Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare

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Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare
Far Cry New Dawn, la saga
diventa post nucleare
Far Cry New Dawn, nuovo capitolo della saga targata Ubisoft
per Pc, Xbox One e Ps4, ha inizio 17 anni dopo l’apocalisse
nucleare e la dittatura religiosa dello pseudo messia Joseph
Seed vista in Far Cry 5 (qui la nostra recensione). In questo
contesto post atomico un nuovo motivo di speranza di tornare
alla vita ha bisogno di crescere tra le neonate comunità che
stanno provando a ripopolare la superficie del pianeta, ma la
rinascita è lenta e pericolosa. La natura ha già compiuto il
suo rapido decorso dalla distruzione, per diventare rigogliosa
e rifiorita. Attorno a Kim Rye e Tom Rush, la base Prosperity
accoglie il punto di partenza per la rinascita, ma anche per
la strenua opposizione al dominio militare delle perfide
gemelle, a capo dei perfidi “Guerrieri della Strada”. Tra loro
vige la legge del più forte in cui ognuno può giocare due
parti: quella del piantagrane, o quella di chi risolve i
problemi. Ai primi è riservata la morte, agli altri, invece,
Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare
un’opportunistica sopravvivenza. Il giocatore vestirà i panni
del braccio destro di Rush, a scelta uomo o donna con un
minimo di personalizzazione estetica, e sarà suo compito
guidare la rivincita di Prosperity e dell’intera Hope County.
La storia e le avventure, svolgendosi nella stessa mappa del
quinto capitolo, sono strettamente legate a personaggi e
luoghi già visti nel precedente capitolo, ma mutati dal
disastro nucleare. Riferimenti, in parte anche i personaggi,
sono presi proprio da lì e chi l’ha giocato avrà una maggior
soddisfazione nel percorrerne gli eventi. L’avventura si
svolge per un totale di 22 missioni principali e circa una
dozzina di ore per il completamento del titolo qualora ci si
dedichi esclusivamente alla campagna. Detto ciò è bene
precisare che il numero di ore che Far Cry New Dawn offre,
volendo completare tutte le sfide, le sottoquest e trovando
tutti i collezionabili, aumenta di molto.

Svolgere tutte queste attività ovviamente sbloccherà tutta
una serie di vantaggi che renderanno il proprio alter ego
virtuale sempre più
forte e pronto ad affrontare la minaccia dei Guerrieri della
Strada con maggior
possibilità di sopravvivenza. Una volta iniziata l’avventura e
aver affrontato
una breve introduzione ci si troverà nella città di
Prosperity. Il villaggio Diviso
in diverse aree fungerà da hub centrale dove è comodo trovare
conforto dopo
ogni missione impegnativa, sia per rifocillarsi e rifornirsi
di munizioni, sia
per spendere le risorse accumulate durante l’azione. Da subito
quindi Far Cry New
Dawn pone il giocatore di fronte al nuovo sistema di gestione
della fazione:
Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare
tutto, da Prosperity, alle armi, passando per veicoli e
nemici, si divide in
quattro livelli di rarità e forza. Recuperare oggetti utili
dalle macerie
dell’apocalisse, altro elemento immancabile in questo filone,
servirà per
assemblare l’arsenale sempre più potente, anche se la moneta
più preziosa nel
mondo Far Cry New Dawn è l’etanolo. Questo elemento è
ottenibile sottraendolo
ai cattivi di turno che lo conservano negli Avamposti, marchio
di fabbrica
della serie, che vanno ripuliti e riconquistati. Aperti i
cancelli di
Prosperity, quello che una volta era il regno di Joseph Seed
si mostra in tutta
la sua maestosità. La natura, come detto, ha preso il
sopravvento e pervade
tutto il territorio di gioco in modo ancor più spettacolare
che in precedenza.
Le strade sterrate che connettono i vari punti di interesse
sono circondate da fitti
boschi e lunghi corsi d’acqua, portando su schermo una grossa
mole di dettagli.
La mappa di gioco, che anche stavolta richiede la sola
esplorazione per essere
scoperta, stupisce più per densità e qualità che per
dimensioni, ma comunque
resta un territorio abbastanza vasto da scoprire e soprattutto
offre tantissimi
luoghi e segreti da scoprire. In Far Cry New Dawn il crafting
e la raccolta di
risorse sono i principali cambiamenti di questo capitolo,
assieme
all’introduzione di alcuni elementi GdR sulla falsa riga di
quanto visto negli
ultimi capitoli di Assassin’s Creed. Sotto questo aspetto
Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare
l’ultimo capitolo
della saga di Ubisoft diverte e coinvolge, soprattutto grazie
al bilanciamento
dei livelli armi/nemici che permettono uccisioni immediate. Di
pari passo c’è
anche la progressione del personaggio, che grazie
all’ottenimento di “Punti
Tratto” può sviluppare diverse abilità, alcune anche
cumulabili, che concorrono
a rendere il gioco più accessibile anche nel momento in cui la
difficoltà
s’impenna, soprattutto per chi si prefissa fin da subito di
esplorare tutta la
mappa. Questi punti “esperienza” si ottengono principalmente
completando le
sfide del gioco, ma anche correndo al salvataggio dei civili
caduti nelle
grinfie dei Guerrieri della Strada e risolvendo gli enigmi
legati alla scoperta
di alcuni tesori sparsi ovunque in Hope County.

Nella sua semplicità, questo approccio
che strizza l’occhio ai GdR funziona bene lungo corso
dell’avventura, ma non
porta alcuna grande innovazione. Purtroppo infatti la
sensazione generale che
si ha è quella di un qualcosa che sa di già visto e pur
rinvigorendo quella
struttura comprovata da anni all’interno della serie, è molto
facile
raggiungerne l’apice. In questo aiutano gli Avamposti e le
Spedizioni, soggetti
a loro volta alla progressione per livelli. Entrambi hanno
l’utile funzione di far
Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare
guadagnare risorse in gran quantità e ogni volta che sono
completati saliranno
di grado, aumentando la difficoltà in virtù di un successivo
ritorno. La
completa libertà di approccio permette al giocatore di
affrontare le situazioni
come meglio preferisce e, tirando le somme, risultano essere
molto più
coinvolgenti degli eventi principali. Detto ciò, è innegabile
che Far Cry New
Dawn sia un buon gioco, abbastanza lungo da godere e che offre
un buon livello
di sfida. Purtroppo però, se si è appassionati della serie, la
sensazione che
si avverte è quella di star giocando a qualcosa di già visto.
Infatti,
nonostante le novità sopracitate, il gioco risulta essere un
clone migliorato
dei suoi predecessori. Discorso diverso invece va fatto se non
si è mai giocato
ai titoli precedenti della serie, ma visto il successo di
quest’ultima, è
davvero difficile    pensare   che   qualcuno   non   abbia   mai
affrontato uno dei tanti
titoli del franchise. A livello narrativo il gioco si attesta
su un buon
livello, però, al di là di chiudere quanto lasciato in sospeso
nel quinto
capitolo e presentare un paio di momenti interessanti, la
scrittura non
raggiunge gli ottimi livelli visti nel capitolo precedente.
Essere il sequel di
Far Cry 5 pone New Dawn in un confronto diretto, che viene
però perso su quasi
tutti i fronti. Il carisma oscuro di John Seed e dei due
fratelli, motivato dai
deliri di onnipotenza, vince a mani basse rispetto alla
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cattiveria fine a sé
stessa delle gemelle Lou e Mickey, mosse dalla semplice
volontà di comandare e
arricchirsi quanto più possibile in questo nuovo mondo, che
quasi faticano a
trovare ragioni per schierarsi contro gli abitanti di
Prosperity.

Ubisoft avrebbe potuto far leva sull’ottima
reinterpretazione dello scenario post-apocalittico per
renderlo innovativo,
diverso da tante altre opere, ma si perde tra l’ambientazione
semplicemente
rivisitata e una fazione nemica vista e rivista in tanti altri
videogame del
genere “dopo bomba”. Dopo cinque capitoli principali, due spin
off, e molti
DLC, si ha la sensazione che Far Cry abbia bisogno di crescere
e rinnovarsi per
portarsi su un nuovo livello, proprio come ha fatto la saga di
Assassin’s Creed.
A livello tecnico Far Cry New Dawn poggia le sue basi sullo
stesso motore che
un anno fa ha spinto il quinto capitolo canonico della serie.
Rispetto a quanto
visto in passato, la sensazione che si ha è che i
programmatori abbiano
preferito sacrificare un po’ di dettaglio generale, tra
modelli e texture, in
cambio di una maggiore solidità e di un lavoro
sull’ambientazione di alto
livello. La rifioritura è sostenuta da una vegetazione
decisamente più
rigogliosa, da filtri cromatici accattivanti e da particellari
Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare
più puliti. Gli
effetti sonori sono presi in larghissima parte dal
predecessore, ma un ottimo
lavoro è stato svolto sulla scelta dei brani, davvero
azzeccata in molte
occasioni, con tracce famose incastrate nel momento giusto al
posto giusto.
Tirando le somme, questo Far Cry New Dawn, nonostante non
lasci a bocca aperta
per quanto riguarda le novità, è un titolo di tutto rispetto,
ambientato in un
universo molto ben caratterizzato e che garantisce la
possibilità di divertirsi
per un buon numero di ore. Il titolo è perfettamente godibile
sia da chi è fan
sfegatato della serie, sia da chi si avvicina al franchise di
Ubisoft per la
prima volta. La grande giocabilità, l’intuitività dei comandi
e un mondo vivo e
reattivo sono le qualità che rendono il software un videogame
nel complesso
solido seppur non perfetto. Alla luce di quanto detto, se si è
alla ricerca di
uno shooter che sposa, anche se in minima parte, alcune
meccaniche da Gdr, Far
Cry New Dawn è sicuramente un’esperienza da provare.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8,5
Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare
Gameplay: 7,5

Longevità: 7,5

VOTO FINALE: 8

Francesco Pellegrino Lise

Il Cd compie 40 anni e si
avvia verso la “pensione”
Nel lontano 8 marzo del 1979 la Philips presentava il primo
cd. Tale supporto era destinato a rivoluzionare l’ascolto e
Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare
soprattutto la memorizzazione digitale delle informazioni.
Adesso il compact disc è ormai in declino per l’arrivo dei
nuovi formati digitali come lo streaming e l’archiviazione
dati nel cloud. Il declino di tale supporto è sancito in
Italia dall’uscita del Cd dal paniere Istat, che annovera i
beni e i servizi più acquistati. E negli Usa dalla chiusura
nel 2018 dell’ultima fabbrica che li produceva. Di fatto la
progettazione del Cd nella sua configurazione definitiva
risale al 1979 e si deve ad una joint venture della Philips
con l’azienda giapponese Sony, che già dal 1975 stava
sperimentando in modo indipendente la tecnologia per un disco
ottico digitale. Un accordo tra la casa giapponese e quella
olandese portò alla definizione dello standard per il compact
disc, che prevedeva dischi di 12 centimetri e una risoluzione
di 16 bit, e al lancio definitivo. Parlando un po’ di storia,
a sancire il successo del cd fu il direttore d’orchestra
Herbert Von Karajan che con i Berliner Philharmoniker è
protagonista del primo disco registrato con il nuovo formato,
mentre il primo album pop pubblicato su questo supporto è 52nd
Street di Billy Joel. Nel 1990 l’intero settore dei Cd supera
i 33 giri. Nel 2007, quando già l’mp3 è una realtà da diversi
anni, si contano 200 miliardi di compact disc venduti nel
mondo. E proprio l’mp3 e piattaforme come Napster e
successivamente lo streaming di Spotify saranno determinanti
per il declino del Compact disc, mai amato davvero dagli
appassionati di musica per la qualità del suono, con il 2015
che verrà ricordato come l’anno in cui i formati “immateriali”
hanno superato quelli fisici. Anche il suo utilizzo nel
settore informatico crolla per il sopravvento delle chiavette
usb, capienti e meno ingombranti, o di sistemi come wetransfer
che permettono il trasferimento online di dati, video e foto
in maniera veloce. Ma non è detto che fra qualche anno i cd
non saranno destinati a tornare, infatti attualmente i suoi
predecessori, dischi in vinile e musicassette, si sono
recentemente presi la loro rivincita e sono tornati ad essere
richiesti. Nel 2018 hanno fatto registrare aumenti delle
vendite a due cifre, come riporta l’indagine della società
specializzata BuzzAngle. In ogni caso, che sia destinato a
sparire o a tornare in voga fra qualche anno non possiamo che
augurare buon compleanno al cd.

F.P.L.

Jump Force, i manga più noti
diventano un picchiaduro
Jump Force, il nuovo titolo prodotto da Bandai Namco e
sviluppato da Spike Chunsoft, è finalmente arrivato su Pc, Ps4
e Xbox One. Il gioco ha la caratteristica di unire ben 42
lottatori appartenenti alle saghe che hanno fatto la storia
del fumetto giapponese e di renderli dei lottatori formidabili
tutti da giocare. Tra Dragon Ball, One Piece, Ken il
Guerriero, i Cavalieri dello Zodiaco, Naruto, City Hunter e
molti altri, c’è davvero l’imbarazzo della scelta per chiunque
sia cresciuto a pane e manga. Non a caso il videogame è uscito
nell’anno del 50esimo anniversario di Weekly Shōnen Jump,
conosciuta anche semplicemente come Shōnen Jump. Per chi non
lo sapesse stiamo parlando di una delle più longeve testate
settimanali di manga pubblicate in Giappone che vanta milioni
di fan in tutto il mondo. Tale successo è dovuto al fatto che
la maggior parte delle avventure che pubblica sono arrivate
anche in occidente e in Italia, sia in formato cartaceo che
nelle loro trasposizioni video in forma di anime. Detto ciò,
veniamo alla trama dell’ultimo prodotto Bandai Namco: Jump
Force ha inizio con la creazione del proprio alter ego
virtuale tramite un editor di personaggi non troppo complesso.
Una volta creato l’eroe che accompagnerà il giocatore lungo la
“campagna”, il quale grazie a un cubo magico riceverà gli
stessi poteri degli eroi dei manga, verrà chiesto di entrare a
far parte di uno tra tre team: il team Dragonball, il team
Naruto e il team One Piece. La scelta non è per niente tecnica
o strategica, bensì legata a quali personaggi animati si è più
affezionati. I guerrieri hanno infatti tutti meccaniche di
combattimento simili, con le mosse speciali che però
differiscono molto fra loro. Dopo un breve tutorial che serve
a spiegare l’esecuzione delle combo base e delle mosse
avanzate e speciali, i giocatori vengono catapultati nella
base della J-Force, un mondo vivo dove si trovano tanti NPC e
giocatori reali da tutto il mondo con cui interagire, negozi,
punti di interesse e chioschetti dove avviare missioni e
battaglie offline e online.

Benché chi si trova
dinanzi lo schermo possa muoversi abbastanza liberamente già
dopo il tutorial,
e avviare ad esempio battaglie offline o con giocatori in
rete, alcune sezioni
sono bloccate e richiedono l’avanzamento nella storia single-
player. Quest’ultima
però è il vero e proprio punto dolente del gioco. Essa infatti
è piuttosto
banale e man mano che si prosegue propone una serie di
missioni troppo simili
fra loro e ripetitive in successione, intermezzate da scene
con audio in
giapponese. La storia lega le battaglie l’una con l’altra ma
la narrazione
appare a volte forzata e frammentaria. Alcuni scontri si
affronteranno con il
proprio alter-ego e altre con uno dei personaggi degli anime,
mentre altre
ancora con un team di tre lottatori. In questo modo si avverte
una sensazione
di varietà che nello stesso tempo però mina alla continuità
dello schema di
combattimento. Il titolo a livello d’identità può essere
definito un
picchiaduro con tendenze rpg-free      roaming,   infatti   la
progressione è legata agli
eventi della storia single-player che permettono pian piano di
sbloccare
lottatori e skill. Nelle pause tra ogni battaglia i giocatori
sono liberi di
girare per il mondo di gioco affrontando battaglie offline e
online con
matchmaking, o affrontando gli altri player che girano liberi
per la base.
Inoltre, nei negozi è possibile acquistare abilità, tecniche e
oggetti
cosmetici per potenziare il proprio eroe. Le skill possono
essere livellate
anch’esse. A volte quindi si avverte una sensazione di
smarrimento e
ridondanza, che può risultare fastidiosa per chi volesse
semplicemente buttarsi
nella lotta come ci si aspetterebbe da un gioco di questo
genere. Per chi non
fosse particolarmente interessato alla storia, comunque, è
sempre possibile
dedicarsi alle sole battaglie in single e multiplayer, anche
se il gioco perde
molto della sua appetibilità.

A livello di combat
system Jump Force è un gioco poco tecnico che si riduce molto
spesso a un
button smashing sfrenato. Per capirci meglio, sulla versione
Xbox da noi
testata l’attacco impeto, eseguibile con tasto X è quello
“debole”, mentre
quello pesante si esegue con Y. Essi possono essere combinati
tra loro o si può
premere ripetutamente il medesimo tasto per realizzare le
combo, più rapide e
meno efficaci le prime, più lente e letali le seconde. Il
numero di attacchi
concatenabili dipende da personaggio ma, nel complesso, si ha
la sensazione
che, in tali azioni, la differenza tra i lottatori sia davvero
minima, così
come per le proiezioni, attivabili premendo B, utili per
danneggiare
l’avversario quando mantiene la guardia che si attiva con RB.
La basilare
mappatura dei comandi permette ovviamente il salto utilizzando
il tasto A, lo
scatto con LB, lo switch tra i membri del team tramite la
pressione di LT e la
ricarica della barra di energia con RT che consente di
eseguire le mosse
speciali combinando il grilletto destro + frontali. Il tutto
non richiede
particolari predisposizioni o abilità con i picchiaduro e
risulta, nel pieno
animo fan-service dell’opera, accessibile anche a chi vuole
cimentarsi con Jump
Force solo per amore dei propri beniamini. I virtuosismi, in
realtà, sono
permessi, quanto meno sulla carta: schivate, combinazioni tra
attacchi classici
e speciali, switch durante le combo, ragionamenti sugli
attacchi elementali,
etc… dovrebbero consentire anche ai più abili di sfruttare il
combat system con
maggior profondità. In realtà, a causa delle ridottissime
finestre temporali
per l’attivazione, ad esempio, di un contro-attacco e per via
della confusione
che si viene a creare sullo schermo, si fa grande fatica a
cogliere gli attimi
necessari per compiere i “virtuosismi” e si finisce ad optare
per la pressione
compulsiva delle mosse più semplici. Tanto più vista l’entità
importante del
danno arrecato da un comodissimo attacco impeto che va a segno
nella sua combo
completa.

Per quanto concerne
il comparto tecnico, Jump Force presenta delle animazioni
molto curate nelle
sequenze di lotta, ma quelle delle cut-scene e dei dialoghi
sono a volta
grossolane e sembrano realizzate in fretta, con qualche
problema di
sincronizzazione fra il movimento delle labbra e il parlato.
Il gioco gira
abbastanza fluidamente a 30fps e per il tipo di azione che
offre è più che
adeguato. Quando ci sono molti giocatori in lobby abbiamo però
riscontrato
qualche problema di lag. Per quanto riguarda i dialoghi, essi
sono in inglese o
giapponese, a second del gusto dell’utente. Mentre gli effetti
sonori sono
assolutamente fedeli a quelli che si possono ascoltare negli
anime. Uno degli
aspetti più allettanti è sicuramente la personalizzazione dei
combattenti. Si
possono applicare tatuaggi, segni distintivi, costumi e
accessori appartenenti
ai vari personaggi dei manga. Ovviamente, più si conoscono le
differenti serie
ed i relativi personaggi, e più questo ambito acquisisce
appetibilità.
All’inizio ci sarà ben poco da applicare per customizzare
l’avatar ma, man mano
che si accumulano punti, si potranno acquistare nuovi oggetti
e rendere il
proprio personaggio davvero unico. L’accesso giornaliero al
gioco, inoltre,
premia i giocatori più assidui con ulteriori punti da
spendere. Tirando le
somme, Jump Force, visto il grande potenziale e i milioni di
fan del genere è
un titolo che poteva dare assolutamente di più. Lottatori
bilanciati male,
meccaniche estremamente semplicistiche e un livello di sfida
tarato verso il
basso da una parte, tutti i personaggi più amati dai fan dei
migliori manga di
Shōnen Jump e un buon comparto grafico dall’altra, Jump Force
è il tipico
esempio videoludico dell’occasione sprecata. Quello che sulla
carta poteva
infatti essere il crossover definitivo finisce invece per
inciampare su quelli
che sono gli elementi base di qualsiasi picchiaduro che si
rispetti: la
giocabilità e il bilanciamento generale tra i lottatori. Anche
l’aspetto
grafico in 3D non rende giustizia al titolo trasformando i
personaggi quasi in
action figures non sempre belle da vedere e poco espressive.
Magari uno stile
grafico più platform, come quello visto nel bellissimo Dragon
Ball FighterZ, a
nostro avviso avrebbe reso giustizia ai tanti personaggi
presenti. Detto ciò,
quindi ci sentiamo di consigliare questo Jump Force solo ed
esclusivamente ai
fan più appassionati, disposti a chiudere un occhio sulle
meccaniche e sulla
trama.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica 6

Sonoro: 7,5
Gameplay: 6

Longevità: 7

VOTO FINALE: 6,5

Francesco Pellegrino Lise
Nubia     lancia    Alpha,
l’innovativo smartphone da
polso
Lo smartphone dice addio alle tasche e alle borse per
diventare indossabile: al polso più precisamente. Tutto questo
è possibile ovviamente grazie all’utilizzo di un innovativo
schermo flessibile. A crearlo è l’azienda cinese Nubia, che al
Mobile World Congress di Barcellona porta un dispositivo che
vuole mettere insieme le caratteristiche migliori dello
smartphone e dello smartwatch. Il “wearable” si chiama Nubia
Alpha ed è presentato come “il primo telefono indossabile con
schermo flessibile disponibile in commercio”.

L’arrivo nei negozi europei del device è
previsto fra la primavera e l’estate

Già in molti sembrano interessati per l’acquisto. Il Nubia
Alpha possiede uno schermo Oled da 4 pollici ed è disponibile
in due versioni: una con connettività Bluetooth e Wi-Fi, e una
anche con eSim, cioè con scheda telefonica virtuale, che
consente al bracciale di rimpiazzare lo smartphone.
Dall’aspetto tutt’altro che minimale, è piuttosto ingombrante
ed evidente, soprattutto nella versione placcata in oro a 18
carati, questo strano quanto innovativo dispositivo consente
di mandare messaggi, telefonare, scattare foto e navigare in
rete anche senza toccare lo schermo, perché riconosce i gesti
e i comandi vocali. Dallo smartwatch, invece, il prodotto
prende in prestito il rilevatore dell’attività fisica e il
monitoraggio di battito cardiaco, esercizio e qualità del
sonno. Insomma, sembra proprio che in Cina stiano tentando di
trovare una nuova strada per controbattere lo strapotere
statunitense in questa fetta di mercato. Il Nubia Alpha
riuscirà a stravolgere il concetto di smartphone? O avrà
un’accoglienza tiepida da parte del pubblico fruitore? Non
resta altro che aspettare l’estate per vedere l’impatto che
avrà sulle persone.

Francesco Pellegrino Lise

Crackdown 3, l’Agenzia torna
su Xbox One e Pc
Dopo un secondo
capitolo non particolarmente brillante e un’attesa lunga quasi
5 anni,
Crackdown 3 arriva sulle console della famiglia Xbox One e su
Pc. Prima di
parlare di questo titolo però è bene mettere in chiaro una
cosa: se si è alla
ricerca di un titolo con una trama solida, fatto di colpi di
scena brillanti o
ricco di innovazione, Crackdown 3 non è il gioco che fa per
voi. Nel caso in
cui invece si cerchi un videogame fatto per trascorrere il
proprio tempo senza
pensare troppo, andando avanti a colpi di esplosioni,
distruzione e personaggi
dotati di abilità sovraumane, allora questa è una produzione
che non bisogna
assolutamente lasciarsi scappare. Vi diciamo questo in quanto
questo terzo
capitolo della serie, un po’ come i suoi predecessori vuol
essere volutamente
un titolo fatto per divertire, e lo fa mantenendo i toni
iperbolici che da
sempre hanno caratterizzato il brand senza mezzi termini. Ma
veniamo alla trama
di Crackdown 3: il gioco ha inizio esattamente 10 anni dopo i
fatti accaduti nel
secondo capitolo. Qui un attacco terroristico non meglio
identificato rende
inutilizzabile gran parte della tecnologia mondiale e i
rifugiati cercano
riparo nella città di New Providence che non solo è rimasta
“stranamente”
illesa, ma sembra offrire un ambiente idilliaco in cui
ripartire da zero e
vivere serenamente la propria esistenza. Dietro a tutto questo
ovviamente si
cela una multinazionale dalle pessime intenzioni, la TerraNova
WorldWide, che
dietro la maschera del bene comune sta compiendo strani
esperimenti e tiene in
pugno la città con la sua gang di criminali vestiti da
guardie, scienziati
pazzi e guerrafondai esaltati. Ovviamente toccherà all’Agenzia
risolvere le
cose nell’unico modo possibile: spaccando tutto. Decisi a
liberare la città, i
vertici dell’Agenzia decidono d’inviare quindi sul campo i
migliori agenti
disponibili che, tuttavia, subiscono un attacco da parte del
Blackout, un
agente atmosferico che azzera tutte le abilità dei super
soldati eliminandoli.
Tuttavia una giovane ragazza di nome Echo riesce a salvare il
protagonista,
spingendolo a cercare di salvare New Providence da questa
famigerata società
che sfrutta i cittadini per l’estrazione di un pericoloso
materiale chimico: la
Chimera. La trama è raccontata con pochissime scene di
intermezzo che sfruttano
il motore del gioco e alcune illustrazioni che ricordano un
po’ i fumetti degli
anni ’90. Scelta molto coerente a nostro avviso in quanto la
storia sembra
proprio esser venuta fuori direttamente da un action movie di
vent’anni fa.
Parlando di giocabilità, Crackdown 3 ha inizio con la scelta
dell’agente di cui
si deciderà vestire i panni. Ogni personaggio ha dei bonus
peculiari, come ad
esempio più abilità nella guida, con gli esplosivi, con le
armi da fuoco ecc…
Ma essi non influenzeranno mai in maniera troppo vistosa
l’avventura, quindi la
scelta si ridurrà semplicemente puntando all’aspetto estetico
che si
preferisce. La decisione in ogni caso non è vincolante perché
come si vedrà
procedendo nella storia, in qualsiasi momento si potrà
cambiare il proprio
personaggio, anche perché sparsi un po’ ovunque per la mappa
si potranno
trovare i Dna degli agenti morti nell’introduzione per poterli
sbloccare e
usare. Interessante la gestione dei salvataggi che non legano
l’agente al mondo
di gioco, potendo dunque decidere di usare uno qualsiasi dei
personaggi in una
qualsiasi delle partite già iniziate o direttamente in una
nuova. Dopo la fase
introduttiva, il gioco getta il giocatore direttamente nella
mischia dandogli subito
la possibilità di muoversi con un buon grado di libertà per le
strade, o
meglio, i palazzi, di New Providence. A gestire la metropoli
però non c’è solo
la perfida Elizabeth Niemand, ma un vero e proprio governo
composto dai suoi
seguaci più fidati, che regolano i diversi aspetti della vita
quotidiana,
tenendo in pungo tutti i principali servizi, dai trasporti
alla sicurezza fino
alle comunicazioni. Il compito degli agenti sarà naturalmente
quello di
ribaltare il governo centrale, sconfiggere Elizabeth e
liberare gli innocenti
cittadini dalla morsa dello strapotere della Niemand.

Per sconfiggere la
perfida antagonista di Crackdown 3 sarà necessario far fuori
uno a uno tutti i
seguaci, scovandoli ed eliminandoli. Ogni nemico è legato a
una particolare
attività che rappresenta anche il suo campo di
specializzazione. Ad esempio per
raggiungere l’IA che gestisce le linee di trasporto sarà
necessario conquistare
le stazioni, o ancora per individuare l’addetto alla sicurezza
interna
bisognerà liberare dai campi di prigionia i cittadini
detenuti. Altre attività
ancora richiedono di disattivare dei centri di comunicazione
per disabilitare
la continua propaganda o dei centri chimici per cessare la
produzione di
materiale tossico usato persino sulla popolazione. Tutte
queste missioni, molto
varie tra loro, saranno sparse per l’intera mappa di gioco e
al completamento
di tutte quelle di un certo         tipo,     verrà   indicata
automaticamente la posizione
del luogotenente di riferimento.        Gli   scontri   con   i
luogotenenti di Elizabeth
sono il culmine di un sistema generalmente funzionale, con
scontri ben
caratterizzati, mai noiosi e che ai livelli di difficoltà più
elevati offrono
anche sfide particolarmente impegnative. L’esplorazione della
città avviene con
una naturale, quanto apprezzabile, libertà, questo perché
basta girare la mappa
per evidenziare i diversi luoghi d’interesse senza la
necessità di raggiungere
i classici punti di osservazione. Analogamente anche le
attività secondarie
vengono sbloccate nello stesso modo, dalle sfide di guida o di
corsa, ai
chioschetti da distruggere e alle basi dove poter gestire il
proprio arsenale o
generare un veicolo per facilitare gli spostamenti. Lo stile
di gioco di
Crackdown 3, quindi si può dire che è totalmente incentrato
sulla giocabilità e
quasi per nulla sulla trama. Proprio per tale ragione
all’inizio abbiamo voluto
precisare che tale gioco è indicato per chi ha voglia di una
sana quanto
scanzonata distruzione. Se da un lato la giocabilità ne
guadagna in termini di
ritmo e continuità, dall’altro viene a mancare quel naturale
senso di
progressione e suddivisione delle attività, ponendole
praticamente tutte sullo
stesso livello. Peccato soltanto per la durata complessiva,
che richiederà una
decina di ore per portare a termine la quasi totalità delle
attività
disponibili, senza troppi incentivi a continuare la partita
dopo i titoli di
coda. Un discorso simile lo si può fare anche per il gameplay
in quanto non
esiste un vero e proprio processo di crescita classico. La
gestione delle
nostre abilità avviene tramite cinque parametri di
riferimento, sempre visibili
nella parte sinistra dello schermo: agilità, armi da fuoco,
forza, esplosioni e
guida. Per aumentare il primo bisognerà raccogliere le
settecentocinquanta
sfere agilità sparse per la mappa di gioco (non tutte comunque
necessarie), per
i successivi tre campi invece basta semplicemente giocare,
uccidendo con i
diversi mezzi a propria disposizione e infine per far
incrementare il livello
di guida basterà essere spericolati al volante o completare le
gare.
Raccogliendo invece le sfere segrete si potranno ottenere
invece dei punti per
tutti i campi. A ogni scatto di livello corrispondono delle
nuove abilità e nel
giro di poche ore sarà possibile sbloccare la quasi totalità
dei bonus
disponibili, decisione condivisibile per consentire quanto
prima di sfruttare
tutti i benefici disponibili, anche in termini di semplice
godibilità del
gameplay. Per quanto riguarda il “gunplay” invece, Crackdown 3
adotta un
sistema imperniato sulla possibilità di bloccare la mira su un
nemico e rendere
così quasi impossibile mancare i colpi, potendo inoltre
passare da un bersaglio
all’altro in maniera piuttosto fluida. La vera difficoltà
negli scontri non è
tanto il prendere la mira quando il gestire i tanti nemici
presenti, rimanendo
dunque sempre in movimento e schivando quando possibile gli
attacchi a noi
destinati. Gli scontri finiscono sempre con l’essere accesi
senza mai diventare
confusionari, e in essi è sempre bello poter dare libero sfogo
alle abilità
sovraumane di manovra dell’agente e massacrare i nemici con le
decine di
granate e armi disponibili. Nonostante qualche bilanciamento
sia opportuno, la
lista delle armi utilizzabili è ottima, capace di dare
molteplici soddisfazioni
grazie a una gran varietà di bocche di fuoco. In Crackdown 3
morire non è di
certo un evento raro, soprattutto ai livelli di difficoltà più
elevati, ma ciò
non è un problema in quanto il gioco adotta un sistema di
continuità molto
semplice: quando si muore, si può liberamente rientrare in uno
qualsiasi dei
punti di rientro e riprendere esattamente dove si era rimasti.
Infondo nel
futuro distopico dove il gioco è ambientato la clonazione
rapida tramite
l’utilizzo del Dna sembra essere un gioco da ragazzi. Sul
fronte tecnico
Crackdown 3 mantiene un frame rate costante anche nelle
situazioni più
caotiche, con decine di nemici a schermo ed effetti
particellari generalmente
buoni e di ogni tipo, quantomeno su One X. C’è da dire inoltre
che se da una
parte il titolo offre un ambiente di gioco intoccabile, in cui
gli edifici e il
terreno non vengono     minimamente   scalfiti   dalla   furia
distruttrice del giocatore
e gli abitanti sono pupazzi di contorno che spesso diventano
vittime
collaterali della potenza di fuoco del giocatore, dall’altra
mostra una
spiccata estetica retrofuturista fatta di palazzoni al neon
che si mescola con
le baraccopoli sudafricane. Il comparto audio, infine,
presenta un’ottima
selezione musicale, in grado di sottolineare i ritmi degli
scontri ed
enfatizzarne il dinamismo generale.
Vera novità di
questo Crackdown 3, oltre che essere una delle componenti del
gioco più attese,
è la Zona di Demolizione, il multiplayer competitivo
interamente gestito dal
Cloud e in grado di garantire una distruttività ambientale
vicino al 100%.
Durante la nostra prova abbiamo avuto accesso alle tre mappe e
alle due
modalità: Cacciatori di agenti e territori. La prima
rappresenta un classico
Deathmatch a squadre in cui i due team di massimo cinque
giocatori hanno come
unico obiettivo quello di uccidersi, totalizzando il maggior
numero di
uccisioni entro lo scadere del tempo o raggiungendo il
punteggio massimo. Nella
modalità Territori, invece, bisogna conquistare e difendere
determinate
posizioni. Queste appariranno sulla mappa a gruppi di due, e
quando un team ne
conquista una iniziano a consumarsi i punti dell’area, venendo
dunque assegnati
alla squadra che la controlla. Quando si esauriscono, la zona
si disattiva e si
passa a quella successiva. Esattamente come in Cacciatori di
Agenti, lo scopo è
ottenere il punteggio più alto. Nel multiplayer di Crackdown 3
prima di ogni
partita si sceglie l’equipaggiamento. E’ possibile selezionare
due delle nove
armi presenti e un gadget tra uno scudo aggiuntivo in grado di
assorbire danni
extra, e un trampolino utile per saltare più in alto. Per
quanto riguarda il
gameplay, esso è molto semplice, la mira, esattamente come
nella campagna, è
automatica una volta premuto il grilletto sinistro, inoltre è
possibile
utilizzare il doppio salto, il booster per avanzare più
rapidamente e un
attacco corpo a corpo ricaricabile in breve tempi. La
distruttibilità
dell’ambiente poi, nonostante non faccia gridare al miracolo
per realizzazione
tecnica, rende l’esperienza nel complesso divertente e
appagante. Tirando le
somme, Crackdown 3 è un titolo pieno di spunti interessanti,
di attività
divertenti e di cose da fare. Il problema di fondo è che ci si
trova dinanzi a
un titolo che possiede delle dinamiche che non appartengono
più al panorama
videoludico attuale. In sostanza, se non si ha poco tempo per
giocare, se non
si è amanti del multiplayer, se non si vuole perder tempo
appresso a un titolo
fatto di trame complicate e rompicapo complessi Crackdown 3 è
un titolo da non
perdere. Ma se si è in cerca di qualcosa di nuovo, più
profondo e che sappia
meno di già visto allora è preferibile navigare verso altri
lidi.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 7,5

Sonoro: 7,5
Gameplay: 7

Longevità: 6,5

VOTO FINALE: 7

Francesco Pellegrino Lise

Android a rischio, aumentano
le false app bancarie
Android a rischio. I
ricercatori     di   ESET,   azienda    leader    nel   campo
dell’individuzione e lotta contro
virus informatici e malware, mettono in guardia dalla minaccia
sottovalutata
delle false app bancarie per dispositivi Android, che si
presentano come applicazioni
finanziarie legittime con l’obiettivo di rubare credenziali o
denaro dai conti
bancari delle vittime. Anche se tecnicamente lontane dalle
modalità più
avanzate di frode, le false app bancarie presentano vantaggi
strategici che le
rendono comparabili a tipi di malware molto più sofisticati
come i trojan
bancari. L’analisi dei ricercatori di ESET relativa ai due
tipi di frode,
entrambi presenti nello store ufficiale di Google Play, ha
dimostrato che le
app bancarie fake presentano per i cybercriminali alcuni
vantaggi che i temuti
trojan bancari non hanno. Il principale punto di forza di
queste app fake è la
loro pressochè totale somiglianza alle applicazioni bancarie
legittime. Se gli
utenti cadono nel tranello e installano l‘app fake sul proprio
smartphone
Android, c’è un’alta probabilità che considerino legittima la
schermata di
accesso visualizzata e inviino le proprie credenziali. E,
contrariamente ai
trojan bancari, non vengono richiesti permessi aggiuntivi che
possano sollevare
il sospetto degli utenti dopo l’installazione. Oltre a questo,
i trojan bancari
sofisticati sono maggiormente soggetti al rilevamento dei
software antivirus, a
causa delle loro tecniche avanzate che fungono da trigger per
varie misure di
sicurezza.
Target delle false app bancarie

A differenza dei
trojan bancari, le false app bancarie si focalizzano in genere
su un target di
clienti di un solo istituto finanziario o servizio – quello
che impersonano.
Un’eccezione a questa regola è stata un’app falsa che
sosteneva di essere uno
strumento bancario universale e che aveva come target i
clienti di 19 banche
polacche. Alcuni autori di malware approfittano dell’assenza
di un’app mobile
ufficiale di una certa banca o servizio, mentre altri tentano
di ingannare gli
utenti impersonando app ufficiali esistenti. Occasionalmente,
le false app
fingono di offrire funzionalità aggiuntive alle app legittime
esistenti, come
la promozione di premi bancari, regali o offerte per aumentare
i limiti delle
carte di credito.

Come proteggersi dalla minaccia
degli Android banking malware:

Per stare al sicuro
dai malware bancari che imperversano sui dispositivi Android,
gli esperti di
ESET consigliano agli utenti di:
–        Tenere
aggiornato il proprio dispositivo e utilizzare una soluzione
di sicurezza
mobile affidabile.

–       Evitare
gli store non ufficiali, se possibile; tenere sempre
disabilitata sul proprio
dispositivo l‘opzione “installazione di app da fonti
sconosciute”.

–       Prima
di installare un’app da Google Play, controllare sempre le
valutazioni degli
altri utenti, il contenuto delle recensioni, il numero di
installazioni e le
autorizzazioni richieste; prestare attenzione al comportamento
dell’app anche
dopo i primi utilizzi.

–        Scaricare sempre e solo applicazioni bancarie e altre
applicazioni finanziarie collegate al sito Web ufficiale della
banca o del servizio finanziario.

F.P.L.
Kingdom Hearts 3,                           la      saga
giunge al termine
Square Enix e Disney hanno finalmente lanciato Kingdom Hearts
3. Dopo ben 13 anni d’attesa dall’ultimo titolo della serie,
finalmente i fan di tutto il mondo potranno accompagnare Sora,
il giovane protagonista armato di keyblade , in una nuova
splendida avventura. L’eroe, con l’aiuto dei suoi fedeli
compagni Paperino e Pippo, ovvero degli emissari inviati da Re
Topolino, si unirà ai personaggi più famosi della Disney e
della Pixar per cercare di sconfiggere l’oscurità e salvare
l’universo dagli spietati heartless in un lungo e meraviglioso
viaggio capace di tenere letteralmente inchiodati al joypad.
Con oltre un decennio trascorso dal secondo capitolo e con una
narrativa frammentata in un numero indefinito di spin-off e
piattaforme, l’arrivo di Kingdom Hearts III su Ps4 e Xbox One
era tutto meno che scontato. Annunciato per la prima volta
all’E3 del 2013, il terzo episodio numerato della saga di
Tetsuya Nomura è stato difatti accolto fin dall’inizio con
delirante entusiasmo, scaturito dall’immensa passione verso
una serie straordinaria, abile nel coniugare linguaggi e
culture diverse in unico e maestoso immaginario. Ma veniamo
alla trama di quest’appassionante quanto incredibile storia:
come fatto intendere nell’epilogo di “A Fragmentary Passage”,
Kingdom Hearts 3 ha inizio con un Sora indebolito a seguito
del tentativo di possessione da parte di Xehanort, che l’ha
portato a perdere il potere del Risveglio ottenuto con Riku in
precedenza. In vista della battaglia finale contro la nuova
Organizzazione XIII e del prossimo raggruppamento dei sette
Guardiani della Luce, di cui fanno parte Lea, Kairi, Topolino
ed altri personaggi storici della saga, recuperare tale
capacità risulta un imperativo, forzando Sora ad intraprendere
un nuovo viaggio per chiarire la sua natura ed intraprendere
legami con nuovi cuori. Il problema, se così si può definire,
più grosso di Kingdom Hearts III è proprio il comparto
narrativo che potrebbe effettivamente rappresentare un
ostacolo per tutti quegli utenti che desiderano giocare per la
prima volta assieme a Sora e amici. Kingdom Hearts III è
infatti il terzo episodio di una trilogia debuttata nel 2002
su PlayStation 2 che nel corso degli anni si è ampliata con
episodi “secondari”, usciti su diverse piattaforme, tra cui
dispositivi mobile e console portatili. I vari giochi hanno
quindi sviluppato a dismisura l’intreccio narrativo e, allo
stato attuale, sono di fatto dei capitoli necessari per capire
tutti i riferimenti presenti in Kingdom Hearts III.
L’avventura di Sora e amici riparte dal Monte Olimpo dove
Pippo e Paperino tentano di aiutare il protagonista a
recuperare i poteri. Si inizierà quindi un lungo viaggio che
porterà l’iconico Trio a visitare una serie di mondi Disney e
Pixar, a combattere contro innumerevoli nemici, tra cui
Heartless e Nameless, per prepararsi al meglio allo scontro
finale mentre Riku e Topolino, in completa autonomia,
raduneranno gli alleati in vista dell’ultima battaglia. A
livello di gameplay, il titolo di Square Enix e Disney è
davvero uno spettacolo, i combattimenti in tempo reale di
Kingdom Hearts 3 sono visivamente spettacolari, un tripudio di
effetti ed animazioni capaci di lasciare chiunque a bocca
aperta. Questi si basano su una componente tendenzialmente
“button mashing” che ha da sempre caratterizzato la serie,
quindi, il sistema di controllo è assolutamente semplice ed
intuitivo. I tasti utili all’azione sono pochi e per eseguire
i vari “attacchi speciali” sarà sufficiente premere il
pulsante predisposto per tale fine. Sui campi di battaglia,
oltre a pozioni curative, elisir ed accessori, Sora potrà
equipaggiare sino ad un massimo di tre Keyblade, ognuna dotata
di attacchi, caratteristiche e Fusioni differenti, che
potranno essere cambiate nel corso dello scontro. Tra attacchi
speciali, magie, legami, evocazioni, Fusioni, attrazioni e
mosse combinate con i personaggi presenti nel gruppo, ogni
battaglia è quindi un tripudio di colori ed effetti
semplicemente fanvolosi. L’intero sistema di combattimento
poggia quindi sulle collaudate meccaniche del franchise. In
basso a sinistra saranno sempre ben visibili le quattro
“azioni” basilari: Attacco (Keyblade), Magia (incantesimi sia
offensivi che curativi), Oggetti (utilizzare un item a patto
di averlo equipaggiato) e Legami (evocazione). Accanto a
questi quattro “pilastri” si innescano una serie di meccaniche
più stratificate che permetteranno a Sora e compagni di
innescare attacchi devastanti ed estremamente spettacolari.

Utilizzando il
Keyblade e infliggendo a lungo danni ai nemici, ad esempio, si
potranno
attivare le Fusioni che potenzieranno e modificheranno
l’attacco dell’arma
dando vita anche a un micidiale colpo di grazia. Discorso
simile vale anche per
le magie con la possibilità di utilizzare incantesimi
potenziati, a patto di
aver riempito l’apposita barra colpendo ripetutamente gli
avversari. Nella
mischia sono presenti inoltre così dette “attrzioni” che si
potranno attivare
dopo aver colpito i nemici contornati da un cerchio verde.
Queste mosse, oltre
essere estremamente spettacolari, varieranno in base al luogo
in cui si
combatte, avranno un raggio d’azione ampio, conferiranno
ingenti danni ai
nemici e si potranno concludere con una sorta di colpo finale
davvero
spettacolare. Per quanto riguarda il sistema di combattimento
non mancano poi
gli attacchi combinati con i compagni di gruppo ed il
“Fluimoto”, che permette
di coprire grandi distanze in poco tempo e che tornerà molto
utile anche in
battaglia. Presente anche il colpo “Tiro” che, collegato alla
barra Focus e al
Keyblade utilizzato, consentirà di agganciare e colpire più
nemici in
simultanea e che sarà indispensabile anche per raggiungere
luoghi altrimenti
inaccessibili. Ovviamente si potranno inoltre evocare alleati
durante le
sessioni di combattimento a patto però di consumare l’intera
barra dei PM che
si ricaricherà con il passare del tempo o utilizzando apposite
pozioni. Da buon
gdr che si rispetti, anche in Kingdom Hearts 3 sconfiggendo
nemici e boss,
Sora, Pippo e Paperino, saliranno di livello e aumenteranno le
loro
statistiche. Inoltre sbloccheranno innumerevoli abilità con
cui personalizzare
il set di mosse disponibili, le fasi offensive, difensive e
curative. Ogni
abilità ha però un costo in punti che viene detratto da un
massimale che
incrementerà salendo di livello. Nel complesso l’intera
struttura che governa
le fasi di combattimento funziona e diverte rendendo gli
scontri vari e
visivamente spettacolari, tuttavia il livello di sfida è
davvero piuttosto
semplice, quindi il nostro consiglio è quello di giocare alla
massima
difficoltà. Durante le nostre circa 50 ore di gioco, non ci è
mai capitato di
trovarci in combattimenti troppo complessi o frustranti,
neppure quando il
protagonista era di livello inferiore rispetto a quello
richiesto dal mondo che
in quel momento stavamo esplorando.

Sempre a livello di gameplay, le meccaniche RPG di Kingdom
Hearts 3 ci sono sembrate piuttosto semplici e con un sistema
eccessivamente basilare. Le statistiche di Sora e compagni
aumentano in modo autonomo e si potrà interagire solo con le
abilità decidendo, in base ai punti a disposizione, quali
attivare o disabilitare. Detto ciò, segnaliamo comunque la
possibilità di abilitare alcuni malus, pensati appositamente
per mettere in difficoltà il giocatore e garantire un livello
di sfida superiore. Nel titolo fortunatamente è presente anche
un sistema di crafting che, oltre a permettere la creazione di
pozioni curative, elisir e oggetti di vario genere, consente
anche di potenziare le Keyblade a patto di essere in possesso
dei materiali richiesti. All’officina si accederà interagendo
con il Moguri, unico personaggio di Final Fantasy presente,
con cui si potrà anche commerciare. A Crepuscopoli inoltre, si
avrà la possibilità di entrare al bistrot di Zio Paperone e
creare, completando dei minigiochi di cucina, dei menù gourmet
che conferiranno al trio bonus temporanei. Proprio come già
visto in passato, Kingdom Hearts 3 non è solo combattimenti,
la struttura di gioco viene infatti ampliata con una serie di
attività secondarie che spaziano dalla ricerca di
collezionabili, scattare foto, a boss opzionali sino ad
arrivare ai 20 mini-giochi ispirati al mondo Disney degli anni
80 e ai “viaggi” nello spazio a bordo della ormai nota
Gummiship. I minigiochi, rigorosamente in bianco e nero, non
saranno disponibili sin da subito ma andranno sbloccati
progredendo nell’avventura e trovando gli appositi scrigni
sparsi nei mondi di gioco. Per accedervi, sarà necessario
utilizzare il Gummifono, una sorta di smartphone inventato da
Cip e Ciop che sostituisce il “diario” cartaceo del Grillo
Parlante presente negli episodi precedenti. Tramite il
Gummifono si potrà quindi accedere ad una sezione dove non
mancheranno le schede dettagliate di alleati e nemici, il
glossario e il riassunto della storia. Essendo una sorta di
smartphone, con il dispositivo si potranno inoltre scattare
foto e gli immancabili selfie. Per quanto riguarda le sessioni
di gioco a bordo della Gummiship, l’iconico mezzo di trasporto
con cui si viaggerà nello spazio per spostarsi da un mondo
all’altro, il gampelay canonico è stato arricchito da qualche
gustoso elemento in più. Si tratta di un gioco nel gioco
considerando che l’universo stellato di Kingdom Hearts 3 è
ricco di tesori ma anche di pericolosi nemici. Si
affronteranno quindi battaglie spaziali, non mancheranno mini-
boss e le insidie saranno dietro ad ogni angolo. Saranno
presenti preziosi tesori e si potranno recuperare materiali
rari, progetti esclusivi e componenti unici per la Gummiship.
Oltre a poter personalizzare o modificare le “navi” esistenti,
è presente anche un editor che consentirà di creare da zero la
propria Gummiship, equipaggiandola con una serie di accessori,
armi, bonus e facendo attenzione a equilibrare le varie
statistiche: manovrabilità, punti vita, potenza, rollio,
attacco.
Kingdom Hearts III
grazie alle prestazioni offerte dalle attuali console si
libera una volta per
tutte dei limiti tecnologici imposti da una tecnologia datata
prima, dalle
console portatili poi, mostrando tutto il potenziale artistico
di un concept
eclettico e stravagante. La progressione nei livelli appare
più
tridimensionale, sviluppandosi non solo su un piano
orizzontale, ma anche e
soprattutto su quello verticale. Il level design va infatti in
questo terzo
capitolo arricchendosi notevolmente, garantendo sezioni ampie
e continue e
abbandonando le continue schermate di caricamento delle
iterazioni passate. La
progressione nei livelli appare inoltre più tridimensionale,
sviluppandosi non
solo su un piano orizzontale, ma anche e soprattutto su quello
verticale,
specie grazie alla nuova capacità di Sora di sfidare la
gravità e muoversi su
pareti ben evidenziate. Passando invece a considerazioni di
carattere
prettamente tecnico, il lavoro fatto per questo terzo capitolo
di Kingdom
Hearts ha dell’incredibile, sebbene non manchi di mostrare il
fianco ad alcuni
annosi problemi. L’Unreal Engine 4 del gioco vanta un sistema
di illuminazione
sorprendente, supportato da ottimi shader e particellari. A
fronte di quanto
detto sopra, la riproduzione grafica delle proprietà
intellettuali Disney
rasenta in alcuni punti la perfezione, rispettando sempre lo
stile artistico
iniziale e riproponendolo con cura all’interno del mondo di
gioco. Le
meraviglie a schermo vengono inoltre accompagnate da un sonoro
come al solito
d’eccellenza, con un ottimo doppiaggio inglese degno di
annoverare, oltre alle
voci storiche della saga, persino alcune delle voci originali
delle pellicole
trasposte. Peccato invece per la colonna sonora,
caratterizzata quasi
unicamente da bellissimi remix e riarrangiamenti delle celebri
tracce dei
capitoli precedenti, lasciando dunque spazio ad un numero
minimo di inediti,
tali da poter essere contati sulle dita di una singola mano.
Alla luce di
quanto detto, tirando le somme, nonostante ci siano voluti ben
13 anni
d’attesa, Kingdom Hearts 3 è riuscito a mantenere le solide
basi della serie
permettendo ai fan di “rivivere” quelle sensazioni ed emozioni
provate un decennio fa. Il titolo però non è un gioco per
tutti e in alcuni
ambiti si poteva fare meglio. Il comparto narrativo, per i
neofiti, ma anche
per chi ha saltato qualche gioco della saga, potrebbe essere
un vero ostacolo.
Per capire sino in fondo tutte le dinamiche, i riferimenti,
gli intrecci e le
relazioni tra i vari personaggi tirati in ballo nel corso
dell’avventura,
l’Archivio della Memoria presente al menù d’inizio non è
sufficiente ed è
quindi necessaria una conoscenza approfondita non solo dei due
capitoli
principali ma anche degli altri episodi. Nonostante questo il
videogame è
sicuramente un titolo che vale a pena di giocare in quanto
rappresenta un vero
e proprio tripudio di divertimento. Siamo certi che le tante
ore di gioco
passate assieme a Sora, Pippo e Paperino saranno spese davvero
bene e una volta
portata a termine l’avventura avrete solo tanta voglia di
continuare a
esplorare i mondi di gioco per trovare fino all’ultimo
collezionabile.

GIUDIZIO GLOBALE:

Grafica: 8,5

Sonoro: 8

Gameplay: 8,5

Longevità: 8,5

VOTO FINALE: 8,5

Francesco Pellegrino Lise
Il   poker,  dal presente
digitale alle sue origini
incerte
Il poker rappresenta senza alcun dubbio uno dei giochi più
amati dagli appassionati di gambling: non esiste nessun altro
gioco di carte in grado di riscaldare gli animi al pari di
questo e non è un caso che ancora oggi venga considerato come
il numero uno tra i giochi d’azzardo. Lo dicono i dati del
settore, soprattutto se si pensa al comparto del gioco online
e al giro d’affari milionario mosso da questo passatempo.
Eppure, prima di arrivare al digitale, il poker ne ha fatta di
strada: le origini di questo gioco sono molto incerte, e
questo non fa altro che aggiungere ulteriore fascino ad un
passatempo che può diventare quasi magico. Ecco perché oggi
ripercorreremo la storia del poker e le informazioni note,
partendo però dalle ultime novità del digitale.

Il presente del poker è su Internet

Oggi il poker si gioca soprattutto online, per merito dei
casinò telematici: siti web che hanno conquistato il cuore e
le attenzioni degli appassionati del gioco d’azzardo, per via
dei loro innegabili vantaggi. Su casinò online come Leovegas
(https://www.leovegas.it/it-it/), infatti, è possibile
iscriversi direttamente da casa, fare un deposito e iniziare a
puntare al poker e a tanti altri giochi d’azzardo digitali
comodamente seduti sul divano. Un processo, questo, che
include certamente tanti altri must del settore come ad
esempio il blackjack, le slot o la roulette. Di fatto, il
presente del poker così come il suo futuro pare essere a tinte
digitali: lo sostengono anche i dati raccolti dall’AGIMEG,
secondo cui questo gioco nella sua versione online ha prodotto
un giro d’affari di oltre 70 milioni di euro lo scorso anno –
ma stiamo pur sempre parlando di un mercato che a livello
mondiale ha raggiunto nel 2018 ricavi per circa 44 miliardi.
Di conseguenza, le poker rooms digitali sanno come affascinare
i propri avventori quasi quanto, se non forse più, di quelle
classiche.

Il passato, la storia e le origini del
poker

Ad oggi gli esperti concordano nel definire il poker un gioco
di origine persiana: pare infatti che questo passatempo sia
stato introdotto a New Orleans (che ai tempi era ancora
Puoi anche leggere