Ex Ilva, con l'ArcelorMittal l'inquinamento ambientale non decresce

Pagina creata da Claudio Proietti
 
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Ex Ilva, con l'ArcelorMittal l'inquinamento ambientale non decresce
Ex Ilva, con l’ArcelorMittal
l’inquinamento ambientale non
decresce
“La nostra ambizione è garantire che le nostre prestazioni
ambientali siano tra le migliori di qualsiasi impianto
integrato di acciaio operativo in Europa”. È questo uno dei
maggiori propositi citati dall’ArcelorMittal Italia sul sito
istituzionale che, secondo quanto previsto, già dal 2018 (anno
in cui acquisisce l’Ilva formando il nuovo polo industriale
ArcelorMittal Italia) ha messo in atto una serie di interventi
volti ad affrontare le problematiche ambientali ereditate
dall’ex Ilva. Ma il nuovo colosso mondiale subentrato alla
tanto discussa Ilva, sta realmente mantenendo la parola?
Secondo   l’associazione   di   volontariato   PeaceLink,
l’ArcelorMittal inquina più dell’Ilva commissariata.

I dati di Peacelink
A confermarlo infatti, secondo l’associazione PeaceLink,
sarebbero le allarmanti elaborazioni dei dati rilevati dalle
centrali di monitoraggio installate dall’ARPA Puglia (Agenzia
Regionale per la Prevenzione e Protezione dell’Ambiente) in
prossimità del perimetro dello stabilimento specializzato
nella produzione e trasformazione dell’acciaio che, ancora una
volta, confermano un trend di emissioni di sostanze
cancerogene in crescita. Dati da non sottovalutare quindi,
quelli estrapolati dalle centrali dell’ARPA che, seppur
allertanti, sono “entro il limite attualmente in vigore
nell’ambito della normativa europea sulla qualità dell’aria”
secondo il Direttore del Centro Regionale Aria dell’ARPA
Puglia, Roberto Giua.
Acciaio e Taranto, una storia senza
fine
La storia del colosso siderurgico più grande d’Europa nasce
nel 1961 con la fondazione dell’allora società pubblica
Italsider e la costruzione di uno stabilimento nel quartiere
Tamburi di Taranto avente una superficie complessiva di circa
15.450.000 metri quadrati e circa 43.000 persone impiegate tra
dipendenti diretti e indotto. Erano anni pieni di grandi
opportunità per la neofita azienda siderurgica che forte del
boom dell’automobile e degli elettrodomestici sembrava non
potersi arrestare mai. Ma i problemi non tardarono ad
arrivare. Negli anni Ottanta infatti, quando il mercato
dell’acciaio cominciò a declinare, l’azienda venne segnata da
una grave crisi ed il grande polo siderurgico di Taranto venne
venduto nel Maggio del 1995 al Gruppo Riva, subendo così una
privatizzazione dell’azienda ed assumendo il famigerato nome
di Ilva. Da quel momento, la nuova proprietà è chiamata a
rilanciare le sorti dell’azienda, ma proprio in quegli anni,
emergono i primi problemi legati all’impatto ambientale del
polo siderurgico sulla città di Taranto. Vengono infatti
rilevate delle violazioni ambientali ed il numero dei decessi
per tumore registrati nei quartieri limitrofi cominciano a
destare non pochi sospetti.

Le inchieste e la caduta dei Riva
Nel 2012 infine, arrivano le brutte notizie. Emilio Riva, il
figlio Nicola, il direttore dello stabilimento Luigi
Capogrosso ed il responsabile dell’area agglomerato Angelo
Cavallo vengono messi sotto inchiesta ed accusati di disastro
colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari,
omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro,
danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento
di sostanze pericolose ed inquinamento atmosferico che
portarono il GIP di Taranto prima ed il Tribunale del Riesame
di Taranto dopo, ad emanare il provvedimento di sequestro
senza facoltà d’uso degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva
nell’Agosto del 2012 vincolando la messa a norma degli
impianti secondo gli obblighi imposti dall’AIA (Autorizzazione
Integrata Ambientale).     Per sbloccare dai sequestri gli
impianti sottoposti a lavori di risanamento e garantire così
la tutela dei posti di lavoro degli operai, il governo Monti
emana il 3 dicembre 2012 un Decreto Legge che autorizza la
prosecuzione della produzione dell’azienda, ma nonostante gli
sforzi da parte del Governo, nel Maggio del 2013, gli
ispettori dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e
la Ricerca Ambientale) rilevano il persistere di gravi
violazioni ed inadempienze su diverse prescrizioni previste
dall’AIA, portando così il Governo Letta ad emanare un decreto
di commissariamento ed affidare lo stabilimento al Commissario
Straordinario Enrico Bondi poi affiancato dal Sub-Commissario
Edo Ronchi. Un anno dopo i due commissari vengono sostituiti
dagli altrettanti Piero Gnudi e Corrado Carrubba per poi, nel
Gennaio 2015 per via di un’ulteriore legge, diventare tre,
aggiungendosi a quest’ultimi anche il Dott. Enrico Laghi.

L’avvento di Arcelor Mittal
Nel Gennaio del 2016 infine, viene pubblicato il bando di gara
con l’invito a manifestare interesse per Ilva. Il termine
ultimo è fissato in 30 giorni a partire dal 10 gennaio. I
Commissari straordinari in tale occasione scelgono la cordata
ArcelorMittal – Marcegalia riunita nella joint-venture
AmInvetCo ed il 1° Nomvembre 2018, conclusasi la transazione
di AM Investco Italy Srl per l’acquisizione da parte
dell’ArcelorMittal dell’Ilva, il colosso mondiale subentrato a
quest’ultima ne ha assunto il pieno controllo direzionale.

Una convivenza lunga 58 anni quella tra la città di Taranto ed
il colosso siderurgico più grande d’Europa ancora oggi attivo
che, segnata da un dualismo tra tutela dell’ambiente e
salvaguardia dei posti di lavoro ha prodotto nel tempo
inchieste, scioperi, sequestri e commissariamenti. Ma adesso,
la città di Taranto ed i loro cittadini, possono dormire sonni
tranquilli?

L’associazione PeaceLink e gli
allarmanti parametri riscontrati
Investimenti per circa 1.15 miliardi di euro ed un piano
ambientale quinquennale quello programmato e messo in atto sin
dal 2018 dal colosso ArcelorMittal al fine di affrontare le
ereditate problematiche ambientali dei territori nei quali il
polo siderurgico ha operato e continua ad operare. Ma
realmente, le odierne emissioni di sostanze cancerogene
prodotte dal polo siderurgico, sono entro i limiti imposti
dall’Unione Europea?

Secondo l’associazione di volontariato PeaceLink, il
subentrato colosso ArcelorMittal inquina oggi più dell’Ilva
sotto commissariamento. Lo confermerebbero i calcoli
sviluppati dagli ambientalisti tramite il software Omniscope
sui dati rilevati nei mesi di Gennaio-Febbraio 2018 e 2019
dalle centrali di monitoraggio installate dall’ARPA Puglia in
prossimità dello stabilimento siderurgico. Tali calcoli
infatti, sembrerebbero dimostrare degli effettivi incrementi
percentuali delle emissioni di sostanze cancerogene nel primo
bimestre 2019 rispetto quello dell’anno precedente ammontanti
a:

     Incremento del benzene del 160%;
     Incremento dell’idrogeno solforato H2S del 140%;
     Incremento totale degli       idrocarburi   policiclici
     aromatici IPA del 195%;
     Incremento     delle   particelle     di   dimensioni
     caratteristiche inferiori a 10 micrometri PM10 ENV del
     29%;
     Incremento     delle   particelle     di   dimensioni
     caratteristiche inferiori a 10 micrometri PM10 SWAM del
18%;
        Incremento     delle   particelle    di  dimensioni
        caratteristiche inferiori 5 micrometri PM2.5 SWAM del
        23%;

Trend delle emissioni in aumento confermato anche dalla
relazione di Arpa Puglia che, nonostante definisca improprio
il metodo tecnico-scientifico adottato da PeaceLink e lo
ritenga erroneo in alcuni calcoli di decimali (aumento del
benzene del 160% anziché del 30%), ribadisce come seppur tutti
i valori rispettino “i limiti normativi europei della qualità
dell’aria” non sia garantita in alcun modo “l’assenza di
effetti lesivi sulla salute della popolazione”.

Tabella di riscontro tra i dati Arpa e i dati Omniscope per ogni inquinante

Approfondisci la relazione dell’Arpa sui dati di monitoraggio
della qualità dell’aria a Taranto rilevati dalla rete ex ILVA
– 2018/2019

Le reazioni della comunità e della
politica
Sulla questione sono subito intervenuti il presidente della
Regione Puglia, Michele Emiliano e l’Assessore Qualità
dell’Ambiente Giovanni Stea, annunciando che “la Regione
Puglia non può più tollerare tale situazione e tramite gli
uffici preposti chiederà un riesame dell’AIA e la riduzione
dell’attività    produttiva”   invitando    il  “Ministero
dell’Ambiente a prenderne atto e mettere in campo ogni
iniziativa possibile a riportare nei limiti stabiliti e di
sicurezza la quantità di tali inquinanti”.

Gli animi tornano tesi dunque, tra i cittadini ed il polo
siderurgico e le crescenti preoccupazioni portano persino il
Sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ad emettere un’ordinanza
nel mese di Marzo per la chiusura temporanea di due scuole del
rione Tamburi, Deledda e De Carolis, disponendo il
trasferimento di 708 alunni di scuole d’infanzia, primarie e
medie invitando l’Arpa Puglia a condurre entro 30gg nuove
analisi presso i plessi delle scuole De Carolis e Deledda
senza però ricevere sino ad oggi “alcun riscontro ufficiale
sulla qualità dell’aria che stanno respirando migliaia di
lavoratori”.

Le difese e gli impegni presi da
ArcelorMittal Italia
Intanto l’ArcelorMittal si difende e dichiara che il proprio
stabilimento di Taranto “è strettamente controllato secondo i
più alti standard disponibili e dotato di tutti i sistemi di
monitoraggio delle emissioni prescritti dalla Autorizzazione
Integrata Ambientale e dal D.P.C.M. 29 settembre 2017,
riferiti alle diverse matrici ambientali (aria, acque,
rifiuti, suolo, etc.) confermando in aggiunta, di essere
pienamente conforme a tutte le regole imposte dall’AIA”.

Riguardo il piano ambientale che prevede l’investimento di più
di un miliardo di euro entro il 2023 invece, dichiara di aver
“rispettato tutte le scadenze previste al 31 Dicembre scorso”,
asserendo che col solo “avanzamento della copertura dei parchi
minerari, unitamente agli altri interventi già avviati e in
divenire, si ha giusta conferma dell’impegno e della volontà
che ha l’azienda di trasformare tutti gli impegni presi in
risultati tangibili con la massima trasparenza nei confronti
della comunità”.
Una cosa è certa, se l’ArcelorMittal riuscirà realmente ed
entro il 2023 a mettere in atto tutti gli investimenti
previsti e consistenti in circa:

     300 milioni di euro per la copertura delle aree di
     stoccaggio delle materie prime;
     128 milioni di euro per la chiusura dei nastri
     trasportatori ed edifici;
     172 milioni di euro per svariate misure di risanamento;
     200 milioni di euro per la riduzione delle polveri nelle
     batterie di forni da cooke;
     167 milioni di euro per il trattamento delle acque
     reflue;
     40 milioni di euro per il piano di aggiornamento
     antincendio;
     35 milioni di    euro   per   la   depolverizzazione   del
     sinterizzato;
     30 milioni di euro per l’area GRF (gestione rottami
     ferrosi) e la desolforizzazione delle acciaieri.

nonostante goda dell’immunità penale e di norme ambientali
costruite ad hoc per l’acciaieria di Taranto con i 12 decreti
Salva Ilva e ratificati, per l’appunto, dall’ultima AIA del
2017, probabilmente riuscirà a far tornare ai vecchi albori lo
stabilimento siderurgico più grande d’Europa rendendolo ancora
una volta una realtà produttiva efficiente sotto il profilo
operativo e produttivo e forse stavolta, anche ambientale.

Approfondisci il tema riguardo gli interventi in atto e già
completati dall’ArcelorMittal

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