Ex Ilva, con l'ArcelorMittal l'inquinamento ambientale non decresce
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Ex Ilva, con l’ArcelorMittal l’inquinamento ambientale non decresce “La nostra ambizione è garantire che le nostre prestazioni ambientali siano tra le migliori di qualsiasi impianto integrato di acciaio operativo in Europa”. È questo uno dei maggiori propositi citati dall’ArcelorMittal Italia sul sito istituzionale che, secondo quanto previsto, già dal 2018 (anno in cui acquisisce l’Ilva formando il nuovo polo industriale ArcelorMittal Italia) ha messo in atto una serie di interventi volti ad affrontare le problematiche ambientali ereditate dall’ex Ilva. Ma il nuovo colosso mondiale subentrato alla tanto discussa Ilva, sta realmente mantenendo la parola? Secondo l’associazione di volontariato PeaceLink, l’ArcelorMittal inquina più dell’Ilva commissariata. I dati di Peacelink A confermarlo infatti, secondo l’associazione PeaceLink, sarebbero le allarmanti elaborazioni dei dati rilevati dalle centrali di monitoraggio installate dall’ARPA Puglia (Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione dell’Ambiente) in prossimità del perimetro dello stabilimento specializzato nella produzione e trasformazione dell’acciaio che, ancora una volta, confermano un trend di emissioni di sostanze cancerogene in crescita. Dati da non sottovalutare quindi, quelli estrapolati dalle centrali dell’ARPA che, seppur allertanti, sono “entro il limite attualmente in vigore nell’ambito della normativa europea sulla qualità dell’aria” secondo il Direttore del Centro Regionale Aria dell’ARPA Puglia, Roberto Giua.
Acciaio e Taranto, una storia senza fine La storia del colosso siderurgico più grande d’Europa nasce nel 1961 con la fondazione dell’allora società pubblica Italsider e la costruzione di uno stabilimento nel quartiere Tamburi di Taranto avente una superficie complessiva di circa 15.450.000 metri quadrati e circa 43.000 persone impiegate tra dipendenti diretti e indotto. Erano anni pieni di grandi opportunità per la neofita azienda siderurgica che forte del boom dell’automobile e degli elettrodomestici sembrava non potersi arrestare mai. Ma i problemi non tardarono ad arrivare. Negli anni Ottanta infatti, quando il mercato dell’acciaio cominciò a declinare, l’azienda venne segnata da una grave crisi ed il grande polo siderurgico di Taranto venne venduto nel Maggio del 1995 al Gruppo Riva, subendo così una privatizzazione dell’azienda ed assumendo il famigerato nome di Ilva. Da quel momento, la nuova proprietà è chiamata a rilanciare le sorti dell’azienda, ma proprio in quegli anni, emergono i primi problemi legati all’impatto ambientale del polo siderurgico sulla città di Taranto. Vengono infatti rilevate delle violazioni ambientali ed il numero dei decessi per tumore registrati nei quartieri limitrofi cominciano a destare non pochi sospetti. Le inchieste e la caduta dei Riva Nel 2012 infine, arrivano le brutte notizie. Emilio Riva, il figlio Nicola, il direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso ed il responsabile dell’area agglomerato Angelo Cavallo vengono messi sotto inchiesta ed accusati di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose ed inquinamento atmosferico che portarono il GIP di Taranto prima ed il Tribunale del Riesame
di Taranto dopo, ad emanare il provvedimento di sequestro senza facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva nell’Agosto del 2012 vincolando la messa a norma degli impianti secondo gli obblighi imposti dall’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale). Per sbloccare dai sequestri gli impianti sottoposti a lavori di risanamento e garantire così la tutela dei posti di lavoro degli operai, il governo Monti emana il 3 dicembre 2012 un Decreto Legge che autorizza la prosecuzione della produzione dell’azienda, ma nonostante gli sforzi da parte del Governo, nel Maggio del 2013, gli ispettori dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) rilevano il persistere di gravi violazioni ed inadempienze su diverse prescrizioni previste dall’AIA, portando così il Governo Letta ad emanare un decreto di commissariamento ed affidare lo stabilimento al Commissario Straordinario Enrico Bondi poi affiancato dal Sub-Commissario Edo Ronchi. Un anno dopo i due commissari vengono sostituiti dagli altrettanti Piero Gnudi e Corrado Carrubba per poi, nel Gennaio 2015 per via di un’ulteriore legge, diventare tre, aggiungendosi a quest’ultimi anche il Dott. Enrico Laghi. L’avvento di Arcelor Mittal Nel Gennaio del 2016 infine, viene pubblicato il bando di gara con l’invito a manifestare interesse per Ilva. Il termine ultimo è fissato in 30 giorni a partire dal 10 gennaio. I Commissari straordinari in tale occasione scelgono la cordata ArcelorMittal – Marcegalia riunita nella joint-venture AmInvetCo ed il 1° Nomvembre 2018, conclusasi la transazione di AM Investco Italy Srl per l’acquisizione da parte dell’ArcelorMittal dell’Ilva, il colosso mondiale subentrato a quest’ultima ne ha assunto il pieno controllo direzionale. Una convivenza lunga 58 anni quella tra la città di Taranto ed il colosso siderurgico più grande d’Europa ancora oggi attivo che, segnata da un dualismo tra tutela dell’ambiente e salvaguardia dei posti di lavoro ha prodotto nel tempo
inchieste, scioperi, sequestri e commissariamenti. Ma adesso, la città di Taranto ed i loro cittadini, possono dormire sonni tranquilli? L’associazione PeaceLink e gli allarmanti parametri riscontrati Investimenti per circa 1.15 miliardi di euro ed un piano ambientale quinquennale quello programmato e messo in atto sin dal 2018 dal colosso ArcelorMittal al fine di affrontare le ereditate problematiche ambientali dei territori nei quali il polo siderurgico ha operato e continua ad operare. Ma realmente, le odierne emissioni di sostanze cancerogene prodotte dal polo siderurgico, sono entro i limiti imposti dall’Unione Europea? Secondo l’associazione di volontariato PeaceLink, il subentrato colosso ArcelorMittal inquina oggi più dell’Ilva sotto commissariamento. Lo confermerebbero i calcoli sviluppati dagli ambientalisti tramite il software Omniscope sui dati rilevati nei mesi di Gennaio-Febbraio 2018 e 2019 dalle centrali di monitoraggio installate dall’ARPA Puglia in prossimità dello stabilimento siderurgico. Tali calcoli infatti, sembrerebbero dimostrare degli effettivi incrementi percentuali delle emissioni di sostanze cancerogene nel primo bimestre 2019 rispetto quello dell’anno precedente ammontanti a: Incremento del benzene del 160%; Incremento dell’idrogeno solforato H2S del 140%; Incremento totale degli idrocarburi policiclici aromatici IPA del 195%; Incremento delle particelle di dimensioni caratteristiche inferiori a 10 micrometri PM10 ENV del 29%; Incremento delle particelle di dimensioni caratteristiche inferiori a 10 micrometri PM10 SWAM del
18%; Incremento delle particelle di dimensioni caratteristiche inferiori 5 micrometri PM2.5 SWAM del 23%; Trend delle emissioni in aumento confermato anche dalla relazione di Arpa Puglia che, nonostante definisca improprio il metodo tecnico-scientifico adottato da PeaceLink e lo ritenga erroneo in alcuni calcoli di decimali (aumento del benzene del 160% anziché del 30%), ribadisce come seppur tutti i valori rispettino “i limiti normativi europei della qualità dell’aria” non sia garantita in alcun modo “l’assenza di effetti lesivi sulla salute della popolazione”. Tabella di riscontro tra i dati Arpa e i dati Omniscope per ogni inquinante Approfondisci la relazione dell’Arpa sui dati di monitoraggio della qualità dell’aria a Taranto rilevati dalla rete ex ILVA – 2018/2019 Le reazioni della comunità e della politica Sulla questione sono subito intervenuti il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano e l’Assessore Qualità dell’Ambiente Giovanni Stea, annunciando che “la Regione Puglia non può più tollerare tale situazione e tramite gli uffici preposti chiederà un riesame dell’AIA e la riduzione dell’attività produttiva” invitando il “Ministero dell’Ambiente a prenderne atto e mettere in campo ogni
iniziativa possibile a riportare nei limiti stabiliti e di sicurezza la quantità di tali inquinanti”. Gli animi tornano tesi dunque, tra i cittadini ed il polo siderurgico e le crescenti preoccupazioni portano persino il Sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ad emettere un’ordinanza nel mese di Marzo per la chiusura temporanea di due scuole del rione Tamburi, Deledda e De Carolis, disponendo il trasferimento di 708 alunni di scuole d’infanzia, primarie e medie invitando l’Arpa Puglia a condurre entro 30gg nuove analisi presso i plessi delle scuole De Carolis e Deledda senza però ricevere sino ad oggi “alcun riscontro ufficiale sulla qualità dell’aria che stanno respirando migliaia di lavoratori”. Le difese e gli impegni presi da ArcelorMittal Italia Intanto l’ArcelorMittal si difende e dichiara che il proprio stabilimento di Taranto “è strettamente controllato secondo i più alti standard disponibili e dotato di tutti i sistemi di monitoraggio delle emissioni prescritti dalla Autorizzazione Integrata Ambientale e dal D.P.C.M. 29 settembre 2017, riferiti alle diverse matrici ambientali (aria, acque, rifiuti, suolo, etc.) confermando in aggiunta, di essere pienamente conforme a tutte le regole imposte dall’AIA”. Riguardo il piano ambientale che prevede l’investimento di più di un miliardo di euro entro il 2023 invece, dichiara di aver “rispettato tutte le scadenze previste al 31 Dicembre scorso”, asserendo che col solo “avanzamento della copertura dei parchi minerari, unitamente agli altri interventi già avviati e in divenire, si ha giusta conferma dell’impegno e della volontà che ha l’azienda di trasformare tutti gli impegni presi in risultati tangibili con la massima trasparenza nei confronti della comunità”.
Una cosa è certa, se l’ArcelorMittal riuscirà realmente ed entro il 2023 a mettere in atto tutti gli investimenti previsti e consistenti in circa: 300 milioni di euro per la copertura delle aree di stoccaggio delle materie prime; 128 milioni di euro per la chiusura dei nastri trasportatori ed edifici; 172 milioni di euro per svariate misure di risanamento; 200 milioni di euro per la riduzione delle polveri nelle batterie di forni da cooke; 167 milioni di euro per il trattamento delle acque reflue; 40 milioni di euro per il piano di aggiornamento antincendio; 35 milioni di euro per la depolverizzazione del sinterizzato; 30 milioni di euro per l’area GRF (gestione rottami ferrosi) e la desolforizzazione delle acciaieri. nonostante goda dell’immunità penale e di norme ambientali costruite ad hoc per l’acciaieria di Taranto con i 12 decreti Salva Ilva e ratificati, per l’appunto, dall’ultima AIA del 2017, probabilmente riuscirà a far tornare ai vecchi albori lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa rendendolo ancora una volta una realtà produttiva efficiente sotto il profilo operativo e produttivo e forse stavolta, anche ambientale. Approfondisci il tema riguardo gli interventi in atto e già completati dall’ArcelorMittal Approfondimenti
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