UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE - MILANO

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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE - MILANO
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE - MILANO
                       Facoltà di Economia
    Corso di Laurea Magistrale in Management per l’impresa

               Il gender gap nelle aziende tecnologiche.
                          Il caso NTT DATA

Relatore: Chiar.ma Prof. Ivana PAIS

                                          Tesi di Laurea di:

                                          Domiziana CORINTO
                                          Matr. 4708854

                   Anno Accademico 2018 / 2019
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE - MILANO
Introduzione
I. Gender gap, definizione e diffusione nel mondo
II. Tema, focus, domanda di ricerca e piano del lavoro

Capitolo 1 – Contesto di riferimento: mutamento sociale e sviluppo sostenibile
1.1. Trasformazione del contesto: l’evoluzione della società____________________10
1.2. Come approcciare il cambiamento_____________________________________11
1.3. Strategie a lungo termine e gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile__________19
1.4. Agenda 2030 e gender gap___________________________________________22

Capitolo 2 – Il gender gap: la letteratura di riferimento
2.1. Origine e interpretazione storica del gender gap__________________________25
2.2. Letteratura di riferimento: una breve rassegna____________________________32
2.3. Gender gap e innovazione tecnologica__________________________________40

Capitolo 3 – Organizzazioni, movimenti e politiche in favore delle donne
3.1. La percezione femminile dello svantaggio_______________________________47
3.2. La situazione in Italia_______________________________________________54
3.3. Politiche di sostegno alle donne_______________________________________56
3.4. Alcune iniziative “al femminile”_______________________________________61
3.5 Le principali associazioni in Italia______________________________________64

Capitolo 4 – Il Caso di studio: NTT DATA Italia
4.1. Un richiamo al metodo usato per il caso studio____________________________68
4.2. Le relazioni di lungo periodo come strategia d’impresa: NTT DATA Global_____71
4.3. Le relazioni di lungo periodo come strategia d’impresa: NTT DATA Italia______81
4.4. La situazione italiana: i dati di NTT DATA Italia al 2019____________________85
4.5. Interviste: analisi e risultati___________________________________________88
4.6. Commento dei risultati delle interviste__________________________________93

Discussione e Conclusioni
Bibliografia

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Introduzione

Questo capitolo introduttivo si occupa di definire il concetto di gender gap e di
inquadrarne la diffusione nel mondo. Verranno poi presentati il tema e il focus della tesi
corredati dalla domanda di ricerca e piano di lavoro.

I. Gender gap, definizione e diffusione nel mondo

Per Gender Gap, reso in italiano come “divario di genere”, si intende il diverso ruolo
che donne e uomini si trovano a giocare all’interno delle società contemporanee, in ogni
parte del mondo, sia nei paesi più sviluppati sia in quelli che lo sono in grado minore.
Conformemente al senso in inglese, gap indica lo spazio tra due oggetti lasciato libero
dalla mancanza di qualche cosa. Questo spazio nel quale manca qualcosa, che si tenta di
ridurre o riempire, è oggetto di indagine da parte di molte discipline che da tempo
hanno preso atto del crescere di attenzione e consapevolezza in larga parte della società.
Quella del divario di genere è, senza dubbio, una storia antica e, in qualche misura,
cristallizzata in una longeva rigidità di rapporti socioeconomici tra uomini e donne. Non
c’è disciplina scientifica che non si sia occupata del tema, visto che filosofi, antropologi,
sociologi, psicologi, storici, geografi, medici, genetisti e, perfino, teologi si sono, prima
o poi, secondo modi e prospettive variabili nel tempo, applicati allo studio delle
differenze di genere e alla comprensione dell’origine possibile e delle motivazioni. Sia
le scienze sociali sia quelle cosiddette dure, dove la presenza delle donne, soprattutto
nelle scienze applicate alla produzione, risulta essere particolarmente rarefatta, si
occupano del fenomeno, pur con metodi e approcci scientifici differenti, riconoscendo
la necessità sia di comprendere meglio sia di ridurre il fenomeno.
L’attitudine diversa tra uomini e donne rispetto alla vita in generale e, in particolare,
rispetto alle relazioni che i due sessi intrecciano sia in famiglia sia nel mondo del lavoro
sono apparse a lungo come fermamente scritte nella natura, nel suo codice, come se la
società e le relazioni che in esse si svolgono, anche in termini di affetti, potere,
sentimenti positivi o negativi, fossero caratterizzate da una automatica assegnazione di
ruoli sociali nettamente distinti per sesso, ovviamente con distribuzione ineguale di
potere, prestigio e, pertanto, di reddito e di diritti individuali.

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Certe narrazioni sui ruoli di genere che hanno origine nei primordi della storia umana,
sono parte essenziale dei racconti mitologici classici, sono entrate nella definizione di
archetipi cari allo studio della psicologia analitica – la madre, il padre, la famiglia, il
mascolino, il femminile; infine, sono state, e sono, oggetto di attenzione e contrasto da
parte dei movimenti femministi, anche se la più rigida dottrina femminista appare in
certa misura superata da una nuova scuola, quella del “femminismo delle differenze”
(Scott, 1988), che riconosce l’esistenza di molte e importanti differenze tra uomini e
donne che non sono semplicemente il risultato di stereotipi imposti socialmente.
Il World Economic Forum, istituto di riconosciuto prestigio che ha sede in Svizzera, dal
2006 dedica un rapporto annuale al fenomeno, il Global Gender Gap Report (GGR) nel
quale si trova la misura del divario di genere a livello globale e regionale, stimata
mediante 4 cluster di indicatori: partecipazione e opportunità economica, grado di
educazione, salute e mortalità, partecipazione politica. Rispetto ad altri indicatori
esistenti utilizzati per calcolare le asimmetrie di genere, come il Gender-related
Development Index, il Gender Empowermenr Measure, il Gender Equity Index, il Social
Institutions and Gender Index, il Gender Gap Index (GGI) è ritenuto il più completo
(Mecatti et al., 2012).
In base ai dati del GGR, il divario di genere si manifesta in forme differenti e diversa
distribuzione geografica, non essendo affatto un fenomeno omogeneo nel mondo; anzi,
oltre al carattere differenziale di natura geografica, ne manifesta uno statico di natura
temporale. Se, come media globale, il divario da colmare è stimato intorno al 30%,
almeno quattro paesi, Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia, sono riusciti ridurre la
“distanza” che separa uomini e donne dell’80%; in Islanda addirittura dell’88% (World
Economic Forum, 2020). In alcune aree geografiche, segnatamente Nord Africa, Asia
del Sud, l’intera Cina, seppure abbiano oggi colmato rispettivamente il 60,5%, 66,1% e
68,5% del proprio divario totale (World Economic Forum, 2020), resiste una certa
disparità, evidenziata perfino dalla diversità dei tassi di natalità e mortalità tra individui
di sesso diverso (Sen, 2001).
Rispetto ai 4 cluster che compongono i GGI, le differenze uomo-donna sono
significativamente importanti sia all’interno del cluster partecipazione politica, il cui
divario è stato ridotto solo il 24,7%, sia all’interno dei due cluster partecipazione e

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opportunità economica, i cui valori di divario sono stati ridotti del 58,8% (World
Economic Forum, 2020).
Nel mercato del lavoro, inteso globalmente, la partecipazione maschile è del 78%,
quella femminile del 55%, rispetto al totale di individui di ciascun sesso. Inoltre, solo il
18,2% delle donne attive nel mercato del lavoro ricopre ruoli di top management; la
riduzione percentuale del GGI in anni recenti, il 2018 e il 2019, è stata dello 0,6, mentre
è stata mediamente pari a 0,3 punti percentuali dal 2006 al 2019 (Ibidem). Il costo
imputabile al divario di genere è stimato in circa il 15% dell’intero prodotto interno
lordo mondiale (Peterson, 2019), con la conseguente considerazione che l’inclusione
delle donne nel sistema produttivo darebbe una spinta significativa al benessere
dell’umanità.
Il GGR 2020, contiene anche i dati di una un’analisi condotta in collaborazione con la
piattaforma online Linkedin rispetto a otto categorie professionali, corrispondenti alle
seguenti attività/specializzazioni: relazione e cultura, produzione di contenuti,
marketing, vendite, sviluppo di un prodotto/servizio, intelligenza artificiale e analisi dei
dati, ingegneria, cloud computing. Secondo questa indagine, le attività connesse con
l’Intelligenza Artificiale (AI), il cloud computing e l’ingegneria sono, potenzialmente, i
settori maggiormente in grado di favorire la diminuzione (se non l’azzeramento) del
divario uomo-donna. In tale prospettiva, è una piacevole sorpresa apprendere che nei
lavori di cloud computing, finora ritenuto il più maschile dei settori del futuro, la parità
di genere è quasi realizzata in paesi come India e Italia, nei quali il divario di genere
nelle materie STEM è particolarmente piccolo (World Economic Forum, 2020).
In tema di riduzione del gender gap, quindi, c’è un evidente progresso generale, ma
anche una sua ineguale distribuzione spaziale, con il netto miglioramento dell’Africa
sub-sahariana e dell’America Latina (riduzione del divario di 1,4 punti percentuali),
aree geografiche nelle quali il miglioramento della situazione è dovuto soprattutto alla
riduzione del gap nella partecipazione politica (World Economic Forum, 2020).
Di fronte a dati che mostrano la sostanziale durata del gender gap e la sua ineguale
distribuzione spaziale, tuttavia, appare necessaria una visione maggiormente critica
nell’affrontare il problema, in modo da evitare imbarazzi ideologici e, invece,
indirizzare l’interesse al riconoscimento di politiche e pratiche efficaci di riduzione del
gender gap. Pratiche e comportamenti agiti da uomini e donne sono prodotti complessi

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di forze ambientali ed ereditarie; il vivere in un certo luogo e in un determinato
momento della storia causa una precisa interazione tra l’eredità culturale e quella più
propriamente genetica, determinando gli schemi organizzativi dei singoli individui e,
per conseguenza, delle comunità sociali, comprese le organizzazioni che hanno finalità
economico-produttive.
Oggi, l’innovazione tecnologica è considerata la possibile soluzione di molti problemi
che le società devono affrontare nel futuro più o meno prossimo. Il mondo occidentale
ha adottato il paradigma della sostenibilità, una rivoluzione auspicata, volta a mantenere
uno sviluppo socioeconomico duraturo (Burns, 2012) che è anche stato declinato
tramite gli obiettivi espressi in Agenda 2030 (UN Sustainable Development Goals, s. d.).
L’obiettivo numero 5 dell’Agenda è denominato “Parità di Genere” (Gender Equality),
da considerare non solo come diritto fondamentale dell’umanità, ma come fondamento
necessario di un mondo in pace, prospero e sostenibile.
La non paritaria presenza di donne, sia numericamente sia in termini di scarsa
valorizzazione delle capacità individuali femminili, è un’evidente causa di minore
crescita economica e di riduzione delle potenzialità di sviluppo. Le donne sono in
minoranza in quasi tutti i settori della produzione, ad eccezione di alcuni che,
specialmente nel mondo occidentale, si vanno progressivamente femminilizzando, ma
che, proprio per questo sono considerati di importanza minore, come l’agricoltura e
l’educazione di livello inferiore.
Lo sviluppo economico generale ha liberato le donne da molte incombenze domestiche;
per molte donne si è così aperta anche la strada degli studi scientifici e tecnologici; il
mercato del lavoro si è maggiormente aperto e, anche sulla spinta di impulsi di natura
politica, come la citata Agenda 2030, le imprese hanno iniziato a considerare strategica
l’assunzione (ad ogni livello) di quote maggiori di lavoratrici.
I settori delle tecnologie cutting-edge, ovvero le tecnologie più avanzate e innovative,
appaiono quelli nei quali la presenza femminile, pur in netta crescita, sia storicamente
penalizzata da molti pregiudizi fondati su una stereotipata “divisione naturale” di ruoli
tra maschi (dotati di migliori attitudini per gli studi scientifici e tecnologici) e femmine
(dotate di attitudini per la cura e la crescita dei figli e quindi impossibilitate a svolgere
mansioni troppo impegnative fuori casa). La dotazione è stata a lungo confusa con la
volontà individuale e collettiva, di fatto, imponendo a molte donne ruoli subalterni.

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Le cutting edge includono le tecnologie di informazione più avanzate che nel tempo
hanno preso la denominazione di Information Tecnologies - ITs, quindi di Information
Communication Tecnologies - ICTs, allo sviluppo delle quali ci sono conoscenze fondate
sulle discipline STEM, cioè Science, Technology, Engineering & Maths (Brown et al.,
2011). Lo sviluppo del settore delle comunicazioni, nel suo complesso, e nei comparti
delle tecnologie d’avanguardia, appare determinante per lo sviluppo economico globale
e per singoli stati. Lo studio della presenza delle donne in aziende che hanno nella
propria vision lo sviluppo tecnologico appare di particolare interesse sia in una
prospettiva di indagine scientifica, sia in una prospettiva di una mia crescita personale.

II. Tema, focus, domanda di ricerca e piano del lavoro

Il tema della ricerca svolta con la tesi è il Gender Gap, il divario di genere presente in
molti aspetti della società. Il focus è quello del divario di genere in aziende che
impiegano tecnologie cutting-edge, in particolare l’azienda NTT DATA Italia che
dichiara come uno degli obiettivi strategici la riduzione del divario di genere come
previsto dalle politiche sulla sostenibilità. La scelta del tema e del focus deriva anche
dalla mia esperienza personale, che dal 3 settembre 2018 sono dipendente presso la sede
di Milano, nella sezione di consulenza aziendale, dove svolgo le mansioni di Business e
IT Advisor Analyst.
La domanda di ricerca a cui si tenta di dare risposta si può formulare come segue: quali
iniziative ha intrapreso NTT DATA per ridurre al proprio interno il divario di genere?
Tale domanda può essere scomposta in queste seguenti sotto-domande:

               1. qual è la situazione attuale in termini di occupati e di salari;
               2. c’è differenza di trattamento per assunzioni iniziali e avanzamento di
                   carriera tra uomini e donne?
               3. ci sono mutamenti rispetto al passato, quali?
               4. come viene percepita dai lavoratori la politica gender dell’azienda e
                   la sua efficacia?

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Il metodo seguito è quello dello svolgimento di un caso di studio (Duxbury, 2012;
Schell, 1992; Stake, 1995; Yin, 1994; 2017) per il quale si è adottata una metodologia
mista, che prevede la raccolta di dati secondari e primari da fonti di diversa natura e
origine sulla scorta di quanto suggerito dalla cosiddetta Grounded Theory (Glaser e
Strauss, 2017; Strauss, Corbin, 1994), che permette di considerare anche fonti letterarie
non strettamente scientifiche o accademiche (grey literature), ma considerate essenziali
per la comprensione dei fenomeni trattati.
I dati primari sono stati raccolti direttamente presso l’azienda analizzata e hanno una
doppia natura; una parte è quantitativa, riguardante cioè i dati numerici che descrivono
la presenza e il ruolo rivestito dalle donne in azienda; un’altra ha natura qualitativa e
deriva dall’osservazione diretta della realtà da parte mia, che ho raccolto molte
informazioni durante incontri informali con i colleghi; questi colloqui sono da
considerare come un’osservazione partecipante (participant observation) (Cardano,
2003), originata da una mia personale curiosità e interesse per il tema e iniziata, per la
verità, prima della decisione di svolgere una tesi di laurea sull’argomento. Per questo, al
fine di confermare o smentire l’informazione raccolta, sono state effettuate alcune
interviste face-to-face ad alcuni dipendenti di diverso livello all’interno di NTT DATA.
Per la conduzione di tali interviste si è seguito il metodo suggerito da Kvale (2001),
dedicando ai colloqui in profondità circa 45 minuti ciascuno. Nello svolgere questo
compito, la mia presenza in azienda si è rivelata di fondamentale importanza in quanto
ha facilitato la raccolta dei dati e reso possibile l’entrare in contatto diretto con le azioni
intraprese dall’azienda oggetto di ricerca.
Il contenuto della tesi è organizzato nel seguente modo.
Il primo capitolo è dedicato alla descrizione del contesto e dei paradigmi di riferimento.
Viene in primo luogo trattata la trasformazione del contesto; successivamente
interpretata attraverso le strategie a lungo termine e gli obiettivi per uno sviluppo
sostenibile, focalizzando l’attenzione sulla parità di genere. Il secondo capitolo continua
il percorso teorico definendo e interpretando il concetto di gender gap, ponendo
attenzione all’innovazione tecnologica. All’interno del terzo capitolo vengono
richiamate le organizzazioni, i movimenti e le politiche in favore delle donne esistenti
nel mondo e in Italia. Il quarto capitolo è dedicato al caso studio NTT DATA Italia. In
primo luogo, viene richiamato il metodo usato per la raccolta dei dati; successivamente

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viene presentata l’azienda sia globalmente sia relativamente al territorio italiano. Nella
parte conclusiva del capitolo vengono presentati e commentati i dati quantitativi e
qualitativi raccolti. Da ultimo si conclude con la discussione generale e le conclusioni.

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Capitolo 1 – Contesto di riferimento: mutamento sociale e sviluppo sostenibile

Questo primo capitolo descrive il mutamento sociale e lo sviluppo sostenibile
all’interno del quale le aziende operano e collaborano ed è stato suddiviso in quattro
sotto-capitoli. In ordine verranno descritte la trasformazione del contesto; le modalità di
approccio al cambiamento; le strategie a lungo termine collegate allo sviluppo
sostenibile e, infine, presenta l’Agenda 2030 ponendo attenzione alla gender equality.

1.1. Trasformazione del contesto: l’evoluzione della società

Al fine di comprendere come oggi venga approcciato il tema del gender gap
all’interno delle imprese IT, obiettivo che questa tesi si è posto di analizzare, è
necessaria una analisi sia del contesto competitivo all’interno del quale oggi le
imprese si trovano a operare sia dei modi con i quali esse si approcciano al
cambiamento culturale susseguente all’introduzione di innovazioni tecnologiche che
influiscono sulla vita quotidiana degli individui e, quindi, sulla società nel suo
complesso (Bate, 2010; Martin, 1983).
Questo capitolo tratta la definizione di cambiamento con riferimento al mutare del
contesto socio-economico entro il quale le imprese assumono decisioni che
riguardano l’organizzazione aziendale. La trattazione tiene conto di alcune decisioni
politiche internazionali identificate dalle Nazioni Unite come manovre per uno
sviluppo sostenibile.
Dapprima è trattato il cambiamento dal punto di vista della società nel suo complesso,
di seguito è affrontato il tema dello sviluppo sostenibile; infine, il tema della disparità di
genere – tema principale della tesi – e trattato con riferimento alle due tematiche
precedenti.

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1.2. Come approcciare al cambiamento

Questo paragrafo è dedicato all’analisi del concetto di cambiamento del contesto
all’interno del quale le imprese prendono decisioni. A tale scopo è necessaria una pur
breve rassegna sulla letteratura di riferimento; più in particolare, occorre riassumere
le attuali conoscenze a proposito della definizione dei concetti di cambiamento e di
contesto.
La società umana si trova da sempre in un continuo stato dinamico che si palesa con
forme socio-economiche diverse secondo le epoche storiche; istituzioni e forme
organizzative sono senza dubbio espressione transitoria di un sottostante processo
dinamico socio-economico. La dinamica della società umana “nasce dal processo
decisionale non solo di élite poco numerose ma dalle decisioni di tutti i membri di
una società, siano essi maschi o femmine. Si deve ritenere, quindi, che le dinamiche
sociali siano il risultato di una grande onda di azioni e reazioni umane verso il mondo
nel quale tutti noi ci troviamo a vivere. [...] Piccoli gruppi di potere possono essere
capaci di sfruttare questa onda di azioni proveniente dai desideri dell’intera umanità
solo se non perdono di vista i limiti del proprio potere e non tentano di resistere
contro il loro fluire. Dimenticare questo significa essere spazzati via.” (Snooks, 2002,
p. iv).
Nel flusso continuo di ondate di cambiamento che l’umanità produce durante la propria
storia, l’innovazione tecnologica produce cambiamenti prevalentemente di natura
materiale; per esempio, gli oggetti sono prodotti con materiali innovativi, che
consentono funzionalità e performance diverse rispetto al passato, talora mantenendo
forme estetiche tradizionali (Whitehouse, 2009).
A lungo, gli economisti hanno trattato i fenomeni tecnologici come eventi che
avvengono dentro una sorta di black box, all’interno della quale gli input della
produzione (semplificati sia dalla micoreconomia sia dalla macreconomia in capitale
e lavoro) sono trasformati in flussi di output tramite un processo sostanzialmente
enigmatico (Rosenberg, 1982). Considerare l’impresa come una “scatola nera”
comporta, inevitabilmente, di trascurare le determinanti culturali che sono alla base

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della sua stessa esistenza, i suoi confini rispetto al contesto e perfino le sue
performance (ibidem). Secondo l’approccio istituzionalista (Williamson, 1975)
l’impresa, come qualsiasi altro oggetto economico, può essere vista e studiata come
un’istituzione. Questo ci riporta al dibattito sul rapporto causale tra azione individuale
e istituzionale: sono i comportamenti individuali a creare le istituzioni o le istituzioni
a determinare le preferenze individuali e i comportamenti umani?

       “Gli intenti di un individuo potrebbero essere parzialmente spiegati da
       istituzioni rilevanti, come la cultura e così via. Queste, a loro volta, sarebbero
       spiegate bene in termini di comportamenti individuali. Ma gli intenti e le
       azioni individuali potrebbero, allora, essere parzialmente spiegati da fattori
       istituzionali e culturali, e così via all’infinito.” (Hodgson, 2003: 9, mia
       traduzione).

Gli economisti stanno abbandonando gli amati paradigmi mainstream insieme all’idea
che sia necessaria una teoria generale capace di spiegare tutte le interazioni sociali,
come sotteso dalla teoria dell’equilibrio economico generale (Ackerman, 2002).
L’idea è quella di non poter più considerare il comportamento umano indipendente
dal contesto, per esempio la comunità, il luogo, l’epoca storica. La capacità cognitiva
umana dipende dall’ambiente materiale e sociale e dai segnali che provengono dalle
interazioni sociali e dagli oggetti presenti nella vita di tutti i giorni. Secondo Douglass
North, infatti, hanno grande importanza sia il contesto delle decisioni sia il processo
con cui sono prese. Questo perché idee, ideologia e credenze sono determinanti del
comportamento umano. Pertanto, si deve rifiutare l’idea (molto utile per la
definizione di modelli economici) che gli esseri umani siano agenti separati,
indipendenti e razionali, e considerarli attori delle scelte immersi in un sistema più
grande che include il corpo e l’ambiente materiale (North, 1994). Le azioni non sono
separabili dal loro stesso contesto, che include anche le scelte di altri agenti.
L’impresa che si muove in un ambiente di relazioni materiali e umane è, di fatto,
sempre immersa in un determinato contesto sociale, delimitato da confini spazio-
temporali. La trattazione dei confini spaziali è ancora possibile con gli strumenti
dell’economia e della geografia, sia culturale sia economica, discipline che trattano le

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questioni connesse con il tempo o in termini di confronto dinamico tra equilibri statici
riferiti ad anni diversi, o mediante l’adozione di metodi propri dell’analisi storica. In
tal modo, tuttavia, tralasciano la trattazione teorica del concetto di tempo, di cui la
sociologia ha iniziato ad occuparsi anche mettendo in gioco le proprie metodologie
tradizionali e confrontandosi con altre discipline come la filosofia o gli studi culturali
(cultural studies), in un secondo momento. (Jedlowski, 2001; 2017).
Una comprensione teorica dell’idea di tempo, inteso come passato, presente e futuro,
può aiutare a comprendere anche i meccanismi della creatività e dell’innovazione,
azioni necessarie sia all’impresa adattiva sia a quella pro-attiva rispetto al mutare del
contesto (Ruttan, 1959; Schumpeter, 2000).
La sociologia del futuro è associata all’evoluzione del pensiero sociologico classico
che, manifestamente, rifiutava di considerare metodologicamente sia il futuro sia il
passato, lasciando il tema ad altre discipline come la filosofia, gli studi culturali e
l’antropologia. Attualmente, la sociologia tenta di definire il futuro all’interno dello
scorrere temporale delle società, alla ricerca di un ininterrotto continuum spazio-
temporale. Ne risulta che l’interesse non può più essere rivolto alla scoperta della
realtà obiettiva, ma indirizzato alla comprensione della soggettività sociale,
assumendo l’idea che la società stessa sia la creazione dei soggetti (persone) che la
compongono e che le regolarità empiriche rinvenute dalla ricerca variano
grandemente a seconda dei contesti socio-culturale e storico. L’approccio sociologico
non può limitarsi all’analisi all’interno dei confini del presente fissato entro i confini
della modernità; l’analisi del futuro prevede due prospettive possibili, quella condotta
sotto l’ipotesi di condizioni di incertezza e quella che, integrando metodi
tradizionalmente di altre discipline, vede il futuro in termini evoluzionisti, come
estrapolazione del presente.
Se il mondo è in continuo cambiamento, con la perdita continua del valore delle
tradizioni e la creazione di fratture e discontinuità, d’altro canto, sono sempre più
diffusi strumenti e tecniche che, se da un lato, ne espandono la capacità umana di
ricordare, da un altro, ne mettono in discussione il significato stesso (Jedlowski,
2001). L’autore citato pone la questione mettendo in gioco la definizione di memoria,
non solo perché essa è minacciata da una pressione individuale e sociale di
concentrarsi sul presente, o perché siamo più abituati a usare oggetti che ci aiutano a

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ricordare, quanto perché “il modello di memoria come ‘magazzino’ delle tracce del
passato – un modello che data almeno dai tempi di Sant’Agostino – è stato
completamente ribaltato e riformulato. […] Ciò che noi chiamiamo ‘memoria’ è una
complessa rete di attività, il cui studio indica che il passato non resta mai ‘uno e
uguale’, ma è costantemente selezionato, filtrato e ristrutturato in termini posti da
domande e necessità del presente, sia a livello individuale sia sociale; […] mentre da
un lato il flusso della vita nel tempo comporta effetti che condizionano il futuro, da un
altro lato, è il presente che forma il passato, ordinando, ricostruendo e reinterpretando
il suo lascito, con aspettative e speranze che aiutano anche a selezionare che cosa
meglio serve il futuro.” (Ibidem, p. 30, mia traduzione).
In un lavoro più recente Jedlowski (2017) definisce le “memorie del futuro” come
“ricordi che riguardano gli orizzonti di attesa del passato” (p. 97) che mettono in
gioco la temporalità sociale, storica e biografica degli individui. In tal senso la
memoria del futuro è il ricordo nel tempo presente di un futuro immaginato nel
passato (Ibidem).
Appare evidente come idee, maturate nell’ambito di una riflessione di teoria
sociologica, siano essenziali per la comprensione di fenomeni complessi come il
rapporto tra mutamento del contesto e innovazione e creatività imprenditoriali.
La creatività umana si manifesta con l’introduzione di nuovi prodotti, che derivano da
un’invenzione o da una scoperta, e di nuovi processi produttivi che sono
l’adattamento o il radicale cambiamento di quelli correnti. L’innovazione è
solitamente posta in relazione con le condizioni della singola impresa e con l’insieme
di condizioni possibili all’interno del contesto in cui l’impresa agisce. Tutti possono
avere capacità innovative, ma è ipotizzabile che la diffusione tra individui sia
asimmetrica, secondo forme semplici e spontanee simili a quelle infantili o altre più
complesse, capaci di indurre la produzione di oggetti o idee che innescano forme di
sviluppo territoriale. Una suggestione preziosa viene da Torrance (1965) che definisce
la creatività come “il processo di diventare sensibili a problemi, manchevolezze, salti
di conoscenza, elementi mancanti, disarmonie, e così via; identificando difficoltà e
cercando soluzioni, mediante supposizioni o ipotesi sui problemi; provando,
riprovando e modificando le ipotesi formulate per, finalmente, comunicare i risultati.”
(pp. 663-664).

                                                                                        14
Questa sensibilità interessa anche l’incertezza a cui è soggetto il successo
dell’innovazione. È largamente accettato che le innovazioni tecnologiche siano il
maggior ingrediente della crescita economica, mentre minore attenzione è prestata al
fatto che queste siano soggette a forte incertezza, in quanto vi è impossibilità di
prevedere il successo o il fallimento di una scelta innovativa. La storia è invece
costellata di esempi di imprese innovative che hanno incontrato fallimenti. Il modo
con cui l’innovazione è attuata, diffusa in altre imprese e in altri settori industriali,
l’impatto che ha sulla società e sui risultati economici e gli assetti politico-
istituzionali possono essere determinanti per la creazione e la diffusione di benessere
in una società e in un’area geografica. Rosenberg (1998) ha posto in risalto come uno
dei motivi dei fallimenti imprenditoriali e socio-politici connessi con l’innovazione
l’incapacità di vederne in anticipo il successo nei mercati, indipendentemente dalla
fattibilità tecnica delle proposte.
Dopo l’introduzione da parte di un singolo imprenditore sorgono sicuramente imprese
imitatrici, attratte dalla possibilità di fare profitti; da queste imprese dipende
l’effettiva diffusione dell’innovazione. Gli imitatori capaci di ripercorrere le orme del
primo inventore, che ha assunto tutti i rischi e le incertezze, non corrono rischi, o
almeno ne corrono molti meno del primo innovatore. Altre incertezze possono sorgere
a impedire l’ulteriore diffusione spaziale dell’innovazione, ed è probabile che solo gli
aggiustamenti successivi all’invenzione iniziale, operati da molti e diversi
imprenditori rispetto alla prima realizzazione, consentano il miglioramento
tecnologico e l’applicazione in settori diversi dall’originario (ibidem). Un punto
essenziale connesso con il tema dell’innovazione tecnologica riguarda il
cambiamento sociale e culturale che può indurre. Un’innovazione proveniente da
un’impresa può essere solo un mattone che serve per costruire qualcosa più grande
che la società deve saper progettare e costruire.
I processi sociali e culturali sono stati pensati in termini evoluzionisti (Campbell,
1960; Cavalli-Sforza, 1986), senza tuttavia pensare fino in fondo che possano
derivare da meccanismi che l’ortodossia neo-Darwiniana ipotizza come imposti da
stati di necessità o bisogni insopprimibili degli organismi. Appare superata l’idea,
propria delle scienze naturali, che si possano individuare, in un sistema sociale, stabili
e immutabili connessioni causa-effetto tra un soggetto (a sua volta immutabile)

                                                                                         15
titolare delle cause e altri soggetti che ne subiscono gli effetti. Le scienze sociali
studiano non sistemi chiusi ma “aperti”, in quanto gli esseri umani hanno la capacità
di cambiare e le loro azioni hanno la capacità di alterare gli assetti dei sistemi (Sayer,
1985).
Le consuetudini di comportamento possono essere acquisite da una serie ampia di
fonti e trasmesse da una generazione all’altra, ma un sistema sociale, pur soggetto a
un bisogno che ne sollecita i comportamenti, non è detto che abbia nella propria
routine comportamentale i geni sostanziali che l’indirizzano nella direzione auspicata.
Così, uno stimolo esterno, che in un sistema chiuso come quelli biologici determina
una reazione prevedibile, non è detto che determini un ben preciso e prevedibile
comportamento sociale (Rosernberg, 1998).
Come accennato, Douglass North ha posto un accento forte all’importanza sia del
contesto sia del processo cognitivo, perché le idee, l’ideologia e le credenze sono
determinanti per il comportamento umano, in quanto ogni essere umano è un agente
di scelta (agency) immerso in un più largo sistema che comprende il suo corpo e il
suo ambiente materiale e sociale (North, 1994).
Più sopra, per descrivere il mutare delle dinamiche sociali, è stata impiegata la
metafora di un’onda, e di una serie di onde, di azioni e reazioni umane rispetto al
contesto, o rispetto al mondo intero (Snooks, 2002). La metafora induce l’idea di
cambiamento e di mobilità.
Nel suo Modern Liquidity, Zigmund Bauman (2000) spinge l’interpretazione teorica
delle ondate di cambiamento sociale, che comunque fanno pensare al movimento di
una massa fluida, alla metafora della liquidità. Dopo avere ripreso la definizione di
fluidi, gas o liquidi, dall’Enciclopedia Britannia, Bauman scrive:

         “Ciò che costituisce i caratteri dei fluidi, in parole semplici, è che i liquidi, a
         differenza dei solidi, non mantengono facilmente la loro forma. I fluidi, per
         così dire, non fissano lo spazio né fermano il tempo. Mentre i solidi hanno
         dimensioni spaziali bene definite, ma neutralizzano gli impatti facendo
         diminuire il significato di tempo (resistendo efficacemente al suo scorrere o
         rendendolo irrilevante), i fluidi non mantengono alcuna forma nel tempo e
         sono costantemente pronti (e proni) a cambiarla; pertanto per loro quello che

                                                                                           16
conta è il fluire del tempo, più che lo spazio che tendono a occupare: quello
        stesso spazio, del resto, che riempiono ‘per un momento’. In un certo senso, i
        solidi cancellano il tempo; per i liquidi, al contrario, è il tempo quello che
        conta molto di più. Nel descrive i solidi, si può ignorare del tutto il tempo; nel
        descrivere i fluidi, non considerare il tempo sarebbe un errore molto grave. Le
        descrizioni di fluidi sono sempre istantanee, che necessitano porre una data al
        di sotto dell’immagine.” (Bauman, 2000, p. 2).

L’idea fondamentale di Bauman, la liquidità come carattere sociale della modernità, è
stata eletta al ruolo di paradigma, inteso come l’insieme di concetti e pratiche che
definiscono l’ambito di una disciplina in un determinato momento, l’immagine
sovrastante gli argomenti fondanti di una determinata scienza. Il volume articola il
pensiero   sulla   modernità     in   cinque    temi,   uno    per   capitolo,   riguardanti
l’emancipazione, l’individualità, lo spazio/tempo, il lavoro e la comunità, ognuno dei
quali oggi si trova in leggerezza di peso e liquidità di stato (ivi, p. 1).
La liquidità sociale si manifesta dapprima con l’emergere del postmodernismo, che
segna la crisi delle “grandi narrazioni” capaci di interpretare il mondo nella sua
interezza, nel suo ordine possibile, sostituito da singole narrazioni delle
frammentazioni sociali. La modernità liquida ha progressivamente sostituito anche il
postmodernismo, e si caratterizza per la crisi evidente dell’idea di Stato, impallidita di
fronte al potere di imprese multinazionali che sovrastano individui, confini, nazioni.
Dopo lo Stato, sono entrate in crisi le idee di partito politico, lasciando gli individui
privi di un riferimento comunitario e valoriale stabile. Ne è conseguito un
individualismo senza freni, da esercitare in un ambiente iper-competitivo, dove la
soggettività portata all’eccesso priva la modernità di ogni punto di riferimento fisso.
Emergono i sentimenti dell’apparire e del consumare ad ogni costo, in una miscela di
narcisismo bulimico irriflessivo.
La via di uscita, tuttavia, esiste. Prima di tutto la consapevolezza di vivere in una
società liquida può stimolare la ricerca di mezzi adatti a superarne i lati negativi.
Forse, non alla portata di tutti, ma possibilmente di un numero crescente di
consapevoli.

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In Contre-allee (2004), un libro pubblicato in collaborazione con Catherine Malabou,
Jacques Derrida invita i lettori a pensarsi in viaggio – o più precisamente – a un
‘pensare come viaggio'. Il che significa pensare a quell’unica attività di partire,
andare via da casa, andare lontano, verso l’ignoto, rischiando tutti i rischi, i piaceri e i
pericoli che l’ignoto ha in serbo (compreso il rischio di non tornare).

“‘Il Radicamento’, nel caso, può essere la sola dinamica e ha bisogno di ripartire ed
essere ricostituito giornalmente – precisamente attraverso l’atto ripetuto dell’‘auto-
distanziamento’ l’atto fondamentale e iniziatico di ‘essere in viaggio’, sulla strada.
Avendo comparato ognuno di noi – gli abitanti del mondo d’oggi – con i nomadi,
Jacques Attali (in Chemins de sagesse, 1996) suggerisce che, “[…] a parte il viaggiare
leggero e cortese, amichevole e ospitale con gli stranieri che incontrano sulla strada, i
nomadi devono essere costantemente in guardia, ricordando che i loro accampamenti
sono vulnerabili, non hanno mura di cinta, o trincee che fermino gli intrusi.
Soprattutto, i nomadi, lottando per sopravvivere in un mondo di nomadi, devono
crescere abituati a uno stato di continuo disorientamento, viaggiando lungo strade di
cui non conoscono la direzione e la durata del viaggio, guardando raramente oltre la
prossima svolta o il prossimo incrocio; devono concentrare tutta l’attenzione alla
stretta striscia di strada che devono percorrere prima del tramonto. ‘Individui fragili’
condannati a condurre la propria vita in una ‘realtà porosa’, sentono di pattinare su
uno strato sottile di ghiaccio; e, ‘pattinando sopra il ghiaccio fine’ […] la salvezza
consiste solo nella velocità […]. La velocità, pertanto, sale in cima alla lista dei valori
di sopravvivenza” (ivi, p. 209).

                                                                                           18
1.3. Strategie a lungo termine e gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile

Ormai quasi mezzo secolo fa, il rapporto del Club di Roma (Meadows et al., 1972)
tentò di combinare la visione ottimistica di un’umanità dotata di potenzialità
innovative in grado di risolvere i nascenti problemi ambientali e demografici con il
timore suscitato dal fatto che mantenendo lo stesso trend di crescita ci sarebbero state
conseguenze fortemente negative. Il modello “di mondo” messo a punto dal Club era
orientato a indagare cinque punti fondamentali: accelerazione nella crescita del
settore      industriale,   rapido    incremento      della    popolazione,     diffusione    di
sottoalimentazione e malnutrizione, perdita di risorse non rinnovabili, e un
deterioramento generale dello stato ambientale. Il Club poneva un quesito di fondo:
come vorremmo che il mondo fosse?
Raggiungere una limitazione auto-imposta alla crescita richiederebbe uno sforzo
notevole. Sarebbe necessario imparare a fare molte cose in un modo del tutto nuovo,
coinvolgendo l’ingegnosità, la flessibilità e l’auto disciplina dell’intera umanità.
Mettere fine deliberatamente alla crescita sarebbe una sfida enorme, non facilmente
raggiungibile: ne vale la pena? L’umanità si avvantaggerebbe da questo tipo di
cambiamento? Che cosa perderebbe?
Tre componenti del Club di Roma, trenta anni dopo circa, continuarono a sostenere
che la loro teoria sui limiti dello sviluppo, sopra citati, era ancora valida (Meadows et
al, 2005).
Nel 1980, la Commissione Brandt pubblicò il proprio rapporto sullo sviluppo
denominato North-South: A Programme for Survival, ponendo la responsabilità della
sopravvivenza dell’umanità nell’ambito della politica, pur essendo i leader mondiali
dell’epoca       maggiormente        attenti   alla   Guerra     Fredda       che   non      alle
problematiche connesse con la povertà di molta parte del mondo, l’ingiustizia sociale,
la violazione dei diritti, l’autodeterminazione dei popoli, la perdita continua di risorse
naturali. La Commissione non dettò una definizione di sviluppo, ma ebbe modo di
annotare:
          “si può evitar la perdurante confusione tra crescita e sviluppo, e non
          sottolineiamo fortemente che il primo obiettivo dello sviluppo sia quello di
          una realizzazione personale e della collaborazione creativa nell'uso delle

                                                                                                19
forze produttive di una nazione e del suo pieno potenziale umano.” (Brandt,
         1980, p. 23, mia traduzione)
Nel 1983, al tema dello sviluppo fu dedicato uno studio più attento da parte della
World Commission on Environment and Development, che avrebbe dettato una
precisa definizione di sviluppo sostenibile e che ancora costituisce un punto di
riferimento inevitabile. Nel 1987 i risultati furono pubblicati come Our Common
Future (o Rapporto Brundtland) che, al contrario della Commissione Brandt, dettava
una precisa definizione di sviluppo sostenibile (WCED, 1987, p. 43) come:
         “Lo sviluppo che permette di soddisfare i bisogni delle generazioni presenti
         senza compromettere la possibilità delle future generazioni di soddisfare i
         propri bisogni.”

La definizione è ancora largamente usata, nonostante attragga molte critiche,
soprattutto perché suggerisce che crescita economica, ammodernamento industriale e
mercato siano i fattori determinanti e gli obiettivi di sviluppo di tutte le nazioni del
mondo (Blewitt, 2012).
Nel 2014, in occasione della Conferenza Rio+20, gli stati aderenti all’ONU proposero
un insieme di obiettivi accomunati dall’idea di sostenibilità e denominati, appunto,
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile o SDGs (United Nations, 2014). Questi obiettivi
succedevano ai cosiddetti Millennium Development Goals (MDGs) come punto di
riferimento per la comunità internazionale per l’intero periodo 2015-2030. L’insieme
dei nuovi obiettivi fu visto subito come una sfida molto ambiziosa perché l’orizzonte
abbracciato è molto più ampio di ogni altro intravisto precedentemente.
L’ambizione di avere obiettivi universali, applicabili in tutti i paesi aderenti all’ONU
e non solo in quelli in via di sviluppo, serve come segnale forte che sia da guida in
vista di una reale transizione verso lo sviluppo sostenibile, di fatto eluso dalla
comunità internazionale fino dal momento delle solenni dichiarazioni in occasione
dell’Earth Summit di Rio nell’ormai lontano 1992.
Uno dei principali difetti è stato individuato nella mancanza di integrazione tra i
diversi settori interessati, in termini di strategie, politiche e modi di attuazione
previsti dai precedenti approcci (Giovannini, 2018).

                                                                                       20
La comunità internazionale, non comprendendo appieno quali potessero essere le
sinergie e i possibili trade-off intersettoriali, ha adottato politiche confuse, troppo
specifiche o solo settoriali, producendo risultati divergenti e asimmetrici rispetto ai
obiettivi dello sviluppo sostenibile.

Figura 1 – Relazioni di rete tra obiettivi e risultati dell’Open Working Group on
SDGs Fonte: Le Blanc, 2015, p.4

Viceversa, obiettivi e risultati possono essere visti come una rete che collega i singoli
goal tramite target collegati a obiettivi molteplici (Le Blanc, 2015). È possibile
disegnare una rete con nodi, sub-nodi e collegamenti che descrivono e interpretano le
relazioni possibili tra goal e target. L’analisi di Le Blanc prende in considerazione i
16 obiettivi presentati dall’Open Working Group on SDGs dell’ONU, a cui Agenda
2030 aggiunge il 17 obiettivo di una partnership tra i diversi temi.
La network analysis mostra come alcuni nodi della rete hanno collegamenti più forti
di altri con l’intero sistema di relazioni. Secondo Giovannini (2018), i SDGs
appaiono maggiormente integrati degli obiettivi del Millennio (MDGs), e la politica
di realizzazione potrebbe essere maggiormente in grado di integrare più settori. (Le
Blanc, 2015; OECD, 2018)

                                                                                        21
1.4. Agenda 2030 e gender gap

Figura 2 – Gli obiettivi di Agenda 2030 Fonte: UN Sustainable Development Agenda,
s.d.

Osservando più da vicino l’Agenda delle Nazioni Unite che si è posta come obiettivo
l’anno 2030, si nota come tra i primi cinque vi sia quello della parità dei sessi. Come
mai?
L’uguaglianza di genere e l’aumento di potere di tutte le donne di ogni età sono di per
sé obiettivi di valore universale; il raggiungimento di una parità di genere comporta
azioni trasversali a molte politiche settoriali, da quelle riguardanti l’educazione, la
protezione sociale, il mercato del lavoro a quelle che interessano i diritti di proprietà,
il sistema fiscale, le infrastrutture e le politiche di governance in senso più ampio.
In virtù del fatto che rappresenti una perdita mondiale il non arrivare a sfruttare nella
sua interezza l’ingegno, la flessibilità e la creatività umana (Meadows et al., 1972) e
del fatto che per ottenere un miglioramento sulla maggior parte degli obiettivi
raffigurati nella Fig.2, è fondamentale precedentemente creare una omogeneità
all’interno della popolazione del mondo.
Infatti, in ragione della storica divisione di ruolo tra donne e uomini nelle famiglie,
nell’economia, e nella gestione dell’ambiente, ancora presenti in molte società, la
valorizzazione della parità risulta parte integrante di un approccio equilibrato tra

                                                                                         22
dimensioni sociali, economiche e ambientali dello sviluppo sostenibile, al fine di
raggiungere tutti gli altri obiettivi dell’Agenda 2030.
Comprendere questo aiuta anche a comprendere le motivazioni che devono portare
l’azienda stessa a colmare questo divario.
Nei decenni più recenti, a livello complessivo molti passi in avanti sono stati
compiuti, seppure in un contesto di generale ineguaglianza, sia nei paesi sviluppati sia
in quelli in via di sviluppo e aumenta (in modo grave) (OECD, 2018).
L’importanza del gender nella problematica ambientale è stata messa in risalto fino
dagli anni Settanta, quando gli studi su questi due temi si sono intrecciati con quelli
dei diritti delle donne (Agosìn, 2001).
Oggi, in modo evidente, appare che la parità di genere possa fare passi avanti solo se
considerata non più come tema e/o problema a se stante, ma all’interno di un contesto
di una visione integrata negli obiettivi di sostenibilità dell’Agenda 2030, soprattutto
per la definizione e l’adozione di politiche di intervento.
Anche se una interpretazione gender si può riferire ad ognuno dei 17 goal
dell’Agenda 2030, in accordo sia con Le Blanc (2015) sia con OECD (2018) gli
obiettivi che appaiono maggiormente vicini e coerenti con le politiche di parità di
genere sono i seguenti:
1. Obiettivo 6, Clean water and sanitation;
2. Obiettivo 7, Affordable and clean energy;
3. Obiettivo 9, Industry, innovation, and infrastructures,
4. Obiettivo 11, Sustainable cities and communities;
5. Obiettivo 12, Responsible consumption and production;
6. Obiettivo 13, Climate change;
7. Obiettivo 14, Life below water;
8. Obiettivo 15, Life on land.
Gli studi citati mettono in grande evidenza sia la multidimensionalità del tema gender
sia come l’obiettivo di una parità di genere possa essere ancorato ben più in generale
all’obiettivo di uno sviluppo sostenibile così come alla necessità di adottare politiche
integrate su più obiettivi. Il legame tra gender e sostenibilità, tuttavia, appare chiaro,
anche se il tema viene ancora considerato un’area emergente della ricerca che
necessita di una raccolta maggiormente sistematica di dati e informazioni su iniziative

                                                                                         23
di diversa importanza. Talora, il tema appare sottovalutato sia dai decisori politici, sia
dalle imprese sia, infine, dalle donne stesse. Nonostante questo, c’è un crescente
consenso che il genere femminile, nei paesi sviluppati come in quelli in via di
sviluppo, sia più esposto di quello maschile ai danni causati dal degrado ambientale e,
probabilmente per questo, le donne abbiano maturato una maggiore consapevolezza
dei rischi ambientali e siano più “sensibili alla necessità di una gestione sostenibile
delle risorse naturali” (OECD, 2018, p. 33, mia traduzione).
Lo stretto legame tra donne e Obiettivi dell’Agenda 2030 è, probabilmente, originato
dal fatto che in ogni parte del mondo esse vivano in condizioni molto vulnerabili
rispetto alla scarsità di energia, produzioni insostenibili, mancanza di accesso alla
gestione delle acque, potabili e reflue, al degrado ambientale, alla criminalità,
conducendo una vita urbana molto stressante e dovendo fronteggiare la gestione di
risorse sempre molto scarse.
Questo primo capitolo ha indagato, almeno nelle sue linee generali, le connessioni tra
gender gap e cambiamento del contesto socio-economico entro il quale le imprese
assumono decisioni. La discriminazione delle donne ha origini antiche nella storia
antropologica dell’umanità e delle aggregazioni sociali. In tempi relativamente
recenti, si può dire che, con l’emergere della sensibilità ambientale, è cresciuta anche
l’attenzione al tema gender gap, definitivamente acquisito come uno degli obiettivi
che compongono la definizione complessiva di sostenibilità.
Uno dei cambiamenti socio-culturali più interessanti è proprio il mutamento di
paradigma dello sviluppo, a cui si tenta di abbinare il concetto di sostenibilità, se non
proprio imponendone un vero limite verso uno stato stazionario, teorizzando –
perfino – una relazione inversa tra crescita e felicità (Kallis, 2011).
Se l’investigazione teorica da parte di diverse discipline scientifiche appare sempre
più orientata verso l’individuazione delle cause socioeconomiche che hanno
determinato la discriminazione delle donne e delle possibili politiche di riduzione del
gender gap, la realtà imprenditoriale e sociale appare molto più lenta nella direzione
di riduzione o eliminazione di tale discriminazione, specialmente nel settore della
ricerca scientifica e applicata, dove le donne sono ancora una netta minoranza.
Il prossimo capitolo è dedicato, quindi, a una trattazione più approfondita della teoria
della disparità di genere e di quella che connette quest’ultima alle STEM.

                                                                                         24
Capitolo 2 – Il gender gap: la letteratura di riferimento

A questo punto della trattazione, definiti il contesto e l’approccio che ogni individuo
deve tenere nei confronti di uno sviluppo sostenibile, risulta necessario calarsi
all’interno del divario di genere. A tal fine ne verranno presentate l’origine e
l’interpretazione storica; la letteratura che afferisce al divario di genere prestando
maggiore attenzione alle differenze nelle STEM; infine, verrà spiegata la relazione tra
gender gap e innovazione.

2.1. Origine e interpretazione storica del gender gap

Una prima definizione di gender gap è stata fornita nell’introduzione di questo lavoro.
Di seguito si cerca di approfondire l’origine storica e l’interpretazione che se ne può
dare. Attitudini e ruoli sociali attribuiti alle donne sono estremamente variabili tra paesi
differenti, inclusi quelli che hanno simili livelli di sviluppo e istituzioni socio-politiche
paragonabili. Per analizzare il fenomeno, molti studi hanno utilizzato variabili
economiche standard, come per esempio livello di sviluppo, educazione femminile,
fertilità, andamento del rapporto matrimoni/divorzi, espansione del settore dei servizi
(Goldin, 1990). I fattori maggiormente messi in evidenza sono fatti risalire ad alcuni
dati fondamentali, come il ruolo dei prezzi di mercato, la diminuzione dei costi di cura
dei bambini, sia per il loro allevamento sia dal punto di vista sanitario (Albanesi e
Olivetti, 2016).
Più di recente la letteratura scientifica ha posto in maggiore evidenza come la grande
variabilità del ruolo delle donne tra società differenti sia da porre in relazione con
convinzioni di natura culturale su quale sia il ruolo “più consono” delle donne in una
determinata società (Fernandez, 2007; Fernandez e Fogli, 2009; Bertrand et al., 2015).
Di fronte a questa opportunità di approccio, molti contributi di studio e ricerca hanno
iniziato a considerare le profonde radici di natura storica che il fenomeno possiede
(Giuliano, 2017; Nunn, 2009). Alcune determinanti le differenze di genere mostrano di
avere una lunga storia alle spalle; tra questi sono rilevanti la tecnologia agricola, il

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linguaggio, la geografia, i caratteri delle società preindustriali, la struttura familiare, la
religione, gli shock sociopolitici verificatisi lungo la storia.
Alcuni autori hanno dedicato particolare attenzione al persistere delle differenze di
genere attribuibili alla tecnologia impiegata storicamente in agricoltura o, detto in altro
modo, come la lunga storia dell’agricoltura possa avere avuto effetti di lunga durata
sull’evoluzione delle attitudini di genere; in tal senso, Alesina et al. (2013) hanno
studiato il perdurare delle differenze di genere rispetto alla diversità di partecipazione
della forza-lavoro femminile nelle pratiche agricole. L’introduzione dell’aratro al posto
di attrezzi manuali per la coltivazione dei terreni, che corrisponde a una pratica a
maggiore intensità di capitale, comportava anche la richiesta di un corpo dotato di
maggiore forza, specialmente nelle braccia, per guidare sia l’aratro sia gli animali da
tiro, rispetto a quello (femminile) che poteva usare invece la vanga o la zappa; tale
innovazione era, perfino, molto meno compatibile con la cura dei bambini, specialmente
di quelli molto piccoli, solitamente affidati alle cure materne. L’uso dell’aratro, in
ipotesi, ha indotto la divisione di lavoro tra sessi e prodotto l’idea che il posto naturale
delle donne, e delle loro attività anche produttive, fosse la casa. Non è difficile credere
che questo convincimento diventasse un’attitudine culturale esportata al di fuori
dell’agricoltura. Alle donne è stato, quindi, storicamente riservato un ruolo in attività
connesse con la coltivazione ma minori, come ripulitura dei suoli da coltivare da alberi
e arbusti, piantagione, cura delle coltivazioni in atto, raccolta, allevamento degli animali
grandi e piccoli, mungitura, cucina, raccolta di legna, approvvigionamento di acqua,
trasporto di pesi, artigianato domestico e commercio. In generale, l’adozione dell’aratro
è associata con la minore partecipazione femminile a tutte le pratiche agricole.
In alcune particolari condizioni la relativa minore produttività femminile (e dei
minorenni) in agricoltura ha comportato l’impiego di donne nei settori manifatturieri,
per esempio negli Stati Uniti nordorientali, anche se l’iniziale forte presenza femminile
in agricoltura e nel manifatturiero preindustriale non si è trasformata in una
partecipazione elevata allorquando si è verificata la forte crescita industriale del paese
avuta una forte crescita (Goldin e Sokoloff, 1984).
In ogni modo, altre cause di natura sociale devono essere considerate per una
spiegazione più ampia e convincente, come il numero di imprese con un capo femmina,
la presenza di donne nella politica nazionale, per esempio nelle aule dei Parlamenti,

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