Testimoni e testimonianze d'amore - Storie di uomini e donne che hanno vissuto nell'Amore
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Testimone di Libertà: Martin Luther King Testimone di docilità: Domenico Savio Testimone di conversione: Laura Vicuna Testimone della fede: Michele Magone Testimone della gioia: Chiara Luce Badano Testimone della Non Violenza: Mohandas Karamchard Gandhi Testimone dell’aiuto gratuito: Agnes Gonxha Bojaxhiu Testimone della Speranza: Giovanni Paolo II Testimone della Giustizia: Padre Pino Puglisi
Testimone di Libertà: Martin Luther King Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Il reverendo Martin Luther King (Atlanta, Georgia 15 gennaio 1929 - Memphis, Tennessee 4 aprile 1968) è stato un pastore battista ed un attivista dei diritti civili del popolo afro-americano di colore. È stato il più giovane Premio Nobel per la pace della storia, riconoscimento conferitogli nel 1964 all'età di soli trentacinque anni. Il suo nome viene accostato per la sua attività di pacifista a quello di Gandhi, il leader del pacifismo della cui opera King è stato un appassionato studioso. L'impegno civile di Martin Luther King è condensato nella Letter from Birmingham Jail (Lettera dalla prigione di Birmingham), scritta nel 1963, che costituisce un'appassionata enunciazione della sua indomabile crociata per la giustizia. Unanimemente riconosciuto apostolo della resistenza non violenta, eroe e paladino dei reietti e degli emarginati, Martin Luther King si è sempre esposto in prima linea affinché venisse abbattuta nella realtà americana degli anni '50 e '60 ogni sorta di pregiudizio etnico. Celeberrimo è rimasto il discorso che tenne il 28 agosto 1963 durante la marcia per il lavoro e la libertà davanti al Lincoln Memorial di Washington e nel quale pronunciò più volte la fatidica frase "I have a dream" (in Italia evocata spesso in maniera forse impropria ma efficace con: Ho un sogno) che sottintendeva la (spasmodica) attesa che egli coltivava, assieme a molte altre persone, perché ogni uomo venisse riconosciuto uguale ad ogni altro, con gli stessi diritti e le stesse prerogative, proprio negli anni in cui - per dirla con le parole di Bob Dylan - i tempi stavano cambiando e solo il vento poteva portare una risposta. Martin, molte volte fu soggetto ad aggressioni e ad offese molto gravi. La celebre canzone Pride (In the name of love), tratta dall'album The Unforgettable Fire degli U2 è dedicata a Martin Luther King. Inoltre nel medesimo album della band irlandese è presente un secondo pezzo ispirato a King, "MLK", titolo coniato semplicemente prendendo le iniziali del reverendo. Altre canzoni che fan riferimento a lui sono One Vision dei Queen, nel brano di Ben Harper Like a king e nell'inedito Super Pop di Madonna ("If I was an hero I'd be Martin Luther"), canzone della sessions di Confessions on a Dance Floor, ma poi non rientrata nella track-list finale dell'album (la si può sempre scaricare da internet o da ICON) Nel video "Man in the mirror" di Michael Jackson appare più volte Martin Luther King così come nella canzone "They don't care about us" sempre di Michael Jackson viene nominato in questa frase: but if Martin Luther was living he wouldn't let this be “Molte persone temono, più di ogni altra cosa, il fatto di assumere una posizione che si distingua decisamente e chiaramente dall'opinione prevalente. La tendenza dei più è quella di adottare un punto di vista così ambiguo da includere tutto e così popolare da includere tutti. Non sono pochi gli uomini che, pur coltivando elevati e nobili ideali, li nascondono per timore di essere considerati diversi”. M.L. King
Testimone di docilità: Domenico Savio (tratto dal sito: santi e beati) Riva di Chieri, Torino, 2 aprile 1842 - Mondonio, Asti, 9 marzo 1857 Ancora bambino decise quale sarebbe stato il suo progetto di vita: vivere da vero cristiano. Tale desiderio venne accentuato dall’ascolto di una predica di don Bosco, dopo la quale decise di divenire santo. Da questo momento, infatti la sua esistenza fu piena d’amore e carità verso il prossimo, cercando in occasione di dare l’esempio. Nel 1856 fondò la Compagnia dell’Immacolata e poco più tardi morì, lasciando un valido e bel ricordo della sua persona ai giovani cristiani. Domenico Savio, soprannominato in piemontese “Minòt”, nacque il 2 aprile 1842 a San Giovanni, frazione di Riva presso Chieri, agli estremi confini della provincia e della diocesi torinese. Fu il secondo di ben dieci fratelli, figli di Carlo, che svolge l’attività di fabbro, e di Brigida Gaiato, sarta. Il piccolo Domenico venne battezzato nella chiesa dell’Assunta in Riva il giorno stesso. Alla fine del 1843 la famiglia si trasferì a Murialdo, frazione di Castelnuovo d’Asti, odierna Castelnuovo Don Bosco. Qui nel 1848 Domenico iniziò le scuole e nella chiesa parrocchiale del paese ricevette la prima Comunione l88 aprile 1849. Proprio in tale occasione, all’età di appena sette anni, tracciò il suo progetto di vita che sintetizzò in quattro propositi ben precisi: “Mi confesserò molto sovente e farò la Comunione tutte le volte che il confessore me ne darà il permesso. Voglio santificare i giorni festivi. I miei amici saranno Gesù e Maria. La morte ma non peccati”. Nel mese di febbraio del 1853 i Savio si trasferirono nuovamente, questa volta a Mondonio, altra frazione di Castelnuovo. Il 2 ottobre dell’anno successivo Domenico, ormai dodicenne, incontrò Don Bosco ai Becchi. Il santo educatore rimase sbalordito da questo ragazzo: “Conobbi in quel giovane un animo tutto secondo lo spirito del Signore e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la grazia di Dio aveva operato in così tenera età”. Con la sua innata schiettezza il ragazzo gli disse: “Io sono la stoffa, lei ne sia il sarto: faccia un bell’abito per il Signore!”. Nel giro di soli venti giorni poté così fare il suo ingresso nell’oratorio di Valdocco a Torino. Si mise dunque a camminare veloce sulla strada che Don Bosco gli consigliò per “farsi santo”, il suo grande sogno: allegria, impegno nella preghiera e nello studio, far del bene agli altri, devozione a Maria. Scelse il santo come confessore e, affinché questi potesse formarsi un giusto giudizio della sua coscienza, volle praticare la confessione generale. Iniziò a confessarsi ogni quindici giorni, poi addirittura ogni otto. Domenico imparò presto a dimenticare se stesso, i suoi capricci ed a diventare sempre più attento alle necessità del prossimo. Sempre mite, sereno e gioioso, metteva grande impegno nei suoi doveri di studente e nel servire i compagni in vari modi: insegnando loro il Catechismo, assistendo i malati, pacificando i litigi. Una volta, in pieno inverno, due compagni di Domenico ebbero la brillante idea di gettare della neve nella stufa dell’aula scolastica. Non appena entrò il maestro, dalla stufa spenta colava un rigagnolo d’acqua. Alla domanda “Chi è stato?”, nessuno fiatò. Si alzarono i due colpevoli per indicare Domenico. Nessuno purtroppo intervenne per dire la verità, così il maestro punì il santo bambino. Uscendo dalla scuola, però, qualcuno vinse la paura ed indicò al maestro i veri colpevoli. Chiamò allora Domenico per chiedergli: “Perché sei stato zitto? Così ho compiuto un’ingiustizia davanti a tutta la classe!”. Domenico replicò tranquillo: “Anche Gesù fu accusato ingiustamente e rimase in silenzio”. Un giorno due suoi compagni di scuola si insultarono e si pestarono. Lanciarono poi una sfida a duello. Domenico, che passava di lì diretto all’Oratorio, vide la scene e si rese immediatamente conto del pericolo. Toltosi dal collo il piccolo crocifisso che portava sempre con se, si avvicinò ai due sfidanti. Gridò loro con fermezza: “Guardate Gesù! Egli è morto perdonando e voi volete vendicarvi, a costo di mettere in pericolo la vita?”. Un giorno spiegò ad un ragazzo appena arrivato all’Oratorio: “Sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri. Facciamo soltanto in modo di evitare il peccato, come un grande nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, di adempiere esattamente i nostri doveri”. Questi sono solo i più salienti aneddoti della vita di Domenico Savio, il cui più grande biografo fu San Giovanni Bosco. L’8 dicembre 1854, quando il beato papa Pio IX proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria,
Domenico si recò dinnanzi all’altare dedicato alla Madonna per recitarle questa preghiera da lui composta: “Maria, ti dono il mio cuore. fa’ che sia sempre tuo. Fammi morire piuttosto che commettere un solo peccato. Gesù e Maria, siate voi sempre i miei amici”. Due anni dopo fondò con un gruppo di amici la “Compagnia dell’Immacolata”: gli iscritti si impegnavano a vivere una vita intensamente cristiana e ad aiutare i compagni a diventare migliori. L’amore a Gesù Eucaristia ed alla Vergine Imma¬colata, la purezza del cuore, la santificazione delle azio¬ni ordinarie e l’ansia di conquista di tutte le anime furono da quel momento il suo principale scopo di vita. Un giorno mamma Margherita, che era scesa a Torino per aiutare il figlio Don Bosco, disse a quest’ultimo: “Tu hai molti giovani buoni, ma nessuno supera il bel cuore e la bell'anima di Savio Domenico. Lo vedo sempre pregare, restando in chiesa anche dopo gli altri; ogni giorno si toglie dalla ricreazione per far visita al Santissimo Sacramento. Sta in chiesa come un angelo che dimora in Paradiso”. Furono principalmente i genitori e Don Bosco, dopo Dio, gli ar¬tefici di questo modello di santità giovanile ancora oggi ammirato in tutto il mondo dai giovani. Nell’estate del 1856 scoppiò il colera, malattia a quel tempo incurabile. Le famiglie ancora sane si barricarono in casa, rifiutando ogni minimo contatto con altre persone. I colpiti dal male morivano abbandonati. Don Bosco pensò di radunare i suoi cinquecento ragazzi, invitando i più coraggiosi ad uscire con lui. Quarantaquattro, tra i ragazzi più grandi, si offrirono subito volontari. Tra di essi in prima fila spiccava proprio Domenico Savio. Ammalatosi anch’egli, dovette fare ritorno in famiglia a Mondonio, dove il 9 marzo 1857 morì fra le braccia dei genitori, consolando la madre con queste parole: “Mamma non piangere, io vado in Paradiso”. Con gli occhi fissi come in una dolce visione, spirò esclamando: “Che bella cosa io vedo mai!”. Pio XI lo definì “Piccolo, anzi grande gigante dello spirito”. Dichiarato eroe delle virtù cristiane il 9 luglio 1933, il venerabile pontefice Pio XII beatificò Domenico Savio il 5 marzo 1950 e, in seguito al riconoscimento di altri due miracoli avvenuti per sua intercessione, lo canonizzò il 12 giugno 1954. Domenico, quasi quindicenne, divenne così il più giovane santo cattolico non martire. I suoi resti mortali, collocati in un nuovo reliquiario realizzato in occasione del 50° anniversario della canonizzazione, sono venerati nella Basilica torinese di Maria Ausiliatrice. E’ patrono dei pueri cantores, nonché dei chierichetti, entrambe mansioni liturgiche che svolte attivamente. Altrettanto nota è la sua speciale protezione nei confronti delle gestanti, tramite il segno del cosiddetto “abitino”, in ricordo del miracolo con cui il santo salvò la vita di una sua sorellina che doveva nascere. La memoria liturgica del santo è stata fissata per la Famiglia Salesiana e per le diocesi piemontesi al 6 maggio, in quanto l’anniversario della morte cadrebbe in Quaresima.
Testimone di conversione: Laura Vicuna Date storiche della vita di Laura Vicuña Laura Carmen Vicuña nacque a Santiago (Cile) nel 1891. Morto improvvisamente ii padre, la mamma si rifugiò con le due figlie in Argentina. Nel 1900 Laura fu accolta nel Collegio delle Figlie di Maria Ausiliatrice dove l'anno seguente fece la Prima Comunione. All'eta' di 10 anni, ad imitazione di Domenico Savio, di cui ave va sentito parlare, volle formulare tre propositi: 1. Mio Dio, voglio amarvi e servirvi per tutta la vita; percio' vi dono la mia anima, il mio cuore, tutto il mio essere. 2. Voglio morire piuttosto che offendervi con il peccato; percio' intendo mortificarmi in tutto cio' che mi allontanerebbe da voi! 3. Propongo di fare quanto so e posso perche' Voi siate conosciuto e amato, e per riparare le offese che ricevete ogni giorno dagli uomini, specialmente dalle persone della mia famiglia. Ci riferisce il primo biografo don Crestanello: "Laura soffriva nel segreto del cuore... Un giorno decise di offrire la vita e accettare volentieri la morte, in cambio della salvezza della mamma. Mi pregò anzi di benedire questo suo ardente desiderio. Io esitai a lungo". Accentuò l'ascesi e, con il consenso del confessore, abbracciò con voto i consigli evangelici. Qundi, avendo appreso dal Vangelo che il vero amore giunge a dare la vita per la persona che si ama, offri la sua vita al Signore per la salvezza della madre.Consunta dai sacrifici e dalla malattia, Laura morì a Junín de los Andes il 22 gennaio 1904 con la gioia di aver portato sua madre al pentimento e alla conversione. Infatti, mentre era sul letto di morte, confido' alla madre che da quasi due anni aveva offerto la sua vita al Signore per la sua redenzione. "Fiore eucaristico di Junin de los Andes, la sua vita fu un poema di candore, di sacrificio, di amore filiale", cosi si legge sulla sua tomba. La sua salma è nella cappella delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Bahía Blanca (Argentina). Il 3 settembre 1988 sul Colle delle beatitudini giovanili, alla presenza di migliaia di giovani partecipanti al Confronto '88 il Papa Giovanni Paolo II l'ha beatificata e l'ha proposta ai giovani quale modello di coerenza evangelica portata fino al dono della vita, per una missione di salvezza. La memoria si celebra il 22 gennaio.
Testimone della fede: Michele Magone (tratto dal sito: santi e beati) E' uno dei tre ragazzi dei quali don Bosco scrisse la vita, s. Domenico Savio (1842-1857), Michele Magone (1845-1859), Francesco Besucco (1850-1864); ed è conosciuto per la sua incredibile vivacità. Tutti e tre morti prematuramente in età adolescenziale; non deve meravigliare se nell’approfondire la conoscenza di tante belle figure di ragazzi e adolescenti, che hanno vivacizzato sin dai primi tempi gli Oratori Salesiani, si apprende che un certo numero siano morti in giovane età e per malattie allora inguaribili. Nell’Ottocento la medicina non era ancora giunta alla conoscenza della patologia di tante malattie allora dilaganti, come la leucemia, setticemia, tubercolosi, malaria, ecc. né tantomeno alle cure appropriate con medicinali ancora da scoprire. La mortalità infantile e in giovane età, era molto elevata e l’aspettativa di vita era sui 50 anni se non di meno; l’assistenza al parto, la vaccinazione generalizzata, la penicillina, l’alimentazione costante, ecc. porteranno decenni dopo in Italia, soprattutto nel Novecento, ad un innalzamento dell’aspettativa di vita, fino ai livelli di oggi oltre i 70 anni. Michele Magone, ragazzo nato a Carmagnola (Torino) il 19 settembre 1845, viveva come un ‘birbante’ come si definiva lui stesso, sempre in mezzo alla strada, orfano di padre, cacciato dalla scuola, difficile a domarsi, povero e abbandonato a sé stesso; a Napoli l’avrebbero definito “uno scugnizzo”. Incontrò s. Giovanni Bosco (1815-1888) mentre il sacerdote ‘pescatore di giovani’, attendeva il treno nella stazione di Carmagnola in una fredda sera di autunno. Era il capobanda di un gruppo di monelli che passavano, intenti ad organizzare qualche brutta mascalzonata, alla vista del sacerdote tutti scapparono, ma lui no e come un generale in erba affrontò l’inaspettato personaggio. Poche frasi scambiate con quel tredicenne scapigliato, bastarono a don Bosco per vedere in lui un’anima preziosa che andava alla deriva. Dovendo prendere il treno in arrivo, gli diede una medaglia e gli disse di rivolgersi al viceparroco per spedirgli sue notizie; incuriosito Michele Magone si recò da don Ariccio a raccontargli l’incontro, il viceparroco visto la medaglia, capì e gli parlò di quel prete che a Torino aveva una grande casa a Valdocco, con centinaia di ragazzi che correvano, si divertivano e imparavano tante cose e se a lui sarebbe piaciuto andarci. Al suo sì don Ariccio con il permesso della madre di Michele, la quale lavorava tutto il giorno per mandare avanti la famiglia, scrisse a don Bosco descrivendo il ragazzo superattivo ma ‘buono di cuore’, e tanto bisognoso di una guida e don Bosco rispose affermativamente di mandarlo a Torino. Così salutata la commossa madre e i compagni di gioco, una mattina salì per la prima volta sul treno per Torino la capitale; l’impatto con l’opera di don Bosco fu positivo, il grande cortile l’attrasse subito e il suo incontenibile entusiasmo per il gioco, specie della “barrarotta” poté avere sfogo. Gli fu dato come di regola, un “angelo custode”, cioè un altro ragazzo più grande già dell’Oratorio, che gli avrebbe dato suggerimenti e l’avrebbe corretto con bontà dei suoi difetti, intemperanze, discorsi volgari, parolacce; Michele l’accettò di buon grado e lo ringraziava ogni volta che era ripreso. A scuola ci andava, certo non di corsa perché bisognava lasciare il gioco; in breve divenne il capitano della sua squadra di ‘barrarotta’ che dalla sua venuta diventò invincibile. Il vivere nell’Oratorio Salesiano era entusiasmante per l’ex monello; ma anche lui come capitò ad altri, un giorno cominciò ad intristire e perdere la vivacità consueta, il suo ‘angelo custode’ se ne accorse e chiese spiegazioni. Non si trattava della crisi nostalgica che dopo un certo tempo assale chi cambia ambiente, vita e compagni; ma di qualcosa di più interiore, la consapevolezza di averne fatte di tutti i colori in quel periodo della prima giovinezza, per cui Michele non si sentiva degno degli altri compagni dell’Oratorio, i quali pregavano la Madonna e si accostavano all’altare per ricevere la Santa Comunione, mentre lui si sentiva sopraffatto dai
rimorsi e dal dolore di non essere come loro. Don Bosco intervenne con il suo fare paterno e materno e riuscì con parole appropriate a condurlo ad una confessione generale, che donò a Michele Magone tanta gioia e serenità. Da quel giorno Gesù divenne il suo amico più importante, il suo carattere diventò più docile, ritornò ad essere “il generale di Carmagnola” nel guidare la sua squadra nel gioco e ad intervenire nelle situazioni scabrose che qualche compagno provocava; se riteneva necessario interveniva anche con i pugni, come quella volta che trovandosi con don Bosco a Piazza Castello di Torino, si azzuffò con violenza con un giovinastro che bestemmiava a più non posso, solo l’intervento del sacerdote riuscì a separarli. Fu tra i premiati, che don Bosco nell’agosto 1858, portò a trascorrere alcuni giorni di vacanza a Morialdo nel Monferrato. Il 18 gennaio 1859 improvvisamente Michele accusò dei dolori allo stomaco, che già in precedenza si erano fatti sentire, ma la cosa non sembrò preoccupante all’infermeria dell’Oratorio. Ma già a sera del 19 gennaio il male si aggravò pesantemente, fu chiamata la mamma e il medico d’urgenza, il quale visto le condizioni di respiro faticoso e pesante, tenendo presente l’impotenza della medicina di allora, sconsolato allargò le braccia. Il 21 Michele era in fin di vita, forse per un’ulcera perforata o una peritonite non si sa, gli fu portato il Viatico e amministrata l’Estrema Unzione e poco prima della mezzanotte, con a fianco don Bosco, con cui scambiò edificanti pensieri superiori ad un ragazzo tredicenne, donò a Dio la sua giovane anima, mentre i compagni pregavano per lui nella Cappella dell’Oratorio.
Testimone della gioia: Chiara Luce Badano “Stare al gioco di Dio”: con queste parole Chiara Badano voleva esprimere il significato della sua vita. Nata a Sassello (SV) il 29 ottobre 1971, fin da piccolina ha ricevuto il dono di incontrare quell’ Amore che riesce a dare senso e valore all’esistenza . Stare al gioco di Dio è riconoscere anzitutto che le scelte del Signore sono quelle che rispondono al nostro bene più grande e perenne; di qui deriva la decisione fondamentale di compiere la volontà divina in tutte le circostanze. Un sì che le dona sicurezza e pace interiore in ogni tratto del suo cammino. Sicura di essere “immensamente amata da Dio”, Chiara manifesta la propria gioia nell’apprezzare le bellezze della natura, il calore affettivo della vita familiare e la lieta esperienza dell’amicizia. È bella, intelligente, allegra e sportiva: una vera leader. Ma la sorgente più profonda della sua per-sonalità va ricercata nell’intenso rapporto con Gesù, alimentato dalla preghiera e dall’Eucaristia. Riesce in tal modo a scoprirlo nel volto di ogni persona, in particolare in chi è più piccolo e povero; sogna di andare come medico in Africa dove prendersi cura dei bambini, per i quali fin da piccola invia i suoi risparmi. Aderisce come “Gen” al movimento dei Focolari e fin da piccola mantiene un’intensa corrispondenza con la fondatrice, Chiara Lubich. Vive appassionatamente la spiritualità di “Dio Amore”, per un mondo sempre più unito. Per conoscere meglio la figura di Chiara si rimanda al suo sito: http://www.chiaralucebadano.it
Testimone della Non Violenza: Mohandas Karamchard Gandhi (tratto dal sito: giovani e missione) Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (soprannome datogli dal poeta indiano R.Tagore che in sanscrito significa “Grande Anima”), è il fondatore della nonviolenza e il padre dell’indipendenza indiana. Nasce a Portbandar in India il 2 ottobre 1869. Dopo aver studiato nelle università di Ahmrdabad e Londra ed essersi laureato in giurisprudenza, esercita brevemente l’avvocatura a Bombay. Nel 1893 si reca in Sud Africa con l’incarico di consulente legale per una ditta indiana e vi rimane per 21 anni. Qui si scontra con una realtà terribile, in cui migliaia di immigrati indiani sono vittime della segregazione razziale. L’indignazione per le discriminazioni razziali subite dai suoi connazionali (e da lui stesso) da parte delle autorità britanniche, lo spingono alla lotta politica. Il Mahatma si batte per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti e dal 1906 lancia, a livello di massa, il suo metodo di lotta basato sulla resistenza nonviolenta- “satyagraha”: una forma di non- collaborazione radicale con il governo britannico, concepita come mezzo di pressione di massa. Gandhi giunge all’uguaglianza sociale e politica tramite le ribellioni pacifiche e le marce. Alla fine, infatti, il governo sudafricano attua importanti riforme a favore dei lavoratori indiani (eliminazione di parte delle vecchie leggi discriminatorie, riconoscimento ai nuovi immigrati della parità dei diritti e validità dei matrimoni religiosi). Nel 1915 Gandhi torna in India, dove circolano già da tempo fermenti di ribellione contro l’arroganza del dominio britannico (in particolare per la nuova legislazione agraria, che prevedeva il sequestro delle terre ai contadini in caso di scarso o mancato raccolto, e per la crisi dell’artigianato). Egli diventa il leader del Partito del Congresso, partito che si batte per la liberazione dal colonialismo britannico. - 1919: prima grande campagna satyagraha di disobbedienza civile, che prevede il boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte. Il Mahatma subisce un processo ed è arrestato. - 1921: seconda grande campagna satyagraha di disobbedienza civile per rivendicare il diritto all’indipendenza. Incarcerato, rilasciato, Gandhi partecipa alla Conferenza di Londra sul problema indiano, chiedendo l’indipendenza del suo paese. - 1930: terza campagna di resistenza. La marcia del sale: disobbedienza contro la tassa sul sale (la più iniqua perché colpiva soprattutto le classi povere). La campagna si allarga con il boicottaggio dei tessuti provenienti dall’estero. Gli inglesi arrestano Gandhi, sua moglie e altre 50.000 persone. Spesso incarcerato negli anni successivi, la “Grande Anima” risponde agli arresti con lunghissimi scioperi della fame (importante è quello che egli intraprende per richiamare l’attenzione sul problema della condizione degli intoccabili, la casta più bassa della società indiana). All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Gandhi decide di non sostenere l’Inghilterra se questa non garantisce all’India l’indipendenza. Il governo britannico reagisce con l’arresto di oltre 60.000 oppositori e dello stesso Mahatma, che è rilasciato dopo due anni. Il 15 agosto 1947 l’India conquista l’indipendenza. Gandhi, però, vive questo momento con dolore, pregando e digiunando. Il subcontinente indiano è diviso in due stati, India e Pakistan, la cui creazione sancisce la separazione fra indù e musulmani e culmina in una violenta guerra civile che costa, alla fine del 1947, quasi un milione di morti e sei milioni di profughi. L’atteggiamento moderato di Gandhi sul problema della divisione del paese suscita l’odio di un fanatico indù che lo uccide il 30 gennaio 1948, durante un incontro di preghiera.
Testimone dell’aiuto gratuito: Agnes Gonxha Bojaxhiu (tratto dal sito: wikipedia) Nata in una benestante famiglia albanese, di religione cattolica a Scopje in Macedonia, la giovane Agnes era la minore dei tre figli di Nikola e Drane Bojaxhiu. All'età di otto anni perse il padre e la sua famiglia soffrì di gravi difficoltà finanziarie. Partecipò a partire dall'età di quattordici anni, a gruppi di carità organizzati dalla sua parrocchia e nel 1928, a diciotto anni, decise di prendere i voti entrando come aspirante nelle Suore di Nostra Signora di Loreto. Inviata nel 1929 in Irlanda a svolgere la prima parte del suo noviziato, nel 1931, dopo aver preso i voti perpetui e assunto il nome di Maria Teresa, ispirandosi a Santa Teresa di Lisieux partì per l'India per completare i suoi studi. Diventò insegnante presso il collegio cattolico di St. Mary's High School di Entally, sobborgo di Calcutta, frequentato sopratutto dalle figlie dei coloni inglesi. Negli anni che trascorse alla St. Mary si distinse per le sue innate capacità organizzative, tanto che nel 1944 fu nominata direttrice. La fondazione delle Missionarie della Carità L'incontro con la povertà drammatica della periferia di Calcutta spinge la giovane Teresa ad una profonda riflessione interiore: ebbe, come scrisse nei suoi appunti, "una chiamata nella chiamata". Nel 1948 ebbe l'autorizzazione dal Vaticano ad andare a vivere da sola nella periferia della metropoli, a condizione che continuasse la vita religiosa. Nel 1950, fonda la congregazione delle Missionarie della carità, la cui missione era quella di prendersi cura dei "più poveri dei poveri" e "di tutte quelle persone che si sentono non volute, non amate, non curate dalla società, tutte quelle persone che sono diventate un peso per la società e che sono rifuggite da tutti". Le prime aderenti furono dodici ragazze, tra cui alcune sue ex allieve alla St. Mary. Stabilì come divisa un semplice sari bianco a strisce azzurre, che pare fu scelto da Madre Teresa perché era il più economico fra quelli in vendita in un piccolo negozio. Si trasferì in un piccolo fabbricato che chiamò Casa Kalighat per i morenti, donatogli dall'arcidiocesi di Calcutta. La vicinanza ad un tempio indù, provoca la dura reazione di questi ultimi che accusano Madre Teresa di proselitismo e cercano con massicce dimostrazioni di allontanarla. La polizia, chiamata dalla missionaria, forse intimorita dalle violente proteste, decide arbitrariamente di arrestare Madre Teresa. Il commissario entrato nell'ospedale e pare dopo aver visto le cure che essa amorevolmente dava ad un bambino mutilato, decise di lasciar perdere. Col tempo, però il rapporto fra Madre Teresa e gli indiani si rafforzò e anche se le incomprensioni rimasero, si giunse ad una convivenza pacifica. Poco dopo aprì un altro ospizio, il Nirmal Hriday (cioè Cuore Puro), poi ancora una casa per lebbrosi chiamata Shanti Nagar (cioè Città della Pace) e infine un orfanotrofio. L'Ordine cominciò presto ad attirare sia "reclute" che donazioni caritatevoli da parte di cittadini occidentali, e dagli anni '60 ha aperto ospizi, orfanotrofi e case per lebbrosi in tutta l'India. La fama mondiale e l'espansione internazionale dell'Ordine La fama internazionale di Madre Teresa crebbe enormemente dopo un fortunato servizio della BBC del 1969 titolato "Qualcosa di bello per Dio" e realizzato dal noto giornalista Malcom Muggeridge. Il servizio documentò il lavoro delle suore fra i poveri di Calcutta ma durante le riprese alla Casa per i Morenti, a causa delle scarse condizioni di luce, si ritenne che la pellicola si potesse essere rovinata. Invece lo spezzone, quando fu inserito nel montaggio, apparve ben illuminato. I tecnici sostennero che fu merito del nuovo tipo di pellicola utilizzato ma Muggeridge si dichiarò convinto che fu un miracolo, che fu la luce divina che Madre Teresa effondeva ad illumare il video. Poco dopo lo stesso giornalista si convertì al cattolicesimo. Il documentario, grazie anche al presunto miracolo, ebbe un successo straordinario che portò alla ribalta delle cronache la figura di Madre Teresa. Nel febbraio del 1965, Papa Paolo VI concesse alle Missionarie della Carità, il titolo di "congregazione di diritto pontificio" e la possibilità di espandersi anche fuori dall'India.
Nel 1967 fu aperta una casa in Venezuela, a cui segurono sedi in Africa, Asia, Europa, Stati Uniti nel corso di tutti gli anni Settanta e Ottanta. L'Ordine si ampliò con la nascita di un ramo contemplativo e di due organizzazioni laicali, aperte cioè anche ai laici. Nel 1981 fu fondato il movimento Corpus Christi aperto ai sacerdoti secolari. Nel 1979, ottenne infine, il riconoscimento più prestigioso: il Premio Nobel per la Pace. Rifiutò il convenzionale banchetto cerimoniale per i vincitori, e chiese che i 6000 dollari di fondi fossero destinati ai poveri di Calcutta, che avrebbero potuto essere sfamati per un anno intero: "le ricompense terrene sono importanti solo se utilizzate per aiutare i bisognosi del mondo". Alle numerose domande dei giornalisti rispose nel modo ironico e provocatorio che la caratterizzò sempre e dopo aver ricevuto il premio, attaccò duramente l'aborto definendolo il più grande distruttore di pace perché "se una madre può uccidere suo figlio allora niente potrà impedire a me di uccidere te e a te di uccidere me". Gli anni ottanta e novanta Nel corso degli anni Ottanta nasce l'amicizia fra Giovanni Paolo II e Madre Teresa i quali si ricambiano visite reciproche. Grazie all'appoggio di Papa Wojtyła, Madre Teresa riuscì ad aprire ben tre case a Roma, fra cui una mensa nella Città del Vaticano dedicata a Santa Marta, patrona dell'ospitalità. Negli anni Novanta, le Missionarie della Carità superarono le quattromila unità con cinquanta case sparse in tutti i continenti. L'uomo è irragionevole, illogico, egocentrico NON IMPORTA, AMALO Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici NON IMPORTA, FA' IL BENE Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici NON IMPORTA, REALIZZALI Il bene che fai verrà domani dimenticato NON IMPORTA, FA' IL BENE L'onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile NON IMPORTA, SII FRANCO E ONESTO Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo NON IMPORTA, COSTRUISCI Se aiuti la gente, se ne risentirà NON IMPORTA, AIUTALA Da' al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci NON IMPORTA, DA' IL MEGLIO DI TE (madre Teresa – una sua poesia)
Testimone della Speranza: Giovanni Paolo II (tratto dal sito: wikipedia) Giovanni Paolo II, (Wadowice, 18 maggio 1920 - Città del Vaticano, 2 aprile 2005), è stato il 264° papa della Chiesa cattolica (il 263° successore di Pietro), nonché vescovo della città di Roma e sovrano dello Stato Vaticano. Fu eletto al soglio di Pietro il 16 ottobre 1978. Il 2 aprile 2007, a conclusione della prima fase del suo processo di canonizzazione, gli è stato conferito il titolo di servo di Dio (Servus Dei Ioannes Paulus II). Primo papa non italiano dopo 455 anni, cioè dai tempi dell'olandese Adriano VI (1522 - 1523), è stato inoltre il primo pontefice polacco, e slavo in genere, della storia. Giovanni Paolo II intraprese sin dal principio del suo pontificato una vigorosa azione politica e diplomatica contro il comunismo e l'oppressione politica, ed è considerato uno degli artefici del crollo dei sistemi del socialismo reale, già controllati dall'ex Unione Sovietica. Combatté la Teologia della Liberazione, intervenendo ripetutamente in occasioni di avvicinamenti di alcuni esponenti del clero verso soggetti politici dell'area marxista. Stigmatizzò inoltre il capitalismo sfrenato e il consumismo, considerati antitetici alla ricerca della giustizia sociale, causa di ingiustificata sperequazione fra i popoli e, per taluni effetti, lesivi della dignità dell'uomo. Nel campo della morale, si oppose fermamente all'aborto e confermò l'approccio tradizionale della Chiesa sulla sessualità umana, sul celibato dei preti, sul sacerdozio femminile. I suoi più di 100 viaggi in tutto il mondo videro la partecipazione di enormi folle (tra le più grandi mai riunite per eventi a carattere religioso). Con questi viaggi apostolici, Giovanni Paolo II coprì una distanza molto maggiore di quella coperta da tutti gli altri papi messi assieme. Questa grande attività di contatto (anche con le generazioni più giovani, con la creazione delle Giornate Mondiali della Gioventù) fu da molti interpretata come segno di una seria intenzione di costruire un ponte di relazioni tra nazioni e religioni diverse, nel segno dell'ecumenismo, che era stato uno dei punti fermi del suo papato. Sul piano dei rapporti con l'Italia, i viaggi sottolinearono l'intenzione di separare l'aspetto politico da quello religioso, come il Pontefice stesso tenne a sottolineare, due anni dopo la revisione del Concordato, nel 1986, a Forlì, ricordando che il precedente Papa a visitare quella città era stato Pio IX, in veste anche di capo di Stato: "Da allora, la situazione politica è profondamente mutata, ed è stata come tale ufficialmente riconosciuta dalla Chiesa". Papa Wojtyła beatificò e canonizzò molte più persone di ogni altro pontefice: si calcola che le persone da lui beatificate (all'11 ottobre 2003) erano 1338[3] e canonizzate (sempre ad ottobre 2003) circa 482[4], mentre i prededessori nell'arco dei quattro secoli precedenti hanno proclamato soltanto 300 santi[3]. Il 14 marzo 2004 il suo pontificato superò quello di Leone XIII come terzo pontificato più lungo della storia (dopo Pio IX e San Pietro). La lunghezza del papato di Karol Wojtyła fu in marcato contrasto con quella del suo immediato predecessore, Giovanni Paolo I, che morì improvvisamente dopo soli 33 giorni di ufficio (e in memoria del quale Giovanni Paolo II scelse il proprio nome). Altro su Giovanni Paolo II sul sito: http://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Giovanni_Paolo_II
Testimone della Giustizia: Padre Pino Puglisi (tratto dal sito: giovani e missione) Don Giuseppe Puglisi nasce nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta, e viene ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno. Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e viene ordinato sacerdote dal Cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi. Nel 1967 è nominato) cappellano presso l’Istituto per orfani di lavoratori «Roosevelt» e vicario presso la parrocchia Maria SS.ma Assunta Valdesi. Sin da questi primi anni segue con attenzione i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città. Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo - segnato da una sanguinosa faida - dove rimane fino al 31 luglio 1978 riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono. In questi anni segue anche le battaglie sociali di un’altra zona della periferia orientale della città, lo «Scaricatore». Il 9 agosto 1978 è nominato pro- rettore del Seminano minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno seguente direttore del Centro Diocesano Vocazioni. Nel 1983 diventa responsabile del Centro Regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli studenti e ai giovani del Centro Diocesano Vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano. Don Giuseppe Puglisi è stato docente di matematica e poi di religione presso varie scuole. Ha insegnato al liceo classico Vittorio Emanuele II a Palermo dal 78 al 93. Dal 23 aprile 1989 sino alla morte svolse il suo ministero sacerdotale presso la Casa Madonna dell’accoglienza dell’Opera Pia Card. E. Ruffini in favore di giovani donne e ragazze in difficoltà. Nel 1992 assume l’incarico di direttore spirituale nel Seminario Arcivescovile di Palermo. A Palermo e in Sicilia è stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui Presenza del Vangelo, Azione Cattolica, Fuci, Equipe Notre Dame. Il 29 settembre 1990 è nominato parroco della Parrocchia S. Gaetano di Brancaccio. L’annunzio di Gesù Cristo desiderava incarnarlo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana. La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede. Questa sua attività pastorale come è stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie ha costituito un movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati. Nel ricordo del suo impegno, scuole, centri sociali, strutture sportive, strade e piazze a lui sono state intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia. A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l’apertura dell’anno pastorale della diocesi di Palermo. Il 15 settembre 1999 il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio di don Giuseppe Puglisi, presbitero della Chiesa Palermitana. La sua vita e la sua morte sono state testimonianze della sua fedeltà all’unico Signore e hanno disvelato la malvagità e l’assoluta incompatibilità della mafia con il messaggio evangelico.
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