EDGAR LEE MASTERS 1869_- 1950 - "ANTOLOGIA DI SPOON RIVER" A cura di Maria Fiorella Belli
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1 UNIVERSITA' DELLE TRE ETA' COLLEFERR0/SEGNI/ARTENA/PALIANO EDGAR LEE MASTERS 1869_- 1950 “ANTOLOGIA DI SPOON RIVER” A cura di Maria Fiorella Belli Grant Wood: Gotico americano 1930
3 Verso la fine del Medioevo alcuni frati, detti pellegrini o itineranti, percorrevano le città, i villaggi e le campagne non per fare la questua, ma con un preciso intento e cioè quello di dire e ricordare a tutti coloro che incontravano sulla loro strada solo quattro parole: “ricordati che devi morire!” Qualcuno di voi certamente ricorderà una scena del film “Non ci resta che piangere” con Roberto Benigni e Massimo Troisi, quando proprio Troisi, stanco di sentirsi dire da un frate particolarmente infervorato (forse proprio il Savonarola) questa frase, risponde, quasi a volerlo tranquillizzare, con una battuta strepitosa “Ora me lo segno” e tutto si chiude con una risata. Ma, battute a parte, quell’annuncio è una verità che volenti o nolenti, riguarda tutti noi, anche perché morire fa parte della vita. E’ a questo punto che, stranamente, le persone si dividono in due grandi categorie: ci sono quelli che non ne vogliono assolutamente parlare, né tantomeno sentirne parlare, e che rifuggono al pensiero della morte facendo scongiuri o gesti apotropaici, e che purtroppo sono la maggior parte. L’aggettivo apotropaico deriva dal greco apotrèpein e vuol dire allontanare, tenere a distanza, scongiurare, annullare influssi maligni. Ci si riferisce anche a gesti, riti o monili apotropaici; ad esempio fare le corna o tenere con sé un cornetto di corallo, o anche toccare ferro o legno a seconda dei casi. L’altra parte delle persone invece ha un comportamento diverso, forse più maturo e consapevole: accetta l’idea della morte come una cosa ineluttabile, ma non ha pensieri tristi o negativi, al contrario si concentra sulla bellezza e l’unicità della vita e cerca di viverla nel modo migliore. Queste persone non hanno paura di affrontare il discorso della morte, ma riescono a parlarne tranquillamente avendo forse intuito che proprio il parlarne può essere uno dei mezzi per renderla familiare, come in realtà dovrebbe essere. La filosofia delle persone che appartengono alla prima categoria è quella del “meglio non pensarci e goderci la vita…” e questo approccio è il più naturale frutto dei messaggi che ogni giorno vengono lanciati, ma direi meglio insinuati, dalla cultura imperante che è fatta di proposte luccicanti, immagini sgargianti e allettanti inviti al consumo. I messaggi che i media ci inviano quotidianamente, sono appunto quelli della bellezza, della perfezione, della giovinezza a tutti i costi e se diventiamo o sembriamo ridicoli nel volerli rincorrere, poco importa; l’importante è apparire.
4 In questo contesto è evidente che non c’è posto né per la vecchiaia né tantomeno per la morte… che diventa una cosa ingombrante, imbarazzante e da cancellare subito quando la si incontra, quasi ce ne vergognassimo. Ma non è sempre stato così! Le grandi culture dei popoli che ci hanno preceduti a dimostrano il contrario: prendiamo ad esempio i riti di morte degli Etruschi, dei Romani, per arrivare agli Egizi e così via fino agli Indiani, ai Cinesi ecc. Tutte queste civiltà ci hanno trasmesso il rispetto e il culto dei morti, ma soprattutto ci hanno insegnato che esiste una “grandezza” del morire, una sorta di dignità… come se questa ultima fase della vita fosse la più importante, quindi la più significativa. Tornando più vicino a noi, io ricordo che quando si verificava un lutto in famiglia, anche i bambini, con le dovute cautele, potevano in qualche modo partecipare ad avvenimenti come, ad esempio, la morte di un nonno o di un parente. Sempre i bambini venivano portati la domenica al Camposanto e venivano educati con l’esempio degli adulti al ricordo, alla preghiera, al gesto di portare un fiore ad un caro che non c’era più. Ora è diverso, i bambini sono tenuti lontano da tutto questo, con la scusa di non farli soffrire inutilmente… e magari non ci rendiamo conto che sono proprio i bambini a dimostrare più forza di noi, proprio perché innocenti e più vicini alla natura. Oltretutto, sempre meno spesso, anzi quasi mai, si muore in casa; ma piuttosto, molto più malinconicamente in ospedale, magari dietro un paravento e con persone estranee accanto… Questa lunga riflessione sulla morte che a qualcuno forse avrà dato fastidio, (spero di no!) per me è sempre un discorso molto affascinante, che difficilmente mi capita di poter esprimere in pubblico; oggi mi è sembrata quindi la giusta introduzione al libro che andremo a conoscere il cui titolo è: “L’ANTOLOGIA DI SPOON RIVER” di Edgar Lee Masters.
5 Per poter parlare di questo libro, che tanto ha fatto discutere, bisogna in qualche modo lavorare di immaginazione. Immaginate di lasciarvi alle spalle la città, di raggiungere la campagna e di salire su una collina circondata da un grazioso fiume, fino ad arrivare al piccolo Cimitero di Spoon River appunto. Il passare del tempo, la pioggia, il sole l’hanno fatta da padroni ma gli epitaffi, le scritte delle lapidi e dei monumenti, sono a tratti ancora abbastanza leggibili; la loro lettura diventa così una sorta di monito per noi che restiamo. Ed è qui che si capisce la diversità di questo libro, che è rimasto nel tempo, unico nel suo genere perché, pur parlando di morte, rappresenta una sorta di inno alla vita; Masters fa parlare i defunti e, come in una fotografia, li coglie proprio nell’attimo stesso in cui sono stati paradossalmente, più vivi. Leggendo queste poesie non si avvertono né malinconia né tristezza, ma al contrario, ci troviamo di fronte ad una gamma di sentimenti molto “terreni e forti” come: la rabbia, il dolore, il risentimento, il rimpianto, l’amore, l’odio ecc, ossia tutti sentimenti tipici delle persone vive. Il filo conduttore del libro e anche l’insegnamento che si ricava dalla lettura di ben 244 poesie è il “rimpianto”, o meglio ancora “il rimpianto di non essere stati felici e di non aver fatto nulla per esserlo.”
6 In pratica, le moltissime figure che popolano l’Antologia, hanno la sensazione di aver sprecato la loro vita inseguendo sogni troppo alti, oppure di aver vissuto in modo non conforme ai propri desideri, o ancora, di essere stati troppo condizionati dal giudizio della gente restando così impastoiati nel pantano del conformismo… insomma non hanno peli sulla lingua i morti, che in quanto tali non temono più il giudizio degli altri e dicono finalmente la verità, mostrando così uno spaccato di vita americana non propriamente idilliaco. Il libro infatti nasce anche come atto d’accusa contro lo stile di vita della società americana molto conformista e perbenista nelle apparenze, ma in realtà sempre pronta a giudicare il prossimo in maniera spietata. Ed è per questa ragione che, la sorte del libro, subirà impennate pazzesche; in uscita fu un successo clamoroso, tanto da essere paragonato alla Bibbia, in seguito verrà dimenticato proprio perché specchio di un’America deleterea, infine quando arriverà in Italia inizia a scalare le classifiche diventando a tutti gli effetti un classico. L’Antologia esce in America nel 1915, ma da noi, in Italia vede la luce solo nel 1943, perché? Perché da noi il libro fu censurato a causa delle idee libertarie e senza pregiudizi, per gli argomenti trattati (qualcuno lo definì scandaloso e osceno)ma soprattutto perché eravamo in pieno ventennio fascista e la letteratura straniera era vietata e considerata tabù. Nonostante questo, il libro entra in Italia con il titolo “S. River” facendo passare per San la parola Spoon, il nome del fiume. L’autore di questa piccola truffa è il nostro grande poeta Cesare Pavese che, appassionato da sempre di letteratura americana, quando entra in possesso del libro se ne innamora e lo fa leggere ad una giovane ragazza genovese fresca di laurea che lo traduce. La ragazza era Fernanda Pivano . La stessa “Nanda” che più tardi traduce e fa conoscere i maggiori scrittori americani: come Keruac, Ginsberg, Hemingway, e tutta la letteratura beat e “on the road”… ed è la stessa che nel 1971 rielabora i testi di alcune poesie scelte da De Andre’ e collabora in maniera determinante alla realizzazione dello splendido CD “Non al denaro, non all’amore né al cielo”.
7 Questo è più o meno l’interessante escursus del libro e delle sue vicende editoriali… andiamo a conoscere adesso l’autore: EDGAR LEE MASTERS che nasce a GARNETT nel Kansas il 23 Agosto 1869 da una solida famiglia patriarcale. I nonni appartenevano alla famosa generazione dei “pionieri” americani, idealisti e pieni di rigidi codici morali e di comportamento. Vivono a PETERSBURG, una cittadina sulle rive del fiume Sangamon la maggior parte della loro vita, mettono al mondo 12 figli di cui 8 moriranno in giovanissima età. Uno dei figli rimasti, Hardin è il padre di Edgar, che diventa avvocato, si impegna in politica e in campagne progressiste che non faranno mai la sua fortuna e che si sposerà poi con Emma, una ragazza dalle ferree idee puritane. In questo contesto un po’ rigido, nasce il piccolo Edgar che viene cresciuto nella fattoria dei nonni a Petersburg dove frequenta la scuola tedesca. Si trasferisce poi con la famiglia a Lewistown (Illinois), una graziosa cittadina bagnata da un altro fiume… lo Spoon appunto. Fin da ragazzino, per comperare i libri che ama leggere, si adatta a fare tutti quei tipici lavoretti che sono caratteristici della cultura americana come: recapitare i giornali a domicilio, trasportare carbone nelle case, tagliare l’erba dei giardini,fino a diventare aiuto-tipografo. Nel frattempo inizia a scrivere poesie, forse sotto l’influsso di un’insegnante di liceo che lo fa appassionare alla letteratura, qualcuna di queste viene pubblicata sul quotidiano locale. Nell’adolescenza si innamora… la classica cotta giovanile, di Margaret, figlia del ministro presbiteriano; ma come la maggior parte degli amori giovanili, non va a buon fine.
8 I genitori ostacolano fortemente questo fragile amore, ma io credo che il ricordo di questa ragazza sia rimasto impresso per molto tempo nella mente di Edgar, tanto da diventare, la ragazza stessa, una delle protagoniste dell’Antologia. Naturalmente cambia il nome e da Margaret diventa Julia Miller, una ragazza infelice che si toglie la vita proprio a causa di un matrimonio disastrato ma fortemente voluto dai genitori. Julia Miller è una delle molte figure femminili che giganteggiano nell’Antologia con una sorta di drammatica semplicità. Julia Miller Quella mattina litigammo, perché lui aveva sessantacinque anni e io trenta, e poi ero nervosa e il bambino mi pesava e la sua nascita mi terrorizzava. Pensai all’ultima lettera che mi aveva scritto quella giovane anima smarrita di cui avevo nascosto il tradimento sposando quel vecchio. Poi presi la morfina e mi sedetti a leggere. Attraverso l’oscuramento che piombò sui miei occhi ancora adesso vedo la luce oscillante di queste parole: “ E Gesù gli disse, In verità io ti dico, Oggi tu sarai con me in Paradiso.”
9 Ma continuiamo il racconto della vita… Masters frequenta per un solo anno il “Knox College”, poi il padre lo convince ad abbandonare gli studi umanistici che tanto amava, e lo fa entrare nel suo studio di avvocato. La collaborazione però dura pochissimo e a soli 23 anni, siamo nel 1891, dopo un forte litigio con la madre, parte alla volta di Chicago in cerca di fortuna. A Chicago fa tutta una serie di mestieri: giornalista, tipografo, esattore alla Edison, scrivendo così il suo personale “romanzo di formazione” tipico di ogni futuro scrittore statunitense… Alla fine di questo periodo, entra a far parte dello studio di un famoso penalista e successivamente, nel 1893, apre il suo primo studio legale avendo subito un grande successo. Viene introdotto nella buona società cittadina, frequenta gli ambienti culturali di Chicago che, in quel periodo, è diventata una sorta di capitale letteraria come prima lo era stata Boston e successivamente lo sarà New York. Ed è proprio in questo periodo che, nonostante la grande mole di lavoro, pubblica il suo primo libro di poesie intitolato “A BOOK OF VERSES”, 68 ritratti di personaggi mitologici e letterari. Come si evince chiaramente Masters è fortemente attratto dalla descrizione di persone e personaggi che popolano la sua mente molto analitica, per nascita ma anche per mestiere; infatti, come avvocato gli si presentano a studio centinaia di casi da cui attingere storie, personaggi, vite molto differenti tra loro, e soprattutto, spesso vissute in modo un po’ borderline. Ecco allora due storie, due figure di donna diversissime: la prima, “Sonia la Russa”è quasi una figura vincente; nella vita si è sempre divertita e malgrado sia stata una vita un po’ peccaminosa, adesso riposa quasi in allegria, in compagnia di gazze che le ricordano i tempi passati ma, tutto sommato, quasi felici. L’altra è intitolata “Nellie Clark” ed è al contrario la descrizione di un calvario, di una vita durissima terminata in modo precoce, anche per le chiacchiere della gente cosi detta per bene…
10 Sonia la russa Io, nata a Weimer da madre francese e padre tedesco, un professore illustrissimo, orfana a 14 anni, divenni ballerina, ero conosciuta come Sonia la Russa, su e giù per i boulevards di Parigi, dapprima l’amante di numerosi duchi e conti, e più tardi di artisti poveri e di poeti. All’età di 40 anni, passé, puntai su New York e sulla nave incontrai il vecchio Patrik Hummer, rubicondo e gagliardo a dispetto dei suoi sessant’anni passati. Stava tornando a casa dopo aver venduto un carico di bestiame nella città di Amburgo. Lui mi portò a Spoon River e ci siamo vissuti vent’anni – ci hanno sempre creduti sposati! La quercia qui accanto a me è il rifugio preferito dalle gazze bianche e blù che cicalano e cicalano tutto il giorno. E perché no? Perfino la mia polvere ride pensando a quella cosa piena di humor chiamata vita.
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12 Nellie Clark Avevo soltanto otto anni; e prima di crescere e capire che cosa significava, non avevo parole per dirlo, solo che avevo paura e parlai con mia madre; e allora mio padre prese la pistola e avrebbe fatto secco Charlie, un ragazzone di 15 anni, non fosse stato per sua madre. Ciò non di meno la storia mi restò appiccicata. Ma l’uomo che mi sposò, un vedovo di trentacinque, era uno nuovo e non aveva sentito niente fino a due anni dopo il matrimonio. Allora si considerò truffato e il paese era d’accordo che io non ero in realtà una vergine. Bene, lui mi abbandonò, e io sono morta l’inverno dopo.
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14 Oltre a queste due splendide e diversissime figure femminili, voglio leggervi una poesia, il cui contenuto forse, ha contribuito in qualche modo, a far si che Masters fosse inviso dai suoi concittadini, che lo accusarono di oscenità e anche di aver “violato” un luogo sacro per eccellenza come il Cimitero. Il personaggio è A.D. BLOOD, forse un giudice, un sindaco, insomma un notabile, che aveva una certa influenza sulla cittadina. Certamente un grande moralista o moralizzatore, che si prese la briga, in vita, di far chiudere il Saloon, di proibire il gioco delle carte e di aver trascinato in tribunale più di qualche persona. E qui scatta la dantesca “legge del contrappasso”in quanto vediamo il sig. Blood costretto, dopo la sua morte, ad assistere a scambi sessuali proprio sopra la sua tomba. A.D.BLOOD Se in paese pensate che il mio sia stato un buon lavoro quando ho fatto chiudere il saloon e proibire il gioco delle carte e ho trascinato la vecchia Daisy Fraser dal giudice Arnett, in una delle tante crociate per ripulire la gente dal peccato, allora perché permettete che Dora, la figlia della modista, e quel fannullone del figlio do Benjamin Pantier, di notte usino la mia tomba come loro empio guanciale?
15 Ci stiamo così avvicinando alla data della stesura del suo capolavoro che è appunto l’Antologia. Siamo nel maggio del 1914, Masters ha 46 anni e malgrado sia ancora sposato con Helen, vive un periodo burrascoso; ha una relazione extra- coniugale abbastanza vivace e in contemporanea litiga col socio Darrow. Durante una lunga passeggiata con la madre, che si è recata a trovarlo, inizia a parlare e a ricordare in modo anche nostalgico della fattoria dei nonni, di Lewistown, del fiume Spoon e dell’altro fiume della sua infanzia il Sangamon. I bene informati dicono che l’idea di scrivere l’Antologia sia proprio partita da lì, da questa romantica passeggiata con la madre; in realtà Masters ha da molto tempo in mente questa idea di romanzo in versi, molto probabilmente avrà tratto ispirazione dalla lettura dei famosi epigrammi greci dell’Antologia Palatina.” Comunque, nel 1914 inizia a pubblicare le prime poesie in forma di epitaffio sotto falso nome, perché temeva che non venissero capite e apprezzate. Visto poi il successo riscontrato e ormai sicuro di sé, rivela di esserne l’autore. All’inizio del 1915 esce il libro che, come ho già detto, fu un successo clamoroso e travolgente ma che trova l’autore in condizioni di salute pessime. Una polmonite gravissima lo aveva infatti portato quasi alla morte; polmonite che altro non era se non la conseguenza di un lavoro febbrile a cui l’avvocato/poeta si era sottoposto in quell’anno. Lavoro di scrittura soprattutto notturno perché di giorno doveva comunque lavorare a studio, e spesso le prime luci dell’alba lo sorprendevano ancora sveglio, sopra le “sudate carte” alla sua scrivania. Lui racconta che, le ore notturne scorrevano senza nessun sforzo; era come se stesse vivendo un’esperienza “miracolosa”, come quasi sempre accade quando si assiste alla nascita di un capolavoro. Il successo dell’Antologia decreta per Masters tre grosse conseguenze: la prima è la fama dell’autore e in questo caso anche la sua personale vendetta contro l’ipocrisia e la mentalità ristretta e bigotta di una piccola città, la seconda conseguenza è la rovina della sua posizione di prestigio nella società di Chicago, la terza è la fine del suo matrimonio con Helen e il conseguente divorzio. Dopo qualche tempo si risposa con Ellen Cogne.
16 Una delle tante idee vincenti di questo libro, per me, è stata quella di far parlare, in maniera autonoma, i vari componenti di una stessa famiglia o nucleo. Vediamo due esempi tra i tanti che ho incontrato nella lettura dell’Antologia: ho scelto due figure, madre e figlio, ma nessuno lo sa e capirete il perché. Elsa Wertman Ero una giovane contadina venuta dalla Germania, occhi azzurri, rosea, felice e forte. E il primo posto dove ho lavorato è stato da Thomas Greene. Un giorno d’estate quando lei era via lui sgattaiolò in cucina e mi prese stretta tra le sue braccia e mi baciò la gola mentre scostavo la testa. Poi nessuno dei due sembrava capire che cosa stava succedendo. E io piansi per quello che sarebbe successo a me. E piansi e piansi come il mio segreto cominciò a farsi vedere. Un giorno la signora Greene disse che lei capiva, e che non mi avrebbe messa nei guai, e siccome era senza figli lo avrebbe adottato. (lui per farla star quieta le aveva regalato una fattoria). Così lei si nascose in casa e mise in giro la voce, come se stesse per succedere a lei. Tutto andò bene e il bambino è nato. Erano molto gentili con me. Più tardi ho sposato Guss Wertman, e gli anni passarono. Ma – durante i comizi quando i vicini credevano che io stavo piangendo commossa dall’eloquenza di Hamilton Greene – non era proprio per questo. No! Io volevo gridare: quello è mio figlio! Quello è mio figlio!!!
17 Hamilton Greene Ero l’unico figlio di Frances Harris della Virginia e di Thomas Greene del Kentucky, entrambi di sangue valoroso e onorato. A loro io devo tutto ciò che sono diventato, giudice, membro del Congresso, un leader nel nostro Stato. Ho ereditato da mia madre vivacità, fantasia, eloquenza; da mio padre forza di volontà, di giudizio, di logica. A loro tutto l’onore per il servizio che ho reso al popolo!
18 Nel secondo esempio ci sono addirittura due nuclei familiari: il vecchio padre - Washington Mac Neely, la figlia - Mary Mac Neely, Daniel Mac Cumber – fidanzato promesso di Mary, Paul Mac Neely – fratello di Mary, Giorgine Sand Miner – amante di Daniel. Sentiremo da questi personaggi che sembrano vivi e reali, tanto sono pieni di vita, di ricordi e di rancori, la storia anche molto complicata di questa famiglia; sembra quasi di assistere ad una piece teatrale dal finale tragico. Iniziamo dalla descrizione del padre…
19 Washington Mc Neely Ricco,onorato dai miei cari concittadini, padre di molti figli, nati da una nobile madre, tutti cresciuti lì nella grande villa, ai bordi del paese. Osservate il cedro sul prato! Ho mandato i ragazzi a studiare a Ann Arbor, le ragazze a Rockford, mentre la mia vita andava avanti, e accumulavo ricchezze e onori – la sera riposavo sotto il mio cedro. Passarono gli anni. Mandai le ragazze in Europa: ho dato loro una dote quando si sono sposate. Ho dato ai ragazzi i soldi per avviarsi in affari. Erano figli forti, promettenti come mele prima di essere addentate. Ma John fuggì all’estero in rovina. Jenny morì di parto – Io sedevo sotto il mio cedro. Harry si è ucciso dopo un’orgia, Susan ha divorziato – Io sedevo sotto il mio cedro. Paul è diventato un infermo per il troppo studio, Mary si è reclusa in casa per amore di un uomo – Io sedevo sotto il mio cedro. Tutti partiti, o con le ali spezzate o divorati dalla vita – Io sedevo sotto il mio cedro. La mia compagna, la loro madre, mi fu presa – Io sedevo sotto il mio cedro, finchè sono suonati novant’anni. O Terra che sei madre, e culli la foglia caduta fino al sonno!
20 Il figlio malato di Washington. Paul Mc Neely Cara Jane! Cara adorabile Jane! Come silenziosamente entravi nella stanza (dov’ero a letto malato) con la cuffietta da infermiera e i polsini di lino, e mi prendevi la mano e mi dicevi con un sorriso: “Non sei così malato – starai bene presto.” E come il liquido pensiero dei tuoi occhi penetrava nei miei occhi come rugiada che scivola dentro il cuore di un fiore. Cara Jane! L’intera fortuna dei Mc Neely non avrebbe potuto pagare le tue cure per me, giorno e notte, e notte e giorno; nemmeno per pagare il tuo sorriso, né il calore della tua anima, nelle tue piccole mani appoggiate sulla mia fronte. Jane, fino al momento in cui la fiamma della vita si è spenta nell’oscurità oltre il disco della notte ho desiderato e sperato di star di nuovo bene per appoggiare il capo sui tuoi piccoli seni, e tenerti stretta in un abbraccio d’amore – Ha poi provveduto per te mio padre quando è morto, Jane, cara Jane?
21 L’infelice e rinunciataria Figlia di Washington. Mary Mc Neely Passeggero, amare è trovare la propria anima attraverso l’anima dell’amato. Quando l’amato si ritrae dalla tua anima allora la tua anima è perduta. Così sta scritto: “Ho un amico, ma il mio dolore non ha amici”. Di qui i lunghi anni di solitudine a casa di mio padre, nel tentativo di ritrovare me stessa, e trasformare il mio dolore in una superiore coscienza di sé. Ma c’era mio padre con i suoi dolori, seduto sotto il cedro, un’immagine che è penetrata fin nel mio cuore portandovi un’infinita quiete. Oh, voi anime che avete fatto la vita fragrante e bianca come le tuberose nascono dalla terra nera, eterna pace!
22 Sentiamo adesso cosa ci racconta Daniel, fidanzato e promesso sposo di Mary. Daniel M’Cumber Quando andai in città, Mary Mc Neely, io volevo tornare da te, si, proprio così. Ma Laura, la figlia della padrona di casa, non so come scivolò nella mia vita, e mi portò lontano. Dopo alcuni anni ti vado ad incontrare proprio lei, Giorgine Miner di Niles – un virgulto del libero amore, di quei giardini di Fourier che sono fioriti in tutto l’Ohio prima della guerra. Un amante di poco conto si era stancato di lei e lei si rivolse a me per avere forza e conforto. Lei era quel tipo di lacrimante creatura che uno prende tra le braccia e di colpo ti sbava in faccia col naso gocciolante e scarica i suoi effluvi tutti sopra di te; poi ti morde la mano e scappa. E tu resti lì sanguinante e puzzi da morire! Proprio così, Mary Mc Neely, io non ero degno neppure di baciare l’orlo della tua veste.
23 Continua questa sorta di dramma familiare… Sentiamo le ragioni di Georgine, amante di Daniel… Georgine Sand Miner Una matrigna mi ha cacciata da casa, colma di amarezza. Un donnaiolo, un fannullone e dilettante mi prese la virtù. Per anni sono stata la sua amante – non lo sapeva nessuno. Ho imparato da lui l’astuzia parassita con cui mi comportavo coi gusci vuoti, come una pulce su un cane. Per tutto il tempo non ero altro che “molto intima” con diversi uomini. Poi Daniel, il radicale, mi ebbe per anni. Sua sorella mi chiamò sua amante; e Daniel mi scrisse: “Parola infame, che insudicia il nostro bellissimo amore!” Ma la mia rabbia si ritirò come un serpente, per preparare il morso. Se soltanto Daniel mi avesse fatto secca! Invece di spogliarmi nuda di tutte le bugie, puttana nel corpo e nell’anima!
24 All’apice del successo e della fama, Masters abbandona il suo lavoro di avvocato; scrive una autobiografia, alcuni romanzi, racconti e ancora versi, che questa volta non interessano nessuno, né lettori né editori, sembra proprio che la fortuna gli abbia voltato le spalle. La sua Antologia ha però una straordinaria accoglienza in tutta Europa, dove si reca per ben due volte per promuovere il libro; ma nonostante questo Masters è in miseria! Abita solo all’Hotel “Chelsea” di New York e riesce a sopravvivere solo grazie a prestiti di alcuni amici e partecipando a qualche conferenza. Per un lungo periodo Masters vive così poi, quando la sua precaria situazione diviene di dominio pubblico, THEODORE DREISER, anche lui scrittore (Una tragedia Americana), ottiene che gli venga assegnato un premio di 5.000 dollari. Allo stesso modo anche la seconda moglie Ellen Cogne, dopo vent’anni di distacco, si riconcilia con lui e lo fa ricoverare nel Convalescenzario di “ Melrose Park” in Pennsylvania, dove sarà ancora Dreiser ad accollarsi la retta. (Strano caso di solidarietà tra scrittori/poeti). All’età di 81 anni, il 6 marzo 1950, muore in seguito ad una grave forma di polmonite. I funerali sono in forma solenne e viene sepolto nel cimitero di Petersburg accanto ai nonni. Sulla sua lapide sono incisi, per sua espressa volontà, i versi di una sua poesia: Buoni amici andiamo nei campi dopo un po’ di passeggio, col vostro permesso vorrei dormire. Non c’è cosa più dolce né più benigno destino che il sonno. Andiamo a passeggio e ascoltiamo le allodole
25 Per finire voglio leggervi un’ultima poesia che da sempre mi ha incuriosita e colpita avendola trovata in tutti i cimiteri che ho visitato, non solo per dovere ma anche per piacere… Serepta Mason Il fiore della mia vita poteva sbocciare da ogni lato ma un vento aspro ha impedito la crescita dei miei petali proprio sul lato che voi del paese riuscivate a vedere. Dalla polvere levo la mia voce di protesta: non avete mai visto il mio lato fiorente! Voi che vivete, voi siete davvero sciocchi e non conoscete le vie del vento e le invisibili forze che governano i processi della vita. Questa breve poesia rappresenta e sintetizza un po’ tutto ciò che questa lunga e complessa Antologia ci suggerisce. E’ anche una esortazione a fare in modo che i petali del fiore, che poi rappresentano la nostra stessa vita con i nostri desideri e le nostre inclinazioni, possano crescere, maturare e fortificarsi… a dispetto del vento che vorrebbe in tutti i modi impedirlo…
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