarli e guidarne l’attività, una squadra di vigili, agenti penitenziari e tecnici comunali. Lavoro ben fatto e bene organizzato. Lavoro utile e gradito a cittadini e turisti. Anche i peggiori in cerca di una nuova dignità Ma soprattutto una buona giornata, di quelle che fanno ritrovare speranza e fiducia. Perché ha dimostrato che si può fare, il che non è poco in una città dove si spalancano ogni settimana nuove voragini nelle strade e dove l’incuria di tutto ciò che è pubblico e l’incompetenza amministrativa hanno raggiunto livelli da brivido. E perché fa riflettere che con azioni di questo tipo – con un po’ di intelligenza sociale e di umanità – potremmo tutti rieducarci all’idea che la pena dei colpevoli di reati non deve necessariamente coincidere con la loro esclusione, più a lungo possibile, dalla vita degli altri (l’idea cara a Matteo Salvini e al suo livido «chiudiamo la porta e buttiamo la chiave», ma purtroppo anche a tanti altri). Una comunità responsabile e lungimirante può permettersi la generosità di offrire una seconda opportunità anche ai peggiori. E una possibilità di rigenerazione e di un futuro migliore, per «loro» e per tutti, sta proprio nel lavoro volontario in progetti di pubblica utilità, nella cura dei beni comuni. Come è appunto un parco pubblico, dove vanno bambini, anziani, famiglie. Dove si gioca, si legge, si prende il sole, si portano a spasso i cani, ci si incontra, uno dei pochi luoghi urbani ancora di tutti, ancora miracolosamente gratuiti. Un dono, insomma, in un clima sociale inasprito da risentimenti, odi, pregiudizi. Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 19 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà Grazie, dunque, ai detenuti in cerca di nuova dignità e di rinascita, e per una volta anche al sindaco. Lavoro fuori dalle mura carcerarie Non è la prima volta, del resto, che a Roma e in altre città – da Mantova a Caserta – si è tentato un esperimento di questo tipo. Dignità Umana Innovativo non perché la pena viene conciliata con il lavoro e la formazione professionale – cosa già prevista dalle nostre norme, anche se troppo raramente praticata– ma perché il lavoro volontario si può fare anche all’esterno delle mura carcerarie. Sotto gli occhi di tutti, nel cuore della città, con la collaborazione della comunità, e in opere di interesse pubblico. Un primo protocollo d’intesa tra il Dipartimento Penitenziario del Ministero della Giustizia e l’Associazione dei comuni italiani, è stato infatti sottoscritto già nel 2012. Altri protocolli, con singole Regioni fra cui anche il Lazio (1.000, in questo caso, i detenuti da coinvolgere), sono stati stipulati nel 2014, con l’intento di far sperimentare quello che dovrebbe diventare pratica ordinaria quando entrerà in vigore la riforma dell’ordinamento carcerario, fortemente voluta dal ministro della giustizia Orlando. Che è stata a lungo contrastata e poi approvata parzialmente (con solo tre decreti attuativi) dal Consiglio dei Ministri il 22 febbraio scorso e che, dopo l’esito delle elezioni politiche, rischia purtroppo di restare in stand by, se non un destino peggiore. Nonostante i ripetuti richiami della Corte Europea di Giustizia a superare finalmente anche in Italia il profilo solo «afflittivo» della pena valorizzandone il profilo rieducativo (previsto, ben prima di ogni direttiva europea, dalla Costituzione) e promuovendo l’inclusione sociale e professionale dei detenuti anche per ridurre al massimo il rischio – altissimo per chi durante la detenzione non recupera volontà e capacità di lavoro – delle recidive. Ma non è affatto detto, nel clima politico attuale, che arriveranno a buon fine gli appelli al Consiglio dei Ministri, finché è in carica, a chiudere definitivamente la partita, firmati dopo il 4 marzo da un folto elenco di soggetti autorevoli e competenti come l’Unione delle Camere Penali, Magistratura Democratica, numerosi professori di diritto, le associazioni attive in questo campo. È in questo quadro che, mesi fa, è stato concordato anche il progetto romano, che prevede corsi di formazione alle attività lavorative (e relativi attestati validi per un futuro ingresso da liberi nel mondo del lavoro) e un forte sostegno da parte del Comune di Roma. Non solo dei suoi servizi sociali, ma dei servizi tecnici (in questo caso il Servizio Giardini e l’Azienda per la Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 20 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
Studenti che interrogano la realtà raccolta e il riciclaggio dei rifiuti). Ma –comunica il Comune – non saranno solo i parchi pubblici ad essere coinvolti, i 100 detenuti che hanno deciso volontariamente di far parte del progetto saranno impiegati, nei prossimi 18 mesi, anche nella manutenzione di impianti sportivi, nella sistemazione dei giardini delle Biblioteche civiche e delle scuole, e in altre attività importanti per la città e per i suoi abitanti. Dignità Umana Declino dei luoghi e incattivimento delle persone Vedremo. C’è da dire, intanto, che il primo esperimento è stato accolto con particolare interesse e favore dai media e dall’opinione pubblica perché il parco di Colle Oppio è oggi il simbolo di un degrado che offende la bellezza e l’identità storica e culturale della città. Area archeologica di altissimo pregio perché affacciato sul Colosseo e sede, tra splendide alberature e roseti, della Domus Aurea di Nerone, è diventata negli ultimi tempi un luogo difficile, assediato oltre che dagli effetti di una scarsissima manutenzione, anche da quelli che derivano dall’essere contiguo all’Esquilino,il quartiere con la più alta densità di immigrazione e più esposto, perché a ridosso della stazione Termini e del più grande ostello della Caritas, ai flussi dei richiedenti asilo e, più in generale, alla circolazione dei più poveri e disperati della città. Con tutto quello che l’assenza di controllo e di interventi efficaci di accoglienza e di integrazione può farne nascere, dagli attendamenti dei senza casa allo spaccio di droghe a cielo aperto, dai fuochi per scaldarsi e cucinare agli indumenti stesi ad asciugarsi sulle panchine. Un disastro estetico, e ancor di più una vergogna sociale. E poi una insostenibile mancanza di sicurezza, in certe ore, con episodi frequenti di violenza e molestia sessuale, scippi, danneggiamenti. Ovvio, dunque, che ogni intervento che possa portare un qualche sollievo è bene accolto. E che assuma un significato speciale, denso di significati diversi, un esperimento come quello dei detenuti, gli ultimi degli degli ultimi. Chissà che non riescano proprio loro a restituire valore a ciò che viene quotidianamente calpestato. Chissà che questo esperimento non tracci nuove vie. Colle Oppio, nei giorni seguenti, ne parla. E anche il quartiere Esquilino, con le sue tante associazioni civiche impegnate nella battaglia contro il degrado (i grandi giardini di piazza Vittorio sono un bivacco permanente, in mezzo a rifiuti di ogni tipo), le scuole diventate famose in città e fuori per la capacità di integrazione dei bambini stranieri e delle loro famiglie, la fondazione della prima orchestra giovanile interculturale, le mille iniziative di incontro e di solidarietà che contrastano ogni giorno il declino dei luoghi, e l’incattivimento Chiedilo alle Domande Progetto del Movimento Studenti di Azione Cattolica Direzione Generale per lo Studente, 21 finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e l’Integrazione e la Partecipazione della Ricerca
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