E-commerce e prodotti di marca: la sentenza Coty Germany e le sue implicazioni - Ginevra Bruzzone e Sara Capozzi

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E-commerce e prodotti di marca:
 la sentenza Coty Germany e le
        sue implicazioni

    Ginevra Bruzzone e Sara Capozzi

         Workshop Assonime–IDI

          Roma, 29 gennaio 2018
La sentenza della Corte di
Giustizia nel caso Coty Germany
       (causa C-230/16)
È una pronuncia importante
                perché..
Con la pronuncia pregiudiziale resa il 6 dicembre
2017 nel caso Coty Germany, la Corte di Giustizia:
• riduce le incertezze in merito alla legalità sotto il
  profilo antitrust dei contratti di distribuzione
  selettiva per i prodotti di lusso, precisando la
  portata della sentenza Pierre Fabre che è stata
  oggetto di interpretazioni divergenti da parte delle
  autorità di concorrenza e dei giudici nazionali
• indica i criteri interpretativi da seguire per la
  valutazione ai sensi dell’articolo 101 TFUE delle
  clausole contrattuali che vietano ai distributori
  autorizzati di servirsi in maniera riconoscibile di
  piattaforme terze per le vendite online
Il caso (1)

Coty Germany è un fornitore di prodotti cosmetici di
lusso e commercializza alcuni marchi (Coty Prestige)
attraverso una rete di distribuzione selettiva diretta
a preservarne l’immagine di lusso
La pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia
trae origine da una controversia dinanzi al giudice
tedesco tra Coty e un suo distributore autorizzato,
Parfumerie Akzente, che distribuisce i prodotti di
Coty sia in punti vendita fisici sia via Internet,
attraverso il proprio negozio online e tramite la
piattaforma amazon.de
Il caso (2)
Oggetto della controversia è una clausola
contrattuale relativa alle vendite online inserita
nei contratti di distribuzione selettiva nel 2012
(dopo Pierre Fabre), in virtù della quale ai
distributori autorizzati:
• è consentito offrire e vendere prodotti via
  Internet a condizione che le vendite online siano
  effettuate esclusivamente tramite una ‘vetrina
  elettronica’ del negozio autorizzato e che sia
  preservata l’immagine di lusso dei prodotti
• è vietato utilizzare una diversa denominazione
  commerciale e servirsi in maniera riconoscibile
  di imprese terze che non siano distributori
  autorizzati
Il caso (3)
Dopo il rifiuto di Akzente di approvare la clausola,
Coty ha chiesto al giudice di primo grado di vietare
al distributore le vendite tramite amazon.de. Il
giudice nazionale ha respinto il ricorso e ha ritenuto
che la clausola fosse contraria all’articolo 101 TFUE,
sostenendo che:
• in base a Pierre Fabre, l’obiettivo di preservare
  l’immagine di prestigio del marchio non poteva
  giustificare un sistema di distribuzione selettiva
• la clausola costituiva una restrizione hardcore ex
  art.    4   reg.    n.  330/2010,      non     coperta
  dall’esenzione per categoria e non esentabile in
  via individuale
• esistevano     misure    meno      restrittive   della
  concorrenza (es. criteri qualitativi per le
  piattaforme terze)
Il caso (4)
Nell’ambito dell’appello proposto da Coty contro
questa decisione, il giudice di secondo grado ha
sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte di
Giustizia quattro questioni pregiudiziali.
Secondo uno schema di analisi, poi seguito dalla
stessa Corte nella sua valutazione (§59), mentre
le prime due questioni riguardano l’applicazione
dell’articolo 101(1) TFUE (i.e. se la condotta
controversa rientri o meno nell’ambito di
applicazione del divieto di intese), le ultime due
questioni – che vengono in rilievo solo in caso di
risposta affermativa alle prime – riguardano
l’applicazione del regolamento n. 330/2010 di
esenzione per categoria degli accordi verticali (i.e.
se la condotta rientrante nel divieto di intese
possa beneficiare di un’esenzione ex art. 101(3)
TFUE)
Le questioni pregiudiziali
1) è compatibile con l’art. 101(1) un sistema di
   distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato
   in via principale a garantire un’immagine di lusso di
   tali prodotti?
2) è compatibile con l’art. 101(1) il divieto imposto ai
   membri di un sistema di distribuzione selettiva
   operanti nel commercio al dettaglio di servirsi, in
   maniera riconoscibile, di imprese terze per le
   vendite via internet?
3) tale divieto costituisce una restrizione della clientela
   del distributore al dettaglio ex art. 4, lett. b, del reg.
   330/2010 (quindi restrizione hardcore)?
4) tale divieto costituisce una restrizione delle vendite
   passive agli utenti finali ex art. 4, lett. c, del reg.
   330/2010 (quindi restrizione hardcore)?
La prima questione:
compatibilità della distribuzione
   selettiva di beni di lusso
        ex art. 101(1)
Perché è sorta la questione?
• In un sistema di distribuzione selettiva il fornitore si
  impegna a vendere i beni o servizi oggetto del
  contratto solo a distributori selezionati sulla base di
  criteri specificati e i distributori si impegnano a non
  vendere tali beni o servizi a rivenditori non
  autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a
  tale sistema. La Corte di Giustizia ha da tempo
  riconosciuto la legalità sotto il profilo antitrust dei
  sistemi di distribuzione selettiva basati su criteri
  qualitativi, ma un passaggio di Pierre Fabre
  sembrava mettere in discussione la legittimità ex art.
  101(1) di una concorrenza basata non solo sul
  prezzo ma anche sulla differenziazione del prodotto
  (qualità intrinseca e immagine)
I criteri Metro
La Corte ricorda la giurisprudenza sviluppata a partire
dalla sentenza Metro (C-26/76) per cui un sistema di
distribuzione selettiva non rientra nell’ambito di
applicazione del divieto di cui all’art. 101(1) se sono
soddisfatte tre condizioni (c.d. criteri Metro) (§ 23):
 (i) i rivenditori sono scelti sulla base di criteri oggettivi
di natura qualitativa, stabiliti in maniera uniforme per
tutti i potenziali rivenditori e applicati in modo non
discriminatorio
(ii) le caratteristiche del prodotto in questione
richiedono una simile rete di distribuzione al fine di
preservarne la qualità e garantirne l’uso corretto
(iii) i criteri definiti sono proporzionati (non vanno al di
là di quanto necessario)
Necessità della distribuzione selettiva
          per i prodotti di lusso
Per i prodotti di alta qualità o di elevato livello
tecnologico la Corte ha in più occasioni affermato che i
sistemi di distribuzione selettiva volti a migliorare la
concorrenza in relazione a fattori diversi dal prezzo (ad
es. mantenimento di un commercio specializzato in
grado di fornire servizi specifici per tali prodotti)
costituiscono un elemento di concorrenza che è
conforme all’articolo 101(1) (cfr. AEG Telefunken, C-
107/82, § 33). In merito al rispetto del criterio Metro
sub (ii) (necessità della distribuzione selettiva) per i
prodotti di lusso, la Corte richiama la sentenza Copad
(C-59/08) in tema di marchi, di fatto accettando una
visione della concorrenza che tiene conto anche della
differenziazione del prodotto in tutti i suoi aspetti
La posizione della Corte in Coty
• la qualità dei prodotti di lusso non risulta solo dalle
  caratteristiche materiali ma anche dall’immagine di
  prestigio che conferisce loro un’aura di lusso; tale
  aura è elemento essenziale di tali prodotti, che
  consente ai consumatori di distinguerli da prodotti
  simili; un danno all’ aura di lusso può compromettere
  la qualità stessa di tali prodotti (§ 25)
• la protezione dell’immagine di lusso è un obiettivo
  legittimo di un sistema di distribuzione selettiva volto
  ad assicurare una presentazione che valorizza i
  prodotti nel punto vendita, contribuendo alla loro
  reputazione e aura di lusso (§ 26-27)
• per le loro caratteristiche e la loro natura i prodotti di
  lusso possono quindi richiedere un sistema di
  distribuzione selettiva per garantirne la qualità e
  l’uso corretto (§28)
Il ridimensionamento di Pierre Fabre
Pierre Fabre, §46: «L’obiettivo di preservare l’immagine
di prestigio non può rappresentare un obiettivo
legittimo per restringere la concorrenza e non può
quindi giustificare che una clausola contrattuale diretta
ad un simile obiettivo non ricada nell’articolo 101(1)»
Non è una dichiarazione di principio che modifica la
giurisprudenza precedente; va letto e interpretato con
riferimento al contesto della sentenza (§§30-35):
• compatibilità con l’art.101(1) non del complessivo
   sistema di distribuzione selettiva ma di una specifica
   clausola(obbligo di effettuare le vendite in uno spazio
   fisico alla presenza di un farmacista)che comportava
   di fatto un divieto assoluto di vendere online
• i prodotti interessati non erano prodotti di lusso ma
   prodotti cosmetici e per l’igiene personale
Risposta alla prima questione

• L’articolo 101(1) va interpretato nel senso che un
  sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso
  finalizzato, in via principale, a preservare l’immagine
  di lusso di tali prodotti non rientra nell’ambito di
  applicazione del divieto di intese a condizione che
  siano rispettati gli altri criteri Metro, ossia la scelta
  dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi di
  natura qualitativa, stabiliti in maniera uniforme per
  tutti i potenziali rivenditori e applicati in modo non
  discriminatorio e i criteri definiti non vadano oltre il
  limite del necessario (§ 36)
La seconda questione:
compatibilità ex art. 101(1) del
     divieto di utilizzare le
piattaforme terze per la vendita
             online
Valutazione in base ai criteri Metro
La Corte afferma che per valutare se la clausola
contenente il divieto ai distributori autorizzati di
utilizzare, in modo riconoscibile, piattaforme terze per le
vendite online sia compatibile con l’art.101(1) occorre
verificare che la stessa soddisfi i criteri Metro (§40), vale
a dire che:
• persegua un obiettivo idoneo a giustificare la
  distribuzione selettiva
• sia stabilita in maniera uniforme e applicata in modo
  non discriminatorio
• sia proporzionata alla luce dell’obiettivo perseguito
Applicazione al caso di specie
Secondo la Corte:
• è pacifico che il divieto in questione persegue
   l’obiettivo di preservare l’immagine di lusso dei
   prodotti che, sulla base della risposta alla prima
   questione pregiudiziale, è sempre idoneo a
   giustificare un sistema di distribuzione selettiva
• dal fascicolo di causa risulta inoltre che la clausola è
   oggettiva e uniforme e applicata in modo non
   discriminatorio nei confronti di tutti i distributori
   autorizzati (§ 42)
La Corte si concentra pertanto sulla verifica della
proporzionatezza del divieto, articolata in due
passaggi logici: (i) se il divieto è adeguato rispetto
all’obiettivo perseguito; (ii) se il divieto non vada al di
là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo
(§ 43)
Adeguatezza del divieto rispetto
           all’obiettivo perseguito
• Il divieto di servirsi di piattaforme terze riconoscibili
  garantisce che nel contesto dell’e-commerce i
  prodotti siano associati unicamente ai distributori
  autorizzati, in coerenza con le caratteristiche del
  sistema di distribuzione selettiva (§§ 44-46)
• L’assenza di un rapporto contrattuale impedisce al
  fornitore di esigere dalle piattaforme terze il rispetto
  degli stessi requisiti qualitativi imposti ai distributori
  autorizzati(§§ 47-49)
• Il fatto che le piattaforme sono utilizzate per la
  vendita online di ogni tipo di prodotti può incidere
  negativamente sull’immagine di lusso (§ 50)
• Il divieto è pertanto adeguato a salvaguardare
  l’immagine di lusso dei prodotti di lusso (§ 51)
Proporzionatezza del divieto
              rispetto all’obiettivo
• Diversamente da Pierre Fabre, non si tratta di un
  divieto assoluto di vendere online; ai distributori
  autorizzati è consentito vendere sia mediante i propri
  siti internet sia tramite piattaforme terze non
  autorizzate se l’intervento delle stesse non è
  riconoscibile dai consumatori (§§ 52-53)
• L’indagine conoscitiva della Commissione europea nel
  settore dell’e-commerce mostra che, nonostante la
  crescita delle piattaforme, il canale principale per la
  commercializzazione online è rappresentato dai negozi
  online di proprietà dei distributori (90%) (§ 54) (nb in
  Germania la quota è minore)
• In assenza di vincolo contrattuale, prevedere requisiti
  qualitativi predeterminati per le piattaforme non è una
  misura altrettanto efficace (§ 56)
Risposta alla seconda questione
• L’articolo 101(1) non osta a una clausola contrattuale
  che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di
  distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato,
  in via principale, a salvaguardare l’immagine di lusso
  di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di
  piattaforme terze per la vendita via internet dei
  prodotti oggetto del contratto, a condizione che tale
  clausola abbia l’obiettivo di salvaguardare l’immagine
  di lusso dei prodotti, sia stabilita in maniera uniforme
  e applicata in modo non discriminatorio, e sia
  proporzionata      rispetto    all’obiettivo  perseguito,
  circostanze che spetta al giudice del rinvio dimostrare
  (§ 58)
Terza e quarta questione: il
divieto di utilizzare piattaforme
terze è una restrizione hardcore
      ex art. 4, lett. b) e c)
     del Reg. n. 330/2010?
Le restrizioni hardcore
Il regolamento n. 330/2010 esenta dall’ambito di
applicazione del divieto di cui all’articolo 101(1) gli
accordi di distribuzione a condizione che: (i) la quota di
mercato di ciascuna delle parti non superi la soglia del
30%; (ii) l’accordo non contenga restrizioni hardcore di
cui all’articolo 4
In particolare, sono esclusi dal beneficio dell’esenzione
per categoria gli accordi aventi ad oggetto:
4.b) -la restrizione relativa al territorio in cui, o ai clienti
ai quali, l’acquirente che è parte contraente dell’accordo
può vendere i beni o servizi oggetto del contratto
4.c) - la restrizione delle vendite attive o passive agli
utenti finali da parte dei membri di un sistema di
distribuzione selettiva operanti nel commercio al
dettaglio, fatto salvo il divieto di svolgere l’attività in un
luogo di stabilimento non autorizzato
Considerazioni della Corte
•  la clausola non vieta l’utilizzo di internet come
  modalità      di   commercializzazione      dei   prodotti,
  diversamente da Pierre Fabre (§ 65)
• non è possibile delimitare, nell’ambito degli acquirenti
  online, i clienti di piattaforme terze – fattuale (§ 66)
• il contratto di distribuzione consente di fare pubblicità
  via internet su piattaforme terze e di utilizzare motori
  di ricerca; i clienti sono in grado di trovare l’offerta
  online dei distributori autorizzati utilizzando tali motori
  di ricerca (§ 67) –caratteristiche del contratto
• Il divieto esclude solo una modalità fra le altre di
  raggiungere la clientela tramite internet; non
  costituisce pertanto una restrizione della clientela dei
  distributori né una restrizione delle vendite passive
  agli utenti finali (§ 68)
Risposta della Corte alla terza e quarta
                 questione
• in circostanze come quelle del procedimento
  principale, il divieto imposto ai membri di un sistema
  di distribuzione selettiva di prodotti di lusso, operanti
  come distributori nel commercio al dettaglio, di
  servirsi in maniera riconoscibile di imprese terze per le
  vendite via internet, non costituisce una restrizione
  della clientela, ai sensi dell’articolo 4, lettera b), né
  una restrizione delle vendite passive agli utenti finali
  ai sensi dell’articolo 4, lettera c)
A valle di Coty: quali indicazioni
 per le imprese, quali questioni
             aperte?
Approccio pratico v. approccio
  sistematico: il rapporto tra art.
       101(1) e art. 101(3)
Per le imprese rientrare nell’ambito di
applicazione del regolamento di esenzione
è importante perché si tratta di un safe
harbour – cruciale evitare restrizioni
hardcore
Da un punto di vista sistematico, definire
l’ambito di applicazione del divieto di cui
all’art. 101(1) non è però irrilevante. La
Corte sottolinea che dal punto di vista
logico questo è il primo passo
Il tipo di concorrenza tutelata
L’e-commerce accentua la concorrenza di
prezzo ma la Corte riconosce che la
concorrenza ha più dimensioni, inclusa
quella della differenziazione del prodotto –
respingendo l’approccio riduttivo che
emergeva da Pierre Fabre: non conta solo
la qualità fisica e la complessità di utilizzo,
ma anche l’immagine
Da questo punto di vista, non c’è ragione
per una cesura netta tra beni di lusso e
altri beni: per i prodotti per cui conta
l’immagine, si può applicare lo stesso
approccio
La contestualizzazione di Pierre
              Fabre

La Corte, senza ribaltare Pierre Fabre, ne
limita la portata contestualizzando alcune
affermazioni. Fa riferimento alla
combinazione tra il tipo di restrizione
(divieto assoluto di utilizzo di internet) e la
tipologia di prodotti (non di lusso) per
giustificare il trattamento hardcore
Questa contestualizzazione non implica che
l’approccio di Coty (distribuzione selettiva
legittima se necessaria all’immagine) si
applichi solo ai prodotti di lusso
I limiti dell’approccio Metro
Sempre per rimanere il più possibile in
continuità con la giurisprudenza precedente la
Corte incentra tutta l’analisi di compatibilità ai
sensi dell’art. 101(1) sui criteri Metro
(restrizione necessaria e proporzionata in
relazione alle caratteristiche del prodotto).
Il problema di questo approccio è la
soggettività della valutazione, in
particolare al di fuori dell’ambito dei beni di
lusso. Valutazioni tedesche (Bundeskartellamt
ecc.) diverse da quelle dei giudici olandesi
(legittimo il divieto di utilizzo delle piattaforme
per Nike)
Restrizioni per oggetto o per effetto
In prospettiva, è importante sostenere la
possibilità di dimostrare l’assenza di un
impatto negativo sulla concorrenza ex art.
101(1) anche in modi diversi dalla
giustificazione oggettiva di Metro
Con la sentenza Cartes bancaires del 2013
l’indicazione della Corte è di limitare la
nozione di restrizione per oggetto alle
ipotesi che, senza altra ratio, hanno un
impatto intrinsecamente dannoso. Le altre
restrizioni vanno valutate in relazione al loro
impatto sul mercato, identificando la theory
of harm
Le theories of harm per la
        distribuzione selettiva
Nelle Linee guida sulle restrizioni verticali
sono identificati come possibili effetti negativi
sulla concorrenza degli accordi di
distribuzione selettiva:
a. la riduzione della concorrenza intrabrand
   (rilevante se scarsa concorrenza
   interbrand)
b. la foreclosure del mercato a determinati
   tipi di distributori (in particolare in
   presenza di effetti cumulativi)
c. l’indebolimento della concorrenza/la
   facilitazione della collusione tra fornitori o
   tra distributori
L’applicazione concreta dei criteri
               Metro
L’obiettivo di salvaguardia dell’immagine
può senz’altro applicarsi anche a prodotti
non di lusso. Nella valutazione della
proporzionatezza la Corte compie un’analisi
fattuale della restrizione e del suo impatto.
Approccio caso per caso che dipende dal
tipo di prodotto e dal tipo di restrizione
(preclusione delle piattaforme, dei siti di
comparazione dei prezzi, dell’utilizzo di
pubblicità sui motori di ricerca) v. caso Asics
in Germania (Federal Court of Justice, 19
gennaio 2018)
Piattaforme di terzi non riconoscibili
             come tali

Coty riguarda solo le piattaforme di terzi
riconoscibili come tali: quali sono in
concreto le possibilità per i distributori di
utilizzare oltre ai propri siti online
piattaforme terze non riconoscibili come
tali?
L’esclusione del carattere hardcore
          delle restrizioni
In Coty la Corte esclude che si tratti di una
restrizione hardcore sulla base di una
valutazione concreta della fattispecie:
a. non vi è limitazione della clientela è perché
   non è identificabile una distinta categoria
   dei «clienti delle piattaforme»
b. non vi è restrizione delle vendite passive
   perché rimangono aperti alcuni canali di
   accesso alle vendite online dei distributori
=> Per beneficiare dell’esenzione per
categoria occorre verificare le circostanze del
caso concreto
In sintesi

• In Coty la Corte riconosce la legittimità
  della distribuzione selettiva volta a
  tutelare l’immagine
• Si può escludere l’applicazione dell’art.
  101(1) dimostrando, nel caso concreto, la
  ricorrenza dei criteri Metro (rileva la
  natura del prodotto e il tipo di restrizione)
• Si può escludere la natura hardcore delle
  restrizioni mostrando nel caso concreto
  che non vi è limitazione della clientela o
  restrizione delle vendite passive
Questioni aperte
• L’applicazione di questi criteri lascia alcuni
  margini di discrezionalità che mal si
  conciliano con le esigenze di prevedibilità di
  chi deve stipulare i contratti
• Per rendere il quadro più prevedibile, in
  linea con Cartes Bancaires, occorre che
  l’applicazione della nozione di restrizione
  per oggetto sia limitata ai casi
  intrinsecamente dannosi, lasciando per le
  altre ipotesi la possibilità di escludere
  l’applicazione dell’art. 101(1) in relazione
  alla mancanza di impatto apprezzabile sul
  mercato
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