ILVA/ Palombella (Uilm): ecco cosa chiediamo a Governo e ArcelorMittal

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ILVA/ Palombella (Uilm): ecco cosa chiediamo a Governo e ArcelorMittal
ILVA/ Palombella (Uilm): ecco cosa
chiediamo a Governo e ArcelorMittal
05.07.2019 - int. Rocco Palombella
Martedì è previsto un importante incontro sul futuro dell’ex Ilva di Taranto.
Lavoro e ambiente possono essere tutelati

C’è attesa per l’incontro del 9 luglio al Mise in cui si discuterà del futuro dell’ex Ilva di
Taranto con i sindacati e ArcelorMittal. Ieri si è tenuto uno sciopero di otto ore su tre turni,
proclamato da Fiom, Fim, Uilm e Ugl per protestare contro l’avvio della procedura di cassa
integrazione ordinaria per 1.395 dipendenti e c’è stato anche un incontro privato tra il
ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, e i vertici del colosso siderurgico
franco-indiano, al termine del quale non è stata rilasciata alcuna dichiarazione. Abbiamo
chiesto un commento a Rocco Palombella, Segretario generale della Uilm.
A che punto siamo col progetto nuova Ilva rispetto agli accordi del settembre
2018?
A novembre 2018 ArcelorMittal si è insediata in tutti gli stabilimenti Ilva d’Italia
utilizzando gli impianti e il personale ancora alle dipendenze dell’Ilva in Amministrazione
straordinaria. Ha gestito i lavoratori con la formula del distacco, ovvero ancora assunti
nella vecchia Ilva prima di iniziare la fase, molto delicata, di selezione del personale da
assumere in ArcelorMittal dal 1° gennaio 2019. Sono stati individuati circa 10.700
lavoratori provenienti da impianti in esercizio, dai servizi di manutenzione e quelli
collegati agli impianti in marcia. Rispetto ai livelli occupazionali e al personale selezionato,
i criteri di selezione non sono stati resi noti e questo ha generato tensioni e problemi tra i
lavoratori con tanto di ricorsi giudiziari a opera di una specifica organizzazione sindacale.
Come valuta il comportamento di ArcelorMittal in questo anno di lavoro?
In questi primi mesi del 2019 si è notato subito un clima diverso rispetto agli anni
precedenti. D’altronde siamo passati da una fase commissariale, iniziata il 26 luglio 2012, a
quella della nuova gestione da parte di un soggetto privato leader mondiale nella
produzione di acciaio. Si è notata subito un’attenzione e un approccio diverso dal passato
ILVA/ Palombella (Uilm): ecco cosa chiediamo a Governo e ArcelorMittal
rispetto ai temi della salute e sicurezza sul lavoro e al rispetto dell’ambiente. Ci sono
sembrati molto determinati nel realizzare il piano di investimenti previsti dal Dcpm del
settembre 2017 rispetto al piano ambientale: il completamento della copertura dei nastri
trasportatori e l’ambizioso progetto della copertura dei parchi primari, a partire dal
minerale di ferro. Sul piano delle relazioni industriali, invece, hanno tenuto purtroppo
un’impostazione unilaterale, al contrario di quello che è previsto dall’accordo.
Prevedevate che ci potesse essere a questo punto una richiesta di cassa
integrazione da parte dell’azienda?
No, per alcune ragioni di merito che proverò a sintetizzare. ArcelorMittal si è impegnata a
realizzare un impegnativo piano ambientale, ma anche un altrettanto importante piano
industriale con date di scadenza dei singoli interventi e relativa risalita produttiva fino al
2024. Per il 2018 era prevista una produzione di circa 6 milioni di tonnellate di acciaio
liquido più 3 milioni circa di semilavorati (bramme) provenienti da altri stabilimenti, per
un totale di circa 9 milioni di tonnellate. Attualmente è stimano che Taranto produrrà in
questo anno circa 5 milioni di tonnellate, quindi 1 milione in meno rispetto alle previsioni,
a causa della crisi del mercato dell’acciaio. Ecco perché non doveva essere interessato
dall’inaspettata richiesta di cassa integrazione ordinaria di 13 settimane a partire dal 1°
luglio. È sembrata quindi più un’azione strumentale che non dettata dalla reale necessità
tecnica o di mercato.
E il Governo come si sta comportando?
Il Governo aveva mostrato una sua presa di responsabilità con l’accordo del 6 settembre
2018, successivamente si è inserito in un sistema pericoloso e ha smarrito completamente
le ragioni ambientali produttive e occupazionali che erano alla base del percorso di questi
lunghi anni. Ha provato ad ascoltare il presidente di Regione, il sindaco e decine di
associazioni “ambientaliste” senza rendersi conto della grande portata degli accordi.
Mentre parliamo non sappiamo quale sarà il destino di migliaia di lavoratori, di un piano
ambientale che vale circa 2 miliardi di euro, della produzione di acciaio in Italia, e delle
tante comunità italiane.
C’è davvero il rischio che l’investitore abbandoni il suo progetto e chiuda così
lo stabilimento?
Il Ceo europeo di ArcelorMittal, Geert van Poelvoorde, ha annunciato che se non sarà
ripristinata l’immunità penale prevista dal contratto col governo, dal 6 settembre
chiuderanno lo stabilimento di Taranto. Al di là del fatto se ArcelorMittal sia o meno in
grado di chiudere l’ex Ilva di Taranto, essendo attualmente l’affittuario, una cosa è certa: si
aprirebbe un contenzioso internazionale dai confini e dai tempi incerti, con gravi
conseguenze e ingenti risarcimenti. Inoltre, il Governo italiano sarebbe impossibilitato
dall’individuare un nuovo acquirente in tempi brevi e disponibile ad accettare queste
condizioni per gestire uno stabilimento sotto sequestro e che necessita di ingenti risorse
economiche per far fronte al piano ambientale, agli investimenti impiantistici e alla
gestione ordinaria.
ILVA/ Palombella (Uilm): ecco cosa chiediamo a Governo e ArcelorMittal
Cosa chiedete, in sintesi, ad ArcelorMittal e cosa invece al Governo?
Ad ArcelorMittal chiediamo di evitare di fare gli stessi errori che hanno fatto i precedenti
proprietari dell’Ilva, ovvero di mettersi contro tutti. La richiesta della cassa integrazione,
ad esempio, ha dimostrato solo di voler penalizzare i lavoratori e mettersi contro i
sindacati senza una reale necessità. Devono, invece, chiedere garanzie al Governo perché è
giusto che non paghino per gli errori del passato che non hanno commesso. Inoltre, gli
chiediamo di interrompere la procedura della cassa integrazione utilizzando strumenti
gestionali (ferie, riduzioni di orario di lavoro) per eventuali rallentamenti produttivi. Dal
Governo, invece, ci aspettiamo una norma chiara relativa alle responsabilità sulla gestione
dello stabilimento di Taranto; l’applicazione del Dpcm deve costituire un elemento
inequivocabile di garanzia nei confronti dell’acquirente fino alla realizzazione dei vari
adeguamenti ambientali.
Non c’è forse bisogno di un lavoro maggiormente condiviso da parte di
istituzioni, impresa e sindacato per rendere meno distante il progetto nuova
Ilva dalla città di Taranto in particolare?
In modo particolare in questi anni la città di Taranto è stata al centro di un grande conflitto
sociale. Questo ha determinato divisioni e lacerazioni che hanno coinvolto strati
importanti della società. ArcelorMittal, le associazioni di cittadini, le organizzazioni
sindacali e in primis il Governo e le istituzioni, tutti dovremmo essere protagonisti di una
fase nuova in cui gli interessi del singolo lasciano il posto all’interesse collettivo. Basta con
la logica irresponsabile di cercare consensi sulla pelle dei cittadini. Tutti dovremmo essere
coinvolti e consapevoli della grande importanza degli impegni che sono stati assunti e che
possono finalmente assicurare il risanamento ambientale. Nel mondo si producono circa 2
miliardi di tonnellate di acciaio, alla fine del piano ambientale l’Ilva di Taranto ne produrrà
circa 8 milioni; com’è possibile che altrove esiste il connubio ambiente-lavoro e a Taranto
non ci riusciamo? Penso che dobbiamo ripartire da questa domanda per provare a fare un
passo in avanti.
ArcelorMittal, i vertici della
multinazionale da Di Maio.
Lavoratori in sciopero
Per i sindacati ha incrociato le braccia il 75 per cento dei dipendenti:
«L'acciaieria si è fermata». Per l'azienda le adesioni sono arrivate a
quota 36 per cento
04 LUGLIO 2019
Roma - Rompono il ghiaccio il vicepremier Luigi Di Maio ed i vertici europei ed
italiani di ArcelorMittal con un'ora di faccia a faccia a due mesi dalla deadline del 6
settembre. È la data dell'entrata in vigore delle norme inserite dal Governo nel Dl
Crescita che - eliminando l'immunità che era stata prevista per poter lavorare alla
modernizzazione di un impianto sotto sequestro e non a norma - per l'azienda
renderanno impossibile per chiunque gestire l'acciaieria ex Ilva di Taranto. L'incontro è
al ministero del Lavoro, con l'ad di ArcelorMittal Europa, Geert Van Poelvoorde, e l'ad
ed il Country Head di ArcelorMittal Italia, Matthieu Jehl e Samuele Pasi, in un
contesto di strettissima riservatezza. Nessun commento al termine, e nulla poi trapela
né nel merito né sul clima.

Negli stessi momenti, da Taranto, i sindacati tracciano un primo bilancio dello
sciopero di 24 ore contro la cassa integrazione avviata per 1.395 dipendenti e 13
settimane e, dopo il primo di tre turni da 8 ore, parlano di «fabbrica completamente
ferma», partecipazione «in massa», adesioni al 75%. Per l'azienda si sono invece
limitate al 36%. Una «giornata importante», dice il segretario generale della
Uilm Rocco Palombella «non solo per evitare la cig ma per evidenziare come i
lavoratori siano preoccupati per il loro destino e per gli investimenti del piano
ambientale».
Sciopero, si ferma ArcelorMittal
I sindacati: alta partecipazione alla mobilitazione contro la cassa
integrazione
«Registriamo una grande adesione da parte dei lavoratori. Siamo oltre il 75%: oggi la fabbrica è
praticamente ferma, comprese le acciaierie». È il segretario della Fim Cisl di Taranto e Brindisi, Biagio
Prisciano, a commentare – positivamente – lo sciopero che sta caratterizzando lo stabilimento Arcelormittal
di Taranto. Una mobilitazione che nasce come risposta alla decisione «unilaterale», aggiunge Prisciano,
dell’azienda di porre in cassa integrazione circa 1.400 lavoratori; provvedimento che Arcelor ha collegato alla
crisi dell’acciaio che sta caratterizzando il mercato a livello globale ma che qui, nella “città dell’(ex) Ilva”, con
tutto ciò che questa definizione porta con sè, ha inevitabilmente un significato diverso, più ‘profondo’.

Gli operai incrociano le braccia, infatti, a pochi mesi dall’arrivo nella più grande fabbrica d’Europa del gigante
francoindiano; e lo fanno, anche, nel giorno dell’incontro tra il ministro Di Maio e Mathieu Jehl,
amministratore di Arcelormittal Italia, dopo l’annuncio della prossima chiusura dello stabilimento, il 6
settembre, se non verrà di fatto ripristinata quell’immunità penale appena cancellata – tra gli squilli di tromba
del Movimento Cinquestelle – con il Decreto Crescita. «Anche in ragione di questo incontro, e di quello già
calendarizzato per il giorno 9, avevamo chiesto ad Arcelor di soprassedere sulla cigo. Invece l’azienda ha
scelto questa prova di forza» annota Prisciano, che sottolinea come «anche l’appalto ha risposto e sta
scioperando». Proprio l’indotto ha patito in maniera pesantissima gli anni difficili che hanno caratterizzato la
vita dell’ex Ilva pre-Mittal, e il nuovo clima di incertezza è fonte di preoccupazione. «I lavoratori dell’ex Ilva di
Taranto stanno aderendo in massa allo sciopero di otto ore su tre turni proclamato da Fim Fiom Uilm e Ugl»
aggiunge Rocco Palombella, segretario generale Uilm.

L’ultimo sciopero di questa portata risale a ottobre 2017 quando Am InvestCo e commissari straordinari
inviarono la comunicazione art. 47 ai ministeri interessati e alle organizzazioni sindacali per il trasferimento di
Ilva in ArcelorMittal. Le condizioni di assunzione all’epoca prevedevano 4.000 esuberi, senza il
mantenimento dei livelli retributivi, di inquadramento e di anzianità. Anche in quel caso l’adesione dei
lavoratori fu altissima. «Per questo – spiega Palombella – la giornata di oggi è importante non solo per
evitare la cassa integrazione, ma per evidenziare come i lavoratori siano preoccupati per il loro destino e per
gli investimenti del piano ambientale che dovrebbero garantire il futuro dello stabilimento e della città di
Taranto. Ci auguriamo che l’incontro di oggi al ministero dello Sviluppo economico tra azienda e Ministro,
che anticipa quello del 9 con le parti sindacali, serva a chiarire la questione legata al tema dell’immunità, ma
anche a scongiurare che ArcelorMittal prosegua in modo unilaterale con la procedura della cassa
integrazione».

Nella giornata di mercoledì 3 luglio, erano state le Rsu di Fim, Fiom e Uilm a rimarcare l’importanza della
mobilitazione: «Sbaglia chi cerca di delegittimare lo sciopero del 4 luglio e chi lo fa è per scopi
indubbiamente diversi dalla piattaforma rivendicativa dei sindacati che hanno organizzato un primo momento
di lotta in concomitanza dell’incontro previsto per domani tra Arcerlor Mittal e il ministro Di Maio. Vorremo
inoltre sfatare il falso mito che quando si sciopera si produce ugualmente perché ci sono le comandate. Le
comandate servono alla salvaguardia di alcuni impianti, non tutti, e non servono a garantire la produzione.
Non servono a garantire la produzione». Ieri 3 luglio si è riunito anche l’Esecutivo della UIL di Taranto, per il
quale è «inammissibile il comportamento dell’Azienda che a sei mesi dalla presa in carico degli impianti non
esita a ridurre ulteriormente il numero di personale, peraltro, solo su Taranto, in una realtà già pesantemente
interessata da una crisi interminabile, che continua a gettare nell’incertezza e nello sconforto migliaia di
lavoratori con le loro famiglie».

                                                                                   Ufficio Stampa Uilm
                                                                                   Roma, 5 luglio 2019
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