Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare
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Far Cry New Dawn, la saga diventa post nucleare Far Cry New Dawn, nuovo capitolo della saga targata Ubisoft per Pc, Xbox One e Ps4, ha inizio 17 anni dopo l’apocalisse nucleare e la dittatura religiosa dello pseudo messia Joseph Seed vista in Far Cry 5 (qui la nostra recensione). In questo contesto post atomico un nuovo motivo di speranza di tornare alla vita ha bisogno di crescere tra le neonate comunità che stanno provando a ripopolare la superficie del pianeta, ma la rinascita è lenta e pericolosa. La natura ha già compiuto il suo rapido decorso dalla distruzione, per diventare rigogliosa e rifiorita. Attorno a Kim Rye e Tom Rush, la base Prosperity accoglie il punto di partenza per la rinascita, ma anche per la strenua opposizione al dominio militare delle perfide gemelle, a capo dei perfidi “Guerrieri della Strada”. Tra loro vige la legge del più forte in cui ognuno può giocare due parti: quella del piantagrane, o quella di chi risolve i problemi. Ai primi è riservata la morte, agli altri, invece,
un’opportunistica sopravvivenza. Il giocatore vestirà i panni del braccio destro di Rush, a scelta uomo o donna con un minimo di personalizzazione estetica, e sarà suo compito guidare la rivincita di Prosperity e dell’intera Hope County. La storia e le avventure, svolgendosi nella stessa mappa del quinto capitolo, sono strettamente legate a personaggi e luoghi già visti nel precedente capitolo, ma mutati dal disastro nucleare. Riferimenti, in parte anche i personaggi, sono presi proprio da lì e chi l’ha giocato avrà una maggior soddisfazione nel percorrerne gli eventi. L’avventura si svolge per un totale di 22 missioni principali e circa una dozzina di ore per il completamento del titolo qualora ci si dedichi esclusivamente alla campagna. Detto ciò è bene precisare che il numero di ore che Far Cry New Dawn offre, volendo completare tutte le sfide, le sottoquest e trovando tutti i collezionabili, aumenta di molto. Svolgere tutte queste attività ovviamente sbloccherà tutta una serie di vantaggi che renderanno il proprio alter ego virtuale sempre più forte e pronto ad affrontare la minaccia dei Guerrieri della Strada con maggior possibilità di sopravvivenza. Una volta iniziata l’avventura e aver affrontato una breve introduzione ci si troverà nella città di Prosperity. Il villaggio Diviso in diverse aree fungerà da hub centrale dove è comodo trovare conforto dopo ogni missione impegnativa, sia per rifocillarsi e rifornirsi di munizioni, sia per spendere le risorse accumulate durante l’azione. Da subito quindi Far Cry New Dawn pone il giocatore di fronte al nuovo sistema di gestione della fazione:
tutto, da Prosperity, alle armi, passando per veicoli e nemici, si divide in quattro livelli di rarità e forza. Recuperare oggetti utili dalle macerie dell’apocalisse, altro elemento immancabile in questo filone, servirà per assemblare l’arsenale sempre più potente, anche se la moneta più preziosa nel mondo Far Cry New Dawn è l’etanolo. Questo elemento è ottenibile sottraendolo ai cattivi di turno che lo conservano negli Avamposti, marchio di fabbrica della serie, che vanno ripuliti e riconquistati. Aperti i cancelli di Prosperity, quello che una volta era il regno di Joseph Seed si mostra in tutta la sua maestosità. La natura, come detto, ha preso il sopravvento e pervade tutto il territorio di gioco in modo ancor più spettacolare che in precedenza. Le strade sterrate che connettono i vari punti di interesse sono circondate da fitti boschi e lunghi corsi d’acqua, portando su schermo una grossa mole di dettagli. La mappa di gioco, che anche stavolta richiede la sola esplorazione per essere scoperta, stupisce più per densità e qualità che per dimensioni, ma comunque resta un territorio abbastanza vasto da scoprire e soprattutto offre tantissimi luoghi e segreti da scoprire. In Far Cry New Dawn il crafting e la raccolta di risorse sono i principali cambiamenti di questo capitolo, assieme all’introduzione di alcuni elementi GdR sulla falsa riga di quanto visto negli ultimi capitoli di Assassin’s Creed. Sotto questo aspetto
l’ultimo capitolo della saga di Ubisoft diverte e coinvolge, soprattutto grazie al bilanciamento dei livelli armi/nemici che permettono uccisioni immediate. Di pari passo c’è anche la progressione del personaggio, che grazie all’ottenimento di “Punti Tratto” può sviluppare diverse abilità, alcune anche cumulabili, che concorrono a rendere il gioco più accessibile anche nel momento in cui la difficoltà s’impenna, soprattutto per chi si prefissa fin da subito di esplorare tutta la mappa. Questi punti “esperienza” si ottengono principalmente completando le sfide del gioco, ma anche correndo al salvataggio dei civili caduti nelle grinfie dei Guerrieri della Strada e risolvendo gli enigmi legati alla scoperta di alcuni tesori sparsi ovunque in Hope County. Nella sua semplicità, questo approccio che strizza l’occhio ai GdR funziona bene lungo corso dell’avventura, ma non porta alcuna grande innovazione. Purtroppo infatti la sensazione generale che si ha è quella di un qualcosa che sa di già visto e pur rinvigorendo quella struttura comprovata da anni all’interno della serie, è molto facile raggiungerne l’apice. In questo aiutano gli Avamposti e le Spedizioni, soggetti a loro volta alla progressione per livelli. Entrambi hanno l’utile funzione di far
guadagnare risorse in gran quantità e ogni volta che sono completati saliranno di grado, aumentando la difficoltà in virtù di un successivo ritorno. La completa libertà di approccio permette al giocatore di affrontare le situazioni come meglio preferisce e, tirando le somme, risultano essere molto più coinvolgenti degli eventi principali. Detto ciò, è innegabile che Far Cry New Dawn sia un buon gioco, abbastanza lungo da godere e che offre un buon livello di sfida. Purtroppo però, se si è appassionati della serie, la sensazione che si avverte è quella di star giocando a qualcosa di già visto. Infatti, nonostante le novità sopracitate, il gioco risulta essere un clone migliorato dei suoi predecessori. Discorso diverso invece va fatto se non si è mai giocato ai titoli precedenti della serie, ma visto il successo di quest’ultima, è davvero difficile pensare che qualcuno non abbia mai affrontato uno dei tanti titoli del franchise. A livello narrativo il gioco si attesta su un buon livello, però, al di là di chiudere quanto lasciato in sospeso nel quinto capitolo e presentare un paio di momenti interessanti, la scrittura non raggiunge gli ottimi livelli visti nel capitolo precedente. Essere il sequel di Far Cry 5 pone New Dawn in un confronto diretto, che viene però perso su quasi tutti i fronti. Il carisma oscuro di John Seed e dei due fratelli, motivato dai deliri di onnipotenza, vince a mani basse rispetto alla
cattiveria fine a sé stessa delle gemelle Lou e Mickey, mosse dalla semplice volontà di comandare e arricchirsi quanto più possibile in questo nuovo mondo, che quasi faticano a trovare ragioni per schierarsi contro gli abitanti di Prosperity. Ubisoft avrebbe potuto far leva sull’ottima reinterpretazione dello scenario post-apocalittico per renderlo innovativo, diverso da tante altre opere, ma si perde tra l’ambientazione semplicemente rivisitata e una fazione nemica vista e rivista in tanti altri videogame del genere “dopo bomba”. Dopo cinque capitoli principali, due spin off, e molti DLC, si ha la sensazione che Far Cry abbia bisogno di crescere e rinnovarsi per portarsi su un nuovo livello, proprio come ha fatto la saga di Assassin’s Creed. A livello tecnico Far Cry New Dawn poggia le sue basi sullo stesso motore che un anno fa ha spinto il quinto capitolo canonico della serie. Rispetto a quanto visto in passato, la sensazione che si ha è che i programmatori abbiano preferito sacrificare un po’ di dettaglio generale, tra modelli e texture, in cambio di una maggiore solidità e di un lavoro sull’ambientazione di alto livello. La rifioritura è sostenuta da una vegetazione decisamente più rigogliosa, da filtri cromatici accattivanti e da particellari
più puliti. Gli effetti sonori sono presi in larghissima parte dal predecessore, ma un ottimo lavoro è stato svolto sulla scelta dei brani, davvero azzeccata in molte occasioni, con tracce famose incastrate nel momento giusto al posto giusto. Tirando le somme, questo Far Cry New Dawn, nonostante non lasci a bocca aperta per quanto riguarda le novità, è un titolo di tutto rispetto, ambientato in un universo molto ben caratterizzato e che garantisce la possibilità di divertirsi per un buon numero di ore. Il titolo è perfettamente godibile sia da chi è fan sfegatato della serie, sia da chi si avvicina al franchise di Ubisoft per la prima volta. La grande giocabilità, l’intuitività dei comandi e un mondo vivo e reattivo sono le qualità che rendono il software un videogame nel complesso solido seppur non perfetto. Alla luce di quanto detto, se si è alla ricerca di uno shooter che sposa, anche se in minima parte, alcune meccaniche da Gdr, Far Cry New Dawn è sicuramente un’esperienza da provare. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Sonoro: 8,5
Gameplay: 7,5 Longevità: 7,5 VOTO FINALE: 8 Francesco Pellegrino Lise Il Cd compie 40 anni e si avvia verso la “pensione” Nel lontano 8 marzo del 1979 la Philips presentava il primo cd. Tale supporto era destinato a rivoluzionare l’ascolto e
soprattutto la memorizzazione digitale delle informazioni. Adesso il compact disc è ormai in declino per l’arrivo dei nuovi formati digitali come lo streaming e l’archiviazione dati nel cloud. Il declino di tale supporto è sancito in Italia dall’uscita del Cd dal paniere Istat, che annovera i beni e i servizi più acquistati. E negli Usa dalla chiusura nel 2018 dell’ultima fabbrica che li produceva. Di fatto la progettazione del Cd nella sua configurazione definitiva risale al 1979 e si deve ad una joint venture della Philips con l’azienda giapponese Sony, che già dal 1975 stava sperimentando in modo indipendente la tecnologia per un disco ottico digitale. Un accordo tra la casa giapponese e quella olandese portò alla definizione dello standard per il compact disc, che prevedeva dischi di 12 centimetri e una risoluzione di 16 bit, e al lancio definitivo. Parlando un po’ di storia, a sancire il successo del cd fu il direttore d’orchestra Herbert Von Karajan che con i Berliner Philharmoniker è protagonista del primo disco registrato con il nuovo formato, mentre il primo album pop pubblicato su questo supporto è 52nd Street di Billy Joel. Nel 1990 l’intero settore dei Cd supera i 33 giri. Nel 2007, quando già l’mp3 è una realtà da diversi anni, si contano 200 miliardi di compact disc venduti nel mondo. E proprio l’mp3 e piattaforme come Napster e successivamente lo streaming di Spotify saranno determinanti per il declino del Compact disc, mai amato davvero dagli appassionati di musica per la qualità del suono, con il 2015 che verrà ricordato come l’anno in cui i formati “immateriali” hanno superato quelli fisici. Anche il suo utilizzo nel settore informatico crolla per il sopravvento delle chiavette usb, capienti e meno ingombranti, o di sistemi come wetransfer che permettono il trasferimento online di dati, video e foto in maniera veloce. Ma non è detto che fra qualche anno i cd non saranno destinati a tornare, infatti attualmente i suoi predecessori, dischi in vinile e musicassette, si sono recentemente presi la loro rivincita e sono tornati ad essere richiesti. Nel 2018 hanno fatto registrare aumenti delle vendite a due cifre, come riporta l’indagine della società
specializzata BuzzAngle. In ogni caso, che sia destinato a sparire o a tornare in voga fra qualche anno non possiamo che augurare buon compleanno al cd. F.P.L. Jump Force, i manga più noti diventano un picchiaduro Jump Force, il nuovo titolo prodotto da Bandai Namco e sviluppato da Spike Chunsoft, è finalmente arrivato su Pc, Ps4 e Xbox One. Il gioco ha la caratteristica di unire ben 42 lottatori appartenenti alle saghe che hanno fatto la storia
del fumetto giapponese e di renderli dei lottatori formidabili tutti da giocare. Tra Dragon Ball, One Piece, Ken il Guerriero, i Cavalieri dello Zodiaco, Naruto, City Hunter e molti altri, c’è davvero l’imbarazzo della scelta per chiunque sia cresciuto a pane e manga. Non a caso il videogame è uscito nell’anno del 50esimo anniversario di Weekly Shōnen Jump, conosciuta anche semplicemente come Shōnen Jump. Per chi non lo sapesse stiamo parlando di una delle più longeve testate settimanali di manga pubblicate in Giappone che vanta milioni di fan in tutto il mondo. Tale successo è dovuto al fatto che la maggior parte delle avventure che pubblica sono arrivate anche in occidente e in Italia, sia in formato cartaceo che nelle loro trasposizioni video in forma di anime. Detto ciò, veniamo alla trama dell’ultimo prodotto Bandai Namco: Jump Force ha inizio con la creazione del proprio alter ego virtuale tramite un editor di personaggi non troppo complesso. Una volta creato l’eroe che accompagnerà il giocatore lungo la “campagna”, il quale grazie a un cubo magico riceverà gli stessi poteri degli eroi dei manga, verrà chiesto di entrare a far parte di uno tra tre team: il team Dragonball, il team Naruto e il team One Piece. La scelta non è per niente tecnica o strategica, bensì legata a quali personaggi animati si è più affezionati. I guerrieri hanno infatti tutti meccaniche di combattimento simili, con le mosse speciali che però differiscono molto fra loro. Dopo un breve tutorial che serve a spiegare l’esecuzione delle combo base e delle mosse avanzate e speciali, i giocatori vengono catapultati nella base della J-Force, un mondo vivo dove si trovano tanti NPC e giocatori reali da tutto il mondo con cui interagire, negozi, punti di interesse e chioschetti dove avviare missioni e battaglie offline e online. Benché chi si trova dinanzi lo schermo possa muoversi abbastanza liberamente già
dopo il tutorial, e avviare ad esempio battaglie offline o con giocatori in rete, alcune sezioni sono bloccate e richiedono l’avanzamento nella storia single- player. Quest’ultima però è il vero e proprio punto dolente del gioco. Essa infatti è piuttosto banale e man mano che si prosegue propone una serie di missioni troppo simili fra loro e ripetitive in successione, intermezzate da scene con audio in giapponese. La storia lega le battaglie l’una con l’altra ma la narrazione appare a volte forzata e frammentaria. Alcuni scontri si affronteranno con il proprio alter-ego e altre con uno dei personaggi degli anime, mentre altre ancora con un team di tre lottatori. In questo modo si avverte una sensazione di varietà che nello stesso tempo però mina alla continuità dello schema di combattimento. Il titolo a livello d’identità può essere definito un picchiaduro con tendenze rpg-free roaming, infatti la progressione è legata agli eventi della storia single-player che permettono pian piano di sbloccare lottatori e skill. Nelle pause tra ogni battaglia i giocatori sono liberi di girare per il mondo di gioco affrontando battaglie offline e online con matchmaking, o affrontando gli altri player che girano liberi per la base. Inoltre, nei negozi è possibile acquistare abilità, tecniche e oggetti cosmetici per potenziare il proprio eroe. Le skill possono essere livellate
anch’esse. A volte quindi si avverte una sensazione di smarrimento e ridondanza, che può risultare fastidiosa per chi volesse semplicemente buttarsi nella lotta come ci si aspetterebbe da un gioco di questo genere. Per chi non fosse particolarmente interessato alla storia, comunque, è sempre possibile dedicarsi alle sole battaglie in single e multiplayer, anche se il gioco perde molto della sua appetibilità. A livello di combat system Jump Force è un gioco poco tecnico che si riduce molto spesso a un button smashing sfrenato. Per capirci meglio, sulla versione Xbox da noi testata l’attacco impeto, eseguibile con tasto X è quello “debole”, mentre quello pesante si esegue con Y. Essi possono essere combinati tra loro o si può premere ripetutamente il medesimo tasto per realizzare le combo, più rapide e meno efficaci le prime, più lente e letali le seconde. Il numero di attacchi concatenabili dipende da personaggio ma, nel complesso, si ha la sensazione che, in tali azioni, la differenza tra i lottatori sia davvero minima, così come per le proiezioni, attivabili premendo B, utili per danneggiare l’avversario quando mantiene la guardia che si attiva con RB. La basilare mappatura dei comandi permette ovviamente il salto utilizzando
il tasto A, lo scatto con LB, lo switch tra i membri del team tramite la pressione di LT e la ricarica della barra di energia con RT che consente di eseguire le mosse speciali combinando il grilletto destro + frontali. Il tutto non richiede particolari predisposizioni o abilità con i picchiaduro e risulta, nel pieno animo fan-service dell’opera, accessibile anche a chi vuole cimentarsi con Jump Force solo per amore dei propri beniamini. I virtuosismi, in realtà, sono permessi, quanto meno sulla carta: schivate, combinazioni tra attacchi classici e speciali, switch durante le combo, ragionamenti sugli attacchi elementali, etc… dovrebbero consentire anche ai più abili di sfruttare il combat system con maggior profondità. In realtà, a causa delle ridottissime finestre temporali per l’attivazione, ad esempio, di un contro-attacco e per via della confusione che si viene a creare sullo schermo, si fa grande fatica a cogliere gli attimi necessari per compiere i “virtuosismi” e si finisce ad optare per la pressione compulsiva delle mosse più semplici. Tanto più vista l’entità importante del danno arrecato da un comodissimo attacco impeto che va a segno nella sua combo completa. Per quanto concerne
il comparto tecnico, Jump Force presenta delle animazioni molto curate nelle sequenze di lotta, ma quelle delle cut-scene e dei dialoghi sono a volta grossolane e sembrano realizzate in fretta, con qualche problema di sincronizzazione fra il movimento delle labbra e il parlato. Il gioco gira abbastanza fluidamente a 30fps e per il tipo di azione che offre è più che adeguato. Quando ci sono molti giocatori in lobby abbiamo però riscontrato qualche problema di lag. Per quanto riguarda i dialoghi, essi sono in inglese o giapponese, a second del gusto dell’utente. Mentre gli effetti sonori sono assolutamente fedeli a quelli che si possono ascoltare negli anime. Uno degli aspetti più allettanti è sicuramente la personalizzazione dei combattenti. Si possono applicare tatuaggi, segni distintivi, costumi e accessori appartenenti ai vari personaggi dei manga. Ovviamente, più si conoscono le differenti serie ed i relativi personaggi, e più questo ambito acquisisce appetibilità. All’inizio ci sarà ben poco da applicare per customizzare l’avatar ma, man mano che si accumulano punti, si potranno acquistare nuovi oggetti e rendere il proprio personaggio davvero unico. L’accesso giornaliero al gioco, inoltre, premia i giocatori più assidui con ulteriori punti da spendere. Tirando le somme, Jump Force, visto il grande potenziale e i milioni di fan del genere è un titolo che poteva dare assolutamente di più. Lottatori
bilanciati male, meccaniche estremamente semplicistiche e un livello di sfida tarato verso il basso da una parte, tutti i personaggi più amati dai fan dei migliori manga di Shōnen Jump e un buon comparto grafico dall’altra, Jump Force è il tipico esempio videoludico dell’occasione sprecata. Quello che sulla carta poteva infatti essere il crossover definitivo finisce invece per inciampare su quelli che sono gli elementi base di qualsiasi picchiaduro che si rispetti: la giocabilità e il bilanciamento generale tra i lottatori. Anche l’aspetto grafico in 3D non rende giustizia al titolo trasformando i personaggi quasi in action figures non sempre belle da vedere e poco espressive. Magari uno stile grafico più platform, come quello visto nel bellissimo Dragon Ball FighterZ, a nostro avviso avrebbe reso giustizia ai tanti personaggi presenti. Detto ciò, quindi ci sentiamo di consigliare questo Jump Force solo ed esclusivamente ai fan più appassionati, disposti a chiudere un occhio sulle meccaniche e sulla trama. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica 6 Sonoro: 7,5
Gameplay: 6 Longevità: 7 VOTO FINALE: 6,5 Francesco Pellegrino Lise
Nubia lancia Alpha, l’innovativo smartphone da polso Lo smartphone dice addio alle tasche e alle borse per diventare indossabile: al polso più precisamente. Tutto questo è possibile ovviamente grazie all’utilizzo di un innovativo schermo flessibile. A crearlo è l’azienda cinese Nubia, che al Mobile World Congress di Barcellona porta un dispositivo che vuole mettere insieme le caratteristiche migliori dello smartphone e dello smartwatch. Il “wearable” si chiama Nubia Alpha ed è presentato come “il primo telefono indossabile con schermo flessibile disponibile in commercio”. L’arrivo nei negozi europei del device è previsto fra la primavera e l’estate Già in molti sembrano interessati per l’acquisto. Il Nubia Alpha possiede uno schermo Oled da 4 pollici ed è disponibile in due versioni: una con connettività Bluetooth e Wi-Fi, e una anche con eSim, cioè con scheda telefonica virtuale, che consente al bracciale di rimpiazzare lo smartphone. Dall’aspetto tutt’altro che minimale, è piuttosto ingombrante ed evidente, soprattutto nella versione placcata in oro a 18 carati, questo strano quanto innovativo dispositivo consente di mandare messaggi, telefonare, scattare foto e navigare in rete anche senza toccare lo schermo, perché riconosce i gesti e i comandi vocali. Dallo smartwatch, invece, il prodotto prende in prestito il rilevatore dell’attività fisica e il monitoraggio di battito cardiaco, esercizio e qualità del sonno. Insomma, sembra proprio che in Cina stiano tentando di
trovare una nuova strada per controbattere lo strapotere statunitense in questa fetta di mercato. Il Nubia Alpha riuscirà a stravolgere il concetto di smartphone? O avrà un’accoglienza tiepida da parte del pubblico fruitore? Non resta altro che aspettare l’estate per vedere l’impatto che avrà sulle persone. Francesco Pellegrino Lise Crackdown 3, l’Agenzia torna su Xbox One e Pc Dopo un secondo capitolo non particolarmente brillante e un’attesa lunga quasi 5 anni,
Crackdown 3 arriva sulle console della famiglia Xbox One e su Pc. Prima di parlare di questo titolo però è bene mettere in chiaro una cosa: se si è alla ricerca di un titolo con una trama solida, fatto di colpi di scena brillanti o ricco di innovazione, Crackdown 3 non è il gioco che fa per voi. Nel caso in cui invece si cerchi un videogame fatto per trascorrere il proprio tempo senza pensare troppo, andando avanti a colpi di esplosioni, distruzione e personaggi dotati di abilità sovraumane, allora questa è una produzione che non bisogna assolutamente lasciarsi scappare. Vi diciamo questo in quanto questo terzo capitolo della serie, un po’ come i suoi predecessori vuol essere volutamente un titolo fatto per divertire, e lo fa mantenendo i toni iperbolici che da sempre hanno caratterizzato il brand senza mezzi termini. Ma veniamo alla trama di Crackdown 3: il gioco ha inizio esattamente 10 anni dopo i fatti accaduti nel secondo capitolo. Qui un attacco terroristico non meglio identificato rende inutilizzabile gran parte della tecnologia mondiale e i rifugiati cercano riparo nella città di New Providence che non solo è rimasta “stranamente” illesa, ma sembra offrire un ambiente idilliaco in cui ripartire da zero e vivere serenamente la propria esistenza. Dietro a tutto questo ovviamente si cela una multinazionale dalle pessime intenzioni, la TerraNova WorldWide, che dietro la maschera del bene comune sta compiendo strani
esperimenti e tiene in pugno la città con la sua gang di criminali vestiti da guardie, scienziati pazzi e guerrafondai esaltati. Ovviamente toccherà all’Agenzia risolvere le cose nell’unico modo possibile: spaccando tutto. Decisi a liberare la città, i vertici dell’Agenzia decidono d’inviare quindi sul campo i migliori agenti disponibili che, tuttavia, subiscono un attacco da parte del Blackout, un agente atmosferico che azzera tutte le abilità dei super soldati eliminandoli. Tuttavia una giovane ragazza di nome Echo riesce a salvare il protagonista, spingendolo a cercare di salvare New Providence da questa famigerata società che sfrutta i cittadini per l’estrazione di un pericoloso materiale chimico: la Chimera. La trama è raccontata con pochissime scene di intermezzo che sfruttano il motore del gioco e alcune illustrazioni che ricordano un po’ i fumetti degli anni ’90. Scelta molto coerente a nostro avviso in quanto la storia sembra proprio esser venuta fuori direttamente da un action movie di vent’anni fa. Parlando di giocabilità, Crackdown 3 ha inizio con la scelta dell’agente di cui si deciderà vestire i panni. Ogni personaggio ha dei bonus peculiari, come ad esempio più abilità nella guida, con gli esplosivi, con le armi da fuoco ecc… Ma essi non influenzeranno mai in maniera troppo vistosa l’avventura, quindi la scelta si ridurrà semplicemente puntando all’aspetto estetico che si
preferisce. La decisione in ogni caso non è vincolante perché come si vedrà procedendo nella storia, in qualsiasi momento si potrà cambiare il proprio personaggio, anche perché sparsi un po’ ovunque per la mappa si potranno trovare i Dna degli agenti morti nell’introduzione per poterli sbloccare e usare. Interessante la gestione dei salvataggi che non legano l’agente al mondo di gioco, potendo dunque decidere di usare uno qualsiasi dei personaggi in una qualsiasi delle partite già iniziate o direttamente in una nuova. Dopo la fase introduttiva, il gioco getta il giocatore direttamente nella mischia dandogli subito la possibilità di muoversi con un buon grado di libertà per le strade, o meglio, i palazzi, di New Providence. A gestire la metropoli però non c’è solo la perfida Elizabeth Niemand, ma un vero e proprio governo composto dai suoi seguaci più fidati, che regolano i diversi aspetti della vita quotidiana, tenendo in pungo tutti i principali servizi, dai trasporti alla sicurezza fino alle comunicazioni. Il compito degli agenti sarà naturalmente quello di ribaltare il governo centrale, sconfiggere Elizabeth e liberare gli innocenti cittadini dalla morsa dello strapotere della Niemand. Per sconfiggere la perfida antagonista di Crackdown 3 sarà necessario far fuori
uno a uno tutti i seguaci, scovandoli ed eliminandoli. Ogni nemico è legato a una particolare attività che rappresenta anche il suo campo di specializzazione. Ad esempio per raggiungere l’IA che gestisce le linee di trasporto sarà necessario conquistare le stazioni, o ancora per individuare l’addetto alla sicurezza interna bisognerà liberare dai campi di prigionia i cittadini detenuti. Altre attività ancora richiedono di disattivare dei centri di comunicazione per disabilitare la continua propaganda o dei centri chimici per cessare la produzione di materiale tossico usato persino sulla popolazione. Tutte queste missioni, molto varie tra loro, saranno sparse per l’intera mappa di gioco e al completamento di tutte quelle di un certo tipo, verrà indicata automaticamente la posizione del luogotenente di riferimento. Gli scontri con i luogotenenti di Elizabeth sono il culmine di un sistema generalmente funzionale, con scontri ben caratterizzati, mai noiosi e che ai livelli di difficoltà più elevati offrono anche sfide particolarmente impegnative. L’esplorazione della città avviene con una naturale, quanto apprezzabile, libertà, questo perché basta girare la mappa per evidenziare i diversi luoghi d’interesse senza la necessità di raggiungere i classici punti di osservazione. Analogamente anche le attività secondarie vengono sbloccate nello stesso modo, dalle sfide di guida o di corsa, ai
chioschetti da distruggere e alle basi dove poter gestire il proprio arsenale o generare un veicolo per facilitare gli spostamenti. Lo stile di gioco di Crackdown 3, quindi si può dire che è totalmente incentrato sulla giocabilità e quasi per nulla sulla trama. Proprio per tale ragione all’inizio abbiamo voluto precisare che tale gioco è indicato per chi ha voglia di una sana quanto scanzonata distruzione. Se da un lato la giocabilità ne guadagna in termini di ritmo e continuità, dall’altro viene a mancare quel naturale senso di progressione e suddivisione delle attività, ponendole praticamente tutte sullo stesso livello. Peccato soltanto per la durata complessiva, che richiederà una decina di ore per portare a termine la quasi totalità delle attività disponibili, senza troppi incentivi a continuare la partita dopo i titoli di coda. Un discorso simile lo si può fare anche per il gameplay in quanto non esiste un vero e proprio processo di crescita classico. La gestione delle nostre abilità avviene tramite cinque parametri di riferimento, sempre visibili nella parte sinistra dello schermo: agilità, armi da fuoco, forza, esplosioni e guida. Per aumentare il primo bisognerà raccogliere le settecentocinquanta sfere agilità sparse per la mappa di gioco (non tutte comunque necessarie), per i successivi tre campi invece basta semplicemente giocare, uccidendo con i diversi mezzi a propria disposizione e infine per far
incrementare il livello di guida basterà essere spericolati al volante o completare le gare. Raccogliendo invece le sfere segrete si potranno ottenere invece dei punti per tutti i campi. A ogni scatto di livello corrispondono delle nuove abilità e nel giro di poche ore sarà possibile sbloccare la quasi totalità dei bonus disponibili, decisione condivisibile per consentire quanto prima di sfruttare tutti i benefici disponibili, anche in termini di semplice godibilità del gameplay. Per quanto riguarda il “gunplay” invece, Crackdown 3 adotta un sistema imperniato sulla possibilità di bloccare la mira su un nemico e rendere così quasi impossibile mancare i colpi, potendo inoltre passare da un bersaglio all’altro in maniera piuttosto fluida. La vera difficoltà negli scontri non è tanto il prendere la mira quando il gestire i tanti nemici presenti, rimanendo dunque sempre in movimento e schivando quando possibile gli attacchi a noi destinati. Gli scontri finiscono sempre con l’essere accesi senza mai diventare confusionari, e in essi è sempre bello poter dare libero sfogo alle abilità sovraumane di manovra dell’agente e massacrare i nemici con le decine di granate e armi disponibili. Nonostante qualche bilanciamento sia opportuno, la lista delle armi utilizzabili è ottima, capace di dare molteplici soddisfazioni grazie a una gran varietà di bocche di fuoco. In Crackdown 3 morire non è di
certo un evento raro, soprattutto ai livelli di difficoltà più elevati, ma ciò non è un problema in quanto il gioco adotta un sistema di continuità molto semplice: quando si muore, si può liberamente rientrare in uno qualsiasi dei punti di rientro e riprendere esattamente dove si era rimasti. Infondo nel futuro distopico dove il gioco è ambientato la clonazione rapida tramite l’utilizzo del Dna sembra essere un gioco da ragazzi. Sul fronte tecnico Crackdown 3 mantiene un frame rate costante anche nelle situazioni più caotiche, con decine di nemici a schermo ed effetti particellari generalmente buoni e di ogni tipo, quantomeno su One X. C’è da dire inoltre che se da una parte il titolo offre un ambiente di gioco intoccabile, in cui gli edifici e il terreno non vengono minimamente scalfiti dalla furia distruttrice del giocatore e gli abitanti sono pupazzi di contorno che spesso diventano vittime collaterali della potenza di fuoco del giocatore, dall’altra mostra una spiccata estetica retrofuturista fatta di palazzoni al neon che si mescola con le baraccopoli sudafricane. Il comparto audio, infine, presenta un’ottima selezione musicale, in grado di sottolineare i ritmi degli scontri ed enfatizzarne il dinamismo generale.
Vera novità di questo Crackdown 3, oltre che essere una delle componenti del gioco più attese, è la Zona di Demolizione, il multiplayer competitivo interamente gestito dal Cloud e in grado di garantire una distruttività ambientale vicino al 100%. Durante la nostra prova abbiamo avuto accesso alle tre mappe e alle due modalità: Cacciatori di agenti e territori. La prima rappresenta un classico Deathmatch a squadre in cui i due team di massimo cinque giocatori hanno come unico obiettivo quello di uccidersi, totalizzando il maggior numero di uccisioni entro lo scadere del tempo o raggiungendo il punteggio massimo. Nella modalità Territori, invece, bisogna conquistare e difendere determinate posizioni. Queste appariranno sulla mappa a gruppi di due, e quando un team ne conquista una iniziano a consumarsi i punti dell’area, venendo dunque assegnati alla squadra che la controlla. Quando si esauriscono, la zona si disattiva e si passa a quella successiva. Esattamente come in Cacciatori di Agenti, lo scopo è ottenere il punteggio più alto. Nel multiplayer di Crackdown 3 prima di ogni partita si sceglie l’equipaggiamento. E’ possibile selezionare due delle nove armi presenti e un gadget tra uno scudo aggiuntivo in grado di assorbire danni extra, e un trampolino utile per saltare più in alto. Per quanto riguarda il gameplay, esso è molto semplice, la mira, esattamente come nella campagna, è
automatica una volta premuto il grilletto sinistro, inoltre è possibile utilizzare il doppio salto, il booster per avanzare più rapidamente e un attacco corpo a corpo ricaricabile in breve tempi. La distruttibilità dell’ambiente poi, nonostante non faccia gridare al miracolo per realizzazione tecnica, rende l’esperienza nel complesso divertente e appagante. Tirando le somme, Crackdown 3 è un titolo pieno di spunti interessanti, di attività divertenti e di cose da fare. Il problema di fondo è che ci si trova dinanzi a un titolo che possiede delle dinamiche che non appartengono più al panorama videoludico attuale. In sostanza, se non si ha poco tempo per giocare, se non si è amanti del multiplayer, se non si vuole perder tempo appresso a un titolo fatto di trame complicate e rompicapo complessi Crackdown 3 è un titolo da non perdere. Ma se si è in cerca di qualcosa di nuovo, più profondo e che sappia meno di già visto allora è preferibile navigare verso altri lidi. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 7,5 Sonoro: 7,5
Gameplay: 7 Longevità: 6,5 VOTO FINALE: 7 Francesco Pellegrino Lise Android a rischio, aumentano le false app bancarie Android a rischio. I ricercatori di ESET, azienda leader nel campo dell’individuzione e lotta contro virus informatici e malware, mettono in guardia dalla minaccia
sottovalutata delle false app bancarie per dispositivi Android, che si presentano come applicazioni finanziarie legittime con l’obiettivo di rubare credenziali o denaro dai conti bancari delle vittime. Anche se tecnicamente lontane dalle modalità più avanzate di frode, le false app bancarie presentano vantaggi strategici che le rendono comparabili a tipi di malware molto più sofisticati come i trojan bancari. L’analisi dei ricercatori di ESET relativa ai due tipi di frode, entrambi presenti nello store ufficiale di Google Play, ha dimostrato che le app bancarie fake presentano per i cybercriminali alcuni vantaggi che i temuti trojan bancari non hanno. Il principale punto di forza di queste app fake è la loro pressochè totale somiglianza alle applicazioni bancarie legittime. Se gli utenti cadono nel tranello e installano l‘app fake sul proprio smartphone Android, c’è un’alta probabilità che considerino legittima la schermata di accesso visualizzata e inviino le proprie credenziali. E, contrariamente ai trojan bancari, non vengono richiesti permessi aggiuntivi che possano sollevare il sospetto degli utenti dopo l’installazione. Oltre a questo, i trojan bancari sofisticati sono maggiormente soggetti al rilevamento dei software antivirus, a causa delle loro tecniche avanzate che fungono da trigger per varie misure di sicurezza.
Target delle false app bancarie A differenza dei trojan bancari, le false app bancarie si focalizzano in genere su un target di clienti di un solo istituto finanziario o servizio – quello che impersonano. Un’eccezione a questa regola è stata un’app falsa che sosteneva di essere uno strumento bancario universale e che aveva come target i clienti di 19 banche polacche. Alcuni autori di malware approfittano dell’assenza di un’app mobile ufficiale di una certa banca o servizio, mentre altri tentano di ingannare gli utenti impersonando app ufficiali esistenti. Occasionalmente, le false app fingono di offrire funzionalità aggiuntive alle app legittime esistenti, come la promozione di premi bancari, regali o offerte per aumentare i limiti delle carte di credito. Come proteggersi dalla minaccia degli Android banking malware: Per stare al sicuro dai malware bancari che imperversano sui dispositivi Android, gli esperti di ESET consigliano agli utenti di:
– Tenere aggiornato il proprio dispositivo e utilizzare una soluzione di sicurezza mobile affidabile. – Evitare gli store non ufficiali, se possibile; tenere sempre disabilitata sul proprio dispositivo l‘opzione “installazione di app da fonti sconosciute”. – Prima di installare un’app da Google Play, controllare sempre le valutazioni degli altri utenti, il contenuto delle recensioni, il numero di installazioni e le autorizzazioni richieste; prestare attenzione al comportamento dell’app anche dopo i primi utilizzi. – Scaricare sempre e solo applicazioni bancarie e altre applicazioni finanziarie collegate al sito Web ufficiale della banca o del servizio finanziario. F.P.L.
Kingdom Hearts 3, la saga giunge al termine Square Enix e Disney hanno finalmente lanciato Kingdom Hearts 3. Dopo ben 13 anni d’attesa dall’ultimo titolo della serie, finalmente i fan di tutto il mondo potranno accompagnare Sora, il giovane protagonista armato di keyblade , in una nuova splendida avventura. L’eroe, con l’aiuto dei suoi fedeli compagni Paperino e Pippo, ovvero degli emissari inviati da Re Topolino, si unirà ai personaggi più famosi della Disney e della Pixar per cercare di sconfiggere l’oscurità e salvare l’universo dagli spietati heartless in un lungo e meraviglioso viaggio capace di tenere letteralmente inchiodati al joypad. Con oltre un decennio trascorso dal secondo capitolo e con una narrativa frammentata in un numero indefinito di spin-off e piattaforme, l’arrivo di Kingdom Hearts III su Ps4 e Xbox One era tutto meno che scontato. Annunciato per la prima volta all’E3 del 2013, il terzo episodio numerato della saga di Tetsuya Nomura è stato difatti accolto fin dall’inizio con
delirante entusiasmo, scaturito dall’immensa passione verso una serie straordinaria, abile nel coniugare linguaggi e culture diverse in unico e maestoso immaginario. Ma veniamo alla trama di quest’appassionante quanto incredibile storia: come fatto intendere nell’epilogo di “A Fragmentary Passage”, Kingdom Hearts 3 ha inizio con un Sora indebolito a seguito del tentativo di possessione da parte di Xehanort, che l’ha portato a perdere il potere del Risveglio ottenuto con Riku in precedenza. In vista della battaglia finale contro la nuova Organizzazione XIII e del prossimo raggruppamento dei sette Guardiani della Luce, di cui fanno parte Lea, Kairi, Topolino ed altri personaggi storici della saga, recuperare tale capacità risulta un imperativo, forzando Sora ad intraprendere un nuovo viaggio per chiarire la sua natura ed intraprendere legami con nuovi cuori. Il problema, se così si può definire, più grosso di Kingdom Hearts III è proprio il comparto narrativo che potrebbe effettivamente rappresentare un ostacolo per tutti quegli utenti che desiderano giocare per la prima volta assieme a Sora e amici. Kingdom Hearts III è infatti il terzo episodio di una trilogia debuttata nel 2002 su PlayStation 2 che nel corso degli anni si è ampliata con episodi “secondari”, usciti su diverse piattaforme, tra cui dispositivi mobile e console portatili. I vari giochi hanno quindi sviluppato a dismisura l’intreccio narrativo e, allo stato attuale, sono di fatto dei capitoli necessari per capire tutti i riferimenti presenti in Kingdom Hearts III. L’avventura di Sora e amici riparte dal Monte Olimpo dove Pippo e Paperino tentano di aiutare il protagonista a recuperare i poteri. Si inizierà quindi un lungo viaggio che porterà l’iconico Trio a visitare una serie di mondi Disney e Pixar, a combattere contro innumerevoli nemici, tra cui Heartless e Nameless, per prepararsi al meglio allo scontro finale mentre Riku e Topolino, in completa autonomia, raduneranno gli alleati in vista dell’ultima battaglia. A livello di gameplay, il titolo di Square Enix e Disney è davvero uno spettacolo, i combattimenti in tempo reale di Kingdom Hearts 3 sono visivamente spettacolari, un tripudio di
effetti ed animazioni capaci di lasciare chiunque a bocca aperta. Questi si basano su una componente tendenzialmente “button mashing” che ha da sempre caratterizzato la serie, quindi, il sistema di controllo è assolutamente semplice ed intuitivo. I tasti utili all’azione sono pochi e per eseguire i vari “attacchi speciali” sarà sufficiente premere il pulsante predisposto per tale fine. Sui campi di battaglia, oltre a pozioni curative, elisir ed accessori, Sora potrà equipaggiare sino ad un massimo di tre Keyblade, ognuna dotata di attacchi, caratteristiche e Fusioni differenti, che potranno essere cambiate nel corso dello scontro. Tra attacchi speciali, magie, legami, evocazioni, Fusioni, attrazioni e mosse combinate con i personaggi presenti nel gruppo, ogni battaglia è quindi un tripudio di colori ed effetti semplicemente fanvolosi. L’intero sistema di combattimento poggia quindi sulle collaudate meccaniche del franchise. In basso a sinistra saranno sempre ben visibili le quattro “azioni” basilari: Attacco (Keyblade), Magia (incantesimi sia offensivi che curativi), Oggetti (utilizzare un item a patto di averlo equipaggiato) e Legami (evocazione). Accanto a questi quattro “pilastri” si innescano una serie di meccaniche più stratificate che permetteranno a Sora e compagni di innescare attacchi devastanti ed estremamente spettacolari. Utilizzando il Keyblade e infliggendo a lungo danni ai nemici, ad esempio, si potranno attivare le Fusioni che potenzieranno e modificheranno l’attacco dell’arma dando vita anche a un micidiale colpo di grazia. Discorso simile vale anche per le magie con la possibilità di utilizzare incantesimi potenziati, a patto di aver riempito l’apposita barra colpendo ripetutamente gli
avversari. Nella mischia sono presenti inoltre così dette “attrzioni” che si potranno attivare dopo aver colpito i nemici contornati da un cerchio verde. Queste mosse, oltre essere estremamente spettacolari, varieranno in base al luogo in cui si combatte, avranno un raggio d’azione ampio, conferiranno ingenti danni ai nemici e si potranno concludere con una sorta di colpo finale davvero spettacolare. Per quanto riguarda il sistema di combattimento non mancano poi gli attacchi combinati con i compagni di gruppo ed il “Fluimoto”, che permette di coprire grandi distanze in poco tempo e che tornerà molto utile anche in battaglia. Presente anche il colpo “Tiro” che, collegato alla barra Focus e al Keyblade utilizzato, consentirà di agganciare e colpire più nemici in simultanea e che sarà indispensabile anche per raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili. Ovviamente si potranno inoltre evocare alleati durante le sessioni di combattimento a patto però di consumare l’intera barra dei PM che si ricaricherà con il passare del tempo o utilizzando apposite pozioni. Da buon gdr che si rispetti, anche in Kingdom Hearts 3 sconfiggendo nemici e boss, Sora, Pippo e Paperino, saliranno di livello e aumenteranno le loro statistiche. Inoltre sbloccheranno innumerevoli abilità con cui personalizzare il set di mosse disponibili, le fasi offensive, difensive e curative. Ogni
abilità ha però un costo in punti che viene detratto da un massimale che incrementerà salendo di livello. Nel complesso l’intera struttura che governa le fasi di combattimento funziona e diverte rendendo gli scontri vari e visivamente spettacolari, tuttavia il livello di sfida è davvero piuttosto semplice, quindi il nostro consiglio è quello di giocare alla massima difficoltà. Durante le nostre circa 50 ore di gioco, non ci è mai capitato di trovarci in combattimenti troppo complessi o frustranti, neppure quando il protagonista era di livello inferiore rispetto a quello richiesto dal mondo che in quel momento stavamo esplorando. Sempre a livello di gameplay, le meccaniche RPG di Kingdom Hearts 3 ci sono sembrate piuttosto semplici e con un sistema eccessivamente basilare. Le statistiche di Sora e compagni aumentano in modo autonomo e si potrà interagire solo con le abilità decidendo, in base ai punti a disposizione, quali attivare o disabilitare. Detto ciò, segnaliamo comunque la possibilità di abilitare alcuni malus, pensati appositamente per mettere in difficoltà il giocatore e garantire un livello di sfida superiore. Nel titolo fortunatamente è presente anche un sistema di crafting che, oltre a permettere la creazione di pozioni curative, elisir e oggetti di vario genere, consente anche di potenziare le Keyblade a patto di essere in possesso dei materiali richiesti. All’officina si accederà interagendo con il Moguri, unico personaggio di Final Fantasy presente, con cui si potrà anche commerciare. A Crepuscopoli inoltre, si avrà la possibilità di entrare al bistrot di Zio Paperone e
creare, completando dei minigiochi di cucina, dei menù gourmet che conferiranno al trio bonus temporanei. Proprio come già visto in passato, Kingdom Hearts 3 non è solo combattimenti, la struttura di gioco viene infatti ampliata con una serie di attività secondarie che spaziano dalla ricerca di collezionabili, scattare foto, a boss opzionali sino ad arrivare ai 20 mini-giochi ispirati al mondo Disney degli anni 80 e ai “viaggi” nello spazio a bordo della ormai nota Gummiship. I minigiochi, rigorosamente in bianco e nero, non saranno disponibili sin da subito ma andranno sbloccati progredendo nell’avventura e trovando gli appositi scrigni sparsi nei mondi di gioco. Per accedervi, sarà necessario utilizzare il Gummifono, una sorta di smartphone inventato da Cip e Ciop che sostituisce il “diario” cartaceo del Grillo Parlante presente negli episodi precedenti. Tramite il Gummifono si potrà quindi accedere ad una sezione dove non mancheranno le schede dettagliate di alleati e nemici, il glossario e il riassunto della storia. Essendo una sorta di smartphone, con il dispositivo si potranno inoltre scattare foto e gli immancabili selfie. Per quanto riguarda le sessioni di gioco a bordo della Gummiship, l’iconico mezzo di trasporto con cui si viaggerà nello spazio per spostarsi da un mondo all’altro, il gampelay canonico è stato arricchito da qualche gustoso elemento in più. Si tratta di un gioco nel gioco considerando che l’universo stellato di Kingdom Hearts 3 è ricco di tesori ma anche di pericolosi nemici. Si affronteranno quindi battaglie spaziali, non mancheranno mini- boss e le insidie saranno dietro ad ogni angolo. Saranno presenti preziosi tesori e si potranno recuperare materiali rari, progetti esclusivi e componenti unici per la Gummiship. Oltre a poter personalizzare o modificare le “navi” esistenti, è presente anche un editor che consentirà di creare da zero la propria Gummiship, equipaggiandola con una serie di accessori, armi, bonus e facendo attenzione a equilibrare le varie statistiche: manovrabilità, punti vita, potenza, rollio, attacco.
Kingdom Hearts III grazie alle prestazioni offerte dalle attuali console si libera una volta per tutte dei limiti tecnologici imposti da una tecnologia datata prima, dalle console portatili poi, mostrando tutto il potenziale artistico di un concept eclettico e stravagante. La progressione nei livelli appare più tridimensionale, sviluppandosi non solo su un piano orizzontale, ma anche e soprattutto su quello verticale. Il level design va infatti in questo terzo capitolo arricchendosi notevolmente, garantendo sezioni ampie e continue e abbandonando le continue schermate di caricamento delle iterazioni passate. La progressione nei livelli appare inoltre più tridimensionale, sviluppandosi non solo su un piano orizzontale, ma anche e soprattutto su quello verticale, specie grazie alla nuova capacità di Sora di sfidare la gravità e muoversi su pareti ben evidenziate. Passando invece a considerazioni di carattere prettamente tecnico, il lavoro fatto per questo terzo capitolo di Kingdom Hearts ha dell’incredibile, sebbene non manchi di mostrare il fianco ad alcuni annosi problemi. L’Unreal Engine 4 del gioco vanta un sistema di illuminazione sorprendente, supportato da ottimi shader e particellari. A fronte di quanto detto sopra, la riproduzione grafica delle proprietà
intellettuali Disney rasenta in alcuni punti la perfezione, rispettando sempre lo stile artistico iniziale e riproponendolo con cura all’interno del mondo di gioco. Le meraviglie a schermo vengono inoltre accompagnate da un sonoro come al solito d’eccellenza, con un ottimo doppiaggio inglese degno di annoverare, oltre alle voci storiche della saga, persino alcune delle voci originali delle pellicole trasposte. Peccato invece per la colonna sonora, caratterizzata quasi unicamente da bellissimi remix e riarrangiamenti delle celebri tracce dei capitoli precedenti, lasciando dunque spazio ad un numero minimo di inediti, tali da poter essere contati sulle dita di una singola mano. Alla luce di quanto detto, tirando le somme, nonostante ci siano voluti ben 13 anni d’attesa, Kingdom Hearts 3 è riuscito a mantenere le solide basi della serie permettendo ai fan di “rivivere” quelle sensazioni ed emozioni provate un decennio fa. Il titolo però non è un gioco per tutti e in alcuni ambiti si poteva fare meglio. Il comparto narrativo, per i neofiti, ma anche per chi ha saltato qualche gioco della saga, potrebbe essere un vero ostacolo. Per capire sino in fondo tutte le dinamiche, i riferimenti, gli intrecci e le relazioni tra i vari personaggi tirati in ballo nel corso dell’avventura, l’Archivio della Memoria presente al menù d’inizio non è sufficiente ed è quindi necessaria una conoscenza approfondita non solo dei due
capitoli principali ma anche degli altri episodi. Nonostante questo il videogame è sicuramente un titolo che vale a pena di giocare in quanto rappresenta un vero e proprio tripudio di divertimento. Siamo certi che le tante ore di gioco passate assieme a Sora, Pippo e Paperino saranno spese davvero bene e una volta portata a termine l’avventura avrete solo tanta voglia di continuare a esplorare i mondi di gioco per trovare fino all’ultimo collezionabile. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Sonoro: 8 Gameplay: 8,5 Longevità: 8,5 VOTO FINALE: 8,5 Francesco Pellegrino Lise
Il poker, dal presente digitale alle sue origini incerte Il poker rappresenta senza alcun dubbio uno dei giochi più amati dagli appassionati di gambling: non esiste nessun altro gioco di carte in grado di riscaldare gli animi al pari di questo e non è un caso che ancora oggi venga considerato come il numero uno tra i giochi d’azzardo. Lo dicono i dati del settore, soprattutto se si pensa al comparto del gioco online e al giro d’affari milionario mosso da questo passatempo. Eppure, prima di arrivare al digitale, il poker ne ha fatta di strada: le origini di questo gioco sono molto incerte, e questo non fa altro che aggiungere ulteriore fascino ad un
passatempo che può diventare quasi magico. Ecco perché oggi ripercorreremo la storia del poker e le informazioni note, partendo però dalle ultime novità del digitale. Il presente del poker è su Internet Oggi il poker si gioca soprattutto online, per merito dei casinò telematici: siti web che hanno conquistato il cuore e le attenzioni degli appassionati del gioco d’azzardo, per via dei loro innegabili vantaggi. Su casinò online come Leovegas (https://www.leovegas.it/it-it/), infatti, è possibile iscriversi direttamente da casa, fare un deposito e iniziare a puntare al poker e a tanti altri giochi d’azzardo digitali comodamente seduti sul divano. Un processo, questo, che include certamente tanti altri must del settore come ad esempio il blackjack, le slot o la roulette. Di fatto, il presente del poker così come il suo futuro pare essere a tinte digitali: lo sostengono anche i dati raccolti dall’AGIMEG, secondo cui questo gioco nella sua versione online ha prodotto un giro d’affari di oltre 70 milioni di euro lo scorso anno – ma stiamo pur sempre parlando di un mercato che a livello mondiale ha raggiunto nel 2018 ricavi per circa 44 miliardi. Di conseguenza, le poker rooms digitali sanno come affascinare i propri avventori quasi quanto, se non forse più, di quelle classiche. Il passato, la storia e le origini del poker Ad oggi gli esperti concordano nel definire il poker un gioco di origine persiana: pare infatti che questo passatempo sia stato introdotto a New Orleans (che ai tempi era ancora
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