Diverse concezioni della filantropia - il Cartastorie
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Diverse concezioni della filantropia 1. Le differenze culturali – 2. Interventi utili La filantropia (parola derivante dal greco antico: φιλία, philía, "amicizia" e ἄνθρωπος, ànthrōpos, "uomo") durante gli anni ha alimentato il pensiero e il dibattito dei filosofi, impegnandoli a cercare il significato che l’uomo percepisce e vive. Negli ultimi cinque secoli, l’approccio alla filantropia, è influenzato da due principali correnti di pensiero che hanno dominato i valori etici e morali del mondo occidentale: angloamericana o protestante; latina o cattolica. 1. Le differenze culturali “Fai della filantropia un valore aziendale." - Marc Benioff L’opera “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo” (1904-5) potrebbe condurre a pensare che il protestantesimo, e in particolare il calvinismo, sia stato all'origine del capitalismo moderno. In realtà Weber non intende sostenere che un fenomeno economico possa essere causato direttamente da un fenomeno religioso. Mette invece in relazione due fenomeni omogenei: la mentalità religiosa calvinista e la mentalità capitalista, affermando che la prima fu una pre-condizione culturale insita nella popolazione europea assai utile al formarsi della seconda. Del resto anche l'uso del termine "capitalismo" associato a un fenomeno religioso del Cinquecento sarebbe improprio, considerando che il sistema capitalistico è da riferirsi correttamente all'ambito della prima rivoluzione industriale della metà del Settecento. Weber infatti, come chiarisce lo stesso titolo dell'opera, si riferisce allo "spirito" capitalistico, a quella disposizione socio-culturale che, correggendo la spontanea sete di guadagno, induce il calvinista a reinvestire i frutti della propria attività per generare nuove iniziative economiche. Max Weber notava che i paesi calvinisti, come i Paesi Bassi, l'Inghilterra sotto Oliver Cromwell e la Scozia, erano arrivati primi al capitalismo rispetto a quelli cattolici come la Spagna, il Portogallo e l'Italia. Si chiedeva quindi se il capitalismo genuino è caratterizzato essenzialmente dal profitto e dalla volontà di reinvestire incessantemente quanto guadagnato e se questo atteggiamento ha una relazione con la mentalità calvinista. Questo potrebbe spiegare il ritardato avvento del capitalismo nei paesi rimasti cattolici, rispetto a quelli in cui si diffuse la “Riforma”. In tutte le società pre-capitalistiche l'economia è intesa come il modo per produrre risorse da impiegare per fini non economici (produttivi): consolidare il potere od ottenere maggiore influenza politica, coltivare la bellezza proteggendo letterati ed artisti (mecenatismo), soddisfare i propri bisogni (consumi) od ostentare tramite il lusso il proprio status sociale. Nello spirito capitalistico invece il conseguimento di questi fini legati a valori extra economici sono del tutto secondari e trascurabili: ciò che importa è che il profitto sia investito e sempre crescente. Il capitalista vero è colui che ottiene la massima soddisfazione dal conseguimento del profitto in sé, non dai piaceri che il guadagno può procurare. Ma per consolidare una tale mentalità, contraria alle tendenze "naturali", è stata necessaria, osserva Weber, una grande rivoluzione socioculturale: la Riforma protestante, la quale iniziò per finalità religiose ma che involontariamente favorì il diffondersi della secolarizzazione (eterogenesi dei fini). La religione luterana aveva dichiarato l'inefficacia delle buone opere per essere salvati; la dottrina della giustificazione per fede era espressione della onnipotenza divina che, per suo insindacabile giudizio, rendeva giusto (iustum facere), giustificava, a condizione di avere fede, chi era ingiusto per sua natura, a causa del peccato originale. Si stabiliva così un rapporto diretto tra Dio e gli uomini. Veniva a mancare la 1
funzione del dispensatore della grazia divina, il sacerdos, colui che dà il sacro, che assicura al fedele il perdono divino, per cui occorrono le buone opere, e della grazia salvifica. La mediazione della Chiesa tra il fedele e Dio, presente nel cattolicesimo, nel luteranesimo era cancellata. Ogni credente diveniva sacerdote di sé stesso. Nessun uomo, sosteneva Lutero, con le sue corte braccia può pensare di arrivare fino a Dio. Questa condizione era potenzialmente disperante. Quanto più il fedele viveva approfonditamente la sua fede, tanto più il dubbio si insinuava sulla sua sorte nell'aldilà. Con Calvino arriva una soluzione. Il segno della grazia divina diventa visibile e sicuro: è la ricchezza, il benessere generato dal lavoro. Anzi il lavoro in sé acquistava il valore di una vocazione religiosa: è Dio che ci chiama a esso. È quindi il Beruf, il lavoro e il successo che ne consegue, ad assicurare il calvinista che «Dio è con lui», che egli è l'eletto, il predestinato. Di conseguenza il povero è colui che per i peccati commessi è escluso dalla grazia di Dio. La figura del povero, che nel Medioevo cristiano e cattolico rappresentava la presenza di Cristo, lo strumento per acquisire meriti per il Paradiso, ora è invece il segno della disgrazia divina. Le torme di mendicanti, cenciosi e ladri, che nel Cinquecento assediano le strade della città, impauriscono i buoni borghesi. A ogni aumento del prezzo dei beni alimentari può scatenarsi una sommossa. Essi quindi verranno relegati dalle autorità cittadine, spesso con la forza, negli ospedali, che divengono i luoghi di raccolta di ammalati, vagabondi e poveri. Questa concezione calvinista del valore del lavoro trova riscontro per Max Weber in alcune caratteristiche che differenziano le due religioni. Mentre il cattolico celebra la messa o prega per ottenere qualcosa, il protestante ringrazia Dio per quello che ha già ottenuto: la sua preghiera onora Dio, ha un valore in sé stessa, non serve per ottenere qualcosa. Mentre le chiese cattoliche manifestano la gloria di Dio nell'oro e nella ricchezza dei loro edifici e delle cerimonie, al contrario quelle calviniste hanno il senso di sé in esse: sono severi luoghi di culto costruiti soltanto per pregare. Infine, come la fede nel protestantesimo vale per sé ed è del tutto separata dalle opere, così nello spirito capitalistico il lavoro e la produzione sono valori morali in sé, separati da ogni risultato esterno: il profitto va reinvestito perché il Beruf (lavoro) ha un valore in sé stesso, non per i piaceri che possa procurare. Il calvinista, nonostante la ricchezza di cui dispone, mostra un aspetto emaciato e dimesso, praticando per il giudizio pubblico una sorta di ascesi intramondana («innerweltliche Askese») ma godendo nel privato soddisfazioni terrene. Box 1 - Karl Weber sociologo, filosofo, economista e storico tedesco. 2
2. Interventi utili Fatte queste considerazioni, abbiamo precedentemente osservato come la social economy, attualmente, riscuota maggior successo negli USA. Le imprese sociali ricevono, difatti, contributi anche dalle imprese profit le quali vogliono affiancare al ritorno economico anche un ritorno “sociale". E' lampante come, per tali donatori, è fondamentale il discorso delle agevolazioni fiscali previste in caso di opere di beneficenza. Tali agevolazioni danno vita ad un circolo virtuoso dove le risorse investite innanzitutto ottengono un successo in termini di beneficenza, ma grazie alle detrazioni spingono le aziende profit a reinvestire in altri progetti. L'impresa non-profit beneficia, di certo, del vantaggio di avere maggiori risorse, ma ha anche l'obbligo di dover gestire le stesse con efficacia ed efficienza per soddisfare l'impresa for-profit investitrice e in seguito di attrarne altre. Può anche succedere che le stesse aziende profit decidano di affiancare, alla normale attività, quella filantropica dando vita a fondazioni, tenendo sempre presente il vantaggio delle detrazioni fiscali. Questo tipo di social economy di stampo prettamente anglo americana ha iniziato a trovare spazio in Europa e anche in Italia solo recentemente e ha bisogno di più credito. Il caso Walmart Nel 2012 Sylvia Mathews Burwell diviene CEO di Wal-Mart1, già dirigente del Programma di sviluppo globale della Fondazione Bill e Melinda Gates. Oltre a presiedere la Fondazione, la Burwell si prende carico dei programmi sociali, di sviluppo economico e tutela ambientale varati da Wal-Mart in Africa. «Questo è un momento emozionante per la corporate philanthropy», sono state le prime parole del nuovo presidente. «E questo nuovo incarico mi consentirà di lavorare su problemi e sfide globali, allineandomi ai movimenti e agli interessi del mercato e della filantropia». Il modello di filantropia praticato da Wal-Mart è da sempre sotto osservazione nel mondo del non-profit anche a causa della discussa reputazione del colosso statunitense. I detrattori l'hanno infatti sempre considerata come un tentativo da parte di Wal-Mart di lavarsi la coscienza e di approfittare delle agevolazioni fiscali previste. Negli ultimi anni la fondazione Wal- Mart ha lanciato un programma da 2 miliardi di dollari per rifornire di cibo e finanziare i banchi alimentari americani. A settembre, inoltre, ha annunciato di voler acquistare nei prossimi cinque anni merci per un valore di 20 miliardi di dollari da imprese gestite da donne, e di investire 100 milioni di dollari per la formazione e l'istruzione delle lavoratrici. 1 Wal-Mart Names Leader for Corporate Foundation, The New York Times.com - Stephanie Strom. 3
La Fondazione Palazzo Strozzi Il tratto distintivo della filantropia americana (“give back”) ancora non riesce a permeare in modo diffuso la filantropia in Italia, anche se nel nostro paese la sensibilità è crescente. L'analisi delle criticità della filantropia in Italia rispetto agli Stati Uniti è stata al centro dell'intervento di Bini Smaghi, che ha sottolineato come i vincoli del debito sulla finanza pubblica rendono necessario incoraggiare il contributo privato di singoli e imprese, al finanziamento della cultura. Lo sviluppo di questo contributo (come avviene appunto negli Stati Uniti e in altri Paesi europei) passa attraverso la deducibilità delle donazioni e il coinvolgimento dei privati nella gestione delle istituzioni. La deducibilità va integrata con le «esternalità positive» sul sistema economico che le donazioni alle istituzioni culturali attivano. Nel Rapporto Annuale della Fondazione Palazzo Strozzi, viene stimato per la città di Firenze l'indotto derivante dalle attività culturali di Palazzo Strozzi: circa 30 milioni di euro all'anno, a fronte di un contributo pubblico (erogato da Comune, Camera di Commercio e Regione) di meno di 2 milioni, rispetto al quale lo stesso settore pubblico ha un ritorno fiscale 2 volte superiore. La cultura - se gestita bene - è quindi un affare per lo Stato. La Fondazione Strozzi avanza una proposta concreta sull'esempio della Gran Bretagna: trasferire l'onere della fiscalità dal donatore (quindi defiscalizzando completamente la donazione) all'istituzione culturale che riceve la donazione. Nessuna perdita per il fisco e il meccanismo, che si tradurrebbe in un forte incentivo al mecenatismo dei privati, potrebbe essere rapidamente avviato, sulla base di un accordo fra Ministero dei Beni Culturali e Ministero dell'Economia. Una modalità per dare impulso decisivo allo sviluppo della collaborazione fra pubblico e privato: ci sono tante imprese che vogliono contribuire - ha sottolineato Bini Smaghi - naturalmente dar loro la possibilità non solo di dare, ma anche di contribuire alla gestione. E anche qui è significativo l'esempio della Fondazione Palazzo Strozzi, con partecipazione paritetica di enti pubblici e privati: il 50% dei membri del Consiglio d'Amministrazione nominati appunto dai privati ha creato un buon clima di collaborazione e favorito l'apporto di capacità manageriali, di nuove tecnologie, di nuovi modi per gestire la cultura. Di qui l'appello alla politica di Bini Smaghi. «Se c'è un impulso politico forte, se il Governo si impegna, se il Presidente del Consiglio si impegna, ci può essere un vero cambiamento per le modalità di coinvolgimento dei privati nel finanziamento della cultura»2. 2 (Il Giornale delle fondazioni) Le sfide della filantropia - Italia e Stati Uniti a confronto, (Assifero) - La terza via del business negli States imprese ibride, per il profitto ma orientate al sociale. 4
Box 2 - Le donazioni in Italia, UK e USA a confronto 5
Puoi anche leggere