Della vendetta, della gelosia, della menzogna e del veleno tragico. La traccia di Shakespeare ne La coscienza di Zeno.

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Elisa Martínez Garrido
                                                             (Universidad Complutense – Madrid)

       Della vendetta, della gelosia, della menzogna e del veleno tragico.
              La traccia di Shakespeare ne La coscienza di Zeno.

          Italo Svevo è uno degli scrittori italiani più studiati sia in Italia sia all’estero.
La bibliografia critica dedicata all’autore triestino è, di conseguenza, più che
abbondante. Ma pochi critici sveviani hanno scritto riguardo alla possibile presenza di
una traccia di William Shakespeare all’interno de La coscienza di Zeno. Siamo invece
dell’avviso che lo studio del sostrato shakespaeriano all’interno del romanzo offra una
possibilità di lettura più che verosimile; una chiave interpretativa che darà ancorà
ulteriore luce alla densità ermeneutica di questo grande testo sveviano.

        Ci assistono, in questo gioco delle interpretazioni, quattro considerazioni di
partenza:

                     1.     la profonda ammirazione di Svevo verso l’opera di Shakespeare, e
           principalmente verso l’Hamlet e verso l’Othello1.
                     2.     l’importanza della figura letteraria di Stephen Dedalus/ James
           Joyce, sia come scrittore sia come iniziatore di una nuova poetica, per l’opera e
           la vita di Italo Svevo/ Ettore Scmitz (Gioanola 2009, 245-260).
                     3.     il peso decisivo di William Shakespeare nella scrittura di James
           Joyce.
                     4.     la reciproca trasposizione letteraria ed esistenziale fra Dedalus e
           lo stesso scrittore irlandese 2.

         Per tutti questi motivi, non dovrebbe parere frutto di un fortuito, ma
superficiale, abbaglio portare avanti un’indagine analitica sulla presenza di possibili
tracce tragiche di matrice shakesperiana presenti nella Coscienza di Zeno, anche se
sempre ovviamente nascoste all’interno della confessione autoassolutoria del nostro
bugiardo protagonista3. Lo scopo è così quello di riconoscere il trasversale versante
tragico dell’opera del ’23; versante decisivo, secondo noi, nell’interpretazione profonda
di questo romanzo. Lo studio del rapporto intertestuale fra La coscienza di Zeno ed
alcune delle tragedie del grande drammaturgo inglese, specialmente l’Othello, si è
rivelato, dunque, una strada preziosa per la comprensione ultima del polisemico e
contradittorio testo sveviano.

         In primo luogo, dobbiamo tener anche conto che la critica shakesperiana, e più
concretamente quella dedicata all’Othello, dai saggi di A. C. Bradley (Adamson 1980)
fino ai lavori di A. Serpieri (Serpieri 2003), ha definito la tragedia shakesperiana del
1603 come:

1
  Sono note a tutti le pagine del diario di Ettore Schmitz. (Lavagetto 2006, xcviii).
2
  All’interno dell’Ulissee e più concretamente nel nono episodio della prima parte, intitolato Scylla and
Charybidis, Stephen Dedalus, nel dialogo con gli intelettuali irlandesi, nella Biblioteca Nazionale di
Dublino, viene associato al grande dramaturgo inglese. La figura di Shakespeare accompagnò Joyce per
tutta la vita (Quillian 1983: 31-48).
3
    Sul decisivo caratttere menzoniero di Zeno (Lavagetto 2006, lxiii – lxx).
1.      la tragedia della passione
                   2.      il transito dei simulacri

         Sono queste due idee chiave, molto produttive, per poter seguire la possibile
influenza di Shakespeare all’interno della Coscienza di Zeno. Perché dobbiamo
ricordare che, in primo luogo, il nostro testo potrebbe essere concepito come il
romanzo/dramma borghese delle grandi passioni 4 nella Trieste fra Otto e Novecento.
Gelosia, odio, duello, rivalità, e, fondamentalmente, vendetta5 sono, di conseguenza, i
veri protagonisti dell’opera di Italo Svevo.
         Questi emozioni forti della Coscienza si intersecano ovviamente con altre due
grandi passioni, reciprocamente legate fra di loro:

                   1.      il successo economico
                   2.      il successo erotico con le donne 6

          Emtrambi i tipi di successo costituiscono i principali topoi shakesperiani per
capire l’atteggiamento vendicativo di Iago. Si ricordi, a riguardo, il dialogo dell’Atto
primo, scena terza, fra Iago e Roderigo, dove il primo consiglia a quest’ultimo, per poter
sedurre Desdemona, make money e put the money in your purse. Questo, ripetuto per sei
volte all’interno del testo, è il reale leit motive della strategia di Iago (Shakespeare 2005,
27-29).
          In secondo luogo, riguardo alla definizione data da Serpieri (20037)
dell’Othello shakesperiano come transito continuo di simulacri, possiamo dire che
anche La coscienza di Zeno può a essere vista, al cento per cento, come un altro e nuovo
transito di simulacri. Simulare, dissimulare, fingere, mentire, ingannare, rappresentare,
teatralizzare la vita, trasformare la pulsione e il desiderio in altro sono azioni
linguistiche, conscie o inconscie, fondanti del nostro romanzo.
          Svevo, all’interno della sua Coscienza, come Shakespeare nell’Othello, e in
quasi tutte le sue grandi tragedie, gioca sempre con l’antinomia fra l’essere e l’apparire,
cosa che comporta una continua teatralizzazione del vivere e un’impossibilità di
oggettivazione e di conoscenza di noi stessi e del nostro mondo reale. Si ricordi in
proposito la famosa frase di Iago I am not what I am 8, riassunto esistenziale
indispensabile per capire la strategia di vendicativo mascheramento messa in atto dal
personaggio tragico nei confronti del Moro. Non sono quello che sono o non sono
quello che sembro, mai pronunciato nel romanzo, potrebbe essere il riassunto
esistenziale dello stesso Zeno Cosini.

4
  Se è vero che Bradley parla di passione e noi di passioni, e sappiamo della differenza semantica fra il
singolare ed il plurale, dato che la critica shakesperiana ha insistito sempre sull’importanza del mondo
intrapsichico dei personaggi dello scrittore inglese, pensiamo che la definizione data da Bradley per
l’Othello potrebbe anche essere adoperata per La coscienza di Zeno.
5
  Vendetta è parola con cui si apre il romanzo. Non dimentichiamo che il Dottor S pubblica le memorie di
Zeno per poter vendicarsi del suo paziente.
6
  La coscienza è anche la storia della passione erotica (forse anche tragica) di Zeno verso Ada. Lei
rappresenta per lui il Desiderio, sempre impossibile e negato.
7
  Serpieri ha persino detto: “Sono gli ingorghi emotivi che attraversano un po’ tutta la storia della
ricezione dell’Othello (Serpieri 2003, 2). Questa frase potrebbe anche essere letta come un precedente
critico della tesi sulla quale si è basato questo nostro lavoro.
8
  (Shakespeare 2005, 6-7). “Non sono quello che sembro” ci apre la porta verso la teatralizzazione della
vita, verso la dissociazione intrapsichica del soggetto contemporaneo, verso la maschera fra l’essere e
l’apparire, argomento centrale dei grandi drammi di Luigi Pirandello.
Di fatto il sentimento di vendetta del protagonista della Coscienza, il suo odio
criminale verso gli altri rivali, e soprattutto verso Guido Speier, prende forma nel testo,
grazie al simulacro continuo e alla continua rappresentazione dell’ambiguità dei suoi
sentimenti verso il cognato. Nella Coscienza, dunque, la passione vendicativa dell’inetto
Zeno Cosini, il quale attraverso il suo viaggio di formazione diventerà, alla fine del
romanzo, un grande trionfatore, approderà all’ ossessivo interrogtivo etico caratteristico
del suo esitante atteggiamento: “ero io buono o cattivo”.

             Trovato il muricciolo su cui s’era steso quella notte, Guido vi salì e vi si
         coricò proprio come l’altra volta. Egli canticchiava, forse sempre oppresso
         dai suoi pensieri, e meditava certamente sulle inesorabili cifre della sua
         contabilità. Io invece ricordai che in quel luogo l’avevo voluto uccidere, e
         confrontando i miei sentimenti di allora con quelli di adesso, ammiravo una
         volta di più l’incomparabile originalità della vita. Ma improvisamente
         ricordai che poco prima e per una bizza di persona ambiziosa, avevo
         imperversato contro il povero Guido e ciò in una delle peggiori giornate
         della sua vita. Mi dedicai ad un’indagine: Assistevo senza grande dolore alla
         tortura che veniva inflitta a Guido dal bilancio messo insieme da me con
         tanta cura e me ne venne un dubbio curioso […]. Il dubio: ero io buono o
         cattivo? […] (Svevo 2006, 950-952).

         A partire da questo dubbio sulla propria bontà o malvagità, la presenza ossessiva
dell’ambito semantico della colpa (o, se si preferise, di quello della cattiva coscienza)
diventa ricorrente lungo tutto il capitolo dedicato alla Storia di un’associazione
commerciale. Di conseguenza, lessemi come rimorso, bontà ed innocenza…sono
frequenti in questa parte del romanzo, fino al punto di far pensare che sia stata questa
sezione del libro la principale responsabile del titolo dell’intera opera sveviana.
         Tali ripetizioni lessicali agiscono, quindi, da fuochi semantici decisivi nello
stabilirsi della Coscienza, termine che, secondo noi, non fa soltanto riferimento al
mondo dell’inconsco del personaggio principale del nostro romanzo, ma anche alla sua
consapevolezza “delittuosa” già all’interno del campo deontologico (Paolini Giachery
199, 124-135).
         Tramite questo dubbio etico ed esistenziale di Zeno (forse in questo caso c’è
presente anche l’ eco del Hamlet di Shakesperae) possiamo, dunque, capire ancora più
profondamente lo scontro fra il sognatore Italo Svevo e il lottatore Ettore Schmitz,
incarnato quest’ultimo, in parte, in Zeno Cosini. Lui all’inizio è il personaggio debole
della storia, ma, essendo vendicativo, sarà l’uomo vincente alla fine di tutto il suo
percorso esistenziale: « il migliore uomo della famiglia Malfenti»; anche se, nella sua
corsa verso un inutile traguardo, sarà drammaticamente deprivato dell’amore di Ada, il
suo vero e decisivo motore esistenziale, di natura tragica.

       Ad ogni modo, per poter andare oltre ed arrivare alla ricognizione del peso di
Shakespeare sull’intero romanzo di Svevo, per poter stringere ancor più da vicino il
rapporto fra Shakespeare, e soprattutto lo Shakespeare dell’Othello, a La coscienza di
Zeno bisognerà ricordare un importante fatto testuale, di solito dimenticato dalla critica
sveviana: la doppia menzione che il protagonista fa del personaggio di Jago (Paolini
Giachery 1993, 72-75; Pedriali 2006, 126-128), all’interno del capitolo della Storia di
un’associazione commerciale.
Ne ho rimorso come di nessun’altra azione della mia vita. Le parole
          bestiali che ci lasciamo scappare rimordono più fortemente delle azioni più
          nefande cui la nostra passione c’induca. Naturalmente designo come parole
          solo quelle che non sono azioni, perché so benissimo che le parole di Jago,
          per esempio, sono delle vere e proprie azioni. Ma le azioni, comprese le
          parole di Jago, si commettono per avere un piacere o un beneficio e allora
          tutto l’organismo, anche quella parte che poi dovrebbe erigersi a giudice, vi
          partecipa e diventa dunque un giudice molto benevolo. Ma la stupida lingua
          agisce a propia e a soddisfazione di qualche piccola parte dell’organismo che
          senza di essa si sente vinta e procede alla simulazione di una lotta quando la
          lotta è finita e perduta ( Svevo 2006, 1005).

         La prima questione critica che deve essere precisata riguarda il momento
narrativo concreto in cui, sempre all’interno del capitolo prima citato, ha luogo la
doppia menzione da parte di Zeno del personaggio shakesperiano. Questa avviene dopo
il rimprovero che Carmen fa a Zeno in risposta alla sua precedente seduzione. Davanti
al rifiuto erotico della bella donna, la terza che in un modo o l’altro respinge o lascia il
protagonista, Zeno, muto, sente “la gola chiusa dal rancore solidificatovisi e non può
parlare”9: “tutte queste donne che mi respingevano davano addirittura una tinta tragica
alla mia vita […] La risposta a Carmen la diedi un giorno appresso, ma ancora oggi me
ne arrossisco”.10

        Questa confessione indiretta di Zeno ci pone, però, subito un altro interrogativo
critico decisivo: di che risposta si tratta ? Qual’è la reale risposta che Zeno da a Carmen
dopo il suo diniego erotico? Prima di rispondere, bisogna chiarire che, immediatamente
dopo questi ricordi linguistici del nostro protagonista, nel seguente paragrafo del testo,
dopo il punto e a capo, appare nominato Jago per due volte e si fa riferimento alle sue
parole/azioni.
        Poco tempo dopo11, nella seconda scena dedicata alla pesca del gruppo della
ditta in laguna12, si verificherà quello che è stato visto dalla critica come il lapsus di
Zeno: lo scambio, per sbaglio (?), fra il veronal al sodio e il veronal puro (Gioanola
1995, 232).

             Tu che sei chimico, sapresti dirmi se sia più efficace il veronal puro o il
          veronal al sodio?
             […] Non si può mica pretendere che un chimico sappia il mondo a mente.
          Io di chimica so tanto da poter trovare subito nei miei libri qualsiasi

9
  Nel testo ovviamente viene usata la prima persona
10
   Zeno dice che, ricordando la risposta data a Carmen, “ancora se ne arrissisce”. Sarebbe stato più
corretto dire che se ne vergogna. Ma sembra chiaro che la scelta lessicale del verbo arrossirsi corrisponde
nuovamente alla sua strategia di innocenza in rapporto alla cattiva coscienza. Ad ogni modo anche se
Zeno narratore avesse scelto il verbo vergognarsi, questo sarebbe stato insufficiente per “confessare” la
sua azione delittiva. Siamo, di conseguenza, anche qui davanti ad una delle tante strategie lessicali del
mascheramento colpevole di Cosini.
11
   E si deve anche ricordare che l’imprecisione temporale, all’interno della diegesi narrativa, costituisce
una delle tante strategie autoassolutorie messe in atto all’interno delle memorie del nostro personaggio.
12
   Ci sono due scene dedicate alla pesca del gruppo in laguna. Nella prima, Zeno è l’unico che pesca una
bella e grande orata, e alla morte e la sofferenza dell’animale dedica qualche riga. Nella seconda, ha
luogo il dialogo con Guido e il famosos lapsus sul veleno mortale. Siamo davanti a due scene
reciprocamente speculari, nella prima, tramite la morte e l’agonia del pesce, si annuncia già la morte di
Guido (posteriormente pescato da Zeno) (Pedriali 2006, 127).
informazione e inoltre da poter discutere – come si vide in quel caso – anche
          delle cose che ignoro.
              […] Guido domandò ancora:
              Sicché chi volesse morire dovrebbe prendere il veronal al sodio?
              Sì, risposi.
              Poi ricordando dei casi in cui si può voler simulare un suicidio e non
          accorgendomi subito che ricordavo a Guido un episodio spiacevole della sua
          vita, aggiunsi:
             E chi non vuole morire deve prendere il veronal puro (Svevo 2006, 1005-
          1006).

       Si tratta del famoso dialogo fra Zeno e Guido, in cui si avverte chiarissimamente
che le parole/azioni del primo si riveleranno, più tardi, come le vere ed uniche
responsabili della morte del cognato, una morte premeditata, prerintenzionata e
chiaramente voluta dal protagonista del romanzo.

        Se ritorniamo ancora una volta al paragrafo della Coscienza in cui viene citato il
personaggio dell’Othello di Shakespeare, si può affermare che esso annunci in modo
criptico l’azione criminale che Zeno svolgerà contro Guido alcuni giorni (non sappiamo
quanti) dopo. Il nome di Jago ed il riferimento di Zeno alle parole/azioni del
personaggio shakesperiano agisce, dunque, come indice di un’azione analettica in
rapporto alla fine tragica del cognato del protagonista della Coscienza. Jago annuncia
nel testo, dunque, di nascosto, l’azione vendicativa di Zeno e la futura morte di Guido
Speier, il più grande rivale del nostro protagonista, dopo il padre.
         Zeno, di conseguenza, attraverso il riferimento criptico al nome di Jago
accenna, come sempre fra le righe, in posizione marginale e trasversale, il nodo centrale
del romanzo, quello che è stato il suo grande delitto: l’uccisione di Guido. Si tratta di un
delitto che la cattiva coscienza del personaggio vuole seppellire, un delitto davanti al
quale Zeno farà tutto il possibile per tentare di depistare il lettore.
        Non si tratta, dunque, di un delitto fantasmatico, comesso soltanto al livello
inconscio. Non è nemmeno un delitto di mancanza od ommissione affettiva ed
economica quello del nostro personaggio, anche se è vero che Zeno non collabora
attivamente per assistere Guido nel momento più drammatico della sua disfatta
commerciale (e anche in questo caso assistiamo al simulacro della sua finta generosità
in rapporto ai finti soldi che avrebbero potuto salvere il cognato)13. Al contrario il vero
delitto del protagonista della Coscienza è quello che si nasconde nelle parole bestiali
che lui pronuncia, durante la notte di pesca14 nella laguna triestina, riguardo al veronal.

13
   Si ricordino anche le parole mostruose e brutali che Zeno proferisce verso Guido dopo aver conosciuto
la sua terribile disfatta commerciale: “Egli si levò e mi si appressò con l’evidente intenzione di
abbracciarmi. Ma era proprio questo che io non volevo. Avendogli offerto il mio aiuto, avevo ora il diritto
di rampognarlo, e ne feci l’uso più largo. Gli rimproverai la sua attuale debolezza eppoi anche la sua
presunzione durata fino a quel momento e che l’aveva tratto alla rovina.” (Svevo 2006, 1005-1006). […]
“Feci un grande sforzo per calmarmi e vi riusci anche a patto di poter dirgli a bassa voce delle altre
insolenze. La sua perdita era addirittura l’effetto di un crimine. Bisognava essere un bestione per mettersi
in frangenti simili. Proprio mi pareva ch’era necesario che egli subisse intera la lezione...” (Svevo 2006,
1006).
14
   Si avverta la polisemia del verbo pescare. Come è stato già detto, Zeno è l’unico che pesca durante la
prima gita del gruppo in laguna, ma per poter provare ancora una volta la sua bontà, lui, innocente come
è, fa finta di voler restituire il pesce all’acqua.
Queste sono le vere parole/azioni che porteranno Guido, realmente, sulla strada della
morte non voluta.
        Da questa prospettiva, ammettendo che Zeno uccide veramente Guido, tramite
le sue parole avvelenate15, la morte di Speier non dovrebbe essere soltanto vista come
una morte comica (anche se Zeno parla di commedia in rapporto al primo tentativo
suicida del cognato) o come una morte parodica, perché, se è vero che la sua fine non
possiede l’esemplarità morale e la nobiltà dei veri eroi16, questa morte (anche se
lontana dal modello tragico antico) compie, a nostro giudizio, una chiara funzione
narrativa, anche se indiretta. La morte di Guido, indotta da Zeno, è seguita dall’altro
secondo e grande “lapsus” del nostro protagonista: la sua assenza al funerale del
cognato, che permette un riconoscimento parziale della verità delittiuosa ma nascosta:
Zeno odiava suo cognato, come rivelano le parole di Ada

              Ed io ti scuso per non essere venuto al funerale. Tu non potevi farlo ed io
          ti scuso. Anche lui ti scuserebbe se fosse ancora vivo. Che ci avresti fatto tu
          al suo funerale? Tu che non l’amavi! Buono come sei, avresti potuto
          piangere per me, per le mie lagrime, ma non per lui che tu…odiavi! Povero
          Zeno! Fratello mio!
              Era enorme che mi si potesse diere una cosa simile alterando in tale modo
          la verità. […]Ti sono grata di non essere intervenuto al funerale perché
          altrimenti non avrei neppur oggi compreso nulla. Così invece vedo e intendo
          tutto. […] Quando però i miei occhi si chiusero, nell’oscurità vidi che le sue
          parole avevano creato un mondo nuovo come tutte le parole non vere. Mi
          parve d’intendere anch’io di aver sempre odiato Guido e di essergli stato
          accanto, assiduo, in attesa di poter colpirlo. […] Non poteva essere protetto
          che da chi l’amava e, fra noi, nessuno l’amo.
              Che cosa potevo fare di più per lui? - domandai io piangendo a calde
          lacrime per far sentiré a lei e a me stesso la mia innocenza […]
              Salvarlo, caro fratello! Io o tu, noi si avrebbe dovuto salvarlo. Io invece
          gli stetti accanto e non seppi salvarlo per mancanza di vero affetto e tu
          restasti lontano, […] E poi apparisti sicuro armato di tutto il tuo affetto. Ma,
          prima, di lui non ti curasti. Eppure fu con te fino alla sera. E tu avresti potuto
          immaginare, se di lui ti fossi preoccupato, che qualchecosa di grave stava per
          succedere (Svevo 2006, 1008-1009).

        Ada svela in questo drammatico passaggio del romanzo il loro, di Ada stessa e
di Zeno, doppio disamore per Guido. Quello che nessuno saprà mai (eccezione fatta per
il Dottor S e per i lettori delle memorie di Zeno) sarà il consiglio traditore che il
professionista della chimica aveva prima dato al cognato.
        Per mezzo del consiglio avvelenato di Zeno, Guido muore senza volere. La pietà
dolorosa e la tenerezza che la sua morte produce in noi, una volta scoperta la verità che
soggiace sul fondo, è immensa. Ma Zeno, ovviamente, continuerà a negare un tale fatto.

             Una dose forte ma poco più forte dell’altra volta. Mi fece vedere alcune
          boccette sulle quali lessi stampato: Veronal. Dunque non veronal al sodio.
          Come nessun altro io potevo ora essere certo che Guido non aveva voluto
          morire. Non lo dissi però mai a nessuno. […] La rigidezza più avanzata,
          esprimeva qui non una forza ma la grande stupefazione di essere morto

15
   Anche Iago, nell’Othello si parla ripetutamente di parole avvelenate (Shakespeare 2005, 32, 45, 67).
16
   Barberi-Squarotti (1978, 65) vedeva la morte di Guido come grottesca. Secondo il critico italiano si
tratta di una morte che “trasforma in tragedia la commedia, ma è una tragedia grottesca, sbagliata”.
senz’averlo voluto. Sulla sua faccia bruna e bella era impronto un
          rimprovero. Certamente non diretto a me (Svevo 2006, 1082).

         Dopo tutto questo la morte di Guido Speier, vista alla luce della vendetta di
matrice shakesperiana, non soltanto perde, come abbiamo già indicato, la sua possibile
commicità, ma diventa persino tragica, dato l’abbandono fiducioso del personaggio alle
parole del cognato e la sua fanciullesca mancanza di difesa.
         Questa morte, alla luce del richiamo intertestuale di origine shakesperiana,
diventa inoltre tragica perché, grazie a una nuova assocciazione letteraria fortemente
simbolica, ci porta con il ricordo fino alla morte finta, ma creduta reale da Romeo, di
Giulietta per mezzo del veleno di frate Lorenzo. Anche qui siamo davanti a un nuovo
gioco fra l’essere e l’apparire, fra la realtà e la sua fittizia proiezione sullo schermo
immaginario del reale17. Questo gioco proiettivo ci svela la grande contemporaneità
conoscitiva di William Shakespeare, che probabilmente sta anche alla base del
prospettivismo e del modernismo scettico di Italo Svevo 18.
         Ma la traccia tragica shakesperiana nell Coscienza si rispecchia ancora in un
altro motivo narrativo importante all’interno dei simulacri di Zeno e determinante nella
disaventura commerciale di Guido. Nell’opera sveviana c’è persino la lettera mancata.
La lettera mai letta da Romeo, quella che non arriverà mai a Mantova, quella che lo
portertà al suicidio credendo Giulietta morta, nella Coscienza diventa la lettera della
ditta inglese con la quale Guido aveva stabilito dei rapporti commerciali per l’acquisto
del solfato di rame. Anche in questo caso si tratta di una lettera mai letta da Guido (in
mancanza di Zeno19).
          Ed è a causa di questa lettera mai letta e lasciata senza risposta che ha luogo,
nel romanzo, il primo grande insuccesso del congato del nostro furbo e vendicativo
protagonista. Di tutto il motivo narrativo della lettera mancata nella Coscienza a noi
interessano in modo particolare un commento di Guido, col quale egli dice: “e pensare
che sarebbe bastato di scrivere due parole per risparmiare un danno simile?” (Svevo
2006, 976). Siamo nuovamente alle prese con le parole/azioni, quelle dette in modo
“sbagliato” o quelle non dette, mai pronunciate, il cui effetto pragmatico negativo
giocherà in modo diretto sul imminente destino tragico del personaggio.
         Senza dubbio Guido subisce un destino tragico marcatamente in crescendo,
fatto che ancora una volta di più ci riporta all’Othello di Shakespeare. La tempesta, la
pioggia, il vento della notte del suo suicidio (le stesse condizioni meteorologiche del
capitolo dedicato alla morte del padre) stabiliscono un chiaro paralellismo con la notte
tragica della morte di Desdemona e persino con il momento dell’arrivo notturno di
Othello in Cipre, passaggio del testo di Shakespeare in cui si annuncia simbolicamente
la futura e lacerante tragedia del personaggio. Nel caso del romanzo sveviano, tutti
questi elementi metereologici, insieme all’inesperienza del dottore e della fanta e alla
diffidenza di Ada, dovuta al precedente finto suicidio del marito, contribuiscono a
segnare il destino tragico del personaggio di Guido. Si tratta ovviamente di elementi, se
non malefici, di una più che evidente avversità, che, inanellati in catena, contribuiscono
all’innegabile pathos di una delle scene più desolanti dell’opera sveviana, comparabile
soltanto a quella dedicata alla morte del padre.
17
   Su questo punto quindi non siamo d’accordo con Bàrberi-Squarotti, perché se è vero che Guido muore
per sbaglio, è precisamente questo fatto, indotto dalla cattiva intenzione del cognato, ad aumentare la
tragedia inutile della sua morte.
18
   Ovviamente il prospettivismo di Svevo è dovuto ai pensatori europei fra Ottocento e Novecento:
Schopenhauer, Nieztsche, Freud, quelli che hanno stabilito la crisi della modernità (Harvey 1993).
19
   Non dobbiamo dimenticare che Zeno era, all’interno della ditta, il responsabile di leggere la
corrispondenza.
Dopo tutto ciò che è stato detto fin qui, sembra chiaro che Italo Svevo con La
coscienza di Zeno dimostra la sua profonda conoscenza dell’opera di William
Shakespeare20. Con i testi tragici del grande drammaturgo inglese, lo scrittore triestino
stabilisce quindi un serrato e continuo dialogo, allo scopo di confessare il “buco nero”,
l’odio, la vendetta e la mala fede del suo personaggio. Questo, malgrado la sua strategia
escuplatoria sarà, finalmente, smascherato nel testo.
        Grazie alle tracce tragiche di origine shakesperiana, presenti nel romanzo
sveviano del ‘23, anche se in modo nascosto, possiamo capire, dunque, l’importante
versante tragico de La coscienza. Secondo noi, queste piste tragiche agiscono come le
pietrine colorate delle fiabe infantili. La loro funzione è quella di indicare che il
romanzo sta comminciando ad inoltrarsi, senza abbandonare però il suo filone ironico
ed umoristico, nell’ambito del tragico. Di conseguenza, esse ci aprono la strada verso il
riconoscimento delle piste delittive di Zeno Cosini, consentendo di:

        1. scoprire la “cattiva coscienza” del personaggio, fino ad arrivare alla sua
           verità (menzognera), quella che lo porta alla “confessione” parziale del suo
           delitto.
        2. restituire al testo la sua dimensione tragica, anche se camuffata e nascosta,
           ovviamente, sotto lo scetticismo prospettivista ed ironico del nostro
           scrittore/protagonista.
        3. riconoscere gli aspetti tragici del romanzo, in stretto rapporto alla sua
           dimensione etica. Tensione sempre presente nella scrittura di Italo Svevo,
           soprattutto in quello più giovane 21.

         Per chiudere questo nostro lavoro e la nostra incursione nel terreno delle
possibili influenze di scrittura d’origine shakesperiana sul romanzo di Italo Svevo,
penso che siamo ormai in grado di affermare che, malgrado lo scetticismo nichilistico
del nostro autore e malgrado la sua accettazione ironica del «male di vivere», Zeno
(doppio testuale di Ettore Schmitz e anche di Italo Svevo), grazie ai continui riferimenti
alle tragedie di William Shakespeare, tenta di “confessare” in modo traversale la sua
“cattiva coscienza”, il suo delitto, persino la sua colpa, con la quale convive, pur
negandola continuamente.
         Quindi, malgrado l’originalità della vita, che come sappiamo, secondo il nostro
protagonoista, “non è né ingiusta né bella, ma soltanto originale”, all’interno della
Coscienza, insieme al sorriso scettico e miscredente di Zeno, è presente anche una
tensione etica più che evidente, ma nascosta. In questo testo si ha dunque, se non la
condanna del male, quanto meno la sua denuncia22. «Il male di vivere» nella Coscienza
di Zeno, anche se dissimulato dietro allo scetticismo ironico del Cosini, agisce però sul
romanzo con la sua massima potenza. Alla luce della visione prospettivista e moderna

20
  Non dobbiamo dimenticare che il personaggio di Syloch del Mercante di Venezia è stato uno dei
personaggi shakesperiani più decisivi nella vita e nella scrittura di Svevo (Paolini Giamchery 1993, 41-
60).
21
  D’altronde non dobbiamo dimenticare che il nostro scrittore vive la duplicità anche sul terreno delle
sue scelte etiche. Queste sono sempre presenti nel pessimismo del giovane Svevo, sempre impostado
verso una forte tensione etica (Sechi 1998).
22
   Non è quindi, il Male con la maioscola, come quello incarnato nel personaggio di Iago. Con Svevo
siamo già entrati nel XX secolo e il prospettivismo e la teoria del sospetto sono compagni di viaggio del
nostro grande scrittore.
dello scrittore triestino, però «il male di vivere», pur senza diventare mai una sorta di
“principio assoluto”, segna una realtà appassionatamente umana, in stretto rapporto alla
tara dell’inferiorità che affligge il personaggio dell’inetto.
          Secondo lo scrittore, dunque, i sentimenti di inferiorità, di rivalità, e di odio di
Zeno, il suo desiderio di vendetta e di tradimento riguardo i rivali sono le passioni forti
che, al termine del romanzo, determineranno la fantasia dell’ordigno fatale che
provocherà la fine della vita sulla terra. A proposito, dobbiamo ricordare che la prima
origine del male e dell’odio vendicativo di Zeno Cosini si trova principalmente nella
trasgressione della legge, che trova le sue origini nella rivalità verso il padre (Gioanola
1995); in un’ultima istanza, il male per Svevo ha sempre qualcosa a che vedere con la
volontà di potenza del figlio in rapporto al progenitore (Svevo 2006, 1023-24).
           Di conseguenza con tutto ciò, l’autore prospettivista, scettico, miscredente,
persino transmoderno, convive con lo scrittore di volontà etica, con quello che tenta di
credere nell’utopia, pur vivendo all’interno del più profondo disincanto. Il Nostro è,
pertanto, un uomo di scrittura del modernismo che conosce profondamente i classici e
che con loro stabilice un continuo dialogo nel tentativo di definire una possibile
coscienza etica della verità.
          Svevo è, però, cosciente dell’impossibilità di raggiungere questa coscienza
etica in modo assoluto, perciò tenta di avvicinarsi a essa, anche se trasversalmente,
come un parodico bugiardo. Per lo scrittore triestino quindi, come per tanti altri
intellettuali italiani ed europei del Novecento, la tragedia è principalmente “la
coscienza”23 e la contemplazine della verità” (Stellardi 2006, 106).

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