David di Donatello 2021 - I verdetti - Smart Marketing
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David di Donatello 2021 - I verdetti La 66esima edizione dei David di Donatello, trasmessa in diretta su Rai Uno e condotta, come ormai consuetudine, da Carlo Conti, ha riservato non poche sorprese ed emozioni scroscianti. Come il David alla migliore attrice protagonista andato ad una emozionatissima Sophia Loren (a proposito, qualcuno aveva dubbi che non lo vincesse lei?) per La vita davanti a sé, del figlio Edoardo Ponti. Alla veneranda età di 86 anni, è lei la catalizzatrice assoluta della serata; lei che porta in dote il ricordo dell’immortale cinema italiano degli anni d’oro; lei, che nel suo portamento, nella sua eleganza d’altri tempi e nei suoi occhi ci fa rivivere quel grande cinema che fu. Madonna mia aiutatemi, è difficile crederci. La prima volta che ho ricevuto un David è stato 60 anni fa ma stasera sembra la prima volta. L’emozione e la gioia sono le stesse. Il protagonista con me è magico, un bambino che si chiama Ibrahima e ringrazio il mio regista, Edoardo. Il suo cuore e la sua sensibilità hanno dato vita e anima a questo film e al mio personaggio, anche per questo io a mio figlio sono veramente molto grata, è un uomo meraviglioso. Non so se questo sarà il mio ultimo film ma io ho ancora voglia di farne ancora, sempre più belli, io senza il cinema non posso vivere assolutamente. Sophia Loren Di altissimo livello, anche i prestigiosi David alla Carriera, assegnati a Sandra Milo (vestita di
rosso fiammante), Monica Bellucci e Diego Abatantuono. Soprattutto quest’ultimo, ha ricordato gli esordi e la sua sfolgorante carriera sempre all’insegna di una poliedricità d’attore, davvero fuori dal comune. La scorsa edizione, si tenne con gli ospiti in collegamento e il povero Carlo Conti, tristemente solo a reggere la fatica di un’edizione realizzata nel pieno del terrore del Covid-19. Quest’anno l’edizione in presenza ha restituito un po’ di normalità e soprattutto un pizzico di speranza, per un settore tra i più colpiti dalla pandemia. Non sono mancati neanche momenti toccanti, come la consegna della statuetta per la miglior sceneggiatura andato, postumo, a Mattia Torre, lo sceneggiatore e regista scomparso nel 2019 a soli 47 anni, per Figli e ritirato dalla figlia Emma, salita sul palco con la madre Francesca: Complimenti a mio padre che è riuscito a vincere questo premio anche se non c’è più. Bravo papà. Gli altri tre premi attoriali, quelli più attesi e celebrati sono andati nell’ordine, a Elio Germano (miglior attore protagonista) per Volevo nascondermi; e a Matilda De Angelis (miglior attrice non protagonista) e Francesco Bentivoglio (miglior attore non protagonista) per L’incredibile storia dell’Isola delle Rose. Volevo nascondermi, film del regista Giorgio Diritti a fronte di 15 candidature e 7 statuette vinte, tra cui miglior film, miglior regia e il già citato miglior attore protagonista, è la pellicola regina della serata. Lo stesso regista, visibilmente contento ed emozionato, ha riservato parole dolci per il suo capolavoro e per il significato intrinseco che l’opera porta dentro di sé: Viva il cinema, tutti gli altri finalisti erano grandi film, anche diretti da giovani registi e questo fa ben sperare. Ricordiamoci di Ligabue anche quando incontriamo un clochard che disegna una madonnina. Ricordiamoci del valore di ogni uomo e difendiamolo finché possiamo, in ogni modo.
Si parlava all’inizio dell’articolo di “qualche sorpresa”, come quella inaspettata che consegna a Luca Medici, in arte Checco Zalone il David di Donatello come miglior canzone originale per Immigrato, dal film Tolo Tolo. Una vittoria inaspettata, conquistata sulla splendida Io si (seen), di Laura Pausini, che portava in dote, non solo la vittoria ai Golden Globe, ma anche la candidatura agli Oscar. Al film di Checco Zalone, va anche il già annunciato David dello Spettatore, premio assegnato al film che nella precedente annata ha staccato più biglietti al botteghino. Altri premi di rilievo, quello come Miglior regista esordiente al figlio d’arte Pietro Castellitto per I predatori; e a Massimo Cantini Parrini vincitore del suo quinto David ai Migliori Costumi, per Miss Marx di Susanna Nicchiarelli. In mattinata si era tenuta al Quirinale, la consueta cerimonia di presentazione alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, della presidente dell’Accademia del cinema Piera Detassis e altri pochi invitati, per lo più candidati e premiati, tra cui Sandra Milo e Diego Abatantuono. Lo stesso Mattarella, nelle sue parole piene di speranza, di amore verso il cinema e di fiducia nel futuro, ha dichiarato: Dalla crisi che stiamo vivendo si esce solo con la solidarietà, visione e senso di appartenenza della storia comune», ha sottolineato Mattarella, di cui il cinema è un prezioso bene comune. Un patrimonio da cui ripartire. Insomma, che dire di più? Che il cinema è pronto a ripartire, che c’è voglia di riprendere in mano idee, progetti, collaborazioni e dipingere un nuovo cinema, ancora più attento al sociale e alla realtà che lo circonda. Senza
dimenticare che, nonostante le numerosissime fatiche di un anno travagliato come il 2020, il nostro cinema è riuscito a tirare fuori dal cilindro pellicole importanti, interpretazioni di livello e professionisti che hanno dato lustro al settore del cinema nazionale. D’altronde la cerimonia di premiazione di ieri sera, così piena di professionalità, così viva e carica di “alto cinema” ne è il più fulgido e chiaro esempio. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter David di Donatello 2021 - Le candidature La 66esima edizione dei David di Donatello entra nel vivo con le attesissime nominations di quella che sarà ricordata, tristemente, come l’edizione dell’anno “senza cinema”, per le ormai note motivazioni “pandemiche”. Nella giornata del 26 marzo scorso sono state annunciate alla stampa le candidature, dei David, che ricordiamolo con orgoglio, in ossequio alla gloriosa storia del cinema italiano, sono i secondi premi nazionali più prestigiosi del mondo, dopo i famigerati Oscar hollywoodiani. Risaltano subito all’occhio due candidature che ci riportano malinconicamente ai fasti del nostro passato: troviamo Sophia Loren candidata come migliore attrice protagonista per “La vita davanti a sé”; e Renato Pozzetto candidato come migliore attore protagonista per “Lei mi parla ancora”.
P u p i A v a t i e R e n a t o P ozzetto sul set del film “Lei mi parla ancora”. Recordman di nominations si issa “Volevo nascondermi”, di Giorgio Diritti, che ottiene l’incredibile cifra di 15 candidature; seguono con 14 candidature “Hammamet” di Gianni Amelio e con 13 “Favolacce” dei D’Innocenzo. Occupiamoci ora delle 4 categorie strettamente attoriali. Cinquina di livello estremo, forse mai così alta nel nuovo millennio, per la qualità dei nomi che lo compongono, quella del migliore attore protagonista: Kim Rossi Stuart per Cosa sarà, Valerio Mastandrea per Figli, Pierfrancesco Favino per Hammamet, il già citato Renato Pozzetto per Lei mi parla ancora e infine Elio Germano per Volevo nascondermi. Bisogna dirlo, anche la stessa categoria declinata al femminile, è di altissimo livello, arricchita dalla presenza tra le candidate, della “leggendaria” Sophia Loren, che per forza di cosa, sembra essere la naturale favorita. Accanto a lei troviamo Vittoria Puccini per 18 regali, Paola Cortellesi per Figli, Micaela Ramazzotti per Gli anni più belli e Alba Rohrwacher per Lacci. Un gradino più in basso, ma sempre di ottimo livello, le due categorie dei migliori attori non protagonisti. Al femminile la cinquina si compone così: per 18 regali Benedetta Porcaroli, per Favolacce Barbara Chichiarelli, per Hammamet Claudia Gerini, per L’incredibile storia dell’Isola delle Rose Matilda De Angelis e per Magari Alba Rohrwacher. Miglior attore non protagonista: per Favolacce Gabriel Montesi e Lino Musella, per Hammamet Giuseppe Cederna, per L’incredibile storia dell’Isola delle Rose Fabrizio Bentivoglio, per Lacci Silvio Orlando. Scopri il nuovo numero: Remote life A distanza da un anno dal primo lockdown, siamo ancora qui a confrontarci con chiusure
più o meno generalizzate e con abitudini di vita e di lavoro che fatichiamo ancora a fare nostre. Ecco i nostri suggerimenti per la vostra remote life. Esattamente coincidenti invece, le due categorie principali, quelle più ambite, ovvero miglior film e migliore regia: Favolacce (Fabio e Damiano D’Innocenzo), Hammamet (Gianni Amelio), Le sorelle Macaluso (Emma Dante), Miss Marx (Susanna Nicchiarelli) e Volevo nascondermi (Giorgio Diritti). Nella categoria miglior canzone originale abbiamo la presenza di Laura Pausini con Io si (Seen) per La vita davanti a sé di Edoardo Ponti, figlio della grande Sophia Loren. Ebbene Laura Pausini è in lizza per un incredibile e memorabile “triplete”, per usare un termine calcistico: ha già vinto ai Golden Globe, ed è candidata sia agli Oscar che ai David. Accanto all’ovvia favorita della categoria, tra gli altri, abbiamo anche Claudio Baglioni per Gli anni più belli e Checco Zalone per Tolo Tolo. Quest’ultimo film, in lizza anche per il David Giovani è già sicuro di assicurarsi la statuetta del David dello Spettatore, conferito al film che nell’anno solare precedente, ha staccato più biglietti in sala. Citiamo ora la categoria come miglior film straniero, ricco di pellicole e di registi che hanno fatto grande il cinema mondiale: 1917 di Sam Mendes, I miserabili di Ladj Ly, Jojo Rabbit di Taika Waititi, Richard Jewell di Clint Eastwood, Sorry we missed you di Ken Loach. E poi a seguire ci sono tutti gli altri premi, alcuni tecnici (come miglior effetto sonoro, miglior acconciatore, miglior montatore, migliore scenografia, migliore sceneggiatura), alcuni legati alla regia (migliore regista esordiente) e alcuni legati ai generi filmici (miglior documentario e miglior cortometraggio, quest’ultimo già assegnato ad Anne di Stefano Malchiodi e Domenico Croce). La cerimonia di premiazione si svolgerà martedì 11 maggio in prima serata su Rai 1, condotta per la sesta volta, la quarta di fila, da Carlo Conti, con i candidati che probabilmente saranno in presenza e non collegati da casa come accadde l’anno passato, un po’ sulla falsariga dell’organizzazione dello scorso Festival di Sanremo: senza pubblico e con candidati, operatori e conduttore sottoposti a tamponi preventivi. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati
Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Un secolo di… Nino Manfredi Qualche giorno prima del lockdown dello scorso anno, che ha messo in ginocchio l’Italia e il mondo, ebbi l’onore di intervistare la signora Erminia Manfredi, moglie del compianto Nino, per il libro Il ventennio d’oro del cinema italiano- 4 lustri di illustri, edito da Graus Edizioni. In quell’occasione, così vibrante di emozioni, per un autentico e passionale estimatore di Nino Manfredi, ne uscì un ritratto ancora più vero di quello che è stato l’attore, tra il privato e il pubblico. Alla mia domanda se vi erano differenze tra il Manfredi privato e il Manfredi del cinematografo, la signora Erminia rispose così: “Mio marito, dal punto di vista lavorativo, era l’esatto specchio di quello che lui era nella sua vita privata. Era una persona molto seria e faceva tutto con serietà, nel senso che era molto metodologico e si preparava su tutto. Ad esempio, quando gli proponevano un film, studiava il suo personaggio in maniera tale da entrare completamente nella parte e farla sua. Per esempio, quando ha fatto Geppetto, nel Pinocchio di Comencini, per prepararsi alla parte, pur non avendone l’età, andava di fronte alla nostra casa, a Roma, nel Giardino degli Aranci, a vedere come giocavano i bambini. Il tutto per delineare un Geppetto ancora attivo, desideroso di giocare, che poi grazie a questi “studi” è diventato quel personaggio immortale, che tutti noi continuiamo ancora ad ammirare. Mio marito amava un po’ tutti i personaggi che interpretava, perché in ognuno metteva sempre tutto se stesso e la sua professionalità, ma ad ognuno era in grado di donare sfumature sempre diverse, che fosse Pane e cioccolata o che fosse Brutti, sporchi e cattivi”.
Da questo estratto di quell’intervista, che porto sempre nel cuore, fuoriesce tutta l’essenza di quello che è stato il metodologico Nino Manfredi, che rimane ad oggi, esattamente a 100 anni dalla sua nascita un punto di riferimento assoluto nella storia del cinema italiano e della commedia all’italiana, del quale è ritenuto uno dei “4 mostri”, assieme a Sordi, a Gassman e a Tognazzi. Versatile e incisivo, poliedrico e magnetico, come pochi, nel corso della sua carriera ha alternato con uguale vigore ruoli comici e drammatici di notevole efficacia, risultando probabilmente il più grande di tutti, nella sua capacità di entrare nel ruolo e regalarci personaggi immortali. La signora Erminia, ha parlato dello strepitoso e struggente Geppetto del Pinocchio di Luigi Comencini; ma il tutto va continuato ed ampliato con il Dudù di Operazione San Gennaro; con il meraviglioso padre di famiglia dell’Italia del boom de Il padre di famiglia; o ancora il leggendario Pasquino di Nell’anno del Signore. Ce ne siamo scordati tanti e potremmo continuare per ore, fino a far diventare questo articolo un saggio vero e proprio, magari da pubblicare. Eppure non basterebbe neanche un libro per ricordare la grandezza di un attore, che fa parte del patrimonio storico ed emotivo del nostro Paese: un personaggio familiare, che fa parte di noi stessi, di quello che siamo stati e di quello che siamo. 101 film interpretati, tra il 1949 di Torna a Napoli e il 2003 de La fine di un mistero. In mezzo, 9 David di Donatello (record assoluto al maschile), 6 Nastri d’Argento, 4 Globi d’oro e soprattutto la Palma d’oro a Cannes 1971, come
miglior opera prima per il suo capolavoro emotivo dal titolo Per grazia ricevuta. Basterebbe questo palmares, per inquadrare Nino, anzi Saturnino, perché questo era il suo vero nome all’anagrafe; ma non basta, perché la sua grandezza non è quantificabile in una stima di quanto il suo lavoro abbia influenzato tutta la commedia, durante gli anni del fulgore della commedia all’italiana e anche nei decenni successivi. Alcuni di questi film sopravvivono sulle vette più elevate del nostro cinema; altri ancora navigano più in basso; ma tutti gli oltre 100 delineano quella che è stata la maestria metodologica di Manfredi, il più grande nel tuffarsi nel personaggio regalandoci interpretazioni sempre diverse, ma sempre particolarmente realistiche ed efficaci. Dopo una notevole gavetta, fatta di tante particine sparse qua e là, il meritato successo arriva alla fine degli anni ’50, con titoli come Carmela è una bambola, L’impiegato e Audace colpo dei Soliti Ignoti o Anni ruggenti, che ci consegnano un attore diverso dal classico panorama cinematografico nazionale. E i titoli della seconda metà degli anni ’60, non fanno altro che confermare in pieno quell’intuizione. Proprio in questo decennio, Manfredi mette a segno passo dopo passo numerosi successi, fino a quel 1969, che lo issa come miglior attore italiano dell’annata, per quello che sarà il suo anno mirabilis. Nel solo quinquennio 1964-69 è
protagonista di oltre 20 film, tra film a episodi come Le bambole o I cuori infranti e lungometraggi interamente basati sulle sue straordinarie capacità di attore a tutto tondo, quali Straziami, ma di baci saziami, Italian secret service e Operazione San Gennaro, ambientato all’ombra del Vesuvio e impreziosito da un prestigioso intervento del grande Totò; per finire con Il padre di famiglia, uno dei migliori Manfredi di sempre, perfetto nel tratteggiare, come già anticipato sopra, il ritratto di un padre di famiglia alle prese con tutte le problematiche sociali e lavorative degli anni ‘60. Un piccolo gioiello diretto dal regista Nanni Loy. Ma soffermiamoci un attimo su Italian secret service del 1967, un sottovalutato, ma divertente incrocio tra commedia all’italiana e parodia dei film di spionaggio americani. È il momento migliore della carriera di Nino Manfredi che addirittura nel 1968 si aggiudica due David di Donatello ex- aecquo sia per Italian secret service che per Il padre di famiglia. Caso più unico che raro nella storia della cinematografia mondiale: un ex-aecquo con se stesso. Ciò sta a significare che le sue interpretazioni, ormai, sono tutte di enorme spessore ed è forse l’attore più richiesto del panorama italiano, tra la seconda metà degli anni ’60 e i primi anni ’70. Infatti, è proprio in questo periodo, che l’attore prende piena consapevolezza di sé, dopo anni di gavetta, entrando sull’accogliente carro della commedia all’italiana. Anno dopo anno l’attore scala le vette, pur mantenendo un profilo basso, ravvisabile rispetto agli ingaggi medi degli altri colleghi del periodo: Mastroianni 120 milioni di lire, Tognazzi 50 e Manfredi (si fa per dire) soltanto 30, anche se con un movimento oscillatorio. Infatti, a seconda del suo gradimento rispetto alla sceneggiatura era consono alzare o diminuire la richiesta, tenendo in mente vari fattori, quali lo studio approfondito del personaggio e i giorni di impegno sul set. Non c’è da sorprendersi, il tutto rientrava in quella grande attenzione che il professionista Manfredi, diffondeva nel suo lavoro: metodo, precisione e orgoglio. Molto spesso era solito inserire con grande vigore, modifiche in seno di sceneggiatura, attirando non di rado, polemiche accese con il regista di turno, quanto più era qualificato il secondo, tanto meno era disposto a cedere il passo. E così, ad esempio sul set di Nudo di donna, nel 1981, avviene un proverbiale e acceso diverbio tra Nino Manfredi e il regista Alberto Lattuada, con quest’ultimo che decide di abbandonare anzitempo il set, e il primo che prenderà le redini del lavoro portandolo a
compimento. Tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’80, Manfredi continua quel processo di maturazione, che lo rende uno degli attori più amati del panorama nazionale. Nominiamo, dunque, le sue migliori pellicole. Nel 1969 è impegnato sul set di Straziami, ma di baci saziami (1968), gioiellino di comicità paradossale e popolana, tutta giocata sul gusto per il calco filologico e deformante della subcultura popolare, del patetico da fotoromanzo e del romanticismo da festival di Sanremo, che contiene alcune delle più belle battute degli sceneggiatori Age e Scarpelli. Il trio di protagonisti è semplicemente sublime: Manfredi, Tiffin e Tognazzi; mentre il regista è Dino Risi. L’elenco delle interpretazioni memorabili di Nino Manfredi, strettamente nell’ambito del film a episodi, del quale, va quì ricordato, Manfredi fu uno dei massimi specialisti, si arricchisce nel 1969, di un film Vedo nudo, diretto anch’esso da Dino Risi, che rimane, come film corale, uno dei migliori assoli dell’attore romano. Il migliore dei sette sketch che lo compongono è proprio l’ultimo, ovvero quello che dà il titolo al film e che è rimasto nella memoria collettiva. E’ la storia di un pubblicitario che vede denudate tutte le donne che incontra, ma quando crede di essere guarito la stessa devianza psichica si manifesta con gli uomini. L’episodio, il più divertente del film corale, si basa tutto sulla prova del grande Nino Manfredi e sulle sue espressioni facciali alle prese con le visioni “nude”, che sono da antologia della risata e da scuola di recitazione. Un cortometraggio molto conosciuto anche all’estero, dato anche il grande successo commerciale del film, tanto che pare sia stato preso ad esempio, quando nel 2000 la regista Nancy Meyers ad Hollywood firmò la pellicola What women want, con Mel Gibson. Anche quella è la storia di un pubblicitario alle prese con l’altro sesso, ma stavolta invece di vederle nude, acquista il potere “magico” di ascoltare il loro pensiero. Una prova in più del fatto che il cinema americano, ha spesso tratto spunto da quello italiano, sempre precursore dei tempi. Quello stesso anno l’attore prende parte a Nell’anno del Signore, campione di incassi della
stagione, il quale può essere considerato come il più grande film in costume della storia del cinema italiano. In un cast a dir poco eccelso – Sordi, Tognazzi, la Cardinale, Salerno – si staglia l’interpretazione del vero protagonista del film: Nino Manfredi. Sublime nel tratteggiare Pasquino, il ciabattino, lo storico autore di invettive contro il Papa, nella Roma papalina del 1825. La splendida interpretazione gli valse sia il Nastro d’argento che il David di Donatello come miglior attore protagonista della stagione 1969. Fu proprio con questo film che Manfredi e Magni iniziarono una fruttuosa e redditizia collaborazione, consolidatasi negli anni con In nome del Papa Re (1977) e In nome del popolo sovrano (1991), secondo e terzo capitolo della trilogia sulla Roma papalina di metà Ottocento, focalizzando l’attenzione sul rapporto tra clero pontificio, aristocrazia e popolo. Proprio Nell’anno del Signore rappresenta il primo capitolo di questa trilogia con almeno una perla destinata a entrare nella storia del cinema. Esattamente la scena finale –quando Pasquino intuisce che il potere trae forza dalla sua mancanza di emotività, rispetto al popolo che “c’ha er core” – è geniale e allo stesso tempo commovente. Spiega al suo discepolo interpretato da Pippo Franco che “…li morti così con una burla de processo pesano più peggio e cor tempo diventano la cattiva coscienza del padrone… perché solo sul sangue versato viaggia la barca della rivoluzione”. Insomma, sacrificare due carbonari per risvegliare la coscienza del popolo: i primi vaggiti d’Italia 35 anni prima di Garibaldi, in un film realizzato all’alba dei tumulti che caratterizzeranno gli anni ’70 e che il cinema nazionale ha prontamente descritto. Procedendo velocemente, negli anni ’70, vanno citate altre memorabili interpretazioni. Come Per grazia ricevuta (1971), che segna l’esordio in un lungometraggio di Nino Manfredi come regista, il quale è comunque anche il protagonista del film, con una regia dal sapore naif e un soggetto indubitabilmente nostrano e originale, a metà tra spiritualità e psicoanalisi, sulle conseguenze della cattiva educazione religiosa. Record di incassi della stagione 1970/71. Nino Manfredi, come già accennato sopra, vinse la prestigiosa “Palma d’oro” al Festival di Cannes per la miglior opera prima. Molte scene rimaste nella storia. Capolavoro senza tempo, esattamente come C’eravamo tanto amati (1974), di Ettore Scola, omaggio nostalgico, amaro e sincero al cinema italiano e più in generale ad un pezzo di storia e al tempo che passa inesorabile. Abbiamo poi anche Pane e cioccolata (1974), a detta di molti, il miglior film della carriera di Nino Manfredi. Elogio dell’italiano all’estero con tante scene entrate nell’immaginario popolare. Manfredi si supera, in un’interpretazione attenta e precisa e vince con merito il David di donatello come miglior attore protagonista. In ultimo citiamo, alcuni film che rientrano nel Manfredi più strettamente drammatico. Un esempio su tutti, Brutti, sporchi e cattivi (1976), un film volutamente sgradevole, ambientato in una borgata degradata della capitale, dove Manfredi offre un’ottima prova della sua straordinaria poliedricità. E poi abbiamo gli ultimi grandi “fuochi”, scintille di grande cinema d’autore. Parliamo de Il giocattolo (1979), splendido apologo sulla violenza privata, con un Manfredi drammatico che convince appieno; e soprattutto Cafe express (1980), nei panni del venditore abusivo di caffè sui treni Michele Abbagnano, a detta di molti la sua interpretazione più intensa e sofferta. E per questo film Manfredi vinse l’ennesimo Nastro d’argento della sua sfolgorante carriera. Insomma, fa davvero piacere, che nonostante stiamo vivendo un 2021 complicatissimo, le
celebrazioni in onore di Nino Manfredi, siano molteplici in tutto il nostro Paese: pubblicazioni, documentari inediti, omaggi televisivi e numerosi articoli a lui dedicati. Questo vuol dire, che abbiamo ancora una speranza. Abbiamo ancora la speranza che la cultura possa elevarci, che la cultura possa educarci e che quindi la memoria di chi ha reso grande questo nostro martoriato Paese, non si perda mai, nell’oblio degli abulici tempi moderni. Perciò dobbiamo gridare con forza CIAO NINO ovunque lui sia…e studiarlo, amarlo al pari degli altri suoi colleghi, perché appassionarsi al nostro cinema vuol dire imparare qualcosa di più su di noi e vuol dire fare cultura, quella con la C maiuscola. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter Intervista a Massimo Cantini Parrini, il pluripremiato costumista italiano I costumi dei film italiani più apprezzati del momento portano tutti la sua firma. La sua professionalità è motivo di orgoglio per il nostro paese, un artista che permette di tenere alto il nostro nome in tutto il mondo. Parliamo del costumista Massimo Cantini Parrini, reduce dal David di Donatello per “Pinocchio” e il Nastro d’Argento per “Favolacce” e “Pinocchio”. La sua arte, la sua creatività ed il suo talento partono da lontano, dall’infanzia, e con tanto studio e accesa passione, arrivano a raggiungere importanti traguardi. In questo periodo così delicato per il cinema italiano, abbiamo avuto il piacere e l’onore di intervistarlo.
F o t o d i P a o l o G a l l e t t a Come è nata la sua passione, che le ha permesso di diventare oggi ciò che è, un professionista nel suo settore? “La mia passione è nata con la frequentazione della sartoria dove lavorava mia nonna, così ho iniziato a scoprire vecchi abiti presenti in casa e ho iniziato a chiedere il motivo per cui li avessero conservati. Il fascino per il costume è iniziato da qui, nel momento in cui scovavo un abito, ne chiedevo sempre la storia, così, attraverso i racconti, ho conosciuto tutto quel mondo pieno di magia. In seguito ho deciso di proseguire i miei studi con l’Istituto d’Arte a Firenze, il Polimoda, il Centro sperimentale, concentrandomi soprattutto sulla storia del costume, che è diventato il centro del mio mestiere.” Scopri il nuovo numero: Just Working La pandemia è stato un fortissimo shock che ha interessato tutti gli aspetti della nostra vita e il mondo del lavoro è certamente tra questi. Dal telelavoro allo smart working, passando per il south working, vedremo come sta velocemente cambiando il concetto di lavoro. Nella sua vita c’è stata una particolare fonte d’ispirazione o un professionista che l’abbia ispirata o guidata in questo percorso? “Ci sono stati i miei maestri: la prima è stata Cristina Giorgetti, grandissima storica del costume, che ho incontrato al Polimoda ed è stata la prima volta che incontravo qualcuno con cui poter parlare della mia passione e con lei ho potuto trascorrere giornate intere a parlare di costume; in seguito c’è stato l’incontro con Piero Tosi al Centro sperimentale di Cinematografia, che è stato il mio maestro a
tutti gli effetti e sono rimasto con lui per venticinque anni, fino alla sua morte lo scorso anno, e con lui si è instaurato un rapporto che è andato al di là dello studio, è diventato amicizia; poi c’è stata Gabriella Pescucci, di cui sono stato assistente per dieci anni e con lei ho potuto mettere in pratica tutti gli insegnamenti ricevuti sia da Cristina Giorgetti, che da Piero Tosi.” F o t o d i G r e t a D e L a z z a r i s E’ di pochi giorni fa la notizia che è diventato un membro dell’Academy Awards, quindi, il suo talento, il suo percorso e i numerosi premi le hanno permesso di raggiungere questo ambito riconoscimento, immagino che per arrivare a questi alti livelli, credo che debba dedicare al suo lavoro tanto tempo. “È la passione che ti spinge a dare sempre il meglio; i premi sono un bellissimo riconoscimento, ma non lavoro per raggiungere questi obiettivi. Solo l’amore per il mio mestiere mi spinge a pretendere sempre tanto da me stesso e quando viene riconosciuto non solo dagli addetti ai lavori è una felicità immensa, vuol dire che il mio messaggio è universale.” Durante questo periodo difficile che tutto il mondo sta attraversando sotto tanti punti di vista e in particolare anche nel mondo del lavoro e soprattutto in Italia nel mondo del cinema, come continua a svolgere il suo lavoro, come affronta le difficoltà del momento? “Nel nostro mestiere si lavora anche tre, quattro, cinque mesi di fila e poi può capitare di stare fermi per altrettanti mesi. Può succedere, però questa volta nasceva da un motivo molto diverso. Il lockdown è stato per me anche occasione di riflessione e di studio. Adesso stiamo lavorando nuovamente, con tutte le precauzioni necessarie.”
F o t o d i G r e t a D e L a z z a r is Cosa pensa della situazione generale del cinema in Italia, cosa si augura che possa accadere nel mondo del cinema nel nostro paese? “Io credo che il mondo del cinema già da prima non navigasse in buone acque, il covid poi ha accentuato questa sorta di tragedia, quindi mi auguro che tutto torni meglio di prima.” In quale prossimo film vedremo le sue creazioni? “Al momento ci sono dei lavori, di cui, però, per contratto non posso parlare, quindi presto ci saranno delle novità.” Quando inizia il suo processo creativo, quando comincia a ideare e disegnare un abito, inizia dalla sceneggiatura, dalla storia, dalla personalità del personaggio, qual è il punto di partenza? Delinea anche il tratto psicologico del personaggio che lo indurrà poi ad indossare quell’abito? “Nel mio lavoro inizia tutto dalla sceneggiatura. Quando veniamo contattati per un film, da un regista o da una produzione, la prima cosa che chiedo è quella di leggere, leggere la storia che dovrò affrontare. La leggo generalmente tre volte, prima da spettatore poi da costumista. Tradurre il pensiero del regista per me è la cosa più difficile, come tracciare il profilo psicologico dei personaggi attraverso il costume. Appena si accende la lampadina parte tutto. L’idea è il mio motore.”
F o t o d i G r e t a D e L a z z a r is In questo periodo così difficile, in cui il mondo del lavoro e del cinema devono affrontare inedite ed ardue sfide, leggere le parole di un artista che, con cuore ed impegno, porta avanti il suo lavoro e lo fa anche toccando alte vette, è sicuramente una scintilla che possiamo utilizzare quando guardiamo al momento attuale con preoccupazione, perché anche la peggiore delle crisi può rivelarsi un momento di grande cambiamento. F o t o d i P a mela Gori Massimo Cantini Parrini Nato a Firenze, da bambino subisce il fascino del costume grazie alla nonna, sarta fiorentina. Consegue il diploma di Perito di costume e moda presso l’Istituto d’Arte di Firenze, prosegue gli studi al Polimoda per poi conseguire la laurea in Cultura e Stilismo della Moda presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze; frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, dove diventa allievo del costumista Piero Tosi. Entra poi nella Sartoria Tirelli come assistente
costumista e accanto alla costumista premio Oscar Gabriella Pescucci, collabora per grandi produzioni quali “Sogno di una notte di mezza estate” e “La fabbrica di cioccolato”. Premi Massimo Cantini Parrini: European Film Awards per i Migliori costumi per “Dogman”; David di Donatello per “Il Racconto dei Racconti”, “Indivisibili”, “Riccardo va all’inferno” e “Pinocchio”; Nastro d’Argento per “Il Racconto dei Racconti”, “Indivisibili”, “Pinocchio” e “Favolacce”; Ciak d’Oro per “Il Racconto dei Racconti” e “Indivisibili”; Numerosi altri premi nazionali ed internazionali. Ti è piaciuto? Cosa ne pensi? Faccelo sapere nei commenti. Rispondiamo sempre. Resta aggiornato sulle nostre pubblicazioni e sulle ultime novità dal mondo del marketing e della comunicazione. Nome Cognome Email * Consenso Consentici di usare i tuoi dati Qui, se vuoi, puoi consultare la nostra Privacy Policy Iscriviti alla newsletter David di Donatello 2020: i verdetti La 65esima edizione dei David di Donatello, per intenderci i “nostri” Oscar, trasmessa dalla prima rete nazionale lo scorso 8 maggio, è stata un’edizione particolare, certamente destinata a rimanere negli annali. Anche lo stesso Carlo Conti, presentatore esemplare della serata, l’ha ripetuto più volte. Eliminati il red carpet, niente sfilate di attori, niente fotografie. Il teatro vuoto, il maxischermo
illuminato, e tutti, nominati e vincitori, collegati da casa insieme alla famiglia, con una bottiglia di champagne a portata di mano e improvvisando un’inquadratura, magari artistica con una libreria alle spalle, o i più spartani tipo Pierfrancesco Favino, con una classicheggiante parete bianca. Il David al tempo del Coronavirus è stato dunque questo, che sia piaciuto o no, era davvero il massimo che si potesse fare di questi tempi. Fortuna ha voluto che alla conduzione ci fosse un presentatore consumato, un professionista esemplare, che ha saputo dominare un’anomala situazione, gestendo i collegamenti, gli inevitabili tempi morti e i problemi di connessione di alcuni dei protagonisti. In apertura Conti, ha letto un contributo epistolare del Presidente della Repubblica Mattarella, il quale nella sua lettera di saluti, ha parlato di quanto sia fondamentale sognare; è importante, ha detto, tornare a farlo dopo questa emergenza, ed è il cinema che può guidarci. Dopo di lui, le attrici e gli attori italiani hanno dato voce a chi lavora nell’industria, ai tecnici, agli altri interpreti, a chi ogni giorno permette a un set di funzionare, a un film di essere girato, e alla macchina produttiva di mettersi in moto. C’è bisogno di sostenerli, hanno sottolineato. La serata ha vissuto su due momenti topici. Innanzitutto il David di Donatello alla carriera, conferito all’immensa FRANCA VALERI, che all’alba dei 100 anni, riceve questo prestigioso, e direi tardivo riconoscimento. Peccato non ci fosse il red carpet, perché Franca avrebbe meritato una lunga e calorosa standing-ovation reale, che il pubblico non avrebbe mancato di conferirle. Anche perché negli ultimi tre giorni, il suo nome, nelle ricerche Google, è stato uno dei più cliccati e si sono succeduti articoli dedicati alla sua figura di donna emancipata e fuori da ogni schema. E poi…e poi c’è il secondo momento topico: la serata è stata infatti dominata dal regista Marco Bellocchio e da quel film, ovvero Il traditore, che già nelle previsioni avrebbe dovuto fare man bassa di statuette, a fronte addirittura di ben 17 nominations: un vero e proprio record assoluto. Il traditore si aggiudica 6 statuette, tra cui alcune di primissima fascia, come quella al miglior film; quella al miglior regista;
e quelle attoriali conferite a Pierfrancesco Favino come miglior attore protagonista e a Luigi Lo Cascio come miglior attore non protagonista. Le altre due statuette sono state conferite a Ludovica Rampoldi, Valia Santella, Francesco Piccolo e allo stesso Bellocchio per la miglior sceneggiatura originale e a Francesca Calvelli per il miglior montaggio. Scopri la nostra rubrica dedicata al Cinema. Curiosità: lo stesso film andò in concorso alla scorsa edizione dei Nastri d’Argento, il secondo premio cinematografico nazionale, ottenendo riconoscimenti esattamente per le stesse categorie dei David, fatta eccezione per il Nastro alla migliore colonna sonora conferito a Nicola Piovani, e per l’ex-aequo nella categoria miglior attore non protagonista tra Luigi Lo Cascio e Fabrizio Ferracane. Altra curiosità: per Favino, ormai osannato come l’attore più importante del moderno cinema italiano, è il primo David di Donatello come miglior attore protagonista, ai quali ne vanno aggiunti altri due come miglior attore non protagonista e vanno almeno citati anche i 4 Nastri d’Argento vinti nel corso della sua carriera. I rimanenti premi attoriali, in pratica quelli femminili, sono andati a Jasmine Trinca, come miglior attrice protagonista per La dea fortuna, di Ferzan Ozpetek; e a Valeria Golino, che è scivolata quando è stato annunciato il suo nome, quello come miglior attrice non protagonista per 5 è il numero perfetto di Igort. Altra curiosità: Valeria Golino era candidata anche nella categoria come miglior attrice protagonista per Tutto il mio folle amore. E Matteo Garrone? Il suo Pinocchio, ha raccolto la maggior parte dei premi tecnici, tra cui miglior scenografia, migliori costumi, miglior truccatore, miglior acconciatore e miglior effetti visivi; mentre a Il primo Re è andato il premio per il miglior produttore; a Pietro Marcello e Maurizio Braucci è andato il David per la miglior sceneggiatura non originale, per il lavoro che hanno fatto su Martin Eden; e infine, per chiudere il discorso sui premi tecnici, Daniele Ciprì si è aggiudicato per Il
primo re, la statuetta alla miglior fotografia. https://www.youtube.com/watch?v=Yf7Gjk2M6tk Meritatissimo poi, il riconoscimento come miglior regista esordiente per Bangla, del giovanissimo Phaim Bhuiyan, la vera sorpresa cinematografica italiana della scorsa stagione. L’autore ci racconta la sua storia di italiano di seconda generazioni di origine bengalese in una commedia sia sentimentale che sociale. Probabilmente l’unico film degli ultimi anni in cui un’onnipresente voce fuori-campo non è invadente e fastidiosa. Funziona piuttosto da contrappunto e commento alle azioni del protagonista, il quale, a mo’ di un novello Virgilio, ci conduce fra le strade vivaci di Torpignattara, crogiuolo di razze e mestieri, quartiere di chiese e moschee, di baretti e di street art. Il film esalta la diversità e dà una stoccatina alla falange razzista del nostro paese. Il David “senza suspance” è andato invece alla coppia formata da Ficarra & Picone, per il loro film in costume Il primo Natale. Il “senza suspance” si riferisce al particolare premio assegnato al film più visto, e che dunque ha incassato di più, della scorsa stagione. Un premio che già dall’inizio dell’anno, la coppia sapeva di aver vinto. Bisogna dirlo, il David dello spettatore è in pratica la prosecuzione del prestigioso “Biglietto d’oro dell’AGIS”, che veniva annualmente assegnato dal 1947, al film più visto dell’annata solare. Dallo scorso anno è stato accorpato e fuso all’interno dei premi dei David, diventando uno dei tanti prestigiosi riconoscimenti dell’Accademia. La serata, nonostante l’edizione a distanza, è stata comunque ricca di momenti divertenti, suggestivi, commemorativi ed anche commoventi. Roberto Benigni, candidato nella cinquina per il miglior attore non protagonista con il suo Geppetto, ha fatto da mattatore e ha intrattenuto; ha scherzato («questi sono i Covid di Donatello») e s’è detto tra le categorie più colpite: «io che abbraccio, tocco e prendo in braccio tutti». Bellocchio, al momento dei ringraziamenti, è stato raggiunto dalla famiglia, e Favino, proprio alla fine, ha voluto salutare sua madre, dedicandole la vittoria. Molto suggestivi poi, i ricordi di Alberto Sordi e Federico Fellini salutati con alcuni filmati delle immense Teche Rai, con i diretti interessati ripresi a parlare e a raccontarsi. Tutti speriamo che la prossima edizione, la numero 66, sia diversa da quella che abbiamo vissuto quest’anno, sia pure riconoscendo lo sforzo enorme, che in situazione di assoluta difficoltà, hanno fatto sia la Rai che l’Accademia del Cinema Italiano. La stessa presidente, Piera Detassis, si è augurata che la prossima edizione possa segnare un ritorno alla vita per il nostro cinema e per la nostra società.
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assegnato al film uscito entro il 31 dicembre 2018 che avrà ottenuto il maggior numero di spettatori. Il direttore artistico Piera Detassis, al momento dell’annuncio alla stampa delle nominations, ha enunciato tutte le novità di un’edizione che si preannuncia innovativa, progressista, anche più internazionale se possibile. I gloriosi David alla Carriera, quelli più prestigiosi e importanti saranno assegnati al visionario e sognatore regista americano Tim Burton e al nostro Dario Argento, maestro mondiale dell’horror movie. Come per i David speciali alla carriera, anche altri premi sono stati già svelati: il David dello spettatore, assegnato al film che ha registrato più incassi al botteghino, è andato al film A casa tutti bene, opera corale di Gabriele Muccino, già vincitore del Nastro d’argento speciale a tutto il cast; il David al miglior film straniero, va a Roma di Alfonso Cuaròn, già vincitore degli Oscar come miglior film e migliore regia; il David al miglior cortometraggio, infine, è stato assegnato a Frontiera di Alessandro Di Gregorio. Tutti gli altri numerosi premi, verranno svelati la sera del 27 marzo, a fronte di una giuria numerosa che si è già pronunciata in merito. Ovviamente l’attenzione è quasi tutta concentrata sui premi principali, ovvero quelli al miglior film e alla migliore regia e ai quattro dedicati agli attori (miglior attore e miglior attrice, categorie protagonista e non protagonista). Quattro film sono presenti sia nella categoria “miglior film” che in quella dedicata alla “miglior regia”: Chiamami col tuo nome, di Luca Guadagnino; Dogman, di Matteo Garrone; Euforia, di Valeria Golino; Lazzaro felice di Alice Rohrwacher. Sulla mia pelle di Alessio Cremonini è invece presente soltanto nella categoria “miglior film”, così come Capri-revolution, di Mario Martone è presente soltanto in quella alla “miglior regia”. L’impressione, come spesso accade, è che il premio al miglior film e alla
miglior regia, andranno a combaciare nel giudizio insindacabile della giuria. Per la categoria “miglior attrice protagonista”, favoritissima la splendida Elena Sofia Ricci, per la superba interpretazione di Veronica Lario nel film Loro, di Paolo Sorrentino, già vincitrice del Nastro d’argento nella medesima categoria. Sue rivali Marianna Fontana per Capri-Revolution, Pina Turco per Il vizio della speranza, Alba Rohrwacher per Troppa grazia, Anna Foglietta per Un giorno all’improvviso. Cinquina fenomenale ed incerta anche quella al “miglior attore protagonista”: Marcello Fonte – Dogman, Riccardo Scamarcio – Euforia, Luca Marinelli – Fabrizio De André: Principe libero, Toni Servillo – Loro, Alessandro Borghi - (quest’ultimo favoritissimo). Particolare la cinquina della categoria al “miglior attore non protagonista”: dal
favorito Massimo Ghini per A casa tutti bene, ad Edoardo Pesce per Dogman, passando per l’onnipresente Valerio Mastandrea (Euforia), collezionista di premi e nominations ai David, fino al compianto Ennio Fantastichini per Fabrizio De André: Principe libero, e Fabrizio Bentivoglio per Loro. Nella stessa categoria al femminile troviamo le seguenti candidature: Donatella Finocchiaro – Capri-Revolution, Marina Confalone – Il vizio della speranza, Nicoletta Braschi – Lazzaro felice, Kasia Smutniak – Loro, Jasmine Trinca – Sulla mia pelle. Considerato anche i numerosi premi minori, precisando quel termine “minori”, come impatto mediatico e non certo per l’impegno o per le professionalità delle competenze messe in atto, a fare la parte del leone è Dogman con 15 nomination, seguito da Capri-Revolution con 13 e Chiamami col tuo nome e Loro con 12 nomination ciascuno. Tutto è pronto dunque per quella che ogni anno, tra critiche e polemiche di ogni tipo, è la serata di gala del cinema italiano, checché se ne dica, sempre vivo e pieno di fresche novità. David di Donatello 2018: i verdetti L’edizione numero 62 degli Oscar italiani, ovvero dei David di Donatello, si è tenuta in una sfarzosa serata di inizio primavera, lo scorso 21 marzo: gli “Oscar tricolore, la grande festa del cinema italiano” come avrà modo più volte di sottolineare il presentatore Carlo Conti. Una festa che premia Ammore e Malavita dei Manetti Bros, come il miglior film dell’anno, in una escalation che lo porterà a vincere altre quattro statuette. Una vittoria, quella del film dei Manetti Bros, meritata per un musical d’azione all’americana, ma girato in salsa napoletana, che davvero lascia il segno. Peraltro, è la prima volta che accade, la pellicola vincitrice del premio come miglior film, non è nella lista dei 20 maggiori incassi dell’annata, a fronte comunque di un incasso dignitoso. Segno tangibile, della qualità della giuria dei David, che non si piega al commerciale, nonché della decisione di premiare la qualità, piuttosto che la quantità. Ammore e Malavita vince comunque altre 4 statuette, tra cui quella alla Miglior attrice non protagonista, di una bella e commossa Claudia Gerini. Più che l’edizione del ritorno in Rai, questa dei 62esimi David di Donatello, rimarrà come l’edizione delle donne. Quella di Paola Cortellesi che spiega come certe parole declinate al femminile acquistano un significato sgradevole; di Jasmine Trinca che vince come miglior attrice per Fortunata, dopo aver meritatamente vinto a Cannes l’anno precedente; di Claudia Gerini che a stento riesce a trattenere l’emozione; di Stefania Sandrelli che corona «un sogno iniziato nel 1961», vincendo il David alla Carriera; di Diane Keaton che ringrazia Woody Allen per aver lanciato la sua carriera senza vergognarsene. Ma è stata anche l’edizione della “Tenerezza”, la tenerezza di un vecchio, grandissimo attore come Renato Carpentieri, che commosso ottiene non solo il David di Donatello come miglior attore
protagonista, ma anche la standing ovation del pubblico e dei colleghi presenti in sala. Alla veneranda età di 76 anni, l’attore napoletano si issa come il più anziano vincitore del premio come “miglior attore protagonista” e dice «la tenerezza è una virtù straordinaria, nella cortesia c’è un pizzico di ipocrisia, la tenerezza è così com’è», parafrasando l’omonimo film di Gianni Amelio. Momento internazionale da brividi con il David alla carriera a Steven Spielberg, che ricorda come Lina Wertmüller sia stata la prima donna mai candidata come miglior regista agli Oscar, a Diane Keaton che canta Three Coins in the Fountain senza musica. Da segnalare, inoltre, il trionfo del giovane Jonas Carpignano come miglior regista per A ciambra che ringrazia l’Accademia e fa una battuta a Pierfrancesco Favino («prima portavo il caffè e ora sei tu a portarmi qualcosa»); i quattro David a Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli e i due a Gatta Cenerentola, il primo lungometraggio di animazione ad aver ricevuto la candidatura come miglior film. Poco male, il cartone animato prodotto da Rai Cinema si porta a casa il premio per il miglior produttore e i miglior effetti speciali. A sorpresa il premio come miglior film straniero va a Dunkirk di Christopher Nolan, che beffa La La land; infine, premio del miglior film dell’Unione Europea a The square di Ruben Ostlund. David di Donatello 2018 - Le nominations Se per la notte degli Oscar ormai è conto alla rovescia, anche gli Oscar italiani, ovvero i David di Donatello, scaldano i motori. Sono stati annunciati infatti il 14 febbraio scorso le candidature per quello che è definito il premio cinematografico nazionale più importante d’Italia e d’Europa. La 63esima edizione dei David di Donatello si terrà negli studi Rai di Cinecittà, essendo stato l’evento riacquistato dalla Rai, dopo due anni di monopolio Sky. La cerimonia di premiazione, in grande stile e in diretta su Rai Uno, il 21 marzo prossimo, vedrà collegati oltre due miliardi di persone da tutto il mondo, per celebrare quello che da sempre è il secondo cinema più importante del mondo e il più
importante d’Europa, ovvero il CINEMA ITALIANO. Quella della “notte dei David” sarà come sempre una festa del cinema, che celebra non solo il presente, ma anche il passato glorioso del nostro cinema e dell’Accademia dei David. A farla da padrone nelle “cinquine” dei candidati ai vari premi è Ammore e malavita. Per la pellicola dei Manetti Bros le candidature sono ben 15 comprese quella a miglior film, miglior regia, miglior attrice non protagonista e miglior attore non protagonista, rispettivamente Claudia Gerini e Carlo Buccirosso. Grandi consensi anche per Ferzan Ozpetek ed il suo Napoli velata con 11 nomination. Completano il podio a quota 8 La tenerezza di Gianni Amelio e The Place di Paolo Genovese. Da notare anche come nella 4 categorie attoriali, invece sia Come un gatto in tangenziale di Riccardo Milani a collezionare ben 3 nominations su 4 massime (Antonio Albanese come “miglior attore protagonista”, Paola Cortellesi come “miglior attrice protagonista”, Sonia Bergamasco come “miglior attrice non protagonista”). Per il premio più ambito, quello di miglior film, concorrono: A Ciambra di Jonas Carpignano, Ammore e malavita dei Manetti Bros, il film d’animazione Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone, La tenerezza di Gianni Amelio e Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli. Similare a quella di miglior film, la categoria dedicata al miglior regista: Jonas Carpignano (A Ciambra), Manetti Bros (Ammore e malavita), Gianni Amelio (La tenerezza), Ferzan Ozpetek (Napoli Velata), Paolo Genovese (The Place).
P a o l a C o r t e l l e s i e Antonio Albanese candidati nelle categorie per miglior attore e attrice protagonista per Come un gatto in tangenziale. Grandi nomi del cinema italiano anche nelle nomination a migliore attore ed attrice protagonista. Nella prima categoria le nomination sono: Antonio Albanese per Come un gatto in tangenziale, Nicola Nocella per Easy – Un viaggio facile facile, Renato Carpentieri per La tenerezza, Alessandro Borghi per Napoli Velata, Valerio Mastrandrea per The Place. Nella seconda invece: Paola Cortellesi per Come un gatto in tangenziale, Jasmine Trinca per Fortunata, Valeria Golino per Il colore nascosto delle cose, Giovanna Mezzogiorno per Napoli Velata, Isabella Ragonese per Sole cuore amore. Rimanendo sulle categorie attoriali, di livello assoluto anche le cinquine dei migliori attori e attrici non protagonisti. Per la categoria maschile nominations per Alessandro Borghi (Fortunata), Elio Germano (La tenerezza), Peppe Barra (Napoli velata), Giuliano Montaldo (Tutto quello che vuoi) e il già nominato Carlo Buccirosso (Ammore e malavita). La categoria femminile è popolata dalle nominations di Claudia Gerini per Ammore e malavita; Sonia Bergamasco per Come un gatto in tangenziale; Micaela Ramazzotti per La tenerezza; Anna Bonaiuto per Napoli velata; Giulia Lazzarini per The place. Già assegnato oggi invece il premio al miglior cortometraggio. La giuria ha scelto Bismillah di Alessandro Grande, in una cinquina che conteneva anche Mezzanotte zero zero, del tarantino Nicola Conversa, meglio conosciuto come membro dei Nirkiop.
D o n a t o C a r r i s i sul set del film “La ragazza nella nebbia”. Nella categoria Miglior regista esordiente emerge la candidatura di Donato Carrisi e il suo La ragazza nella nebbia, grosso successo al botteghino della seconda parte dell’anno 2017. Al suo fianco Cosimo Gomez per Brutti e cattivi; Roberto De Paolis con Cuori puri; Andrea Magnani con Easy- un viaggio facile facile; Andrea De Sica con I figli della notte. Per quanto riguarda le categorie dedicate al cinema internazionale, l’equivalente italiano all’Oscar come miglior film straniero, la cinquina di assoluto livello si compone delle seguenti pellicole: Dunkirk di Christopher Nolan ; L’insulto di Ziad Doueiri; La La Land di Damien Chazelle; Loveless di Andrey Zviagyntsev; Manchester by the sea di Kenneth Lonergan. Importante anche il premio come miglior film dell’Unione Europea che vede in gara, tra gli altri, film come 12 battiti al minuto di Robin Campillo e The square di Roben Ostlund. Top secret sui premi speciali assegnati ogni anno per particolari interpretazioni degne di nota, o quelli alla carriera sui cui nomi c’è il massimo riserbo. La cerimonia di premiazione sarà presentata da Carlo Conti, volto notissimo della Prima Rete Nazionale. Appuntamento al 21 marzo allora, per quelli che sono e resteranno sempre gli “Oscar italiani”, ovvero i “David di Donatello”, l’eccellenza del nostro cinema. David di Donatello 2017: i verdetti In netto anticipo rispetto al solito, probabilmente, anzi sicuramente per ragioni di convenienza
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