Eccellenze italiane, Luca Parmitano al comando della Spaziale
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Eccellenze italiane, Luca Parmitano al comando della Stazione Spaziale Internazionale Luca Parmitano è il nuovo comandante della Stazione Spaziale Internazionale. L’astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea è il primo italiano, e il terzo europeo, ad assumere questo ruolo. La cerimonia per il passaggio di consegne con il comandante russo Alexei Ovchinin è avvenuta su una stazione orbitale affollatissima, con ben nove astronauti a bordo. Ieri Ovchinin è rientrato sulla Terra e Parmitano ha iniziato ufficialmente la Expedition 61. CLICCARE SULLA FOTO PER GUARDARE IL VIDEO SERVIZIO
Il video servizio trasmesso a Officina Stampa del 3/10/2019 “Ringrazio tutti per la fiducia che mi date”, ha detto Parmitano, emozionatissimo, in diretta dalla Stazione spaziale, collegato anche con la sede dell’Agenzia spaziale italiana. La cerimonia celebrata in orbita si è conclusa con il suono simbolico di una campanella di ottone. Felice per l’importante incarico anche il presidente dell’Agenzia spaziale italiana Giorgio Saccoccia, che ha fatto i suoi “auguri di buon lavoro a Parmitano”, sottolineanco che l’astronauta “permette all’Italia spaziale di raggiungere un grande traguardo”. Saccoccia ha poi commentato: “Diventare comandante della Stazione spaziale internazionale è un grande privilegio, il primo per un astronauta italiano. È il riconoscimento della sua grande professionalità e delle sue competenze dimostrate sul campo e in volo”. Parmitano era entrato a far parte nel 2009 del corpo astronauti dell’Agenzia spaziale europea.
eFootball PES 2020, il calcio di Konami torna alla grande Per l’edizione del 2020, Pro Evolution Soccer ha cambiato nome fregiandosi del prefisso “eFootball” che sancisce apertamente la sua attenzione al crescente mondo degli esports. Ma perché un titolo riesca a riunire una vasta community sotto una sola bandiera, c’è ovviamente bisogno di un gameplay che possa incontrare i gusti di gran parte dei giocatori: eFootball PES 2020, in tal senso, rappresenta il capitolo della maturità per Konami, un gioco che migliora praticamente qualsiasi aspetto del predecessore, puntando dritto al trono del miglior titolo calcistico. Prima di addentrarci nell’analisi del gameplay di eFootball PES 2020, è necessario parlare di tutte le novità presenti nelle tante modalità di gioco che Konami ha inserito nel suo nuovo titolo. Partiamo dall’unica, nuova modalità del titolo, ossia: Matchday. Questa tipologia di gioco consiste essenzialmente in un torneo online strettamente collegato alle partite più importanti che settimanalmente si susseguono nei vari campionati europei e non. Matchday prevede dunque l’utilizzo e la scelta di una squadra da supportare durante
tutto l’arco del già citato torneo grazie alle vittorie che raccoglieremo durante lo stesso; tali vittorie porteranno dei punti alla squadra ed al giocatore, utili eventualmente a portare il giocatore a cimentarsi in una finale trasmessa in streaming all’interno del titolo in esclusiva per tutti i giocatori di eFootball PES 2020. Ogni partita inoltre porterà al giocatore delle ricompense da utilizzare in MyClub, l’Ultimate Team del gioco di Konami, che si va perfezionando di anno in anno. Tale modalità rappresenta sicuramente un’aggiunta apprezzabile, ma assolutamente non rivoluzionaria; le partite di Matchday infatti potranno essere giocate solo in orari piuttosto precisi e decisi da Konami stessa. Per quanto riguarda MyClub, possiamo affermare che poche sono le aggiunte apportate da Konami a quella che punta ad essere la vera e propria rivale di Ultimate Team, che dunque risulta essenzialmente identica a quella di PES 2019. Dopo aver creato un allenatore liberamente personalizzabile nell’aspetto, ci si troverà a comandare una squadra composta da perfetti sconosciuti, che bisognerà di volta in volta integrare con giocatori di alto grado da acquisire tramite la valuta ingame, i GP. Ogni giocatore sarà acquistabile tramite dei “palloni”, ordinati per grado di rarità, che garantiranno sempre un calciatore della rarità desiderata; ovviamente il ruolo dell’acquisto sarà praticamente sconosciuto sino all’apertura dei tanto discussi “pacchetti”. Unica vera novità da segnalare nella modalità MyClub è quella relativa alla presenza di una schermata riepilogativa dei vari calciatori disponibili per l’acquisto ad ogni accesso alla stessa. All’interno di eFootball PES 2020 ci sono poi le classiche amichevoli, da giocare contro la CPU, online o contro un amico, i vari campionati e coppe europee, le divisioni online già viste lo scorso anno e la storica e sempre gradita Master League, che è forse la modalità che ha ricevuto le aggiunte più sostanziose. Konami ha infatti provato ad innovare il suo storico e memorabile Campionato Master grazie all’inserimento all’interno dello stesso di una componente narrativa.
All’inizio della Master League bisognerà infatti scegliere le fattezze del proprio allenatore che non sarà più liberamente personalizzabile, ma da selezionare tra alcune vecchie leggende del calcio giocato, tra cui spiccano i nomi di Maradona, Gullit, Roberto Carlos (chiamato Larcos per via delle licenze), e così via. Una volta selezionato l’allenatore si verrà trascinati in delle sessioni puramente narrative che, grazie alle scelte fatte, potrebbero cambiare le sorti della squadra. Tali sequenze consistono essenzialmente nella scelta degli obiettivi stagionali, in delle interviste pre e post gara e così via. Tuttavia, se all’inizio il giocatore viene trascinato con forza all’interno di questa struttura, col passare del tempo le sessioni di intermezzo cominciano a lasciare un po’ l’amaro in bocca, in quanto troppo ripetitive e spezzettate. Tanti sono stati inoltre gli aggiustamenti apportati da Konami a questa modalità, che l’anno scorso soffriva di qualche problemino relativo soprattutto alle trattative utili a portare nuovi rinforzi alla propria squadra, che ricordiamo, potrà essere o composta da giocatori reali o da talenti di fantasia. Il Campionato Master offerto da eFootball PES 2020 dunque è sicuramente una delle modalità più riuscite di questo titolo, che speriamo venga migliorato ancor di più l’anno prossimo. Infine, è bene ricordare la presenza della modalità Diventa un Mito, che permetterà di creare un proprio alter ego virtuale il quale, a suon di gol e buone giocate, dovrà scalare le gerarchie di club e nazionali. Tale modalità è essenzialmente identica a quella dello scorso anno; divertente, curata e molto riuscita. In sostanza dunque l’offerta ludica di eFootball PES 2020, nonostante non abbia alcune aggiunte di rilievo assoluto rispetto allo scorso anno, è sicuramente da promuovere. Le modalità disponibili sono tante e ben strutturate, quindi c’è tanto materiale con cui divertirsi su Pc, Xbox One o PS4. Dopo aver descritto le varie modalità di gioco, passiamo finalmente al vero pezzo forte di eFootball PES 2020: il gameplay. Il titolo
targato Konami è il miglior simulatore calcistico attualmente sul mercato. Il ritmo di ogni singola partita è parecchio ragionato e praticamente identico a quanto si vede ogni fine settimana in tv o dal vivo negli stadi. Konami infatti ha fatto tesoro delle critiche che i fan avevano rivolto a PES 2019, prendendo di buono quanto fatto durante lo scorso anno e migliorando tutte le criticità che affliggevano il titolo. Sono stati infatti totalmente eliminati i difetti riguardanti l’arbitraggio, criticatissimo in quanto eccessivamente severo, e i portieri, che adesso compiono balzi felini dando sfoggio a parate di altissima qualità, animate in maniera molto realistica. Una volta avviata la prima partita, ci si accorge subito di essere dinanzi a un titolo incredibilmente profondo, realistico, il cui impatto sorprende fin da subito in maniera più che positiva. Le animazioni di ogni singolo calciatore sono state riscritte e migliorate, con risultati davvero eccellenti; la fluidità che queste donano ai movimenti dei 22 giocatori in campo e al gioco stesso è praticamente tangibile, non solo esteticamente ma anche in termini di puro gameplay. Addio quindi ai giocatori legnosi e spaesati visti nelle scorse edizioni della saga, e benvenuta riproduzione praticamente perfetta di quello che è il calcio giocato, fatto di contrasti, inserimenti, tocchi sbagliati, dribbling e così via. Ogni singolo passaggio, o meglio, ogni singola azione di gioco, tiene conto
della posizione del giocatore rispetto al pallone, in modo da riprodurre nella maniera più fedele possibile il calcio giocato. Rari infatti sono i casi in cui un calciatore mal posizionato o marcato stretto dal difensore avversario riuscirà ad eseguire un tiro perfetto, uno stop a seguire o un passaggio pulito; per giocare a questo titolo dunque, è necessario ragionare e tener conto di tanti fattori che fino a qualche anno fa erano totalmente ignorabili. A contribuire a questo enorme senso di realismo ci pensa anche la dinamica della palla, perfezionata in maniera semplicemente fantastica; deviazioni, rimbalzi, rimpalli e quant’altro hanno un impatto abbastanza marcato sulla fisica del pallone, che prenderà traiettorie “anomale” ma tuttavia parecchio fedeli alla realtà. Una delle nuove feature presenti in PES 2020 è quella relativa al cosiddetto Finesse Dribbling, supervisionata da Don Andrès Iniesta, ex stella del Barça. Utilizzando entrambe le levette analogiche del controller sarà infatti possibile eseguire trick di vario tipo che il più delle volte, se correttamente utilizzati, lasceranno gli avversari di turno inermi e apriranno la strada verso la porta avversaria. Per quanto apprezzabile e ben costruita, abbiamo trovato questo nuovo sistema di controllo particolarmente ostico, soprattutto nelle prime partite, poichè l’utilizzo di entrambi gli analogici con un timing perfetto risulta
piuttosto complicato e artificioso. In sostanza dunque il gameplay di questo nuovo PES rappresenta il massimo apice raggiunto da una simulazione calcistica negli ultimi anni: ragionato, appagante, divertente, realistico. Un vero e proprio spettacolo per chi cerca una simulazione calcistica realistica ed estremamente divertente. L’intelligenza artificiale del titolo merita un’altra menzione anche per aver ben implementato il modo in cui l’andamento della partita può influenzare la performance dei giocatori. Arrivati per esempio a un vantaggio di 3 gol è palese come i giocatori della squadra vincente giochino con molta più tranquillità, addirittura diventando leziosi e rischiando talvolta errori banali, mentre chi è in svantaggio può farsi prendere dalla disperazione con difensori che vagano senza meta, rassegnati all’impossibilità di fermare le avanzate avversarie. Insomma, le sensazioni sul campo quest’anno sono davvero positive. E’ forse dai tempi della PlayStation 2 che un capitolo di Pro Evolution Soccer non aveva un feeling così fresco e soddisfacente, dimostrando che Konami sembra sapere il fatto suo su come far evolvere la formula in maniera sensata. Da segnalare che anche quest’anno la console di Microsoft rimane purtroppo l’unica (a causa delle policy restrittive del produttore) dove è impossibile importare pacchetti non ufficiali di licenze aggiornate; pertanto chi vuole sistemare i nomi
“farlocchi” presenti in molte delle squadre dovrà farlo manualmente. L’editor per farlo è comodo, ma è comunque un lavoro immenso se lo si vuole fare bene. Per quanto riguarda la realizzazione tecnica, anche questa è vistosamente migliorata, con una grafica più convincente di prima e con 60 frame al secondo piuttosto stabili. Riguardo alle performance, rimane qualche caricamento un po’ lungo e le solite attese durante le rimesse o i calci piazzati, ma complessivamente anche il comparto tecnico ha fatto un vistoso salto in avanti. Il gioco è ovviamente tradotto per intero in italiano, con la telecronaca nostrana che anche quest’anno è opera del duo Fabio Caressa e Luca Marchegiani. Che dire di più, se si vuole giocare a una simulazione calcistica bella da vedere, divertente e con una giocabilità impressionante, eFootball PES 2020 è la scelta migliore che si possa fare. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 8,5 Sonoro: 9 Gameplay: 9,5 Longevità: 9 VOTO FINALE: 9 Francesco Pellegrino Lise
WhatsApp al lavoro sui messaggi che si “autodistruggono” WhatsApp sta sperimentando una nuova, interessante funzionalità, ossia: i messaggi che si autodistruggono. Ovviamente tale procedura non comporterà nessuna “esplosione” o quant’altro di pericoloso, infatti gli sviluppatori stanno lavorando su una feature che permetterà la cancellazione automatica dei testi dopo un certo lasso di tempo. Il problema di WhatsApp e delle chat in generale è che i messaggi, anche quelli scritti in
fretta e furia e senza pensare, rimangono lì per sempre. A volte capita di chattare con leggerezza, come se si stesse parlando, ma tutto quello che si scrive viene immortalato e può essere usato contro la persona che lo ha digitato anche dopo anni. Da tempo esistono servizi come Snapchat, dove i messaggi inviati e ricevuti spariscono dopo qualche secondo o qualche minuto, esattamente come una battuta detta a voce, ma per la piattaforma di instant messagging di proprietà di Mark Zuckerberg fino ad adesso tale funzionalità non è mai stata presente. La feature, avvistata in una versione beta di WhatsApp per Android, funziona per il momento solo nei gruppi ma verrà probabilmente estesa alle chat singole. I disappearing messages, così viene chiamata la funzione in inglese, avranno bisogno di essere attivati tramite una specifica opzione che permetterà anche di decidere dopo quanto tempo il testo scomparirà. Al momento ci sarebbero solo due opzioni riguardo la tempistica di cancellazione automatica su WhatsApp, ossia: 5 secondi o un’ora, ma per quando tale funzione sarà disponibile, crediamo che la durata del messaggio potrà essere decisa direttamente dal mittente. Altra cosa molto importante riguarda il fatto che non dovrebbe più apparire sul display di chi legge nemmeno la classica dicitura “Questo messaggio è stato eliminato”. Come già detto, i disappearing message per il momento sono disponibili solo per le chat di
gruppo ma crediamo che, se tale funzionalità dovesse riscuotere successo, verrà estesa anche per le chat individuali. Stando alle ultime voci, la nuova funzionalità di WhatsApp potrebbe superare la fase di test ed essere introdotta nel client di WhatsApp entro la fine dell’anno, sia per i dispositivi iOS che per quelli Android. F.P.L. The Surge 2, lamiere e morte nel nuovo titolo “Souls-like” Con The Surge 2, gli sviluppatori tedeschi Deck13 tornano con un’avventura tutta nuova per Pc, Xbox One e PS4 che abbandona l’idea del
protagonista preimpostato e mette sul campo un personaggio creato dal giocatore. Il titolo dà inoltre maggiore attenzione alla trama e soprattutto all’ambientazione, sempre più distopica e cyberpunk. Le buone premesse quindi ci sono tutte e il gioco, specialmente per chi apprezza il genere souls-like è un buon prodotto per molti aspetti. The Surge 2 si lascia alle spalle l’ambientazione del primo titolo trasferendo i giocatori nella nuova Jericho City, ossia una città composta da vari distretti, tutti presidiati da mercenari più o meno corazzati che hanno avuto l’ordine di tenere le strade sgombre e di eliminare chiunque si trovi a esplorare la zona. Ma per quale motivo? Difficile dirlo: il personaggio che si controlla, creato attraverso un semplice editor all’inizio della partita, è miracolosamente sopravvissuto a uno schianto aereo ma c’è qualcosa in quell’incidente che ancora non quadra. Ritrovatosi all’interno di un carcere sotto attacco, il proprio alter ego virtuale riesce a liberarsi e si pone l’obiettivo di scoprire cosa sia accaduto davvero. Riuscire nell’impresa non sarà semplice, però: le mura in fiamme dell’istituto pullulano di criminali assetati di sangue, avversari da sfruttare per fare pratica con un sistema di combattimento che integra e arricchisce quello del primo episodio. Armati inizialmente solo di due defibrillatori elettrici, il protagonista di The Surge 2 si dovrà aprire la strada fino alla prima MedBay e lì,
finalmente, ci si potrà equipaggiare con un esoscheletro potenziato. Il collegamento alla macchina, tuttavia, resetta la situazione dei nemici nell’area e pone chi gioca di fronte alle stesse minacce che si erano già affrontate: nemici agguerriti e capaci di uccidere con solo due o tre colpi ben assestati. Una formula ben collaudata per questo sottogenere degli action RPG, che tuttavia non trova supporto nella narrazione, anche stavolta poco ispirata e priva di spunti degni di nota. Nel primo The Surge, uno dei principali difetti lamentati dal pubblico e dalla critica era proprio un’ambientazione asettica e piatta dall’inizio alla fine, con pochi guizzi di design. Gli sviluppatori hanno quindi pensato bene di passare ad un’enorme città piena di vicoli e segreti, fatta di parchi, zone industriali e altri luoghi. Jericho City è infatti composta da ben nove settori diversi tra loro, sia per difficoltà che per design, che variano da una discarica piena di rottami a fogne putride e velenose fino alla zona più ricca fatta di grattacieli di vetro, parchi per bambini o, addirittura, aree forestali. Per quanto concerne la trama di gioco, questa si muove su binari poco lineari e diretti, esattamente come in qualsiasi altro souls-like che si rispetti. La storia viene raccontata tramite dialoghi sintetici, registrazioni e documenti da trovare, oltre a delle missioni
secondarie che possono approfondire non poco il mondo di gioco. Incontriamo, infatti, personaggi con particolari linee di dialogo utili a rispondere alle nostre domande, ma non tutte avranno una risposta chiara e dettagliata. Probabilmente una scelta voluta dagli autori visto che questi avevano dichiarato di voler rendere la narrativa decisamente più contorta e complessa del primo gioco. Nonostante le premesse, anche se non mancano personaggi sopra le righe la storia narrata in The Surge 2 si rivela essere sempre meno incisiva, tanto da non scostarsi molto da quella di Warren nel primo capitolo. A stimolare il giocatore per arrivare ai titoli di coda, quindi, non è di certo la narrativa di gioco, bensì la curiosità di affrontare i nuovi pericoli misteriosi e nascosti di Jericho City. Purtroppo, nonostante si tratti di un souls-like nudo e crudo, si arriva a fine gioco relativamente presto: l’avventura non dura oltre le 20-25 ore di gioco, che non sono poche, ma comunque restano e di molto al di sotto dei capostipiti del genere che possono durare anche più del doppio del tempo. Sicuramente l’approcciarsi al gioco in maniera calma e strategica, oltre alla voglia di dedicarsi a tutte le missioni secondarie o a migliorare la propria build di gioco, rendono The Surge 2 un gioco interessante da giocare, ma comunque si attesta ben al di sotto di altre produzioni in quanto ad attività e longevità in generale.
A livello di giocabilità il titolo si difende bene. Risvegliati dal profondo coma in il proprio personaggio si trova, si sarà liberi di esplorare e comprendere cosa sia successo alla metropoli di Jericho, che è ridotta ormai a un futuristico far west. A seguito del disastro generato dalle nanotecnologie, la regola del più forte regna sovrana, e bisognerà applicarla al più presto per farsi largo tra i tanti nemici presenti nella rinnovata mappa, decisamente più ampia rispetto al passato. La progressione segue i modi che già si conoscevano, e ci si troverà dopo poco tempo a passare dalla semplice tuta con cui si è stati ricoverati a diventare dei veri e propri Terminator armati di tutto punto, con tante alternative a disposizione. Anche l’originale sistema per appropriarsi di armi e armature altrui torna in grande spolvero. Gli innesti tecnologici che il protagonista possiede nel corpo permettono di gestire armi e armature in modo calcolato e profondo, infatti, già dopo le prime ore di gioco, l’inventario si popola di diversi tipi di pezzi e categorie, da combinare a piacimento per trovare la build più utile allo scenario con cui faremo i conti. In The Surge 2 è necessario ricordare che è l’energia del nucleo del protagonista a limitare l’utilizzo di pezzi troppo potenti. Proprio per tale ragione essi vanno gestiti al meglio per sfruttarne il più possibile. Riuscendo ad unire più pezzi dello stesso set, poi, si
ottengono bonus che vanno aggiunti alle statistiche di attacco, difesa e cambio di status. In più, stavolta, il protagonista non sarà da solo, ma avrà a disposizione un piccolo drone volante che potrà essere richiamato ed equipaggiato a piacere con una vasta gamma di componenti. Il drone gioca un ruolo interessante in The Surge 2: si può usarlo per attirare i nemici, per curarsi o anche per lasciare dei graffiti agli altri giocatori, segnalando minacce e segreti nascosti. Il sistema di recupero dell’equipaggiamento dei nemici si conferma essere il punto di forza di tutta la produzione. L’implementazione, già notevole nel primo episodio, funziona fluidamente durante i combattimenti, nei quali si può mirare ad una parte del corpo specifica per poi amputarla una volta ridotto in fin di vita il nemico, e fare l’upgrade della propria build con i nuovi componenti “rubati”. Il controllo del personaggio è deputato allo stick analogico destro che si comporta egregiamente, senza complicare e ostacolare le mosse che si hanno in mente. Torna poi anche la terza barra oltre a quelle di vita e stamina, quella della batteria, da tener d’occhio quando si vuole approfittare dei vantaggi degli innesti per recuperare energia o indebolire i nemici. Insomma, quello di The Surge 2 è un sistema che funziona e spicca per varietà di soluzioni e situazioni proposte, nonostante un design non
sempre raffinato, ma che riesce ad essere appassionante nell’ottimizzazione delle build o nel superamento di scenari dove l’impianto giusto farà la differenza tra la vita e l’ennesima morte. Altro punto forte, della produzione dei Deck13, è la quantità di strumenti offensivi e difensivi a disposizione. La loro presenza, infatti, stimola il giocatore ad un farming sì ripetuto e leggermente ripetitivo, ma appagante quando si completa un set o si riesce a potenziare al massimo. Per quanto riguarda l’aspetto estetico, The Surge 2 non fa gridare al miracolo, ma resta comunque gradevole da vedere. Ad esempio, anche se Jericho City rappresenta una metropoli interessante che si sviluppa anche in verticale, il passaggio tra i diversi settori è spesso incoerente sia dal punto di vista dell’art design che da quello narrativo. Si tratta di una costruzione spesso confusionaria, nonostante la varietà non manchi. Mancano dungeon labirintici, mancano strade tortuose e soprattutto mancano approcci di gioco diversi in base ai nemici presenti in zona. L’ambientazione sci-fi cyberpunk è molto appetibile, ma a nostro avviso poteva offrire molto di più visto il grande potenziale che essa possiede. The Surge 2 inoltre è graficamente inferiore al primo capitolo e anche sul piano delle performance il gioco originale ha la meglio. Scalettature di ogni tipo, texture piatte e scialbe ed effettistica al minimo storico. In termini di risoluzione e frame-rate, su
Xbox One X, il gioco offre due tipi di soluzioni: qualità e prestazioni. La prima porta il gioco in 4K upscalati e 30 fps con particolari problemi di frame- pacing, mentre in modalità prestazioni si passa ad una risoluzione FullHD e 60 fps non propriamente stabilissimi. Insomma, dal punto di vista grafico si poteva fare sicuramente qualcosina in più. In conclusione, con l’uscita di The Surge 2 ci si aspettava un salto di qualità rispetto al passato, ma purtroppo il titolo non decolla più di tanto. Giocandolo ci siamo trovati di fronte ad un titolo migliorato molto sul fronte del sistema di combattimento, ma ci aspettavamo un guizzo in più in tutte le aree di gioco. Purtroppo The Surge 2 arranca su altri aspetti importanti come level design ed art design, presentando peraltro una narrazione scialba e poco convincente. A chiunque abbia amato il primo capitolo consigliamo sicuramente di dare una chance a questo successore in quanto rappresenta un miglioramento in quasi tutti gli aspetti, salve quello grafico. Per chiunque invece si dovesse avvicinare per la prima volta al gioco, consigliamo di provarlo prima di acquistarlo in quanto l’alto tasso di difficoltà e il level design non proprio brillante potrebbero scoraggiare e stancare presto. GIUDIZIO GLOBALE:
Grafica: 7,5 Sonoro: 7,5 Gameplay: 8,5 Longevità: 7 VOTO FINALE: 7,5 Francesco Pellegrino Lise Borderlands 3, varietà e humor per lo shooter targato Gearbox Borderlands 3 arriva su Pc, Xbox One e Ps4 a 7 anni di distanza dal secondo capitolo canonico della saga. Il nuovo
titolo sviluppato da Gearbox e prodotto da 2k Games si presenta come il capitolo più grande e folle della saga e, dopo un’attenta analisi e moltissime ore passate nel mondo di gioco, possiamo affermare che ci si trova davanti a un vero e proprio capolavoro. Ma andiamo a capire il perché di questa nostr affermazione. Il titolo è ambientato alcuni anni dopo gli eventi di Borderlands 2, con la scoperta di numerose altre Cripte oltre quella di Pandora. La scomparsa di Jack il Bello ha portato inoltre all’ascesa dei Gemelli Calypso, un duo di psicopatici che sono riusciti in breve tempo a riunire tutti i clan di banditi di Pandora in un unico culto chiamato “Figli della Cripta”, che venera i due gemelli come divinità e che ha come unico scopo il ritrovamento della Grande Cripta. Ad opporsi a questa nuova follia c’è la Sirena Lilith, una vecchia conoscenza della serie che adesso è a capo dei Crimson Rider, l’unico gruppo che si ribella ai Calypso e che tenta di fermare i loro folli piani. Tra i Crimson Rider ci sono anche altri volti noti come la sexy barista Mad Moxxi, lo storico mercante Marcus e l’immancabile robot monoruota CL4P- TP, meglio conosciuto come Claptrap. Nonostante ciò però i Crimson Raider non riescono a gestire la continua espansione dell’esercito dei Calypso, questo almeno fino all’arrivo di quattro nuovi Cacciatori della Cripta: Amara, FL4K, Zane e Moze. Come
di consueto anche in Borderlands 3 il primo compito del giocatore è proprio quello di scegliere quale di questi impersonare, ognuno che come da tradizione rappresenta una diversa “classe” e stile di gioco, completamente diverso l’uno dall’altro. Amara è una Sirena in grado di evocare delle braccia di energia con cui picchiare, difendersi o immobilizzare i nemici, FL4K invece è un robot in grado di stringere legami con gli animali e sfruttarli in combattimento attaccando o distraendo gli avversari. Zane è un maestro dell’inganno ed è in grado di creare ologrammi di sé stesso per confondere i nemici utilizzando inoltre diversi gadget in battaglia, mentre la piccola Moze può evocare un mech da combattimento dotato di un armamento letale e di una corazza in grado di assorbire un gran numero di colpi. Ovviamente, proprio come avveniva già in passato, anche in Borderlands 3 si punta tantissimo sulla componente ruolistica, quindi ogni personaggio salendo di livello può essere personalizzato attraverso tre diversi skill-tree con abilità attive e passive. Ogni abilità può essere potenziata singolarmente per migliorarne gli effetti, inoltre si possono anche mescolare bonus di diversi skill-tree per creare delle build “ibride” che aprono potenzialmente a decine di combinazioni per soddisfare ogni esigenza. Inoltre in qualsiasi momento si possono riassegnare i punti per sperimentare combinazioni differenti.
A livello di gameplay Borderlands 3 riprende la tradizionale formula di gioco tanto apprezzata dai fan, in cui l’azione adrenalinica dei first-person shooter sposa la profondità dei giochi di ruolo in un mix a dir poco perfetto. In questo terzo capitolo della serie il combat system in generale e gli scontri a fuoco sono stati vistosamente svecchiati grazie a un sistema di movimento più dinamico. I giocatori possono ora effettuare scivolate durante le sparatorie, arrampicarsi per raggiungere eventuali alture e infine schiantarsi al suolo, con uno scenografico attacco in picchiata. Tutto contribuisce allo sviluppo di un’azione più trascinante rispetto al passato, destinata a decollare con le stravaganti bocche da fuoco e le abilità dei cacciatori della Cripta. Che sia l’erculea Sirena Amara, l’impertinente Zane, l’enigmatico FL4K o la letale Moze, la scelta non cambierà il risultato finale, regalando sempre del puro e coinvolgente caos dal primo all’ultimo minuto della campagna. Per quanto riguarda le armi, in Borderlands 3 si possono raccogliere un numero davvero impressinante di fucili d’assalto, SMG, shotgun e lanciarazzi che sembrano concepiti da una mente folle, con significativi passi in avanti in termini di fantasia e di mera potenza di fuoco; come se ciò non bastasse, molte armi offriranno una modalità di fuoco secondaria, che permetterà di agganciare un nemico con i proiettili traccianti, passare dallo sparo automatico alla
raffica o lanciare scariche di micro-razzi dalla canna di quella che sembra solo un’”inoffensiva” pistola. Insomma, se non si fosse ancora capito il titolo offre centinaia di scontri in cui il caos sarà all’ordine del giorno, talvolta con effetti disorientanti sull’azione trasposta su schermo, ma Borderlands 3 offre molto di più di qualche boss fight impegnativa o dell’ennesima carneficina di nemici. Affiancando la storyline principale, le quest secondarie raccontano le curiose vicende di alcuni personaggi fuori dal coro che, paradossalmente, si riveleranno essere le figure più caratteristiche di Pandora e dintorni. Puntando sulla varietà delle folli situazioni esposte, e su una scrittura, in questo caso, sorprendentemente ispirata, gran parte delle missioni secondarie regalano esperienze stimolanti e momenti di pura ilarità, che vanno ben oltre la semplice consegna del solito pacchetto o della taglia da riscattare. Inoltre va sottolineato il lavoro certosino svolto dal team di sviluppo in quanto il titolo è stracolmo di squisiti riferimenti alla cultura pop anni 80 e infarcito di continui rimandi agli altri episodi del franchise, The Pre- Sequel compreso. Inoltre è bene sottolineare che le side-quest offrono ai Cacciatori più valorosi laute ricompense oltre che essere un pretesto per esplorare a fondo la rumorosa galassia di Borderlands 3. Nell’ultima opera di Gearbox la varietà è l’aspetto
portante, infatti, il titolo offre il maggior numero di scenari esplorabili dai fan della serie, che potranno finalmente abbandonare il pianeta Pandora per intraprendere un viaggio interplanetario alla ricerca delle Cripte. Questa è l’occasione per rifarsi gli occhi sui colossali grattacieli ultrafuturistici di Promethea, per meditare nei templi di Athenas o per esplorare le paludi selvagge di Eden-6. Per intraprendere i viaggi spaziali basterà impostare la rotta dalla sala di comando della Sanctuary-III, nave dei Crimson Raider e hub centrale della campagna, e preparsi all’atterraggio. Il mondo di gioco è nuovamente suddiviso in macro-aree, collegate tra loro attraverso varchi e stazioni adibite al viaggio rapido: insomma, un ritorno al passato che sà di occasione sprecata nei confronti di un potenziale open world, ma che, se non altro, può ora offrire dei caricamenti sensibilmente ridotti. Da apprezzare, inoltre, l’inedita verticalità dell’ambientazione, che spesso invita i giocatori a puntare gli occhi verso l’alto e a sfruttare la nuova scalata. In Borderlands 3 una volta atterrati sul pianeta destinazione, ci si potrà dirigee alla prima stazione Catch-A-Ride e utilizzare uno dei veicoli disponibili. Tra questi si trovano le solite camionette corazzate e i runner in stile Mad Max, affiancati dai nuovi futuristici Cyclone che permettono di sfrecciare a tutta velocità verso l’ignoto all’interno di una ruota gigante.
L’esplorazione dello scenario è incentivata dalla presenza di oggetti collezionabili disseminati in ogni area: tra questi sono presenti i diari di Typhon DeLeon, il primo Cacciatore della Cripta, o dei nuovi componenti per i bolidi di Ellie. Tra i contenuti da scovare ci sono anche alcune sfide esclusive, come le taglie di Zer0 in cui sarà necessario uccidere i ricercati o le cacce leggendarie di Sir Hammerlock, con creature esotiche da studiare e da far fuori, ovviamente. Complessivamente l’avventura di Gearbox ha una durata che spazia tra le 40 e le 60 ore, a seconda di come si gioca, ma il bello di Borderlands 3 è che offre un alto tasso di rigiocabilità. Dopo aver portato a termine la campagna infatti sarà possibile intraprendere diverse modalità di gioco con cui proseguire nell’avventura o, in alternativa, ricominciare da capo ma con una marcia in più. La prima novità endgame si chiama Modalità Caos. Suddivisa in tre diversi livelli di sfida, essa dà una maggiore probabilità di ottenere i pezzi di loot più rari e di ricevere percentuali bonus sull’esperienza, il denaro e l’Eridium guadagnati. Il prezzo da pagare coincide con un considerevole aumento dell’energia e della corazza dei nemici, così come diverse mod che potenzieranno ulteriormente gli avversari con resistenze ai proiettili, ai danni elementali e chi più ne ha più ne metta. Puro e semplice
caos, nulla da aggiungere. Segue la Modalità Vero Cacciatore della Cripta, anch’essa contenente ricompense più ghiotte e criminali più ardui da affrontare, ma che in questo caso non offre nulla di nuovo se non il rivivere la storia di Borderlands 3, conservando tutti i progressi raggiunti fino a quel momento e mettendo contro livelli molto più duri da abbattere. E’ bene sottolineare che il sistema di progressione del gioco non è legato al singolo personaggio, bensì all’intero account, permettendo quindi di guadagnare nuovi gradi utilizzando anche altri Cacciatori. Un’aggiunta molto interessante, soprattutto agli occhi di chi macina numeri per scovare le migliori combinazioni per la propria build. Forti dei bonus e dell’equipaggiamento ottenuto sul campo, i giocatori in cerca di una vera sfida potranno mettersi alla prova in Circle of Slaughter, la modalità “orda” ideata dall’inimitabile Torgue, o nei Terreni di Prova. Mentre la prima si presenta come un piacevole passatempo da sperimentare da soli o in co-op, le arene di Terreni di Prova richiederanno grande concentrazione e, possibilmente, l’aiuto di un amico (ricordiamo che in Borderlands 3 si può giocare fino a 4 giocatori contemporaneamente in qualsiasi modalità di gioco), nel disperato tentativo di superare le numerose ondate e lo scontro finale con il temibile boss. Sul versante grafico/tecnico Borderlands 3 sfoggia il suo
caratteristico stile “disegnato” che ha reso famosa la serie, e il passaggio alle nuove console (se si esclude la remastered Handsome Collection) si nota grazie ad una pulizia generale dell’immagine e un maggior numero di dettagli a schermo, sia per quanto riguarda i nemici che per le stesse armi, che possono anche essere decorate con diversi accessori. Peccato, però, che il comparto visivo di Borderlands 3 cada in qualche imperfezione tecnica. I primi problemi che affliggono le versioni PS4 e Xbox One si palesano nel framerate. Su PS4 Pro e Xbox One X, Gearbox Software propone due diverse modalità grafiche, Prestazioni e Risoluzione, che prediligono rispettivamente la fluidità visiva (60 fps) e il livello di dettaglio (4K). A conti fatti, la prima opzione si è dimostrata la scelta preferibile per godere pienamente del titolo, là dove Risoluzione compromette in maniera evidente l’azione di gioco; eppure, neanche i 60 fotogrammi al secondo si dimostrano solidissimi, perdendo diversi frame nelle situazioni più concitate dell’avventura. È possibile arginare tali problemi disattivando le notifiche Social, ma solo in piccola parte. Passando sopra l’instabilità del framerate (fortunatamente rara), gli occasionali pop-in delle texture e i bug si viene ricompensati con un clamoroso colpo d’occhio, offerto dagli sconfinati scenari che si esploreranno e dai più dettagliati modelli poligonali. Netto miglioramento anche per
le curatissime animazioni, che segnano un notevole distacco dalle precedenti avventure della serie. Un elemento che ci ha davvero colpiti di Borderlands 3, tuttavia, è legato al sonoro. Non stiamo parlando della soundtrack, che in ogni caso è davvero molto bella da ascoltare, ma ci riferiamo al doppiaggio in italiano: ogni singolo personaggio prende vita attraverso interpretazioni a dir poco sensazionali, con una scelta delle voci sempre azzeccata. Un grande plauso al registro umoristico scelto che fa letteralmente scompisciare dalle risate in quanto non è mai esagerato ma si sposa perfettamente con le situazioni presenti sullo schermo. Tirando le somme, se si passa sopra i leggeri problemi di framerate, Borderlands 3 rappresenta pienamente tutto ciò che un vero appassionato della saga desidera, ma è anche un ottimo titolo per chi si avvicina per la prima volta al brand. La comicità travolgente e il gameplay semplice ma in grado di creare dipendenza fanno trascorrere le ore in maniera piacevole e spensierata, e non si vedrà l’ora di scoprire quali folli missioni aspettano ad ogni nuova area e pianeta. Insomma, l’ultima fatica di Gearbox è un titolo di un certo spessore, che non giocare sarebbe davvero un peccato e che continuare dopo l’endgame sarebbe un vero spreco. Un arsenale spaventoso, mezzi assurdi, follia allo stato puro, humor intelligente, riferimenti alla cultura pop e tantissime cose
da fare fanno di Borderlands 3 una vera perla nell’olimpo del gaming. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 9 Sonoro: 9 Gameplay: 9,5 Longevità: 8,5 VOTO FINALE: 9 Francesco Pellegrino Lise Mi Mix Alpha lo smartphone Xiaomi tutto display Xiaomi Mi Mix Alpha è realtà ed è senza dubbio uno degli
smartphone più avveneristici del momento. La particolarità di questo dispositivo è quello di avere un display completamente “avvolgente” capace di rendere possibile un rapporto tra corpo e display pari addirittura al 180,6%. Questo significa che il pannello flessibile dello schermo corre lungo tutto il corpo dello smartphone sia davanti che dietro in una continuità che nessun altro brand aveva mai permesso fino ad oggi. Ovviamente Mi Mix Alpha offre un’interfaccia utente dedicata per sfruttare al meglio il display avvolgente, non ci sono infatti tasti fisici (sostituiti da una tecnologia che simula la pressione dei pulsanti) e sono presenti piacevoli effetti che colorano lo schermo ad esempio quando lo smartphone è in carica. E’ stato poi implementato un sistema per evitare i tocchi involontari, specialmente sui bordi. Grande lavoro è stato fatto anche dal punto di vista dei materiali, con l’impiego di vetro zaffiro per le fotocamere, titanio e ceramica per la fascia posteriore, scelte rese necessarie per garantire una maggiore protezione della tripla cam e dell’intero dispositivo. Il nuovo e futuristico Xiaomi mi Mix Alpha risulta effettivamente un concept per Xiaomi che dunque decide di renderlo tale anche nella commercializzazione che arriverà entro la fine dell’anno esclusivamente in pochi pezzi anche se ci si attende un’estensione poi in futuro. Il prezzo dichiarato al momento è di 19.999 yuan che equivalgono sostanzialmente a circa 2.550 euro. Xiaomi Mi Mix Alpha specifiche tecniche: Display: Surround display Super AMOLED da 6.39” HD+ densità 420ppi e rapporto schermo/scocca pari al 180,6% Processore: Qualcomm Snapdragon 855+ RAM: 12GB LPDDR4X Memoria interna: 512GB di tipo UFS 3.0 Fotocamere: 3 posteriori da 108MP con f/1.69, 1/33”, pixel da 1.6um e AF + 20MP grandangolare con angolo da 117°, f/2.2 e
1/2.8” + 12MP con f/2.1 e 1/2,8” Batteria: 4.050 mAh con ricarica rapida 40W Connettività: 5G, Wi-Fi, Bluetooth 5.0, NFC Sistema Operativo: Android 10 con MIUI 11 Dimensioni: 157 x 74 x 8 mm Peso: 199 grammi Colorazioni: Bianco e Nero Francesco Pellegrino Lise Greedfall, il Gdr in stile coloniale Greedfall, svilupato dai francesi Spiders, è il nuovo gdr per Pc, Xbox One e Ps4 che catapulta il giocatore in un’epoca che strizza l’occhio all’Europa all’Europa del diciottesimo secolo. Il titolo racconta le vicende di
De Sardet, un ambasciatore della Confederazione dei Mercanti in partenza da Serene, sua nazione natale, alla volta dell’isola di Teer Frade. Questa terra è un luogo misterioso e semisconosciuto verso il quale è iniziato un processo di colonizzazione, e che pare custodisca la chiave per scongiurare la Malicore, un’epidemia che imperversa sul continente e che sta mietendo migliaia di vite umane. L’avventura inizia nel porto di Serene, subito dopo la creazione del proprio alter ego virtuale attraverso un editor piuttosto profondo, dove oltre all’aspetto fisico del personaggio, vengono applicate le caratteristiche legate al gameplay come forza fisica, destrezza, carisma o conoscenza delle arti magiche. Nel triplice intento di trovare nuove rotte commerciali, nuove risorse naturali ed una cura per la malicore (la piaga di cui sopra), De Sardet viene affiancato da suo cugino più giovane, che, in verità, necessita di una balia più di quanto non dicano i suoi anni. L’incipit è promettente, e l’approccio con un nuovo mondo, con le fazioni che lo animano, con la flora e la fauna locali è a dir poco elettrizzante. In Greedfall più che l’intreccio in sé a destare interesse sono la cura per i particolari, la costruzione dell’universo di gioco, la differenziazione tra le fazioni presenti in game e, soprattutto, le quest secondarie, foriere di informazioni aggiuntive e di abbondanti dosi di lore. Le sei fazioni contribuiscono a rendere credibile il mondo di
gioco e ad offrire sempre una sponda al giocatore, con effetti evidenti sull’esito della storia, che può contare su quattro differenti finali. Si spazia dalla popolazione locale, che richiama fortemente i nativi americani, a Theleme, fazione strettamente religiosa con tanto di Inquisizione, passando per i Nauti, peculiare gilda marinaresca che ottiene i suoi membri come pagamento di contratti di lavoro. Tra tanti giochi di ruolo che scelgono di lasciare esplorare al giocatore mondi devastati, classiche lande fantasy o ambienti urbani contemporanei, allora, l’ambientazione scelta dal team francese, pur non del tutto inedita, risulta fresca e stimolante, e mette realmente il giocatore di fronte a scelte non banali. Peccato che la scarsa espressività facciale dei personaggi di Greedfall e una serie di dialoghi a volte troppo prolissi limitino la godibilità dell’intreccio e delle relazioni tra fazioni, che rimangono comunque tra i punti più alti della produzione, anche in assenza del doppiaggio italiano e con qualche strafalcione tra i sottotitoli. Sin dai primi passi nel mondo di gioco si può respirare un’atmosfera davvero molto particolare: le ambientazioni ricalcano il nostro continente in epoca coloniale, sia per quanto riguarda l’architettura di abitazioni e vascelli che nell’abbigliamento dei personaggi, chiaramente ispirato alle
vesti iberiche dell’epoca, e fanno da sfondo ad un mondo popolato da bizzarre creature, mostruosità di ogni genere, magia e arti oscure. Le primissime ore del gioco si svolgono all’interno dell’area portuale di Serene, fungendo un po’ da tutorial per iniziare a metabolizzare le dinamiche del gioco prima di immergersi in un così particolare universo. Diversi sono i compiti che vengono assegnati già in questa fase e che permettono immediatamente di capire che in Greedfall ogni incarico può essere affrontato in diversi modi, a seconda delle proprie inclinazioni. Ad esempio quando ci si trova dinanzi a una persona da cui ottenere preziose informazioni, ad esempio, si può scegliere di propendere per l’utilizzo della dialettica, qualora il livello di carisma sia sufficientemente alto per riuscire a convincerlo a parlare, oppure si può scegliere di optare per le maniere forti, minacciandolo fisicamente facendo leva sul livello di costituzione fisica, o ancora si può optare per la subdola arte della corruzione, offrendo oro in cambio di favori. Libera scelta è lasciata in gran parte di queste situazioni, e le scelte adottate influenzeranno in maniera importante l’universo di gioco, facendo guadagnare lustro agli occhi di una fazione a discapito di un’altra. In sostanza ogni azione avrà sempre pro e contro, quindi grazie a questo sistema Greedfall offre un livello di giocabilità veramente
elevato. Greedfall è un gioco complesso fin dalle prima battute, ma dà grandi soddisfazioni per via delle meccaniche semplici quanto profonde. Una volta avviato il gioco per la prima volta e creato un personaggio, esso va indirizzato verso una delle tre classi iniziali, una basata sugli attacchi corpo a corpo, una sulla magia ed una sugli attacchi indiretti e la furtività, al giocatore sarà lasciata ampia libertà di scelta nel prosieguo della storia, così da creare build miste come maghi/guerrieri capaci di brandire pesanti armi a due mani o tecnici insospettabilmente abili nelle arti curative. Il sistema di crescita del personaggio si basa su tre valori, ovvero abilità, che include tutte le skill attive, attributi, che invece raggruppa quelle passive, e talenti, ovvero ulteriori conoscenze, in genere non legate al combattimento ma utili per facilitarsi la vita nel mondo di gioco, come la capacità di scassinare serrature, preparare pozioni o disinnescare mine. I tre alberi sono di dimensioni molto contenute, ed è possibile, dedicandosi con costanza alle quest secondarie, riempirli tutti anche solamente in una prima run, svilendo un po’ la rigiocabilità del titolo. Per quanto riguarda le missioni secondarie, a nostro avviso, esse rappresentano uno dei punti più alti della produzione. A fronte di un numero generale assai ristretto se confrontato con larga parte
della concorrenza, le side-quest risultano ben scritte e sufficientemente varie da invogliare chi gioca ad affrontarle tra una missione principale e quella successiva. Funzionano discretamente anche il sistema di crafting, basilare nell’esecuzione ma sempre chiaro e mai troppo invadente, e la grande libertà di scelta lasciata al giocatore anche in sede di scontro, con una pletora di approcci possibili, dallo stealth alla diplomazia, passando per la coercizione e l’approccio violento. In Greedfall l’esplorazione di Teer Frade avviene con una struttura semi-open world: l’isola è esplorabile liberamente in tutta la sua estensione, ma è suddivisa in zone in cui il passaggio tra una e l’altra richiede un breve caricamento. In queste fasi gli sviluppatori hanno fatto ricorso ad un escamotage semplice quanto geniale per evitare di tediare il giocatore nella seppur brevissima attesa: durante il caricamento si accede infatti ad una sorta di accampamento dove poter organizzare la propria squadra, cambiandone i membri per renderla quanto più equilibrata possibile, modificare il proprio equipaggiamento o potenziarlo attraverso lo strumento di crafting. A proposito di team, è bene sottolineare che in Greedfall il protagonista durante le sue peripezie non è solo ma è accompagnato da due compagni che lo affiancano negli scontri. Essi possono essere reclutati tra i moltissimi personaggi che incrociano il cammino del giocatore e vantano talenti e
specializzazioni uniche. Queste abilità possono essere miscelate a dovere per la creazione di una squadra equilibrata e che funzioni. I compagni non rappresentano però delle mere “bocche da fuoco” supplementari. Col passare del tempo infatti le relazioni con loro si fanno più strette, si impara a conoscerli, si scoprono i segreti delle loro vite e affrontando con loro missioni secondarie si potranno instaurare legami sempre più forti. Per quanto riguarda il sistema di combattimento di Greedfall, esso si basa sull’utilizzo fondamentale di due colpi da breve distanza, attacco leggero e attacco caricato, e da un attacco da lunga distanza, effettuato mediante l’utilizzo della pistola. In fase difensiva due tasti frontali sono designati alla parata ed alla schivata. Parlando delle armi da mischia, queste si dividono in due classi, armi contundenti e da taglio: equipaggiate contemporaneamente nell’inventario queste armi possono essere alternate velocemente, ed il loro utilizzo combinato risulta determinante per distruggere le armature con le prime ed infliggere ingenti danni a bersagli scoperti con le seconde. A livello di giocabilità, tra fasi d’esplorazione, dialoghi con i personaggi, missioni e combattimenti, Greedfall può tenere impegnati tra le 30 e le 60 ore a seconda se si vuole esplorare a dovere il mondo di gioco o se si vuole fare solo l’essenziale. La versione Xbox One da noi
testata per questa recensione, offre un livello grafico buono ma non sempre eccellente. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che una tale produzione è troppo ambiziosa per uno sviluppatore che ha comunque dei limiti di budget ben precisi. Greedfall, è bene sottolinearlo, rappresenta l’apice della produzione del team transalpino, grazie a scorci mozzafiato e a un lavoro scenico eccellente, tanto sui costumi d’epoca quanto sulle ambientazioni, impreziosito dal supporto all’HDR. Purtroppo però, c’è ancora tanto da lavorare sul comparto animazioni, che rimane povero e generalmente legnoso, sui modelli poligonali, che sono passabili ma non perfetti e, soprattutto, sul massiccio riutilizzo di texture ed asset, che rende tutti gli interni delle case identici tra loro e costringe il giocatore a parlare con i medesimi sette o otto NPC per tutta la durata dell’avventura. L’ambizione del team di sviluppo è assolutamente ammirevole, e il risultato finale è comunque buono in quanto, nonostante Greedfall non sia un titolo perfetto, il gioco resta comunque un’avventura profonda e bella da portare a termine. Tirando le somme, l’ultima opera del team Spiders è sicuramente una sorpresa gradita per gli amanti dei gdr. Una buona giocabilità, la possibilità di fare tante cose e una trama ben strutturata fanno si che non ci si annoi mai. Se quello che si cerca è un gioco di ruolo mediamente difficile, in grado
di offrire diverse ore di gioco e abbastanza profondo, allora Greedfall è un titolo che non bisogna lasciarsi scappare. GIUDIZIO GLOBALE: Grafica: 7,5 Sonoro: 7,5 Gameplay: 7,5 Longevità: 8,5 VOTO FINALE: 7,5 Francesco Pellegrino Lise Gears 5, l’evoluzione dell’esclusiva Microsoft
Gears 5 arriva su Xbox One e Pc a distanza di quasi tre anni dal quarto capitolo della serie. Con questo nuovo episodio, gli sviluppatori di The Coalition sembrano ora aver dato libero sfogo a tutta la loro creatività con lo scopo dichiarato di realizzare il Gears più vasto e profondo di sempre. E a nostro avviso ci sono riusciti in pieno. Ma andiamo a scoprire il perché. La trama si collega benissimo con il finale del gioco precedente, infatti, dopo gli eventi narrati in Gears 4, la situazione sul pianeta Sera è sull’orlo del baratro. Lo Sciame, l’esercito generatosi dall’esposizione prolungata di Locuste ed esseri umani agli effetti nocivi dei cristalli di Imulsion, è uscito allo scoperto e si sta preparando per attaccare gli Insediamenti e le città gestite dalla Coalizione dei Governi. Una nuova guerra sembra quindi inevitabile e i COG, nonostante il loro esercito, sanno di non poter resistere
a lungo senza armi adeguate. L’unica opzione plausibile, per quanto il Primo Ministro Jinn Desai non sia d’accordo, sembra essere legata al Martello dell’Alba, la “vecchia” tecnologia satellitare sviluppata durante le Guerre Pendulum che permise ai Gears di sopravvivere dopo il Giorno dell’Emersione. Su indicazione di Baird la squadra Delta, composta da Marcus Fenix, suo figlio JD, Kait Diaz, figlia della leader degli Estranei rapita dallo sciame nel precedente capitolo, e Delmont “Del” Walker, torna quindi ad Azura per lanciare in orbita un vecchio prototipo di Martello rimasto miracolosamente intatto. Una volta rientrati a Nuova Ephyra i soldati scoprono però che l’arma non sta rispondendo nel modo corretto, solo per scoprire che le cose stanno per precipitare. Le creature si sono infatti evolute, generando nuovi giganteschi abomini e sviluppando la capacità di prendere il controllo dei Dee-Bee, i robot utilizzati dalle forze governative come strumento di difesa e controllo. Una situazione imprevista alla quale si aggiungono l’esuberanza e gli errori di JD, che aveva già rischiato di compromettere l’incursione su Azura, i conflitti interiori di Kait, tormentata da visioni e incubi, e la scarsa affidabilità del satellite appena messo in orbita. La somma di tutti questi fattori influisce in modo irreversibile sull’esito della missione, finendo per creare una profonda frattura all’interno dei Delta. Kait, spalleggiata dagli
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