DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE, GIURIDICHE E STUDI INTERNAZIONALI - Unipd

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DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE, GIURIDICHE E STUDI INTERNAZIONALI - Unipd
DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE, GIURIDICHE E STUDI
                              INTERNAZIONALI

Corso di laurea Triennale in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Diritti
                                     Umani

                           Diritti Umani e Inclusione
                       Il Venezuela e la crisi Umanitaria

                  UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA

           A cura di Rossetto Anna e Nardotto Tanya e Zatta Palani

                          Anno Accademico 2017/2018

                                                                                     !1
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Indice
Parte I

1.0 La situazione Venezuelana………..………………………………………………………………………………………………………..…….……3

2.0 Hugo Chávez, il presidente della rivoluzione incompiuta……….…………………………………….……………………………………..…..…….7

3.1 Da Chavez a Maduro…………………………………………………………………………………………………………..……..………….…….11

3.2 Venezuela paese capitalista……………………………………………………………………..…………….…………………………………..……11

4.0 Nicolàs Maduro………..…………………………………………………………………………………………………………………………..…..13

5.1 Violazione dei Diritti Umani…..…………………..………………………………………………………………………………………….……….15

5.2 Libertà di espressione………………………………………………………………..……………………….………..………………………………16

5.3 Diritto al cibo……………………………………….…………………………………………………………………………………..……..……….18

5.4 Diritto alla salute………………..…………………………………………………………………………………………………………………..….18

5.5 Difensori dei diritti umani..…………………………………………………………………..……………….………………….…………….….…..18

6.0 Rifugiati e richiedenti asilo…………………………………………………………………………………………………………….………………18

7.1 Inclusione dei Venezuelani, una sfida per l’America Latina e per il Mondo………………………………………………………..………….…..….19

7.2 Paesi Contro…………………………..………………………………………………………………………………………….………………….…20

7.3 Integrazione Venezuelana in Ecuador………………………………………………………..…………………………………………..………….…22

Parte II
1.1Chávez non diversifica l’economia……………………………………………………………………………………………..………………………23

1.2 Crisi del petrolio e crollo dell’economia: Presidente Maduro………………….…………………………………………………..…….………..…..25

2.1 Maduro esautora il parlamento……………………………………………………….………………..…………………………………..…………..27

2.2 Elezioni del 2018…………………………………….……………………………………………………..……………….……………………..…..28

2.3 Sanzioni internazionali……………………………………………………………………………………………………….…..………………..…..30

3.1 Emergenza alimentare……………………………………………………………………………………………………………………………..…..33

3.2 Emergenza Sanitaria…..………………………………………………………………………………………………………….…………..………..34

3.3 Ondate di proteste…………………………………………………………………………………………………….………………………..………35

3.4 Emergenza migratoria……………………………………………………………………………………………………………….…………..….… 39

Conclusione……………………………………………………………………………………………………………………………….…….…………44

Parte III

La Chiesa……………………………………………………………………………………………………………………………………………..……46

L’Inclusione

Delcy Rodriguez

Pensiero degli altri stati

Numeri e statistiche

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Parte I (Anna Rossetto)

1.0 La situazione Venezuelana

Può capitare di sentire che in Venezuela sta succedendo qualcosa e come spesso accade
in questi casi si è innondati di informazioni dei mass media che fanno i propri interessi.
Raccontano sempre la stessa storia, diffondendo notizie per spaventare e non per
informare.

E subito vengono fuori le grandi parole come: repressione, censura, dittatura.
Ma essendo ormai abituati a capire quali siano gli interessi delle oligarchie, dei
banchieri, e molte volte dell’impero nord americano dietro queste notizie, si prova a fare
una lettura più approfondita dei fatti per dire cosa sta accadendo veramente in
Venezuela.

È molto importante partire da una visione geopolitica.
La prima cosa da sapere è che il Venezuela possiede le più grandi riserve petrolifere
conosciute al mondo.
Si capirà meglio cosa sta succedendo in Venezuela se si da uno sguardo al suo vicino
del nord: gli Stati Uniti.

La società statunitense è tra i principali consumatori dei derivati al mondo. In primo
luogo per la benzina. Gli Stati Uniti possiedono il più alto tasso di automobili per
abitante del pianeta e ovviamente ci sono altri derivati come la plastica, i vestiti, i
cosmetici.

Per mantenere questa società dipendente dal petrolio gli Stati Uniti devono importare 60
barili ogni 100 che ne consumano.
Ma da dove viene il petrolio che si consuma negli Stati Uniti?
Se si da uno sguardo un pò più ampio, il Medio Oriente è una zona chiave.
Gli Stati Uniti importano una parte importante del loro petrolio da Arabia Saudita, Qatar
ed Emirati Arabi uniti e con questi alleati hanno dato vita ad una strategia per ottenere
l’egemonia politica della zona. Sono proprio questi interessi nel settore energetico, tanto
nel gas come nel petrolio che spiegano la guerra in Irak, l’attuale violenza in Siria,
l’occupazione in Palestina e l’intervento il Libia.

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Se questo concetto è chiaro, permetterà di capire perché il Venezuela è importante per
gli Stati Uniti.
Il petrolio che viene dal medio oriente passa dallo stretto di Hormuz e prosegue il suo
percorso nel sud dell’Africa fino ad arrivare in Texas. Questo viaggio dura tra il 40 e i
45 giorni.
Al contrario il petrolio che viene dal Venezuela impiega solo 4 o 5 giorni per arrivare
negli Stati Uniti.
Paragonando i costi del petrolio che arriva dal Medio Oriente anziché dal Venezuela, si
capisce chiaramente quali siano gli interessi Nordamericani. È molto importante
comprendere come questi interessi abbiano determinato la storia del Venezuela. In più
di 40 anni la storia del Venezuela dipendeva dal cosiddetto “Pacto di Punto Fijo” 1958,
un patto politico tra i due principali partiti di quel momento: Azione Democratica e
COPEI (comitato di organizzazione politica elettorale indipendente). Attraverso il patto
concordarono un programma politico comune, l’unico elemento che cambiava era che si
alternavano l’uno all’altro a seconda dell’esito elettorale.
Questi due partiti di destra sequestrarono la democrazia venezuelana per oltre 40 anni
difendendo esclusivamente gli interessi dell’oligarchia e lasciando il popolo
venezuelano senza alcuna rappresentanza. In questo modo fu garantito per più di 40
anni il petrolio ad un ottimo prezzo per gli Stati Uniti.
Cresceva così il malcontento del popolo, che iniziò a manifestarsi sempre più forte.
Nel febbraio e marzo del 1989 le stazioni giunsero all’apice fino a quello che fu
chiamato il “Caracazo”. Durante questo evento, tristemente storico per il Venezuela, il
governo venezuelano ordinò di aprire il fuoco contro i manifestanti, morirono più di
tremila persone in una settimana.
Tra i militari a comando che si rifiutarono di sparare contro i manifestanti durante il
“Caracazo” c’è ne era uno molto particolare: il comandante Hugo Chavez Frìas.
Dopo aver tentato di rovesciare il regime assassino dell’oligarchia attraverso una
ribellione militare che non andò a buon fine, il comandante Chavez si candidò alle
elezioni. Fu così che nel 1998 venne eletto presidente della repubblica del Venezuela.
Il suo governo rappresentò un cambiamento storico per i Venezuelani, innanzitutto per il
rafforzamento della democrazia del paese. Si iniziò con la rifondazione democratica di
tutte le istituzioni dello stato attraverso un’assemblea costituente.

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Nei 15 anni di rivoluzione Bolivariana si sono realizzati 19 eventi elettorali, una cifra
incredibile, di cui 18 vinti dal processo rivoluzionario.
Questo processo di democrazia rappresentativa permanente è stato inoltre
complementato dal rafforzamento della democrazia partecipativa in Venezuela.
Anche i progressi frutto delle politiche sociali sono stati molto evidenti, come per
esempio la povertà, che è diminuita dal 54,2% del 1995 al 23,9% del 2012.
La mortalità infantile è diminuita del 50%. Il sistema sanitario e di previdenza sociale
rappresentano il 21% del bilancio dello stato venezuelano. Le matricole universitarie
sono passate da ottocentomila a due milioni seicentomila.

In Venezuela ci sono 75 università pubbliche e di conseguenza l’analfabetismo è stato
sradicato in tutto il paese.
Ovviamente l’impero statunitense vedendo che per la prima volta nella storia un
governo venezuelano si occupava molto di più del suo popolo che degli interessi
nordamericani e che, il nuovo processo di integrazione sovrano ed emancipatore
dell’America latina stava minacciando la sua egemonia politica, non rimase a guardare.
Nel 2002 sostenne palesemente un colpo di stato contro il governo democraticamente
eletto di Hugo Chavez. Avendo fallito questo tentativo grazie alla mobilitazione
popolare, organizzò un sabotaggio economico attraverso uno sciopero petrolifero con il
sostegno    dell’oligarchia.   Tuttavia   fallì   anche     questo   nuovo   tentativo   di
destabilizzazione.
Ciò che sta accadendo in Venezuela non è altro che l’ennesimo tentativo di
destabilizzazione, l’unica novità è che adesso viene usata una strategia diversa, il
cosiddetto “Golpe Suave”.
Il primo passo è la guerra economica. Nonostante siano stati avviati numerosi
cambiamenti nell’economia venezuelana, il paese dipende ancora molto dalle
importazioni per soddisfare le sue principali necessità e la stessa oligarchia, che
storicamente ha creato questa situazione sta cercando di approfittarsene ancora oggi.
Da un lato alcuni industriali legati all’oligarchia che vuole mettere fine al processo
Bolivariano, stanno tentando di diminuire la reperibilità di alcuni prodotti di prima
necessità per creare malcontento popolare.

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Dall’altro alcuni settori che controllano le importazioni e che vogliono anch’essi
mettere fine al processo speculano con i dollari anziché utilizzarli per le importazioni di
prodotti di prima necessità per il paese.
Tutto ciò dimostra ancora una volta il cinismo della oligarchia venezuelana, disposta a
tutto pur di tornare al potere.
Ma se si vede il secondo, e forse più importante pilastro del “Golpe Suave”, quello della
Manipolazione Mediatica, si capisce che l’opposizione golpista venezuelana ha due
facce, una che si mostra pacifica e l’altra chiaramente violenta. Certi mezzi di
comunicazione in Venezuela e all’estero sono diventati gli strumenti principali di questa
strategia di “Golpe Suave”, manipolando in modo sfacciato i fatti che stanno accadendo
nel paese.

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2.0 Hugo Chávez, il presidente della rivoluzione incompiuta
Hugo Chavez è la spiegazione del perché, in tutta l’America Latina, la parola socialismo
ha ancora un profondo significato, mentre in Europa lo ha perduto quasi del tutto.

Chávez presidente del Venezuela dal gennaio 1999, aveva tentato un colpo di Stato nel
1992; il golpe fallì e lui passò due anni in prigione, ma divenne enormemente popolare
presso un’opinione pubblica stufa della corruzione e dell’incompetenza della classe
politica venezuelana.

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Una volta al potere, Chávez vinse regolarmente le elezioni presidenziali per tre volte,
l’ultima nell’ottobre 2012. Chávez fu un presidente con una forte, per quanto a tratti
oscura, impronta ideologica: si è ispirato al socialismo del XXI secolo, una dottrina filo-
marxista. L’altro suo riferimento è stato Simón Bolívar, il Libertador, eroe della stagione
dell’indipendenza dell’America Latina dall’impero spagnolo.

La sua politica economica è stata orientata verso le classi più umili, che hanno
beneficiato della redistribuzione dei proventi derivanti dalla vendita del petrolio, la
principale risorsa venezuelana. L’oro nero rappresenta sicuramente una risorsa
strategica che tutti vorrebbero avere nel proprio sottosuolo, ed il Venezuela ne possiede
in abbondanza. Si calcola che i due terzi dei giacimenti trovati fino ad ora in
Sudamerica si trovino, infatti, proprio in questo Paese, e che le riserve esistenti siano
addirittura superiori a quelle dell’Arabia Saudita. Se, da un lato, il petrolio può
rappresentare un’arma, dall’altro è anche una debolezza: in primo luogo, lo è perché
rende il Paese un obiettivo nel mirino delle aspirazioni imperialistiche delle
multinazionali statunitensi, ma anche perché rende l’economia nazionale fortemente
vulnerabile.
Hugo Chávez ha fortemente puntato su questa risorsa, nazionalizzando il settore e
facendone      il   fiore   all’occhiello   della   Repubblica   Bolivariana.   Tuttavia,   le
imprevedibili oscillazioni del prezzo del barile hanno reso l’economia venezuelana
fortemente vulnerabile, in assenza di altri settori capaci di reggere il confronto. Con uno
sviluppo troppo lento degli altri settori economici come l’agricoltura, il turismo ed
l’industria non petrolifera.
Finché il prezzo del barile galoppava, il Venezuela ha potuto effettuare forti
investimenti nello stato sociale, ottenendo grandi miglioramenti in molti indicatori
macroeconomici.
Il crollo del prezzo del barile e la contemporanea crisi politica interna hanno dunque
rappresentato il momento più opportuno per sferrare l’attacco alla Rivoluzione
Bolivariana.

Il rovescio della medaglia è rappresentato da una conduzione spregiudicata
dell’economia (di cui il paese ha iniziato a pagare le conseguenze con lo scoppio della
crisi globale) e da una serie di comportamenti dittatoriali: l’intimidazione

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dell’opposizione, alcuni limiti posti alla libertà di stampa, la stessa conduzione del
governo da Cuba durante la malattia.

In politica estera, Chávez aveva elaborato un piano per sottrarre l’America Latina alla
tradizionale egemonia degli Stati Uniti e fare del Venezuela una potenza regionale.
Tale piano aveva il suo pilastro ideologico nell’alleanza con la Cuba dei fratelli Castro.
I due paesi hanno fondato insieme l’Alleanza Bolivariana dei popoli dell’America, cui
si erano successivamente aggiunti diversi Stati latinoamericani.

I principali alleati del presidente venezuelano erano, oltre a Cuba, la Bolivia di Evo
Morales,   l’Ecuador    di   Rafael    Correa   e   il   Nicaragua   di   Daniel   Ortega.

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L’opposizione agli Stati Uniti ha costituito una componente essenziale della politica
internazionale di Chávez, che era in ottimi rapporti con tutti i paesi rivali di
Washington: dalla Russia alla Bielorussia, dalla Libia alla Corea del Nord, dalla Cina
all’Iran passando per la Siria.
Dopo averlo governato per poco meno di 15 anni, Chávez lascia un paese politicamente
polarizzato e istituzionalmente indebolito; le classi più povere stanno meglio di prima
ma l’economia è ancora sostanzialmente dipendente dal petrolio.
Il suo progetto di fare del Venezuela una potenza regionale fallì, vittima anch’esso della
diminuzione di risorse economiche legata alla crisi globale, dell’opposizione del Brasile
e del peggioramento delle sue condizioni di salute.
La rivoluzione Bolivariana rimase incompiuta, così come la sua svolta in politica estera.

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3.1 Da Chavez a Maduro
La morte di Hugo Chávez fu sicuramente un evento capovolgente per l’avventura della
Rivoluzione Bolivariana in Venezuela. Naturalmente contro la malattia del leader
storico poco avrebbe potuto fare il governo venezuelano, ma si ritiene che l’errore sia
stato fatto in precedenza, ovvero quello di puntare fin troppo sul carisma e sulla figura
di Chávez.
Le modifiche alla costituzione, seppur appoggiate dal popolo, lo portarono a governare
così a lungo che oramai, per i cittadini venezuelani, la Rivoluzione era Chávez e Chávez
era la Rivoluzione.
L’improvvisa morte del leader aprì una difficile fase di transizione, che portò ad una
difficile prova elettorale per Nicolás Maduro.
Quest’ultimo si dimostrò fedele alla linea del suo predecessore, ma non avendo il
carisma dello stesso Chávez, e non è mai riuscito a far innamorare il popolo
venezuelano. Finché il suo fondatore era in vita, la Rivoluzione Bolivariana non è mai
stata messa in dubbio, anche nei momenti più difficili come il colpo di stato del 2002,
ma il momento della successione rappresentò terreno fertile per coloro che non
vedevano l’ora di attaccare il governo venezuelano.

3.2 Venezuela paese capitalista
La Rivoluzione Bolivariana è, ad oggi, una rivoluzione a metà.
Nonostante la nazionalizzazione del settore petrolifero e le politiche di redistribuzione
della ricchezza verso le classi più umili, il Venezuela resta un Paese ampiamente
immerso nel capitalismo, e dunque subisce le conseguenze delle contraddizioni di
questo sistema economico.
Oscillazione dei prezzi delle materie prime e cicliche crisi economiche sono elementi
fondamentali del sistema capitalista, ed il Venezuela non fa eccezione.
In questo modo, il Paese sudamericano si è esposto alla situazione attuale di attacco da
parte della grande borghesia nazionale e delle multinazionali statunitensi: le politiche di
Chávez e Maduro si sono infatti rivelate insufficienti per dare realmente vita ad un
sistema economico alternativo, ma abbastanza incisive per andare a ledere gli interessi.

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Si ritiene necessario per il proseguimento dell’esperienza rivoluzionaria in Venezuela,
l’attuazione di una serie di ulteriori riforme che portino il Paese da un sistema
economico di libero mercato ad uno di economia socialista, o quantomeno non liberista:
la nazionalizzazione degli altri settori strategici come l’agricoltura, le banche e
telecomunicazioni.
La differenziazione delle entrate dello Stato attraverso lo sviluppo degli altri settori
economici (agricoltura, turismo, industria non petrolifera) sono gli strumenti
fondamentali per la sopravvivenza della Rivoluzione Bolivariana, così come la necessità
di formare un fronte più compatto che si opponga al ruolo egemonico della potenza
statunitense nel continente.

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4.0 Nicolàs Maduro
Nicolás Maduro ha vinto le prime elezioni presidenziali del Venezuela post Hugo
Chávez con il 50,7% dei voti, un risultato così risicato da mettere in dubbio la
legittimità del processo elettorale e la legittimazione politica del vincitore, erede
designato dello stesso Chávez.
Maduro, 50 anni, già autista di autobus, sindacalista e ministro degli Esteri, ha battuto il
principale candidato dell’opposizione, Henrique Capriles Radonsky, con un margine di
circa 234 mila voti: 7 milioni 500 mila contro 7 milioni 270 mila.
Ha votato quasi l’80% degli aventi diritto.
Capriles non ha riconosciuto la sconfitta e ha chiesto il riconteggio integrale.
Maduro non si oppone alla richiesta, mentre il Consiglio elettorale nazionale (Cne)
venezuelano ha già dichiarato il risultato “irreversibile”.
La tranquillità del presidente eletto, il quale ha parlato di una vittoria “giusta, legale e
costituzionale”, e il parere del Cne fanno pensare che il riconteggio, se ci sarà, non
altererà il risultato finale.
Il paese si avvia verso una fase di tensione.
La risicata vittoria elettorale non è insomma una vittoria politica per Maduro: è invece
la dimostrazione che il chavismo senza Chávez, soprattutto se rappresentato da un
candidato anonimo e privo di carisma, non è tanto più appetibile dell’alternativa
rappresentata da un’opposizione credibile.
Nei suoi 14 anni al potere, Chávez ha cambiato il paese, mettendo le classi più povere al
centro della sua azione politica e conquistandosi la loro devozione.
Il modello ha funzionato fino a quando i prezzi record del petrolio permettevano di non
preoccuparsi della spesa pubblica e fino a quando la rivoluzione non si è incancrenita.
Oggi in Venezuela non sono rari i black out, c’è scarsità di generi alimentari,
l’inflazione è oltre il 20% e il deficit pubblico ha assunto dimensioni preoccupanti.
A conseguenza di una situazione economica non entusiasmante, ci sono due fenomeni,
la corruzione e la violenza, che ultimamente hanno assunto dimensioni preoccupanti,
portando il Venezuela nelle posizioni di testa delle rispettive classifiche.
Affrontare questi problemi contribuirebbe senza dubbio ad accrescere la credibilità di
Maduro, che d’altronde aveva inserito la lotta alla corruzione, alla violenza e
all’inflazione nel suo programma elettorale.

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Ma la corruzione è figlia di un sistema di potere di cui Maduro è il vertice, peraltro non
pienamente legittimato dal risultato elettorale.
Le responsabilità del chavismo sono due: non aver saputo contrastare la corruzione e
non aver reso il Venezuela meno dipendente dal petrolio.
Mancanze alle quali Maduro ha promesso di rimediare inserendo questi due problemi
nel programma su cui dovrà lavorare la nuova Assemblea costituente. Essa rappresenta
l’unico sbocco istituzionale per una crisi causata in gran parte proprio dalle resistenze
imprenditoriali e militari alla transizione socialista.

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5.1 Violazione dei Diritti Umani in Venezuela
Sotto il governo di Maduro sono emersi gravi problemi economici, derivanti dalle
politiche di Chavez, che hanno portato a razionamenti e scarsità anche di generi di
prima necessità.
Il crollo del prezzo del petrolio negli ultimi anni ha compromesso pesantemente i piani
di sviluppo del paese portando il presidente Maduro a dichiarare uno stato di emergenza
generale ed economico.
La carenza di generi alimentari e di farmaci si è aggravata al punto tale da provocare
proteste in tutto il paese, represse spesso con uso eccessivo della forza fino a causare, in
alcuni casi, la morte dei manifestanti.
Il governo non consente alle organizzazioni umanitarie di fornire medicine alla
popolazione.
Le carceri sono sovraffollate e i detenuti soffrono la scarsità di cibo e di cure mediche,
mentre il tasso di criminalità continua ad essere elevato.
Il 29 marzo il Tribunale supremo di giustizia ha esautorato il parlamento volendone
assumere i poteri, ma è stato costretto a fare marcia indietro.
Sono diverse le persone che in questo momento rischiano la loro vita per esprimere il
proprio dissenso contro il governo di Maduro.
Diversi oppositori politici sono stati arrestati, e alcuni fuggono dall’estrema violenza dei
paramilitari appoggiati dallo stato verso altri paesi latino americani.
I difensori dei diritti umani sono spesso oggetto di attacchi e intimidazioni da parte
degli organi di informazione statali.
Inoltre i giornalisti critici nei confronti del governo sono presi di mira dalle autorità.
L’attuale crisi sociale e politica del Venezuela sta mettendo a dura prova i diritti umani
nel Paese e la popolazione ne sta pagando il prezzo più caro.
Il governo non tollera il dissenso e sta usando tutto il suo potere per mettere a tacere
tutte le voci critiche.
Il governo, attraverso lo schieramento delle forze di sicurezza e di intelligence, arresta
dissidenti politici, spogliandoli della loro libertà di espressione e del diritto alla protesta
pacifica.
Il sistema giudiziario nega qualsiasi possibilità di giusto processo.

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I diritti umani non sono garantiti e vengono addirittura violati, dato il clima di instabilità
presente nel Paese che non assicura la soddisfazione dei bisogni di base come il cibo e
la salute, molto meno garantisce un adeguato standard di vita ai venezuelani.
Si dovrebbe considerare che i diritti umani si riferiscono ad una serie di richieste che
devono essere rispettate al fine di garantire una vita dignitosa, nell'uguaglianza, nella
libertà e nella pace per le persone. Questi diritti civili e politici, sono legati alla
possibilità di pensare ed esprimersi liberamente, così come la libertà di partecipare e di
fare vita politica, essendo lo Stato di Diritto il garante di questo insieme di libertà.
Il diritto alla pace e di vivere una vita tranquilla fanno parte dei diritti umani.
In questo senso, gli Stati sono incaricati di attuare tutte le norme e la promozione delle
politiche necessarie per garantire la loro piena realizzazione, il rispetto e la fedele
realizzazione di tutte queste premesse.
All'interno di questi argomenti, e come stabilito dalla costituzione della Repubblica
(Titolo III), è lo Stato venezuelano rappresentato dall'insieme di istituzioni pubbliche,
che ha l'obbligo di promuovere il rispetto di questi diritti all'interno del paese.
Tuttavia, questo non è garante, dato che nell'attuale crisi, vi è una serie di diritti umani
che vengono violati e le politiche necessarie non vengono attuate, né i meccanismi per
garantire il rispetto e la garanzia di questi.

5.2 Libertà di espressione
L’Ufficio del Relatore speciale per la libertà d’espressione della Commissione
interamericana dei diritti umani (Inter-American Commission on Human Rights – Iachr)
ha espresso preoccupazione per la chiusura di 50 emittenti radiofoniche da parte della
commissione nazionale per le telecomunicazioni. Anche altri organi d’informazione
sono stati minacciati di chiusura, malgrado una sentenza della Corte interamericana dei
diritti umani avesse sancito nel 2015 che tali provvedimenti violavano la libertà
d’espressione.
Manifestanti antigovernativi e alcuni leader politici dell’opposizione sono stati accusati
dal governo di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale.
Il governo ha ordinato la rimozione dai ripetitori nazionali televisivi via cavo delle
frequenze di trasmissione di alcuni canali televisivi d’informazione esteri, tra cui la
Cnn, l’Rcn e Caracol.

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Giornalisti del portale d’informazione e ricerca Armando.Info sono stati minacciati da
persone non identificate in relazione alle loro inchieste su casi di corruzione nella
pubblica amministrazione.

5.3 Diritto al cibo
Nell'insieme dei diritti umani violati nel paese, spicca il diritto al cibo, visto che non c'è
abbastanza cibo per coprire la domanda di generi alimentari, a seguito delle politiche
errate, attuate negli ultimi anni. Tutto ciò porta ad una crisi alimentare in cui la dieta del
venezuelano è stata ridotta a livelli che non soddisfano i requisiti nutrizionali,
generando così problemi di salute come la malnutrizione.

5.4 Diritto alla salute
Per quanto riguarda il diritto alla salute, la situazione è aggravata, dato che esiste
un'infrastruttura ostile negli ospedali e nei centri sanitari del paese, che, insieme alla
carenza di personale sanitario e alla carenza di farmaci, ha esacerbato il panorama nel
settore sanitario, lasciando alla popolazione praticamente nessun servizio vitale.

5.4 Difensori dei diritti umani
Difensori dei diritti umani e altri cittadini che avevano cercato di ottenere giustizia per
le violazioni dei diritti umani hanno continuato a essere al centro di attacchi e campagne
denigratorie, nel palese tentativo di fermare il loro lavoro in difesa dei diritti umani.
A febbraio, l’avvocato transgender Samantha Seijas è stato minacciato da un poliziotto
mentre, accompagnato dalla figlia, sporgeva denuncia presso un commissariato dello
stato di Aragua.
A maggio, le autorità hanno fatto irruzione nell’abitazione del difensore dei diritti umani
Ehisler Vásquez, nella città di Barquisimeto.
Quando ha chiesto informazioni sui motivi dell’irruzione, l’ufficio del pubblico
ministero ha minacciato di formulare nei suoi confronti un’accusa penale.
In seguito lo stesso mese, nella stessa città, un gruppo d’individui non identificati ha
fatto irruzione nell’abitazione dei difensori dei diritti umani Yonaide Sánchez e Nelson
Freitez.

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I difensori dei diritti umani sono stati intimiditi anche dai mezzi d’informazione di stato
e da alti funzionari del governo, che hanno fatto pubblicamente i loro nomi e diffuso i
loro recapiti, accusandoli di “terrorismo”
Gli avvocati che patrocinavano persone processate davanti a tribunali militari hanno
denunciato di avere subìto vessazioni e intimidazioni da parte delle autorità di governo,
che avevano creato un clima di forti pressioni su chi aveva accettato di difendere
persone critiche nei loro confronti.
Sotto questa realtà così confusa, la crisi del paese è un incentivo che limita molte delle
libertà e dei diritti umani della popolazione venezuelana, dato che non consente di
creare condizioni stabili all'interno dell'economia, che insieme alla mancanza di uno
Stato di Diritto rende difficili le loro garanzie in Venezuela.
Tuttavia, la richiesta è rivolta alle autorità pubbliche, dato che queste sono quelle che
hanno la responsabilità, da un lato, di attuare le politiche necessarie per superare la crisi
e, dall'altro, i diretti responsabili della promozione e di assicurare il rispetto stessi.
Infine, la richiesta è che il governo deve capire che i diritti umani sono universali,
prioritari e non negoziabili, e nessuna società può negarli o limitarli.

6.0 Rifugiati e richiedenti asilo
Durante l’anno, un numero crescente di venezuelani ha chiesto asilo in Brasile, Costa
Rica, Usa, Spagna, Perù e Trinidad e Tobago. Anche altri paesi della regione, come
Colombia ed Ecuador, hanno continuato ad accogliere sempre più venezuelani in cerca
di protezione.

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7.1 Inclusione dei Venezuelani, una sfida per l’America Latina e per il Mondo.
Il Chavismo ha portato all’esilio più di 2 milioni di venezuelani che scappano dalle
sempre peggiori condizioni di vita, emigrando in tutto il Sud America, dove alcuni paesi
aprono le proprie porte a queste persone e le aiutano, mentre altre sono del tutto
inesistenti.
L’aumento dell'emigrazione venezuelana ha rappresentato delle sfide per i paesi Latino
Americani. Alcuni di loro hanno implementato la migrazione regolare tra gli strumenti
di politica per garantire residenza legale (permanente o temporanea) per venezuelani,
mentre molti altri hanno adottato nuove misure legislative sin dall'inizio del 2017 di
ricevere migranti.
A livello mondiale, il numero di venezuelani all'estero è passato da 700.000 a più di un
milione e mezzo tra il 2015 e il 2017.
In Sud America, il numero di venezuelani è aumentato da 89.000 nel 2015 a 900.000 nel
2017, con un incremento di 900 per cento.
I paesi di destinazione più frequente per i venezuelani sono la Colombia (600.000), gli
Stati Uniti (290.000) e la Spagna (208.000).
Gli Stati Uniti offrono opportunità di lavoro a venezuelani professionisti e addestrati; La
Spagna fornisce canali legali per la cittadinanza dei venezuelani con discendenza
spagnola; e la vicinanza della Colombia e le sue politiche, come quelle riguardanti la
famiglia e la residenza, facilitano l'immigrazione venezuelana.
Questi paesi insieme accumulano il 68 percento del milione e mezzo di venezuelani
all'estero. Inoltre, il 60 percento (127.825) dei venezuelani in Spagna ha la cittadinanza
spagnola, a causa della precedente immigrazione di spagnoli in Venezuela.
Cile, Argentina, Brasile, Perù e Uruguay rappresentano nuove destinazioni e sono paesi
non transfrontalieri in cui è aumentato il numero di venezuelani.
Tra le nuove destinazioni, il Cile ha registrato il maggiore aumento tra il 2015 e il 2017.
Nell'aprile 2018, il Perù ha segnalato circa 200.000 cittadini nel suo territorio.
Anche il numero di venezuelani nei paesi limitrofi come Colombia e Brasile è cresciuto.
Le informazioni recentemente diffuse dall'Ufficio Nazionale di Statistica della
Repubblica Dominicana sostengono che l'immigrazione venezuelana è aumentata da
3.434 persone nel 2012 a 25.872 nel 2017, il che rappresenta una crescita del 653%.

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Anche altre isole caraibiche come Aruba, Curaçao e la Repubblica di Trinidad e Tobago
hanno registrato un numero crescente di venezuelani. La vicinanza delle isole al
Venezuela facilita la mobilità.
In generale, l'immigrazione venezuelana è stata ben accolta e gli Stati hanno fatto grandi
sforzi per risolvere le sfide presentate dal crescente numero di migranti.
Ad esempio, le misure speciali di regolarizzazione che alcuni paesi sudamericani hanno
generato, indicano la volontà di integrare i migranti nella vita sociale e costruire società
multiculturali.
È possibile che il processo di inclusione sociale implichi che le comunità e le autorità
locali debbano intraprendere azioni per sviluppare, ad esempio, orientamento al lavoro,
orientamento con la documentazione e nell'area educativa, attività di integrazione
socioculturale.
Inoltre, non è sicuro se la situazione economica e sociale in Venezuela migliorerà, a che
ora e quante persone possono continuare a emigrare. Al momento, l'intensità
dell'emigrazione dei venezuelani in Sud America e nel resto del mondo non mostra
segni di rallentamento.

7.2 Paesi Contro
Panama:
Questo paese è stato uno dei primi ad ospitare i venezuelani per la facilità di dare a loro
i documenti di migrazione. Tuttavia, con l'aumento degli immigrati, i panamensi sono
diventati piuttosto difficili.
Con una campagna denominata "Panama per i panamensi," alcuni gruppi che sono stati
bollati come xenofobi hanno chiesto al governo Panamense di stabilire una maggiore
regolamentazione in materia di immigrazione che limiti l'accesso agli stranieri che
cercano un futuro migliore lì.
Le proteste sono state numerose e nella maggioranza esse attaccano direttamente i
venezuelani.

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Inoltre, questi movimenti xenofobi hanno promosso aggressioni contro i venezuelani.
Una pubblicazione sulla stampa offre sconti fino al 50% nelle bevande nei nightclub per
coloro che osano colpire i venezuelani per strada.

Allo stesso modo, le regole delle migrazioni sono cambiate, ora i venezuelani che
desiderano entrare a Panama devono avere un visto e il paese ha respinto la maggior
parte delle richieste.
Perù:
Solo pochi giorni fa, un peruviano ha brutalmente aggredito un adolescente
venezuelano, con una lama che gli ha tagliato la faccia lasciandola sfigurata a vita.
Coloro che decidono di recarsi in un altro paese, spesso non hanno un piano, non
ottengono subito un lavoro stabile, motivo per cui la maggior parte ricorre al commercio

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informale e questo è ciò che ha aumentato il rifiuto.
Per molti peruviani, vedere un venezuelano nelle loro strade vendere “arepas” (piatto
tipico Venezuelano) o guadagnarsi una vita onesta è una seccatura, e persino gli agenti
di polizia dimostrano qualcosa di xenofobico a riguardo.

7.3 Integrazione Venezuelana in Ecuador
Il flusso continuo di migranti venezuelani persiste dal confine settentrionale
dell’Ecuador, che entrano attraverso porti e aeroporti, dove centinaia arrivano al paese
andino con valigie piene di sogni che sono ancora in attesa di essere compiuti: aiutare le
loro famiglie nel loro paese natale e fuggire dalla complessa situazione economica
venezuelana.
Secondo il Ministero degli Interni dell'Ecuador, circa 227. 810 venezuelani ha
attraversato il ponte Rumichaca solo nel 2017, di cui circa 156.622 sono arrivati
attraverso la frontiera sud ecuadoriana per continuare il cammino verso Perù e altre
destinazioni latino-americane, mentre 71.188 sono rimasti in Ecuador.
In Ecuador, da febbraio 2017, vige la Legge organica della mobilità umana (LOMH).
Essa è considerata come il primo organismo organico al mondo che stabilisce norme
favorevoli sia per gli ecuadoriani all’estero, che per gli stranieri nel territorio
ecuadoriano.
Questa legge, nel suo primo articolo del primo capitolo, regola l'esercizio dei diritti,
degli obblighi, delle istituzioni e dei meccanismi legati alle persone nella mobilità
umana, che comprende migranti, immigrati, persone in transito che richiedono
protezione internazionale, vittime dei reati di tratta di persone e del traffico di migranti e
delle loro famiglie.
Il “Puerto Principal” è la patria di stranieri come Maria Teresa Rosales, che fa parte del
“Direttorio dei venezuelani in Ecuador”.
Vive a Guayaquil da 4 anni e dal 2015 costituì quest’associazione civile con l'obiettivo
di fornire assistenza gratuita giuridica, educativa.
“È una migrazione forzata", secondo Rosales, a causa della grave crisi che affronta il
Venezuela. Dice che l'Ecuador è un paese attraente per il dollaro. La valuta consente a
loro di risparmiare e inviare rimesse alla loro famiglia. Il salario minimo in Venezuela è
di 250 531 bolivares (25 USD). Mentre, in Ecuador, lo stipendio base è di 375 USD.

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Parte II (Nardotto Tanya)
CONSEGUENZE DELLE POLITICHE DI CHÀVEZ E MADURO

    1.CRISI ECONOMICA

1.1Chávez non diversifica l’economia.

Hugo Chávez governa la Repubblica Bolivariana del Venezuela fino alla sua morte nel
2013.
Durante il suo mandato, non riesce a rendere il mercato economico più diversificato, nel
senso che, considerando che il petrolio è l’unica risorsa sulla quale conta il paese e che
Chávez ha avuto la sorte di poterlo vendere a prezzi astronomici, si può reputare
responsabile di non aver saputo creare le basi di un’economia diversificata forte e
prospera, e di avere perso una grande opportunità storica per incamminare il Venezuela
verso uno sviluppo sostenibile alla pari dei paesi di economie avanzate.
 In sostanza Chávez durante quattordici anni di governo non investì capitale nella
modernizzazione e industrializzazione del paese, non costruì infrastrutture, non
incentivò la produzione agricola interna e non ricercò mercati alternativi a quello del
petrolio, che effettivamente copre tutt’ora il 95% degli introiti nazionali dei quali 90%
solo da parte degli Stati Uniti. In questo modo il 60% di beni agricoli sono sempre stati
importati, così come la maggior parte o tutti gli altri beni di prima necessità e altro.
Utilizzando gli introiti petroliferi si importava tutto dall'estero.

Il Venezuela ricavava molte risorse dalle esportazioni petrolifere, ma Chávez non solo
non accantonò parte dei proventi derivati da esse per far fronte a periodi di possibile
riduzione del costo del petrolio, ma anzi sfruttò il momento favorevole per prendere a
prestito ulteriori fondi sui mercati dei capitali internazionali. La maggior parte delle
risorse però fu spesa in programmi sociali, molto poco fu invece destinato a
investimenti produttivi nel settore petrolifero come anche nel resto dell’economia, che
sarebbero stati al contrario in grado di aiutare il paese a superare la crisi e a ripagare i
debiti. Non solo non vennero fatti investimenti pubblici, ma anche gli investimenti
privati erano scoraggiati da un contesto molto difficile per l’attività imprenditoriale.

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Le imprese private, sia nazionali sia estere, infatti, erano giustamente preoccupate
dall’instabilità normativa, l'eccessiva burocrazia, l’elevata corruzione e dalla politica
industriale basata su nazionalizzazioni ed espropri; di conseguenza le imprese non
investirono più nuovo capitale.
Tuttavia le sue politiche sociali sono state mirate e cercarono l'uguaglianza sociale
effettuando un' ampia e dispendiosa politica di distribuzione “las misiones”.

Questo sistema che già mostrava delle grosse falle, comunque riescì ad andare avanti,
fino a quando nel 2012 avviene il crollo dei prezzi delle materie prime dovuto alla sovra
estrazione di queste (maggiormente petrolio, oro e rame) ma quando la Cina entra in
crisi la domanda di petrolio si abbassa e si crea una situazione di sovrapproduzione, di
conseguenza il prezzo di queste materie prime crolla vertiginosamente, come mai prima
ad' ora era successo.

Chávez muore il 5 marzo 2013, ma già da tre mesi era sparito dalla scena politica
perché molto malato. Il suo delfino, nonché vicepresidente Nicolàs Maduro subentra al
potere e da qui in poi si assisterà alla progressiva débâcle del Venezuela.

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1.2 Crisi del petrolio e crollo dell’ economia: Presidente Maduro.

I conti dello stato non tornano più, c'è un forte disavanzo tra le importazioni (il petrolio
era l' unica porta che garantiva introiti) e la spesa pubblica (involucrata tutta alle
politiche sociali sostenute dal regime). Il capitale scarseggia, e gli investitori
internazionali si allontanano quasi definitivamente dal paese, il mercato Venezolano non
è più appetibile.

È una sorte di reazione a catena nella quale Nicolàs Maduro gioca un ruolo centrale. Nel
2014 un barile di petrolio venezuelano è passato da costare 100 dollari a costarne 40 e
gli effetti sul paese sudamericano, come si può immaginare sono stati molto pesanti e
nonostante il crollo delle entrate fiscali petrolifere Maduro ha mantenuto elevata la
spesa pubblica, ed ha continuato il suo piano sociale di politiche distributive, che ha
finanziato facendo stampare nuova carta moneta alla banca centrale. Si è visto nel corso
degli anni in tutto il mondo che la stampa di moneta genera inflazione immediata, infatti
questo è quello che è successo in Venezuela. Nel 2017 l'inflazione ha superato il 2400%
e si stima che alla fine del 2018 arrivi al 15000% convertitasi perciò velocemente in
iperinflazione servono 2,05 milioni di bolivares per un solo dollaro, quando fino a
qualche mese fa a Caracas veniva tenuto un cambio fisso di 1,10 e persino quello
illegale viaggiava nell’ordine di alcune decine di migliaia. Insomma, la moneta
venezuelana vale carta straccia, nel paese andino mancano dollari per importare beni e
servizi e gli scaffali dei negozi, così come le pance di oltre 30 milioni di abitanti, sono
vuoti.

Nicolàs Maduro diventato presidente della Republica Bolivariana del Venezuela il 19
aprile del 2013 e che cerca di seguire i passi e le politiche del suo predecessore Hugo
Chàvez, deve ora fare i conti con l' abbassamento repentino del prezzo del petrolio.
Questo provoca conseguenze catastrofiche per l' economia del paese che è senza fondi e
si ritrova persino a dover acquistare risorse petrolifere dall’ estero perché è troppo cara
l’ estrazione del greggio dello stato. Tuttavia Maduro insiste a far andare avanti la
complessa e dispendiosa macchina statale, offrendo ai venezuelani ancora più sussidi e
non riconoscendo la situazione precaria che sta avendo il paese, dicendo che in realtà il

                                                                                         !25
Venezuela non è in crisi, anzi, smentisce incolpando gli Stati Uniti di diffondere false
informazioni e di svolgere una propaganda per convincere l' opinione pubblica
internazionale della preoccupante situazione del paese e rifiuta qualsiasi aiuto esterno.

Il paradosso del Venezuela è che pur avendo nel suo territorio la più grande riserva di
petrolio al mondo non può sfruttarla a pieno perché le sue istituzioni e la PDVSA
(petroleos de Venezuela S.A., la compagnia petrolifera statale venezuelana) non hanno
sufficienti finanziamenti per portare a termine la modernizzazione dei macchinari
necessari per il processo di estrazione, di conseguenza non riuscendo a sfruttare le loro
risorse sono costretti a comprare petrolio dall’ estero.

In realtà, però, il bilancio pubblico venezuelano è in forte disavanzo, e questo Maduro
non lo può negare, in più il paese che prima era costretto a importare tutti i beni
necessari ora non ha i fondi per farlo, di conseguenza il popolo venezuelano si vede
mancare alimenti, medicinali, carta, dentifricio, ecc. portando così il paese ad una crisi
umanitaria. Secondo quasi tutti gli osservatori, le politiche di Maduro riusciranno
soltanto a peggiorare la situazione. Il governo accusa un complotto internazionale per la
situazione economica del paese, ma secondo molti ci sarebbero cause molto più
semplici per spiegare l’iperinflazione del paese e la scarsità di quasi tutti i beni di prima
necessità. Maduro per il momento, però, non sembra particolarmente preoccupato per
questi scenari. Il popolo, dice, è dalla sua parte.

È una situazione che mette in discussione lo stato di diritto, concretizzandosi in una
violazione sistematica dei più basilari diritti umani: la persecuzione e la censura dei
giornalisti, le torture ai prigionieri politici, gli attacchi alla proprietà privata, il
disconoscimento del parlamento. Un conflitto di interessi tra potenti di cui paga le spese
il popolo venezuelano, ormai ridotto alla fame.

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2.CRISI POLITICA: CRISI DELLA DEMOCRAZIA

       2.1 Maduro esautora il parlamento.

Alle elezione del 6 dicembre 2015 il Parlamento si ritrova nelle mani dell' opposizione:
112 deputati su 167 totali, anche se è un' opposizione molto diversificata e divisa al suo
interno è comunque un duro colpo per il nuovo presidente Maduro che cercherà in tutti
i modi di prendere provvedimenti che saranno bloccati dal Parlamento e così ogni
progetto delle camere è stato bloccato dal capo si stato.

L’assemblea nel 2017 vota la messa in stato di accusa contro il presidente, responsabile
secondo l’opposizione della gravissima crisi umanitaria che attraversa il paese
latinoamericano. In seguito Maduro accusa l’Assemblea Nazionale dinanzi la Corte
Suprema di “oltraggio”, di conseguenza il Parlamento viene esautorato, cioè è stato
approvato all'unanimità dalla Corte il decreto con il quale i politici eletti vengono ridotti
all'inutilità "per garantire la preservazione della pace, la sovranità, il sistema
socioeconomico e finanziario e la protezione dei diritti dei venezuelani". Queste le
ragioni che hanno concesso alla Costitutente tutti i poteri, pur senza sciogliere il
parlamento. Questi poteri infine sono stati trasferiti all’ Assemblea Costituente,
organizzata dallo stesso Maduro per redattare una nuova costituzione.

In questo modo Maduro assume i pieni poteri senza più alcun controllo parlamentare.
La Corte ha giustificato la sentenza con queste parole:
"Siccome il Parlamento si ribella e oltraggia le deliberazioni del presidente, le sue
competenze saranno esercitate direttamente dal Tribunale supremo”. La mossa della
Corte, completamente sotto il controllo del partito del presidente, avviene mentre l'Osa,
l'Organizzazione degli Stati americani, è stata riunita a Washington proprio per discutere
la situazione venezuelana. Una ventina di Paesi hanno dato il loro appoggio al dossier
presentato dal segretario dell'Osa, Luis Almagro (ex cancelliere dell'Uruguay), nel quale
si è accusato il presidente venezuelano di comportamento antidemocratico e si è chiesta
la sospensione del Venezuela dall'organizzazione. La maggioranza del Parlamento

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