"DIAMO RESPIRO ALLE PAROLE" - IL MAGGIO DEI LIBRI 2020 PROGETTO-CONCORSO Molte Voci Tanti Libri Onlus - IC Via Salvatore Pincherle 140
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IL MAGGIO DEI LIBRI 2020 PROGETTO-CONCORSO “DIAMO RESPIRO ALLE PAROLE” Molte Voci Tanti Libri Onlus Lettura condivisa di “Marcovado”, I. Calvino Testi della classe IIG Disegni della classe IG
UNA STORIA DA: dell’immondizia al guidatore, che fece subito inversione, mentre era con la polizia al telefono; “LA VILLEGGIATURA IN PANCHINA” una bella multa arrivava fresca fresca in quella torrida serata. Eppure non era ancora finita. Michele si beccò pure una bella lavata di capo da un innaffiatore che, con un calcio in piena regola, fu spedito da lui nelle Indie. Fu così che Michele finì col passare il resto della notte in prigione e adesso, il fresco, non glielo toglieva proprio nessuno! UNA STORIA DA: “MACOVALDO AL SUPERMARKET” LA VACANZA ECONOMICA Quando Marcovaldo giunse alla cassa del supermercato, gli fu riferito che poteva utilizzare i suoi punti spesa accumulati per avere una tenda da campeggio, con l’aggiunta di soli 15 euro. Visto che lui e la moglie stavano programmando di fare una vacanza di famiglia economica, accettò la proposta della cassiera. L’idea di poter risparmiare, soggiornando in un campeggio, era davvero conveniente! Non vedeva l’ora di mostrare il suo grande affare alla moglie Marcovalda. Quando, però, Marcovaldo giunse a casa, Marcovalda aveva organizzato una sorpresa per lui… Gli corse in contro e gli disse: – Ricordi che volevamo fare una vacanza economica? Ho trovato un posto molto carino dove passare le ferie e che ci possiamo permettere. Vieni a vedere! UNA TORRIDA NOTTE Gli chiuse gli occhi e lo portò in salotto. Quando Marcovaldo riaprì gli occhi, trovò davanti a sé un grandissimo pacco di Star prime. Lo aprì e capì subito che avevano comprato lo stesso articolo! Marcovalda, vedendo la faccia di suo marito sconvolta, gli chiese il motivo della sua reazione. Una notte il signor Michele voleva prendere aria, allora scese al parchetto sotto casa sua e iniziò Marcovaldo le mostro il suo acquisto uguale e lei si mise a ridere. Decisero allora di rendere a a camminare. Quel posto gli piaceva, quindi prese l’abitudine di andarci tutte le sere, prima di Star prime l’articolo doppio. dormire. Una sera decise di trascorrere la notte nel parchetto, perché lì avrebbe riposato meglio Arrivò il giorno in cui andarono in vacanza. Giunti al campeggio, iniziarono a montare la tenda che a casa sua, dove sentiva troppo caldo; perciò cercò una panchina dove sdraiarsi. Appena ne e Michele ed Elisa, i loro figli, si divertirono molto, perché non erano mai stati in campeggio. vide una ci si fiondò, ma non si accorse che era già occupata da due piccioncini che litigavano. Purtroppo iniziò a piovere e il grande affare di Marcovaldo si rivelò una brutta fregatura, perché la Allora aspettò, ma dopo un po’ si scocciò. Il signor Michele era furibondo, non ne poteva più di tenda non era impermeabile e si inzuppò tutta, quindi la famiglia si ritrovò a dormire in macchina. quei due, quindi pensò a un modo per cacciarli e si mise a imprecargli contro. Finalmente i due, La mattina dopo, sentendo il meteo alla radio, realizzarono che sarebbe piovuto per tutta la mentre continuavano a litigare, se ne andarono. Ora Michele poteva riposare ma… No, non era settimana. Allora, mogi mogi, con la coda fra le gambe, ritornarono a casa. possibile! Un semaforo era proprio di fronte a lui, sempre ad accendersi e spegnersi. Furioso più di prima, gli tirò contro le sue pantofole, senza ovviamente ottenere miglioramenti. Ma non era finita lì: degli operai con la fiamma ossidrica lavoravano nei paraggi, emettendo un ronzio molto fastidioso. Dormire serenamente era praticamente impossibile. Appena terminato il lavoro, Michele riuscì ad addormentarsi, ma nel momento in cui gli riuscì, arrivò il camion dell’immondizia che, per la puzza, lo svegliò. Stanco e nervoso più che mai, Michele decise di lanciare un sacco
DUE STORIE DA: mano. Toccava a loro spalare la neve. Non è facile spalare la neve, soprattutto “LA CITTÀ SMARRITA NELLA NEVE” a stomaco vuoto. Poi c’era il disoccupato Giampiero, che aveva davanti, finalmente, qualche giorno di lavoro assicurato. Giampiero - Giampy per gli amici- notò che dopo pochissimo tempo la neve spalata ritornava al proprio posto. Infuriato, chiese a Nicuccio se era stato lui a mettere nuovamente la neve sulla strada e Giampy capì che doveva dargli dei consigli su come spalarla, per poi essere contenti e soddisfatti e meritarsi una bella sigaretta. Poco dopo, però, la strada era nuovamente innevata. I ragazzi del cortile, intanto, avevano fatto un pupazzo di neve che era venuto proprio bene, somigliava perfettamente a un uomo. Per questo, si divertirono a rifinirlo nei particolari, non sapendo che Nicuccio, in qualche modo, c’era finito dentro. Misero una carota sul pupazzo, a cui mancava il naso, e Nico se la mangiò. I bambini non si spaventarono, anzi presero i telefoni e cominciarono a postare video e foto su ogni social possibile e immaginabile. Uno dei bambini gli mise un peperone e Nico si mangiò pure quello. Allora gli diede una caramella alla menta, di quelle che in pubblicità fanno diventare il fiato più potente di una bufera polare. Nicuccio la mangiò e cominciò a camminare. Tutti i ragazzi ridevano nel vedere quel pupazzo che si muoveva, trasportando su di sé la neve, come fosse uno yeti. Ad un certo punto Nico starnutì e, per la potenza dello starnuto e della caramella di ultima generazione, la neve esplose come una bomba e arrivò come un proiettile sulla faccia del Direttore del Consiglio di Amministrazione che, proprio in quel momento, tentava di salire sulla sua auto, ricoperta dalla neve che, poco prima, Nico e Giampiero avevano spalato! MAGICA NEVE Nicuccio si svegliò per il silenzio. Non capiva che ora fosse, la luce tra le stecche delle persiane era diversa da quella di tutte le ore del giorno e della notte; quindi prese il suo cellulare nuovo di zecca per guardare l’ora: erano le 9.15. Sulla schermata di blocco del telefono, ovviamente, c’era scritto anche il meteo: dava neve. Subito urlò a sua moglie Elettra: “Amò, sta a nevicà!“. Nicuccio, di corsa, si vestì per andare al lavoro e mise le nuove scarpe di Guccio comprate il giorno prima. Dovette andare al lavoro a piedi perché, ovviamente, gli autobus e i tram non passavano; la città, come succede spesso anche a scuola, era di nuovo impreparata. “Voglia de lavorà saltame addosso!”. Le macchine praticamente non passavano, per cui la città, a parte qualche passante - o possiamo chiamarlo “superstite” - era completamente deserta. La gente, quando nevica, ha paura anche di aprire la finestra, non si sa perché. Pochi minuti prima di arrivare al lavoro, cominciò una bufera di neve. Era tutto innevato, era tutto così bianco, l’aria era così fresca e pulita. L’unica cosa a non essere innevata era l’ufficio di Nico, che appariva identico a prima. Lì, ad aspettarlo, c’era il magazziniere-capo Tony, con una pala in
LA NEVE A ROMA TRE STORIE DA: Ecco una mattina d’inverno. Marcellino si svegliò, aprì le finestre e vide Roma innevata. “FUNGHI IN CITTÀ” Che meraviglia! Le ragioni per essere felici erano tante... La sindaca aveva firmato l’ordinanza, dichiarando le scuole chiuse. C’era così tanta neve per fare centinaia di pupazzi. Non c’era traffico, le strade erano praticamente vuote, in attesa degli spalaneve. Marcellino si preparò velocemente, scrisse qualche messaggio su whatsapp, per organizzarsi con gli amici, e subito scese in strada. L’appuntamento era in piazzetta ed egli arrivò per primo e subito dopo lo raggiunse Albertino, con in mano delle palle di neve, pronto per lanciargliele. Dopo giunsero Lucetto e Antonietto con gli scudi, per attutire i possibili colpi. L’ora di pranzo arrivò velocemente, il telefono di Marcellino squillò parecchio, prima che si accorgesse che la madre lo stava cercando; così, sconsolato, bagnato ma divertito, salutò gli amici e lasciò la piazzetta piena di ragazzi. Tornando a casa, Marcellino mise il piede su un pezzo di legno molto liscio, che sembrava quasi una tavola da snowboard. Il problema è che non sapeva assolutamente frenare, quindi continuò a “sciare” per parecchi metri, finché non raggiunse il suo portone di casa e… chi trovò lì? La mamma infuriata! Ora erano proprio dolori! I FUNGHI SELVATICI In una fresca mattina della terza domenica di maggio, Peppino si alzò dal letto e andò in cucina, dove si trovavano la moglie Ermenegilda e i suoi sei figli. Gli era venuta un’idea bellissima: voleva andare a raccogliere dei funghi, che sicuramente erano spuntati nel boschetto lì vicino. Aveva intenzione di mangiarsi una buonissima insalata con i funghi selvatici. Così si vestì e uscì di casa con i suoi tre figli: Gian Piero, Anton Piero e il figlio più piccolo, Piero (e basta). Arrivati al boschetto, si misero a guardare per terra, sperando di vedere qualche “cappello” marroncino o giallastro spuntare dal terreno. Da lontano videro Ugo con la sua famiglia. Ugo era lo spazzino del quartiere e Peppino non ci era mai andato d’accordo. Lo spazzino si stava avvicinando a loro con aria sospetta. Arrivato davanti a Peppino, Ugo disse con tono scontroso: “Ehi voi, che fate?” Piero disse, senza starci a pensare troppo: “Papà, questo signore grasso, brutto e pelato è Ugo, quello di cui parlate sempre male tu e la mamma?”. Il padre arrossì e fece cenno di no con la testa, sgranando gli occhi. Aveva uno sguardo omicida verso il figliolino ma, dopo, cercando di recuperare ciò che aveva appena detto il ragazzino, chiese: “Raccogliamo i funghi, ci volete aiutare?”. Ugo rispose: “No, noi prendiamo solo i funghi già raccolti al mercato, e poi io non ho voglia di
I FUNGHI SELVATICI In una fresca mattina della terza domenica di maggio, Peppino si alzò dal letto e andò in cucina, dove si trovavano la moglie Ermenegilda e i suoi sei figli. Gli era venuta un’idea bellissima: voleva andare a raccogliere dei funghi, che sicuramente erano spuntati nel boschetto lì vicino. Aveva intenzione di mangiarsi una buonissima insalata con i funghi selvatici. Così si vestì e uscì di casa con i suoi tre figli: Gian Piero, Anton Piero e il figlio più piccolo, Piero (e basta). Arrivati al boschetto, si misero a guardare per terra, sperando di vedere qualche “cappello” marroncino o giallastro spuntare dal terreno. Da lontano videro Ugo con la sua famiglia. Ugo era lo spazzino del quartiere e Peppino non ci era mai andato d’accordo. Lo spazzino si stava avvicinando a loro con aria sospetta. Arrivato davanti a Peppino, Ugo disse con tono scontroso: “Ehi voi, che fate?” Piero disse, senza starci a pensare troppo: “Papà, questo signore grasso, brutto e pelato è Ugo, quello di cui parlate sempre male tu e la mamma?”. Il padre arrossì e fece cenno di no con la testa, sgranando gli occhi. Aveva uno sguardo omicida verso il figliolino ma, dopo, cercando di recuperare ciò che aveva appena detto il ragazzino, chiese: “Raccogliamo i funghi, ci volete aiutare?”. Ugo rispose: “No, noi prendiamo solo i funghi già raccolti al mercato, e poi io non ho voglia di sporcarmi anche la domenica.”. Circa un’ora e mezza dopo, finirono di raccogliere ben due ceste di funghi “selvatici”. Mentre stavano ritornando a casa, il figlio più grande, che poi aveva solo un anno più del secondo, ovvero Gian Piero, iniziò a gridare la parola “Pipì” e il padre fu costretto a lasciare le ceste di funghi su un muretto e a portarsi tutti e tre i figli al bagno pubblico. Quando ritornarono, videro che una delle due ceste era sparita. A Peppino salì il sangue al cervello e se ne andò senza cercare troppo. I FUNGHI ROSSI Una volta giunti a casa, cucinarono i pochi funghi rimasti ma… la sera stessa si trovavano in ospedale, a causa di un’intossicazione alimentare dovuta ai funghi. Nella stanza con Peppino c’era anche Ugo, sempre con la stessa diagnosi: intossicazione Ogni volta che il vento lasciava delle spore, nascevano dei funghi nascosti, vicino alla fermata alimentare dovuta ai funghi. del tram. Un giorno, il manovale Marcovaldo vide al ceppo di un albero qualcosa che aveva All’uomo venne un sospetto: Ugo era nella sua stessa stanza con il suo stesso sintomo … l’aspetto di un bernoccolo gonfiato, quindi si chinò per veder meglio cos’era. Quando lo prese, Il suo mistero era risolto. Il ladro della cesta dei funghi era di certo quello spazzino che, per gola, non sapeva di cosa si trattasse, per cui cercò su Google e capì che quegli affarini si potevano aveva preso la sua cesta e si era intossicato! mangiare. Quando tornò a casa, visto che non si fidava completamente di Wikipedia, a cena mangiò la pasta al ragù e i funghi li diede al gatto. Il gatto, dopo un po’, vomitò, quindi per Marcovaldo non c’erano dubbi: i funghi erano velenosi. Marcovaldo, poiché era povero, disse ai suoi figli e a sua moglie Cicolina che il giorno dopo avrebbero raccolto funghi, nella speranza di trovarne di commestibili, per poi rivenderli a 10 euro al chilo alla bancarella di San Giorgio, per fare un po’ di soldi. I FIORI FUNGHI Quella mattina, nei panni di un perfetto ambulante, Marcovaldo fece tanti soldi. “Prendete sti funghi che so’ boni e freschi! Guardate che bei colori! Verdi, rossi, viola, vengono dall’America!” – diceva-. Gli abitanti di quella zona, in difficoltà economica pure loro a causa dell’aumento dei Il signor Angioino, una volta, portando a spasso il cane, si accorse che dei fiori strani, dall’aspetto prezzi dovuto al passaggio dalla lira all’euro, decisero di copiarlo e cominciarono a raccogliere i simile a funghi, stavano fiorendo nell’aiuola in cui il suo cane stava facendo dei bisogni, ma non funghi, per venderli a tutta la città. I funghi, nel giro di appena due ore, cominciarono a scendere ci fece caso più di tanto. Alcuni giorni dopo piovve e si accorse che i fiori erano cresciuti, li colse di prezzo e Marcovaldo a fare meno soldi. Si avvicinò a quelli che, come lui, avevano raccolto e, nel farlo, gli cadde un petalo, che il cane mangiò con gusto. Purtroppo, subito dopo, come i funghi alla fermata e disse a tutti: “Buongiorno chicchi, ve volevo di’ solo che sti funghi li ho se fosse ubriaco, il cane finì sotto un’auto. Angioino portò i fiori a casa, li posò sul davanzale e trovati io, quindi sono solo miei. Se volete dei funghi, ve li annate a pià alla bancarella! pensò a come fare degli esperimenti su di essi. Intanto un’ape succhiò del polline dal fiore che la Il giorno dopo, alla bancarella, non venne nessuno. Improvvisamente Marcovaldo sentì avvicinarsi ingigantì, facendole spuntare una bocca enorme che, più mangiava, più si ingrossava. Arrivò ad delle volanti della polizia e, preso da un terribile dubbio, cercò su Google che cosa provocassero un punto che inghiottì il mondo. i funghi rossi e… gli venne un infarto!
UNA STORIA DA: Ragionando tra sé, continuava a pensare a quanto i piccioni fossero straordinari e a come, in città, venissero trattati malissimo. Non riusciva a spiegarsi perché la signora Sole Chanteclair, “IL PICCIONE COMUNALE” la francese di Marsiglia che faceva da lavandaia nel suo palazzo, imprecasse contro di loro ogni volta che ritirava il suo bucato dalla terrazza condominiale. A quel punto, Marcovaldo prese il suo panino, il pasto che sua moglie gli aveva tanto amorevolmente preparato, lo sbriciolò e decise di darlo a mangiare ai piccoli, sensibili e affettuosi piccioni, che si erano raccolti davanti ai suoi piedi. TUTTI CONTRO. MA POVERI PICCIONI! Marcovaldo, camminando in città, si fermò in un parco e si sedette su una panchina. Ad un certo punto vide un gruppetto di piccioni che beccavano a terra in cerca di cibo. Attratto, come al solito, dal mondo animale e vegetale, cominciò a pensare che i piccioni erano come animali domestici, uccelli intelligenti, che però non venivano considerati adeguatamente. Ci voleva, insomma, un po’ più di rispetto! Marcovaldo credeva che i piccioni fossero volatili amici dell’uomo fin dall’epoca antica. Erano stati da sempre sulle case, nei piccoli borghi, sempre a far compagnia all’uomo. Quanti dolci risvegli col tubare dei piccioni sul davanzale delle finestre! Marcovaldo pensava a quando i piccioni venivano mangiati perché considerati una prelibatezza oppure a quando venivano usati come postini, affidando loro messaggi importanti e spesso pericolosi.
DUE STORIE DA: “LA CURA DELLE VESPE” I RIMEDI DEL NONNO L’inverno se ne andò e arrivò la primavera, insieme ai dolori reumatici. Marcovaldo e il signor Rizieri sedevano sulla stessa panchina, quella dove un tempo si ritrovavano a chiacchierare i rispettivi nonni. Il signor Rizieri, proprio come suo nonno, soffriva di reumatismi e, col passare del tempo, s’ingobbiva, tanto da somigliare sempre di più al caro nonno, nell’aspetto. Ogni giorno, Marcovaldo gli raccontava dei dolori reumatici di sua moglie e ella figlia Iris che, in quanto ad acciacchi, era tutta sua nonna Isolina. Insomma, anche per lei… buon LA TERAPIA INFALLIBILE sangue non mente! Mentre Marcovaldo pranzava, prestava al pensionato il suo telefono, così, quest’ultimo, poteva controllare Il Messaggero. Un giorno, il signor Rizieri disse: “Ho trovato la soluzione ai reumatismi!” e Marcovaldo chiese: Peppino e sua moglie Gesualda erano dei dottori. Arrivò la primavera e Peppino e la moglie “Qual è?” E il pensionato gli rispose: “Veleno! Veleno d’api, per via dei suoi benefici!”. cominciarono a pensare e a parlare riguardo il lavoro. Un giorno, mentre Peppino controllava Marcovaldo ormai aveva l’orecchio sempre teso a sentire un eventuale ronzio e gli occhi fissi su cosa stessero facendo i figli, sentì che uno dei ragazzi cantava la canzone “Tutto per un’ape” e Google Maps, che gli indicava, di volta in volta, un luogo pieno di vespe. gli venne un’idea grandiosa. Andò subito a informare la moglie e le disse: “Gesualda, ho un’idea Il pensionato non era sicuro di voler essere il primo a sperimentare la cura ma dopo la prima fantastica! Potremo curare i malati con la puntura delle api!” E lei: “Sicuro?” E lui: “Ovvio! puntura, si sentì subito molto meglio. Facciamo una prova!” Marcovaldo mise un annuncio su Instagram e tanti malati di reumatismi si presentarono a casa Andarono al parco, catturarono delle api in un barattolo e tornarono a casa. Arrivò un paziente sua, mentre i suoi figli erano in cerca di vespe. Pierino, per prenderne una, si fece pungere da che aveva mal di schiena, lo fecero pungere dalle api e il dolore passò. tutte le altre e cominciò a correre come un razzo. Intanto Marcovaldo intratteneva i malati in casa. Diventarono presto bravi e famosi in tutto il mondo per questa nuova cura. Ma venne un giorno Ad un certo punto la porta si spalancò ed entrò una nube di vespe; in un batter d’occhio arrivarono in cui un paziente disse: “Dottor Peppino, ho mal di testa, però non mi curi con le api, sono anche i Pompieri e la Croce Rossa. allergico!”. E lui: “Ma stia tranquillo, si fidi di me!”. Tutti all’ospedale piangevano, urlavano e si lamentavano, tranne Marcovaldo, che sentiva bruciori Prese il barattolo, lo aprì e tutte le api uscirono e lo pizzicarono. Il paziente emise un urlo fortissimo, su tutto il corpo, ma non provava dolori reumatici… al momento! che lo sentì anche il Presidente della Repubblica, Filippetto Mazzizzo. Dopo un po’ era pieno di bolle in tutto il corpo, perciò chiamarono l’ambulanza, che lo portò in ospedale. Peppino non si arrese e qualche tempo dopo riprese a utilizzare la tecnica delle api per guarire la gente e, per fortuna, non si presentò nessun allergico!
DUE STORIE DA: “IL CONIGLIO VELENOSO” UN CONIGLIO FORTUNATO Anselmo, una mattina, andò in ospedale con la sua Ferrari Rossa. Appena arrivò, il dottore gli disse di aspettare in una stanza piena di tv e computer. In quella stanza c’era pure una gabbia rosa-azzurro, dove viveva un coniglio bianco, con il pelo soffice, il muso rosa e gli occhi rossi. Ad Anselmo il coniglio faceva pena, perché era chiuso in quella gabbia, senza poter né mangiare né bere. Allora gli si avvicinò, gli aprì la gabbia, gli diede una carota e lo prese in braccio. Appena il dottore arrivò, Anselmo nascose il coniglio sotto la sua giacca. Uscì dall’ospedale e portò il coniglio nel suo enorme appartamento, con vista su Central Park. La sua famiglia era molto felice di avere un coniglio in casa. Anselmo era deciso a far ingrassare il coniglio fino a Natale e poi a fargli avere dei cuccioli. Il giorno seguente il dottore gli chiese: “Hai portato tu il coniglio a casa tua? Se sì, lo devi subito riportare qua, perché è velenoso e possiamo morire tutti, se non lo porti qua! CAPITO O NO?!!’’. Anselmo rispose subito: “Io non ho visto nessun coniglio, non mi interessa quanto mi dice. ARRIVEDERCI!”. I dottori gli credettero. Anselmo, allora, al posto di farlo ingrassare fino a Natale, decise di farlo curare dal suo amico Alex, che faceva il veterinario. Fortunatamente ci riuscì. Alla fine delle cure, i suoi figli maschi lo fecero ingrassare, dandogli cibo; la figlia femmina, invece, lo portava in giro al guinzaglio con le sue amiche, mentre la moglie andava in cerca di un coniglio femmina per fargli avere dei cuccioli …E VISSERO TUTTI FELICI E CONTENTI! HAPPY Mi chiamo Happy, sono una beagle, ho due anni appena e ne ho già passate tante. Quando ero molto piccola, i miei genitori umani mi vendettero a una ditta di sperimentazione scientifica sugli animali, in cambio di soldi. Fu da lì che incominciai a odiare gli umani con tutta me stessa. In quella ditta tutti noi animali eravamo spaventati, dovevamo restare chiusi in una piccola gabbia, dove a malapena passava l’aria. Ci rimpinzavano di cibo per poi eseguire su di noi strani esperimenti. Io però lo avevo capito, così smisi di mangiare completamente, perché ero sicura che gli umani mi offrissero del cibo solo per ingannarmi. Ero stanca di restare chiusa dentro una gabbia, così scappai con l’aiuto di tre bambini: Guendalina, Michelino e Isolina, figli dei proprietari della ditta. Solo loro mi volevano bene. Mi lasciarono libera dentro a un grazioso praticello, ricco di odori a me sconosciuti. Lì vicino c’erano delle case, da cui proveniva un odore buonissimo. Allora mi diressi verso le case e riuscii a salire fin sul tetto, attraverso dei gradini. Lì l’odore era ancora più forte. Ad un certo punto tutte le persone dal basso mi fotografavano con i loro telefonini e postavano tutto sui social. Così, in meno di dieci minuti, c’erano moltissime macchine là sotto. Un uomo della ditta quasi mi sparò, ma fortunatamente non mi colpì.
UNA STORIA DA: Dopo che gli scienziati si accertarono che io non avessi delle malattie iniettate, la ditta si rifiutò di riprendermi, perché tanto sarei morta, continuando a non mangiare. A quel punto arrivò per me “IL BOSCO SULL’AUTOSTRADA” un colpo di fortuna: una bambina di nome Domitilla e la sua famiglia mi presero con loro. Loro sì che sono degni di essere chiamati umani, perché non hanno l’intenzione di trasformarmi in una cavia da laboratorio. IL BOSCO AL CENTRO DEL PAESE Era una notte d’inverno in un paesino in campagna. Faceva leggermente freddo, più o meno intorno ai -28°. Ubaldo e la sua famiglia stavano congelando. Ubaldo si decise ad andare a prendere della legna, quindi si avviò. A Gisualdo, uno dei figli di Ubaldo, venne l’idea di andare con i fratelli in un bosco non tanto lontano, per sorprendere il padre, prendendo anche loro della legna. Intanto Ubaldo trovò al centro del paese degli alberi che sembravano figure umane, quindi decise di prendere un po’ del loro ‘’corpo’’. Di lì stava passando il sergente Cortez, che aveva seri problemi di
vista. Scorse una figura che stava intagliando una statua di legno, che sembrava avere la caviglia dolente. Pensò facesse parte della statua e quindi proseguì. Intanto Gisualdo e i suoi fratelli stavano tornando a casa con una caterva di legna, con la quale alimentarono il fuoco del caminetto in soggiorno. Ubaldo, quando tornò, rimase sorpreso perché non pensava che i suoi figli fossero capaci di tutto ciò. Almeno ora avevano molta legna di riserva!
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