CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE SULLE PROSPETTIVE DI EVOLUZIONE DELLA FIGURA DELL'INGEGNERE E DELLA SUA FORMAZIONE
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE SULLE PROSPETTIVE DI EVOLUZIONE DELLA FIGURA DELL’INGEGNERE E DELLA SUA FORMAZIONE Documento di lavoro definito dalla Commissione delegata dal Consiglio della Facoltà di Ingegneria e Architettura dell’Università di Cagliari, costituita da: Simonetta Palmas (simonetta.palmas@dimcm.unica.it), Giuseppe Mazzarella (mazzarella@unica.it), Giorgio Querzoli (querzoli@unica.it) e Corrado Zoppi (zoppi@unica.it) La Giunta della Conferenza per l’Ingegneria ha promosso una ampia discussione sull’evoluzione nei prossimi decenni della figura professionale dell’ingegnere e sulle sfide che dovrà affrontare e sulle implicazioni riguardo alla sua formazione. La discussione è stata avviata attraverso un documento che traccia in modo esaustivo le grandi linee a livello internazionale, anche riprendendo le riflessioni svolte dalle principali scuole ed istituzioni coinvolte nella formazione ingegneristica nel mondo, e propone di strutturare la discussione secondo tre assi portanti: - le professioni del futuro e le sfide per l’ingegneria, - i modelli formativi che possono supportare e accompagnare i futuri ingegneri, - la progettazione di programmi formativi adeguati e appropriati per il contesto italiano. Il presente documento si propone di portare un contributo di discussione approfondendo alcuni aspetti di questi assi nel contesto specifico della formazione dell’ingegnere in Italia. Le professioni del futuro e le sfide per l’ingegneria 1. Gestione integrata del territorio e resilienza ai cambiamenti climatici: un tema importante per la formazione professionale dell’ingegnere nel periodo che accompagna e segue l’emergenza pandemica. Tra le più significative competenze necessarie, in termini interdisciplinari, per indirizzare temi di grande rilevanza dell’Ingegneria in relazione alla gestione del territorio, in rapporto alla resilienza ai cambiamenti climatici, sono da considerare, nel breve e medio termine, la mitigazione dell’innalzamento delle temperature, l’indirizzamento delle criticità derivanti dal rischio idraulico e da frana ed i paradigmi della gestione urbana concernenti l’emergenza pandemica. Nel seguito si propongono alcune riflessioni su queste tre questioni, sottolineandone le implicazioni in chiave di percorso formativo, scientifico e tecnico, dell’ingegnere che contribuisce alla progettazione dell’assetto del territorio. A) Mitigazione dell’innalzamento delle temperature. La caratterizzazione spaziale dei fenomeni della temperatura al suolo, delle ondate di calore e delle isole di calore urbane, ed il relativo indirizzamento in termini di pianificazione 1
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura dell’uso dei suoli, comporta la messa in atto di politiche del territorio che necessitano delle competenze tecniche di diverse discipline tipiche della formazione di base e specialistica dell’ingegnere. L’impatto più rilevante sugli aumenti della temperatura al suolo è rappresentato dalle aree urbanizzate, che limitano o impediscono la circolazione dell’aria e l’impatto del raffrescamento sottovento (Oke, 1988). In queste zone, il comfort termico generato dalle aree vegetate è quasi del tutto assente (Geneletti et al., 2019). Le misure di pianificazione su microscala, volte a ridurre la temperatura al suolo in contesti urbanizzati, si basano sulla messa a dimora di alberi, sull’aumento nella dotazione di zone verdi urbane attraverso l’impianto di essenze su aree prive di verde oppure l’ampliamento di zone urbane in parte già dotate di spazi vegetati, la realizzazione di tetti e pareti “verdi”, pavimentazioni permeabili, giardini pluviali e depressioni vegetate (Geneletti et al., 2019; Palla & Gnecco, 2015; Liu et al., 2014), molto efficaci anche nel caso di eventi meteorici estremi, soprattutto in ambito urbano. Nelle zone periurbane ed extraurbane, le aree caratterizzate da agricoltura intensiva ed estensiva, e da spazi aperti, comportano impatti negativi sulla temperatura al suolo molto simili a quelli delle aree urbanizzate. Le aree ad agricoltura intensiva, seppur non impermeabilizzate, si caratterizzano per la presenza di una fitta vegetazione a bassa crescita che impedisce la circolazione dell’aria e il raffrescamento sottovento, e, pertanto, si connotano per bassi valori di comfort termico e di evapotraspirazione (Irmak, 2012). Le coperture dei suoli più efficaci nel mitigare l’aumento della temperatura al suolo sono le foreste e le aree boschive e arbustive di transizione, e le praterie naturali, garighe e vegetazione sclerofilla, grazie alla presenza della vegetazione che riduce la quantità di calore immagazzinato nel suolo attraverso la traspirazione (Youneszadeh et al., 2015). A tal fine, sarebbe auspicabile che le coperture dei suoli caratterizzate dal più basso grado di antropizzazione siano oggetto di misure mirate all’attenuazione del fenomeno del surriscaldamento. In particolare, tali misure dovrebbero sostenere le transizioni graduali da aree ad agricoltura intensiva o estensiva, oppure incolte, ad aree alberate, boschive, arbustive o forestali. Politiche basate su sistemi di incentivi per il rimboschimento riferiti alla rendita agricola rappresentano approcci di politica di piano per ridurre la temperatura al suolo nelle aree rurali. Queste misure sono sicuramente più efficaci nelle aree agricole estensive o incolte, mentre, per quelle caratterizzate da un’attività agricola intensiva, e quindi da alte rendite, questi cambiamenti d’uso del suolo sono meno praticabili (Hyytiainen et al., 2008), in quanto difficilmente un sistema di incentivi riuscirebbe a compensare la perdita di reddito. Tuttavia, in riferimento a queste aree, le amministrazioni nazionali, regionali e locali potrebbero giocare un ruolo-chiave nella individuazione delle aree potenzialmente convertibili, nella definizione delle dimensioni ottimali delle aree da convertire e per quanto riguarda la fattibilità finanziaria degli investimenti pubblici (Zavalloni et al., 2021). 2
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura B) Il rischio idraulico e geologico. I cambiamenti climatici generano impatti negativi sul ciclo integrato dell’acqua e sui fenomeni legati alla gestione delle risorse idriche. L’instabilità idraulica e geologica può essere concettualizzata come un cambiamento dei flussi naturali, superficiali e nel sottosuolo, generati dalle interazioni tra l’organizzazione spaziale delle attività legate agli insediamenti umani e questi flussi (Margottini, 2015). Quindi, l’instabilità idrogeologica causa una situazione di più o meno accentuata pericolosità per le comunità insediate, ed i relativi sistemi economici e produttivi (Trigila et al., 2018). Ad esempio, nel 2018 circa il 91% dei comuni italiani si sono caratterizzati per un’esposizione alla pericolosità da piene e da frana, ed il 16% del territorio nazionale è classificato come area ad alta pericolosità, con una popolazione di circa 1,6 milioni di persone che vivono in aree a pericolosità geologica e oltre 6 milioni che abitano in aree che fanno rilevare pericolosità idraulica (Trigila et al., 2018; Di Giovanni, 2016). Frane, piene, erosione costiera, subsidenza e valanghe sono tipici di queste zone. Glie eventi franosi caratterizzano l’instabilità dei versanti, costituiti da roccia, suolo, rinterri e riempimenti artificiali, o dall’integrazione di questi materiali, che possono cadere, scivolare, rotolare, fluire o spandersi (Cruden & Varnes 1996). La rapida espansione degli insediamenti umani, la deforestazione e l’urbanizzazione aumentano la probabilità dell’accadimento di eventi franosi (Tiranti & Cremonini, 2019). Mentre, tuttavia, per quanto riguarda il rischio idraulico sono disponibili una vasta gamma di studi e di modellizzazioni che lo mettono in relazione ai cambiamenti climatici (effetto-serra, aumento delle precipitazioni e connessioni con l’impermeabilizzazione del suolo legata all’espansioni degli insediamenti ed all’urbanizzazione), lo sviluppo di studi e modelli che associano il rischio geologico ai cambiamenti climatici è ancora a livello sperimentale (Seneviratne et al., 2012; Stoffel et al., 2014; Gariano & Guzzetti, 2016) La relazione tra la presenza di infrastrutture verdi e la mitigazione dell’instabilità idraulica è stata recentemente studiata (Zucaro & Morosini, 2018) e modellizzata tramite lo Storm water management model (Mei et al., 2018) e la Life cycle cost analysis, in termini di aiuto alla decisione, anche in relazione all’impatto positivo delle infrastrutture verdi sull’approvvigionamento idrico e sulla qualità dell’acqua erogata (Chen et al., 2015). Parimenti, è stata analizzata l’influenza della copertura vegetale e dell’uso del suolo sugli eventi franosi, in termini di numero, conseguenze ed implicazioni (Papathoma-Koehle & Glade, 2013). Benché la messa in opera di infrastrutture verdi costituite da sequenze di aree naturali e seminaturali sia molto efficace nel mitigare o neutralizzare la pericolosità idrogeologica, l’utilizzo di questi strumenti spaziali è, in termini tecnico-applicativi, ancora piuttosto difficile, data la complessità della progettazione, tipicamente interdisciplinare, i costi economici e gli oneri finanziari (Caparrós-Martínez et al., 2020, Commissione Europea, 2013). Non vi è dubbio che, nella valutazione della fattibilità tecnica ed economica di un’infrastruttura verde, si ponga la necessità di modelli controfattuali. L’implementazione di questa modellistica implica la disponibilità di basi di dati territoriali complesse e costose, sia dal punto di vista finanziario che temporale (Palmer et al., 2015). 3
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura C) Pianificazione urbana e pandemia. La pianificazione della città che segue, o seguirà, la conclusione dell’emergenza pandemica pone all’attenzione dei tecnici del territorio diverse problematiche, di cui quelle che seguono sono una parte importante. La grande distribuzione. Nel prossimo futuro il paradigma dei grandi shopping center, non sarà più proponibile: l’alta concentrazione di persone e di merci ed il loro configurarsi come luoghi in cui le attività del tempo libero e la socializzazione trovano una delle loro espressioni più significative, non potrà essere accettato. Bisognerà riprogettare gli spazi della socializzazione legati alla vendita al dettaglio, evitando la concentrazione ed il sovraffollamento. (Vedi per esempio: New South Wales Stadia Strategy (NSW Government, Office of Communities, 2012) ed il nuovo stadio del Cagliari Calcio (Balletto & Borruso, 2019)). I centri storici e i centri degli affari. Secondo Jacobs (1961, p. 36): “[T]here must be eyes upon the street, eyes belonging to those we might call the natural proprietors of the street. The buildings on a street equipped to handle strangers and to insure the safety of both residents and strangers, must be oriented to the street. They cannot turn their backs or blank sides on it and leave it blind ”. Condizioni fondamentali, che rendono operativo questo controllo nelle zone centrali delle città, sono l’uso differenziato dello spazio pubblico e l’alta densità dei fruitori di queste zone nei diversi momenti della giornata (Carmona, 2015). Anche l’idea dei centri degli affari e dei centri storici come luoghi sicuri, in quanto soggetti ad un controllo sociale continuo da parte degli utenti dello spazio urbano, viene messa in discussione dalle nuove condizioni di distanziamento sociale che caratterizzano il periodo pandemico e post-pandemico. I centri degli affari ed i centri storici potrebbero perdere la loro caratterizzazione di poli di attrazione connotati da un elevato grado di sicurezza, così, ad esempio, la Quinta Avenue (Birch, 1996), Boston North End (Jones et al., 2019), il Centro Storico di Roma (Clough Marinaro & Solimene, 2020; City of Rome, 2018; Coppola et al., 2014), Milano Duomo-San Babila (Bonfante & Pallini, 2014), Firenze Duomo-Signoria (Alberti & Paloscia, 2018), le Ramblas (Urbano, 2015; Casellas, 2009), ecc. L’illusione della Radiant Garden City Beautiful di Jacobs (1961) viene meno. La riduzione delle catene dell’offerta alimentare. Le catene dell’offerta mostrano difficoltà di funzionamento perché: si tende ad acquistare di più e ad avere scorte alimentari per la paura dei momenti di carenza di offerta e per la necessità di minimizzare la presenza nei supermercati (il “Just in time” non funziona più e c’è la necessità di aumentare le scorte domestiche); il lavoro “agile” porta ad aumentare la domanda di alimenti da preparare e consumare a casa, perché a casa si consumano più pasti durante la giornata. L’accorciamento delle catene dell’offerta alimentare porta ad un avvicinamento dei luoghi della produzione ai luoghi del consumo, con un evidente aumento della qualità di quanto si 4
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura consuma. Allo stesso tempo, aumenta il costo medio del cibo, con conseguente rischio per la popolazione a reddito più basso. La produzione alimentare può avvenire attraverso canali alternativi, quali orti urbani, orti comunitari, roofgardens, tetti verdi, ed agricoltura urbana. L’approccio basato sull’agricoltura urbana offre una vasta gamma di servizi ecosistemici, tra i quali la purificazione dell’aria, lo stoccaggio dell’anidride carbonica, la riduzione dell’inquinamento da rumore, i benefici effetti psicologici derivanti dalla disponibilità di spazi urbani all’aria aperta per il riposo e dall’esercizio dell’attività agricola nel tempo libero. Modalità di trasporto: molte alternative e moltissimi dubbi. Il trasporto pubblico collettivo, quale modalità principale per gli spostamenti (lavoro, studio, tempo libero) che punta ad operare in condizioni di domanda in equilibrio con l’offerta, cioè a piena capacità, nelle ore di punta, è in contrasto con il paradigma del distanziamento sociale. Le alternative da tenere presenti sono tante e, in questo momento, difficilmente rappresentabili in termini di modelli di integrazione sistematica. Diminuisce la domanda di trasporto pubblico collettivo da parte dei lavoratori che operano in modalità di lavoro agile. Aumenta l’utilizzo del mezzo proprio. Per tragitti brevi, si prediligono gli spostamenti a piedi, in bicicletta con o senza pedalata assistita, scooter a benzina o elettrico, monopattino elettrico. È evidente come la combinazione di questi mezzi di spostamento costituisca un’ulteriore possibilità per effettuare gli spostamenti in sicurezza. Le implicazioni di tutto questo sulla progettazione dello spazio pubblico sono evidenti e non facilmente integrabili nei contesti urbani attuali. Gli impatti sull’inquinamento atmosferico sono, pure, ancora da studiare in termini sistematici. Aspetti positivi e criticità della gestione del territorio durante e dopo l’emergenza pandemica. Effetti positivi di breve periodo: diminuzione del consumo di energia, delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento atmosferico. Nel medio lungo termine: per mitigare gli effetti della devastante crisi economica del periodo pandemico e post-pandemico non è escluso un massiccio investimento nella produzione industriale, senza tenere in gran conto le catene produttive che generano pesanti impatti in termini di inquinamento atmosferico (free riding). L’estensione della elettrificazione dei trasporti sarà fondamentale nell’ambito della decarbonizzazione del sistema della mobilità sostenibile. Infine, vanno considerate le questioni dell’urbanizzazione diffusa, della riorganizzazione del sistema dei trasporti, dell’aumento del consumo di suolo e degli effetti di lungo periodo sull’aumento della temperatura al suolo. Al momento, alcuni punti chiave restano in dubbio: Le politiche orientate alla rigenerazione dei tessuti storici delle città segneranno il passo, ma, ci chiediamo: gli investimenti per la 5
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura rigenerazione urbana saranno diretti ad altri contesti, ad esempio ad un’espansione urbana estensiva, con l’interessamento dei territori rurali e periurbani? Una più equilibrata e meno centralizzata distribuzione delle attività residenziali, lavorative e legate ai servizi pubblici, condurrà l’assetto urbano e periurbano a configurarsi come un sistema territoriale policentrico, con piccoli insediamenti? tipo una rete di villaggi? Quali saranno gli impatti generati dalla nuova organizzazione reticolare ed estensiva degli insediamenti sul territorio in termini di consumo di suolo, di capacità di sequestro e stoccaggio di carbonio, di innalzamento della temperatura, e di sistema dei trasporti? Come tenere conto, nei processi di gestione del territorio e nella definizione delle prassi di pianificazione, dell’oggettiva necessità dell’accorciamento delle catene della produzione e dell’offerta alimentare? Ci saranno net gainer e net loser? In che modo si terrà conto delle produzioni agricole urbane e del loro impatto sulla qualità urbana? I precedenti punti non potranno inoltre esulare da un altro fondamentale requisito legato alla transizione energetica e alla neutralità climatica D) Neutralità climatica e transizione energetica Già dal 2018 L’Europa si è lanciata in una sfida ardua, candidandosi a diventare entro il 2050 il primo continente al mondo a neutralità climatica. L’idrogeno verde sarà uno degli elementi chiave della transizione energetica e l’Europa dovrà fare da guida. Per farlo sarà necessario compiere scelte coraggiose, scommettendo e investendo su un sistema energetico integrato e più efficiente. La sostituzione dei combustibili fossili, l’uso dell’idrogeno come vettore energetico, lo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile, la mobilità a zero emissioni, saranno punti chiave per il raggiungimento di un tale ambizioso obbiettivo. In particolare, la possibilità di sfruttare le fonti di energia rinnovabile per la produzione di elettricità potrà guidare verso l’elettrificazione dei sistemi industriali ed ambientali, riducendo le emissioni di gas climalteranti, e migliorando la qualità dell’aria soprattutto in aree densamente popolate (la scarsa qualità dell’aria è il principale problema sanitario e ambientale in Europa). L’elettrificazione dei trasporti, del residenziale e del terziario insieme allo sviluppo di tecnologie di produzione da fonti di energia rinnovabile sarà quindi determinante per raggiungere gli obiettivi UE a breve e medio-lungo termine in materia di qualità dell’aria. L’idrogeno verde insieme ai cosidetti e-fuel, combustibili sintetici climate-friendly derivati da processi di elettrolisi alimentati da energia elettrica rinnovabile, saranno inoltre fondamentali per il processo di elettrificazione indiretta nei settori in cui la sostituzione dei combustibili fossili non è economicamente conveniente (ad es. per le applicazioni dell’industria pesante, nella navigazione e nell’aviazione). L’Italia è ben posizionata nella produzione di tecnologie connesse alla produzione di idrogeno verde, in particolare gli elettrolizzatori e i componenti ausiliari per processo produttivo, con una quota del 25,2% sul totale UE, seconda solo alla Germania. Lo scenario attuale indicherebbe un livello di penetrazione dell’idrogeno che si può stimare al 23% al 6
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura 2050. Tuttavia, non siamo ancora ai livelli richiesti dai vari programmi, né in termini di produzione di H2 né di sfruttamento delle energie rinnovabili e, al momento, esistono ancora diverse barriere tecnologiche da abbattere nel campo della produzione dell’H2 verde. Comunque, il tessuto produttivo europeo e il sistema educativo e di ricerca hanno ottime condizioni per fare del continente un leader mondiale nella tecnologia e nella produzione dell'idrogeno. Da queste basi si potrà partire per fare i cambiamenti necessari ad ottimizzare i percorsi formativi degli ingegneri. E) Le competenze scientifiche, tecniche e professionali dell’ingegnere in relazione alla resilienza ai cambiamenti climatici ed al recupero rispetto alla crisi generata dall’emergenza pandemica Il quadro, certamente parziale e non strutturalmente sistematico delineato sopra, descrive un sistema di competenze che sono proprie delle discipline ingegneristiche applicate alla transizione energetica, alla decarbonizzazione del sistema industriale ed energetico, nonché alla gestione ed alla pianificazione del territorio, ed al governo dei fenomeni urbani. Una prima conclusione è che il sistema di competenze tecniche dell’ingegneria non si identifica con un’unica figura professionale, ma, piuttosto, configura la necessità di un approccio interdisciplinare in cui più figure professionali giocano ruoli diversi e complementari. Le competenze, tutte necessarie e, quindi, da integrare, nei processi di definizione delle politiche, dei piani e dei progetti, si identificano, in termini esemplificativi, dalla discussione proposta in questa sezione. Le competenze dell’ingegneria idraulica e delle costruzioni idrauliche, della difesa del suolo e delle georisorse, si integrano nella caratterizzazione relativa al rischio idraulico e geologico, e necessitano dell’integrazione delle scienze geologiche e pedologiche; queste stesse competenze si integrano con quelle della pianificazione urbana e dell’ambiente naturale, dell’ecologia e della botanica, per la gestione degli usi dei suoli e dell’organizzazione degli insediamenti residenziali, naturali, terziari e delle attività ricreative. L’ingegneria dei trasporti, dell’organizzazione delle reti della grande distribuzione, della pianificazione dei centri storici e della rigenerazione urbana, e lo studio e la conoscenza delle dinamiche dei gusti in materia di alimentazione, e delle prassi e delle modalità dell’abitare e dei servizi alla popolazione ed alle imprese, sono altre questioni centrali e significative della gestione del territorio nel periodo pandemico e post- pandemico. Questo quadro si alimenta, inoltre, attraverso le competenze fondamentali delle discipline ingegneristiche concernenti i sistemi di analisi territoriale e di monitoraggio, la gestione dei sistemi informativi, dei big data, dell’informatizzazione dell’offerta e della gestione dei servizi e del telerilevamento, della produzione e della distribuzione dell’energia, anche con riferimento all’efficientamento energetico, alle fonti di energia rinnovabili ed alle problematiche legate alle emissioni di gas climalteranti negli edifici civili ed industriali, che trovano un’espressione tecnica rilevante nelle categorie concettuali della smart city e del paesaggio come fenomenologia della natura e della storia. Il problema del raggiungimento della neutralità climatica, unitamente al processo di elettrificazione del sistema di industriale e dei trasporti richiederanno una trasversalità di 7
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura competenze di tutto il settore ingegneristico (industriale e civile/ambientale) per consentire la formazione di personale attivo nei settori di power to H2, e power to fuel, che saranno alla base della produzione e dello stoccaggio dell’energia. La formazione tecnica e professionale dell’ingegneria della gestione del territorio si articola su due livelli: la capacità di comprendere e gestire i processi complessi che la gestione del territorio implica, e le competenze per contribuire alla pianificazione, progettazione e gestione di questi processi. Il percorso formativo dell’ingegnere comporta, quindi, una formazione generalista, in cui acquisisce, in termini trasversali, le conoscenze di base che riguardano i diversi campi disciplinari coinvolti e sopra richiamati, ed in particolare, quale competenza trasversale fondamentale, la capacità di lavorare in team per pianificare, progettare e gestire i processi complessi. La formazione tecnica specialistica accompagna la formazione generalista, ed è caratterizzata da continui richiami alla necessità dell’integrazione dei saperi. La figura dell’ingegnere, necessita della costruzione di percorsi di apprendimento interdisciplinari, di cui momento fondamentale è costituito da percorsi didattici in cui studentesse e studenti sperimentano la costruzione interdisciplinare della pianificazione, progettazione e gestione dei processi territoriali attraverso il lavoro organizzato in team. Riferimenti bibliografici Alberti, F. & Paloscia, R. (2018). Florence and the river: new urban perspectives. International Journal of Engineering & Technology, 7(1.4), 47–53. https://doi.org/10.14419/ijet.v7i1.4.9201 Balletto, G. & Borruso, G. (2019). Sport in the city. Football games without frontiers. The case of the Cagliari stadium. Agribusiness Paesaggio & Ambiente, 22(2), 121–128. Birch, E.L. (1996). Planning in a world city: New York and its communities. Journal of the American Planning Association, 62(4), 442–459. https://doi.org/10.1080/01944369608975711 Bonfante, F. & Pallini, C. (2014). The role of a historic townscape in city reconstruction. In J. Pendlebury, E. Erten & P.J. Larkham, Alternative visions of post-war reconstruction. Creating the modern townscape, pp. 142-160, New York, NY, United States and London, United Kingdom: Routledge. Caparrós-Martínez, J.L., Milán-García, J., Rueda-López, N., & de Pablo-Valenciano, J. (2020). Green infrastructure and water: An analysis of global research. Water, 12(6, 1760), 25 pp. https://doi.org/10.3390/w12061760 Carmona, M. (2015). Re-theorising contemporary public space: a new narrative and a new normative. Journal of Urbanism: International Research on Placemaking and Urban Sustainability, 8(4), 373–405. https://doi.org/10.1080/17549175.2014.909518 Casellas, A. (2009). Barcelona’s urban landscape. The historical making of a tourist product. Journal of Urban History, 35(6), 815–832. https://doi.org/10.1177/0096144209339557 Chen, J., Liu, Y., Gitau, M.W., Engel, B.A., Flanagan, D.C., & Harbor J.M. (2019). Evaluation of the effectiveness of green infrastructure on hydrology and water quality in a combined sewer overflow community. Science of The Total Environment, 665, 69–79. https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2019.01.416 City of Rome (2018). Rome resilience strategy. Rome, Italy: City of Rome - Retrieved from: https://www.100resilientcities.org/wp- content/uploads/2018/06/Rome-Resilience-Strategy-ENG-PDF-2.pdf Clough Marinaro, I. & Solimene, M. (2020). Navigating the (in)formal city: Roma, urban life and governance in Rome. Cities, 96 (102402), 6 pp. https://doi.org/10.1016/j.cities.2019.102402 Commissione Europea (2013). Green infrastructure (GI)—Enhancing Europe’s natural capital. Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions - Retrieved from: https://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:d41348f2-01d5-4abe-b817-4c73e6f1b2df.0014.03/DOC_1&format=PDF Coppola, P., Angiello, G., Carpentieri, G. & Papa, E. (2014). Urban form and sustainability: the case study of Rome. Procedia: Social & Behavioral Sciences, 160, 557–566. http://doi.org/10.1016/j.sbspro.2014.12.169 Cruden, D.M., & Varnes, D.J. (1996). Landslide types and processes. In: Turner, A.K., & Schuster, R.L. (Eds.). Landslides: investigation and mitigation. Transportation Research Board Special Report no. 247, pp. 36–75. Washington DC, United States: National Academy Press. 8
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura Di Giovanni, G. (2016). Città a rischio: stato del sistema urbanistico italiano nella riduzione dei rischi sismici e idrogeologici. TeMA - Journal of Land Use, Mobility and Environment, 9 (1), 43–62. https://doi.org/10.6092/1970-9870/3726 Gariano, S.L., & Guzzetti, F. (2016). Landslides in a changing climate. Earth-Science Reviews, 162, 227–252. https://doi.org/10.1016/j.earscirev.2016.08.011 Geneletti, D., Cortinovis, C., Zardo, L., & Adem Esmail, B. (2019). Planning for Ecosystem Services in Cities. Dordrecht, Germany: Springer. https://doi.org/10.1007/978-3-030-20024-4 https://digitalcommons.calpoly.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=1323&context=focus Hyytiainen, K., Leppanen, J., & Pahkasalo, T. (2008). Economic analysis of field afforestation and forest clearance for cultivation in Finland. In Proceedings of the International Congress of European Association of Agricultural Economists, Ghent, Belgium, 26–29 August 2008. https://doi.org/10.22004/ag.econ.44178 Irmak, A. (Ed.) (2012). Remote Sensing and Modeling. London, United Kingdom: IntechOpen. https://doi.org/10.5772/725 Jacobs, J. (1961). The death and life of great American cities, New York, NY, United States: Random House. Jones, C., Lee, J.Y. & Lee, T. (2019). Institutionalizing place: Materiality and meaning in Boston’s North End. In P. Haack, J. Sieweke & L. Wessel (Eds.) Microfoundations of Institutions, Research in the Sociology of Organizations, Vol. 65B, pp. 211–239, Somerville, MA, United States: Emerald Publishing Limited. https://doi.org/10.1108/S0733-558X2019000065B016 Liu, W., Chen, W., & Peng, C. (2014). Assessing the effectiveness of green infrastructures on urban flooding reduction: A community scale study. Ecological Modelling, 291, 6–14. https://doi.org/10.1016/j.ecolmodel.2014.07.012 Margottini, C. (2015). Un contributo per gli “Stati Generali dei cambiamenti climatici e l’arte della difesa del territorio” [A contribution to “General States of climate change and soil defense”] – Retrieved from: https://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/italiasicura/114Contributodisses.pdf Mei, C., Liu, J., Wang, H., Yang, Z., Ding, X., & Shao, W. (2018). Integrated assessments of green infrastructure for flood mitigation to support robust decision-making for sponge city construction in an urbanized watershed. Science of the Total Environment, 639, 1394–1407. https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2018.05.199 NSW Government, Office of Communities (2012). Stadia strategy, Sydney, Australia: NSW Government, Office of Communities - Retrieved from: https://sportandrecreation.nsw.gov.au/sites/default/files/nsw_stadia_strategy_2012_0.pdf Oke, T.R. (1988). The urban energy balance. Progress in Physical Geography: Earth and Environment , 12 (4), 471–508. https://doi.org/10.1177/030913338801200401 Palla, A., & Gnecco, I. (2015). Hydrologic modeling of low impact development systems at the urban catchment scale. Journal of Hydrology, 528, 361–368. http://dx.doi.org/10.1016/j.jhydrol.2015.06.050 Palmer, M., Liu, J., Matthews, J., Mumba, M., & D’Odorico, P. (2015). Water security: Gray or green? Science, 349(6248), 584–585. Papathoma-Köhle, M., & Glade, T. (2013). The role of vegetation cover change for landslide hazard and risk. In: Renaud, G., Sudmeier-Rieux, K., & Marisol, E. (Eds.). The Role of Ecosystems in Disaster Risk Reduction, pp. 293–320. Tokyo: UNU-Press. Seneviratne, S.I., Nicholls, N., Easterling, D., Goodess, C.M., Kanae, S., Kossin, J., Luo, Y., Marengo, J., McInnes, K., Rahimi, M., Reichstein, M., Sorteberg, A., Vera, C., & and Zhang, X. (2012). Changes in climate extremes and their impacts on the natural physical environment. In: Field, C.B., Barros, V., Stocker, T.F., Qin, D., Dokken, D.J., Ebi, K.L., Mastrandrea, M.D., Mach, K.J., Plattner, G.-K., Allen, S.K., Tignor, M., & and Midgley P.M. (Eds.). Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation. A Special Report of Working Groups I and II of the Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) , pp. 109-230. Cambridge, United Kingdom: Cambridge University Press - Retrieved from: https://www.ipcc.ch/site/assets/uploads/2018/03/SREX-Chap3_FINAL-1.pdf Stoffel, M., Tiranti, D., & Huggel, C. (2014). Climate change impacts on mass movements – Case studies from the European Alps. Science of the Total Environment, 493, 1255–1266. https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2014.02.102 Tiranti, D., & Cremonini, R. (2019). Editorial: Landslide hazard in a changing environment. Frontiers in Earth Science, 7, 3 pp. https://doi.org/10.3389/feart.2019.00003 Trigila, A., Iadanza, C., Bussettini, M., & Lastoria, B. (2018). Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio - Edizione 2018. ISPRA, Rapporti 287/2018 [Hydrogeological instability in Italy: danger and risk indicators – 2018 Edition. ISPRA Reports no. 287/2018]. Rome, Italy: ISPRA - Retrieved from: https://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/dissesto-idrogeologico-in-italia- pericolosita-e-indicatori-di-rischio-edizione-2018 Urbano, J. (2015). The Cerdà plan for the expansion of Barcelona: A model for modern city planning. Focus. The Journal of Planning Practice and Education, 12(1), 47–51. Youneszadeh, S., Amiri, N., & Pilesjo, P. (2015). The effect of land use change on land surface temperature in the Netherlands. In Proceedings of the International Conference on Sensors & Models in Remote Sensing & Photogrammetry, Kish Island, Iran, 23–25 November 2015, Volume 41, pp. 745–748. https://doi.org/10.5194/isprsarchives-XL-1-W5-745-2015, 2015 Zavalloni, M., D’Alberto, R., Raggi, M., & Viaggi, D. (2021). Farmland abandonment, public goods and the CAP in a marginal area of Italy. Land Use Policy, 107 (104365). https://doi.org/10.1016/j.landusepol.2019.104365 Zucaro, F., & Morosini, R. (2018). Sustainable land use and climate adaptation: a review of European local plans. TeMA - Journal of Land Use, Mobility and Environment. 9
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura La progettazione di programmi formativi adeguati e appropriati per il contesto italiano Una riflessione su come strutturare gli studi di Ingegneria nei prossimi venti anni, e sui contenuti che stanno diventando, o che diventeranno necessari in questo periodo, ha due aspetti: uno sostanziale, sui contenuti, e uno formale. Il primo è ampiamente trattato nel position paper. Per quanto riguarda l'aspetto formale, i documenti citati nel position paper, di scuola anglosassone o vicini a questa, danno poco supporto. Troppo diverse sono le normative, e anche i vincoli posti dal processo di Bologna e da come questo è stato recepito nell'ordinamento italiano. Conviene quindi partire da quella che, a breve potrebbe (forse dovrebbe) essere la configurazione degli studi di ingegneria in Italia, mostrata in figura. Un primo punto critico è l’esistenza, all'uscita della scuola superiore, di tre percorsi: laurea triennale (LT); laurea a orientamento professionale (LOP); Istruzione tecnica superiore (ITS). notando che, per quest'ultima, "Le competenze in esito ai percorsi ITS della durata di sei semestri sono riferibili al VI livello del Quadro Europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (EQF)." [Sito MIUR su ITS]. Livello che è lo stesso delle lauree (sia LOP, sia LT). Si rende quindi urgente definire con chiarezza ruolo e funzioni dei diversi percorsi in relazione ai loro sbocchi lavorativi nei diversi ambiti del sistema produttivo. Il chiarimento è necessario a definire con precisione gli obiettivi formativi dei diversi percorsi, permetterà una più efficacie azione di orientamento sia in ingresso che in uscita, ed eviterà inutili 10
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura inefficienze e doppioni nel sistema dell’alta formazione. Analoghe considerazioni vanno fatte per i vari tipi di formazione post-lauream di primo e socondo livello (master e dottorati) di cui si accennerà nel seguito. La discussione dovrebbe vedere coinvolti i rappresentanti del sistema produttivo attraverso il coinvolgimento delle associazioni imprenditoriali e degli ordini professionali. La normativa sugli ITS è in fase di modifica legislativa, e diversi punti possono essere critici per le scuole di Ingegneria: verranno erogati da "accademie per l’istruzione tecnica superiore "; hanno lo scopo di "sostenere ... l'aggiornamento e la formazione in servizio dei docenti di discipline scientifiche, tecnologiche e tecnico-professionali della scuola"; nella struttura di gestione dovrà esserci un Dipartimento Universitario, oppure un ente di ricerca pubblico o privato; Nella definizione delle aree disciplinari nessun ruolo spetta al Ministero dell'Università; sono previsti accordi con il sistema Universitario, che definiscono (oltre alla spendibilità dei crediti ITS nei corsi di laurea a indirizzo professionale, il che mi pare del tutto condivisibile) anche "le modalità per ... sostenere, attraverso l’adozione di tabelle nazionali di corrispondenza, il riconoscimento dei crediti acquisiti dai diplomati degli ITS Academy ... ai fini dell’eventuale prosecuzione degli studi in percorsi di laurea. ". Di conseguenza, i due percorsi triennali (LOP e LT) vanno ripensati, e in tempi più brevi dell'orizzonte 2040, per tener conto di questa mutata situazione. Il che vuol dire, anche, che le LT potrebbero dover avere, al loro interno, una struttura ad Y con un ramo pensato per il proseguimento verso la LM (oppure verso master con taglio più generale, ad es., economico) e uno pensato per una uscita verso il mondo del lavoro, in posizioni di media responsabilità, eventualmente dopo un master di approfondimento tecnico in un ambito specifico. Con la possibilità, per i laureati di questo ramo della Y, di proseguire verso una LM col superamento di due-tre corsi singoli (o di un master). Mentre le LOP devono essere molto integrate col mondo produttivo. Il loro asset principale è la richiesta della EU di una laurea per fare attività professionale. E questo va sfruttato cercando di spingere le ITS Academy a costruire essenzialmente persorsi biennali. Il tutto sempre che la EU non richieda, invece, per fare attività professionale, un diploma che sia semplicemente al VI livello del Quadro Europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (EQF). In tal caso la concorrenza degli ITS diventerebbe molto più forte. Va infine notato che in molte professioni ingegneristiche (soprattutto relative alle lauree dell'area 9) già ora non occorre una iscrizione all'albo. E per esse la concorrenza degli ITS sarà comunque significativa. Proprio i master di I livello dovrebbero, a questo punto, essere un punto qualificante del primo livello universitario. Master che dovrebbero essere organizzati in collaborazione con aziende o ordini professionali, i quali devono fornire anche docenza qualificata, ospitalità di tirocinanti e, se necessario, laboratori. 11
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura Uno dei problemi del raccordo tra Università e mondo del lavoro è proprio la elevata costante di tempo delle modifiche alla formazione universitaria. Mentre i master (soprattutto se le regole interne alle varie sedi lo agevolano) possono essere modificati con notevole rapidità, in modo da fornire le competenze necessarie alle aziende in tempi compatibili con le loro esigenze. Naturalmente i master dovrebbero dipendere dal titolo richiesto per l'ammissione. Un master per LT (di cui va comunque approfondita la utilità) dovrebbe avere una formazione molto specializzata ma con contenuti anche di tipo formativo (con un taglio simile ai vecchi corsi di terzo anno della laurea quinquennale) sempre legati all'argomento del master. Master per LOP devono invece essere centrati sul binomio conoscenze-abilità, in modo da fornire una formazione sempre legata alla applicazione pratica ma più concettuale (dopo questo tipo di master, il laureato LOP dovrebbe sapere che in una procedura ci possono essere punti critici, e sapere a chi chiedere per esaminarli, senza essere in grado di risolverli in proprio). A questo punto la LM può essere ripensata come la seconda parte di un percorso di cinque anni, e in cui possono (forse debbono) trovare spazio contenuti interdisciplinari. A valle della LM1, una formazione di livello ancora più alto e taglio "aziendale" può essere perseguita utilizzando le varie forme di dottorato (industriale, innovativo, in apprendistato) previste dalle ultime norme. Tenendo conto che solo un ridotto numero di laureati può accedervi, ma d'altra parte le posizioni lavorative di questo tipo sono (stante la ridotta propensione all’innovazione delle aziende italiane) abbastanza ridotte, nonostante il PNRR si ponga come obiettivo l'aumento di domanda e offerta di lavoro con questa qualificazione. L'ultima parte di queste considerazioni riguardano la interdisciplinarietà e la multidisciplinarietà (e coinvolge anche il discorso sui Master di II livello). I due termini, nonostante siano spesso confusi, sono profondamente diversi. La formazione ingegneristica non può che essere interdisciplinare, nel senso che, per un qualunque progetto, è impossibile non avere almeno qualche conoscenza di ambiti diversi da quello proprio del progetto. Conoscenze che servono a dialogare con gli specialisti degli altri settori, avendo almeno un linguaggio comune e una idea delle possibilità e limitazioni degli altri ambiti. Le lauree di base sono per loro natura ad ampio spettro e quindi interdisciplinari, ma lo sviluppo di questa conoscenza deve essere una attività portante anche nelle Lauree Magistrali. Un corso multidisciplinare è invece un corso di studi in cui si vuole costruire una figura professionale intermedia tra due ambiti. Un esempio attuale (anche se non completamente pertinente) sono i corsi di studio "Medicina+Ing. Biomedica". Questi corsi possono avere due configurazioni: 1. corsi in cui i due ambiti hanno peso simile e contenuti non eccessivamente legati all'altro ambito; 1 Ovviamente, a valle della LM deve esistere anche un percorso di approfondimento di tipo scientifico, che è il Dottorato di Ricerca. Ma questo punto esula da queste considerazioni. 12
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura 2. corsi in cui si sviluppa uno dei due ambiti in maniera sostanzialmente equivalente a corso monodisciplinari, e dell'altro si sviluppano, in dettaglio, solo quegli aspetti di interesse del "major". Il primo caso è, a mio avviso, quello relativo alla classe di LM in "Data Science", mentre non è più (a causa della divisione) quella in "Scienze e ing. dei Materiali", che però, volendo, potrebbe essere (forse) recuperata da una LM interclasse. Il secondo caso è quello dei corsi (già attivi o in fase di attivazione) di "Medicina+Ing. Biomedica". Ma può essere anche il modello per le scuole di Ingegneria, sia all'interno di LM (usando opportunamente gli indirizzi), sia utilizzando i corsi di Master di II livello. 13
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura I modelli formativi che possono supportare e accompagnare i futuri ingegneri Il contesto Per delineare quali dovranno essere gli elementi salienti della formazione ingegneristica nei prossimi decenni è innanzitutto è importante identificare le mutazioni di contesto già avvenute o in via di svolgimento e alle quali dovranno essere date risposte. Queste possono essere classificate in: i) variazioni delle condizioni generali in cui si svolgono le attività antropiche (e.g. i cambiamenti climatici); ii) evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche (e.g. la scienza e tecnologia della trasmissione e trattamento dei dati); iii) l’evoluzione del modello formativo dell’ingegnere nell’Università italiana (e.g. in conseguenza dell’avvicendarsi delle norme sui percorsi di laurea). Dalle prime due emergono nuove domande a cui la figura dell’ingegnere è chiamata a dare risposte, e questo è un ulteriore elemento di cui si dovrà tener conto nel progettare la formazione. Inoltre, va tenuto conto che lo scenario di riferimento è, e sarà, in continua evoluzione, quindi una delle caratteristiche dei futuri ingegneri dovrà essere la capacità di adattamento positivo ai cambiamenti. Va tenuto conto che la struttura del modello formativo plasma i mezzi cognitivi dell’individuo dotandolo (o meno) degli strumenti per analizzare razionalmente problemi mai affrontati prima, e concepire e strutturare idee nuove. Per questo motivo, è sulla struttura del modello formativo che bisogna puntare per garantire sia la capacità di adattamento, sia le qualità indicate nel documento Ingegneria2040 come la creatività (fantasia, curiosità) e l’interdisciplinarità (capacità di collegare conoscenze e metodi provenienti da ambiti molto diversi). Le conoscenze trasversali Le variazioni delle condizioni generali in cui si svolgono le attività antropiche e l’evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche disponibili richiedono che il bagaglio di conoscenze trasversali di cui è dotato ogni ingegnere sia aggiornato. 1. Interazione con l’ambiente. Il pressante calendario dettato dall’Unione Europea per arrivare alla neutralità climatica nel 2050 fa sì che ogni attività imprenditoriale, industriale, e tecnologica dovrà, nei prossimi decenni, essere considerata nel quadro della transizione ecologica. Ogni ingegnere dovrà quindi essere in grado di capire lo sviluppo del sistema ambientale, inteso come sistema dinamico complesso non lineare e l'impatto delle tecnologie e delle opere sul sistema ambientale, e comprendere la dinamica. 14
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura Per far questo, sarà necessario che ogni ingegnere abbia un insieme di conoscenze che non padroneggia a livello specialistico, ma delle quali può essere fruitore consapevole: - dovrà padroneggiare concetti come: climate-change, neutralità climatica; transizione energetica, ecc., - capire e conoscere i fenomeni non-lineari e la dinamica dei sistemi complessi; - capire e conoscere concetti come quelli di sostenibilità, resilienza, analisi del ciclo di vita (LCA). 2. Scienza e tecnologia dell’informazione. In questi anni stiamo osservando lo sviluppo di alcune tecnologie la cui interazione sinergica sta avendo un effetto dirompente: - sensori a basso costo e interconnessi che consentono il monitoraggio distribuito in quasi tutti gli ambiti tecnologici; - tecnologie di telecomunicazione che consentono di mettere in rete questi sensori in modo continuo e più in generale di acquisire informazioni in grande quantità su moltissimi sistemi e infrastrutture; - tecnologie dell'informazione, come l'intelligenza artificiale e il deep learning, che consentono di gestire ed interpretare le grandi quantità di dati che sono rese disponibili. L'applicazione di queste tecnologie coinvolge profondamente tutti gli ambiti professionali. Stiamo passando da una stagione nella quale era possibile l’acquisizione di pochi dati sporadici nello spazio e/o nel tempo a una stagione nella quale ogni sistema, ogni opera ingegneristica, è in grado di fornire un continuo flusso di dati che ne descrive lo stato in modo dettagliato. Di conseguenza l'approccio ingegneristico ai problemi si è spostato dallo sviluppo e utilizzo di complessi modelli prognostici, in grado di fornire il quadro completo sulla base di poca informazione, allo sviluppo e utilizzo di tecnologie di analisi dei dati per estrarre l’informazione significativa in forma sintetica dall’enorme mole di dati disponibili. Per far questo, sarà necessario che ogni ingegnere abbia un insieme di conoscenze che, pur non padroneggiando a livello specialistico, può utilizzare come fruitore consapevole. Si tratta di un tipo di conoscenza simile a quella che è entrata a far parte della cultura di base dell'ingegnere nei primi anni '90 nella programmazione dei calcolatori elettronici: non un tema confinato agli ingegneri informatici e ai matematici applicati, ma parte del bagaglio culturale di qualsiasi ingegnere. In particolare, si ritiene che i temi fondamentali siano: - le tecnologie per l’acquisizione e trasmissione distribuita dei dati nel contesto in cui ciascuna figura ingegneristica sarà chiamata ad operare (Internet delle Cose, Remote e Proximal Sensing, ecc.); - le metodologie di trattamento di grandi moli di dati, anche attraverso le tecnologie di intelligenza artificiale; - l'ingegnere dei prossimi anni dovrà inoltre conoscere le conseguenze e le potenzialità dell’uso delle tecnologie dell’informazione nell’ambito in cui è chiamato ad operare, per esempio attraverso i concetti di struttura o infrastruttura cognitiva, di smart city, ecc. 15
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura Le conoscenze di base Le conoscenze chimico-fisico-matematiche sono gli strumenti attraverso i quali l’ingegnere interpreta la realtà e la modifica. Il modo (in termini di qualità e quantità) in cui le apprende determina quindi l’impostazione generale delle modalità in cui pensa ed affronta i problemi. Negli anni il rapporto tra il mondo della formazione ingegneristica (le Facoltà di Ingegneria) e le scienze di base è cambiato in modo radicale; ma a questi cambiamenti non è seguita una riflessione approfondita che è ora necessaria e urgente. In estrema sintesi: siamo passati da un mondo nel quale gli allievi di Ingegneria seguivano gli stessi corsi di base degli allievi di Scienze: il corso di matematica per ingegneri era lo stesso che per i matematici, e lo stesso valeva per fisica, ecc. In questo mondo la preparazione di base era al massimo livello di approfondimento teorico per tutti. Questa impostazione è andata smussandosi negli anni seguenti alla diffusione dell'università di massa, con una differenziazione sempre maggiore, a scapito della formazione teorica e a favore degli aspetti esecutivi/applicativi per ciò che riguarda il mondo dell'ingegneria. L’introduzione del 3+2 ha portato alla diffusa frammentazione dei corsi e ad una sottostima dei crediti necessari per le materie di base. Nei tempi più recenti abbiamo assistito ad una inversione di questa tendenza, superando gli eccessi del periodo iniziale. Pur tuttavia, anche per una naturale evoluzione, oggi la didattica delle materie fisico-matematiche nell'ingegneria è fortemente orientata alla risoluzione degli esercizi, e spesso, entra poco, o punto, negli aspetti teorici. Questa impostazione si riflette nei metodi di verifica dell'apprendimento che sono oggi prevalentemente basati sulla verifica scritta della capacità di risolvere esercizi e che quasi mai contemplano la discussione orale di aspetti teorici o dell'approccio a problemi applicativi complessi. Questa impostazione didattica mal si concilia con l'impostazione deduttiva tipica della formazione dell'ingegnere italiano, che tuttora permea molti dei corsi degli anni successivi. L'approccio fortemente deduttivo è (stato?) un punto di forza (per la capacità di affrontare problemi complessi e fuori dall'ordinario) e al contempo di fragilità (per i tempi di laurea e la selettività) della Scuola italiana di Ingegneria, per esempio rispetto alla Scuola anglosassone, figlia dell'empirismo, e tipicamente imperniata su di un approccio induttivo. Su questo tema è importante avviare una riflessione, che coinvolga anche le società scientifiche delle discipline fisiche e matematiche, con lo scopo di accordare armonicamente l'impostazione paradigmatica delle materie di base con quella della successiva formazione ingegneristica. In mancanza di questa riflessione, le nuove generazioni di ingegneri rischiano di perdere i punti di forza dell'approccio deduttivo senza acquisire i punti di forza di quello induttivo. Interdisciplinarità e capacità di lavorare in team All'ingegnere dovrebbe essere garantita una solida formazione teorica, che garantisca la flessibilità necessaria ad affrontare le (imprevedibili) sfide del futuro, ma, al contempo, dovrebbe essere potenziato il "saper fare" attraverso un approccio esplicitamente orientato 16
Università degli studi di Cagliari Facoltà di Ingegneria e Architettura ai problemi. L’obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso moduli formativi basati su obiettivi progettuali complessi e nei quali più ambiti disciplinari siano al servizio dell'obiettivo progettuale, e non il contrario, come spesso avviene quando la formazione rimane semplice enunciazione teorica. Laboratori nei quali collaborano docenti di diversi SSD, e nei quali gli allievi dovrebbero sviluppare un progetto che richiede di utilizzare le diverse competenze. Questo modello formativo sviluppa una mentalità orientata ai problemi e promuove la capacità di lavorare in team, alcuni degli obiettivi chiave identificati nel documento proposto dalla CopI. 17
Puoi anche leggere