CONFIMI Rassegna Stampa del 03/05/2017

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   Rassegna Stampa del 03/05/2017

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INDICE

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SCENARIO ECONOMIA
   03/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                          5
   Alitalia, tre commissari e 600 milioni

   03/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                          7
   Disoccupazione, il sorpasso degli over 50 Per la prima volta sono più dei giovani

   03/05/2017 Corriere della Sera - Nazionale                                          9
   «L'innalzamento dell'età del ritiro? È costato 43 mila posti in meno»

   03/05/2017 Il Sole 24 Ore                                                           10
   Auto, il calendario di aprile penalizza le vendite: primo stop dopo 3 anni

   03/05/2017 Il Sole 24 Ore                                                           12
   Mps, trattativa finale con la Ue sugli esuberi

   03/05/2017 Il Sole 24 Ore                                                           13
   Allo studio una riforma per rivalutare le concessioni

   03/05/2017 Il Sole 24 Ore                                                           15
   Sì alla manovrina ma non devono pagare le imprese

   03/05/2017 Il Sole 24 Ore                                                           16
   Giovani disoccupati al 34,1% ma ai minimi dal 2012

   03/05/2017 Il Sole 24 Ore                                                           17
   Bce: 100 ispezioni sulle banche, possibile riduzione del capitale

   03/05/2017 Il Sole 24 Ore                                                           18
   Basilea 4, scatta la moratoria: per due anni nessuna stretta

   03/05/2017 La Repubblica - Nazionale                                                20
   L'industria riparte, il Pil cresce ma i nuovi posti non arrivano
03/05/2017 La Repubblica - Nazionale                                              23
  Orlandi: " Troppe tasse vecchie e inutili Accordo vicino per far pagare Google"

  03/05/2017 Il Messaggero - Nazionale                                              25
  Si va in pensione sempre più tardi: dal 2019 a 67 anni

  03/05/2017 Il Messaggero - Nazionale                                              27
  Alitalia, prestito-ponte e tre commissari Garantiti tutti i voli

  03/05/2017 Il Messaggero - Nazionale                                              29
  Boom di over 50 rimasti senza lavoro

SCENARIO PMI
  03/05/2017 Il Sole 24 Ore                                                         31
  Nessun allarmismo, ma un segnale da cogliere

  03/05/2017 Il Sole 24 Ore                                                         32
  Il pacchetto ricerca traina il biotech

  03/05/2017 ItaliaOggi                                                             33
  Manovra correttiva, le pmi dicono no ad aumenti delle tasse

  03/05/2017 ItaliaOggi                                                             35
  Mondadori France cede il sito della caccia e punta su una grande acquisizione

  03/05/2017 Libero - Nazionale                                                     36
  Meno utili, più disoccupati: 1 maggio funerale del lavoro
SCENARIO ECONOMIA

15 articoli
03/05/2017                                                                                            diffusione:245885
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 Gubitosi, Laghi e Paleari. Gentiloni: niente nazionalizzazione Calenda: è il massimo possibile, la ricerca di
 un acquirente
 Alitalia, tre commissari e 600 milioni
 Il referendum-bis L'ex premier Renzi punterebbe a un nuovo referendum tra i dipendenti su un nuovo piano
 Francesco Di Frischia

 ROMA Il commissariamento di Alitalia inizia con 600 milioni di «prestito ponte» da parte del governo
 Gentiloni, una cifra superiore a quelle circolate nei giorni scorsi, e concessa a interessi intorno al 10-11%
 per disinnescare le eventuali accusa di «aiuti di Stato» da Bruxelles. Così si evita di lasciare gli aerei a terra
 visto che le casse dell'aviolinea sono quasi vuote. L'azienda, che perde oltre 1 milione di euro al giorno, ha
 assicurato che i voli proseguiranno come previsto, ma da oggi inizia la caccia a un compratore.
 Dopo la richiesta ufficiale di «amministrazione straordinaria» deliberata dall'assemblea dei soci di Alitalia in
 mattinata, come prevede la legge Marzano, e avanzata al governo dal cda, l'esecutivo nel pomeriggio
 nomina con un decreto legge come commissari l'ex manager Rai Luigi Gubitosi, il commercialista Enrico
 Laghi e il docente esperto di trasporto aereo Stefano Paleari: in sei mesi hanno un mandato «a ampio
 spettro» per cercare tutte le strade per risanare la compagnia promuovendo un piano industriale che riesca
 a tagliare le spese e trovare sul mercato eventuali compratori interessati a rilevare per intero l'azienda. I
 commissari, però, hanno «margini temporali molto limitati», precisano dal governo.
 Se gli obiettivi non verranno centrati in sei mesi, prima la società sarà venduta con il metodo dello
 «spezzatino» (le parti più pregiate come slot e aerei a prezzo di saldo per tamponare i creditori) e poi si
 porteranno i libri in tribunale per la dichiarazione di fallimento. A spiegare i motivi che hanno spinto il
 governo a concedere il prestito ponte pensa il premier Paolo Gentiloni al termine del consiglio dei ministri:
 con queste risorse «vogliamo rispondere ad esigenze di connettività, per assicurare collegamenti e servizi
 fondamentali, di chi ha acquistato biglietti e di mantenimento di patrimonio ed asset: anche questa è una
 responsabilità di chi governa».
  Il presidente del Consiglio poi avverte: «Ma non si può immaginare la possibilità di rinazionalizzazione di
 Alitalia, lo abbiamo escluso e lo escludiamo anche oggi». Il ministro per il Mezzogiorno, Claudio De
 Vincenti, aggiunge: «Abbiamo messo al sicuro tutte le rotte. Garantiti quindi i collegamenti aerei col Sud». E
 il collega Carlo Calenda (Sviluppo economico) precisa: «Tenere gli aerei a terra avrebbe avuto impatti
 violentissimi specie se pensiamo che Alitalia ha 4,9 milioni di prenotazioni in piedi e trasporta in media ogni
 mese 1,9 milioni di passeggeri. Senza i voli di questa azienda, in pratica, si sarebbe innescata una
 disconnessione dei viaggiatori pesantissima. E comunque questi 600 milioni sono il massimo di quello che
 potevamo prevedere e fare oggi». Ma di chi è la colpa della crisi di Alitalia? «È un problema di manico»,
 dice il ministro dei Trasporti, Graziano Delrio. E poi aggiunge: «La nostra azione è mirata a sanare
 debolezze storiche che non dipendono dalla presenza delle low cost , ma da strategie sbagliate sul mercato
 che è continuato a crescere del 5% l'anno. Siamo convinti che il mercato potrà trovare investitori
 interessati». Sulla delicata situazione interviene anche l'ex premier Romano Prodi: «Se non c'è una
 strategia precisa e se non c'è un cambiamento nell'atteggiamento di dipendenti e dirigenti, Alitalia non ci
 salva».
 Ma oltre al governo, su Alitalia si sta muovendo anche Matteo Renzi, dalla sua nuova posizione di
 segretario del Pd. Il progetto che ha promesso di presentare entro il 15 maggio punta a chiamare di nuovo
 al voto i lavoratori . Su un piano di riorganizzazione diverso, che potrebbe avvantaggiarsi delle prime
 operazioni di contenimento dei costi che saranno decise. E con un approccio diverso da quel «o si dice sì o
 si chiude» che ha caratterizzato il referendum di una settimana fa. Il prestito superiore alle attese, varato
 dal governo su pressing dei renziani, è un primo segnale della nuova strategia.

SCENARIO ECONOMIA - Rassegna Stampa 03/05/2017                                                                        5
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  I numeri del crollo LE PERDITE (MILIONI DI EURO) 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 -327 -
 168 -69 -280 -568 -580 -408* -400 (stima) 600 milioni Il prestito ponte da parte del governo % Etihad 49 51
 GLI AZIONISTI I soci Midco ex Cai tra cui: Intesa Sanpaolo Unicredit Atlantia Mps Popolare di Sondrio
 Immsi di Colaninno Poste Italiane 500 milioni 7,4 miliardi Il costo per i contribuenti dal 2008 500 milioni 90
 milioni 660 milioni Le perdite stimate per Unicredit Le perdite stimate per Intesa Sanpaolo Le perdite per la
 Immsi di Colaninno dal 2008 Le perdite per Etihad dal 2014 Dipendenti 12.500 Passeggeri 2016 22,6
 milioni Costi operativi di Alitalia per posto offerto per 1000 km di volo (euro) 0 20 40 60 80 100 120 2003 '04
 '05 '06 '07 '09 '10 '11 '12 '13 '14 2015 Carburante Flotta Dipendenti Servizi 78 euro 80 Totali LE
 DESTINAZIONI 26 in Italia 54 nel resto del mondo Corriere della Sera
 La nomina
 Dopo la richiesta avanzata dai soci di procedere all'amministra-zione straordinaria della società, ieri il
 governo ha nominato i tre commissari che si occuperanno delle sorti della compagnia aerea

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 Disoccupazione, il sorpasso degli over 50 Per la prima volta sono più dei
 giovani
 I dati Istat: a marzo il tasso dei senza lavoro risale all'11,7% per il calo degli «inattivi»
 Mario Sensini

 ROMA La situazione del mercato del lavoro comincia a scoprire nuove emergenze. A marzo, secondo i dati
 dell'Istat, i disoccupati con oltre 50 anni d'età hanno superato per la prima volta il numero dei giovani senza
 lavoro tra i 15 e i 24 anni. Tra i 3 milioni e 22 mila disoccupati registrati a marzo, 569 mila avevano oltre 50
 anni, con una crescita di 59 mila unità rispetto a febbraio e di 103 mila rispetto al marzo 2016, mentre i
 senza lavoro tra i giovani erano 524 mila, in aumento di 3 mila unità rispetto al mese precedente.
 Dal 2004, da quando cioè inizia la serie storica dei dati, i senza lavoro tra gli anziani superano il numero dei
 giovani disoccupati, per i quali tuttavia l'Italia continua a mantenere il record in Europa con il 34,1% (in
 flessione rispetto al 34,4%). Nel complesso, tuttavia, i nuovi dati sull'occupazione dipingono un quadro in
 qualche modo in miglioramento. Il tasso di disoccupazione complessivo è tornato ad aumentare all'11,7%
 (era all'11,5 a febbraio), soprattutto a causa del minor numero di inattivi, coloro che non hanno un lavoro o
 non lo cercano. Rispetto a febbraio questi ultimi sono diminuiti dello 0,2%, ma rispetto al marzo 206 il calo
 degli inattivi è ben più sensibile, pari al 2,8%.
 Il tutto si riflette sul numero degli occupati, che a marzo, secondo l'Istat, erano 22 milioni e 870 mila, con un
 aumento dello 0,9% su base annua. Il tasso di occupazione, sempre a marzo, resta stabile al 57,6%,
 risultato di un aumento dell'occupazione alle dipendenze di 63 mila unità (41 mila a tempo indeterminato) e
 di un calo di 70 mila occupati tra gli autonomi.
 I dati aggregati del primo trimestre confermano il quadro. Nei primi tre mesi dell'anno gli occupati sono
 cresciuti di 35 mila unità, i disoccupati sono scesi di 38 mila a egli inattivi di 32 mila unità.
 «Nell'ultimo anno l'occupazione è aumentata in tutte le fasce d'età, e torna a ridursi il numero degli inattivi,
 scesi di 34 mila in un mese e di 390 mila unità in un anno» ha detto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.
 «Continua a migliorare la situazione del mercato del lavoro giovanile, dove prosegue il calo della
 disoccupazione, al livello più basso dal febbraio 2012, e del tasso di occupazione, che sale al 17,2. Dal
 febbraio del 2014», quando si è insediato il governo Renzi, aggiunge Poletti, «gli occupati sono aumentati
 di 734 mila unità, 553 mila dei quali a tempo indeterminato».
 Per i senatori del Pd, i dati sull'occupazione sono la conferma che l'economia italiana è ripartita, ma Renato
 Brunetta, capogruppo alla Camera di Forza Italia, sottolinea gli aspetti più strettamente congiunturali. «A
 marzo ci sono stati 7 mila occupati in meno», dice Brunetta, secondo il quale le riforme del governo Renzi
 sono state «fallimentari». Stessa valutazione dal Movimento 5 Stelle. «Il mercato del lavoro è in piena
 stagnazione e il Job Acts - dicono - non è servito a nulla».
 Ieri, intanto, il Tesoro ha diffuso i dati mensili di finanza pubblica: ad aprile il fabbisogno è stato di 5,2
 miliardi, in calo di 3 rispetto ad aprile 2016 grazie anche ai 2,15 miliardi di dividendi versati da Bankitalia.
 Nel primo quadrimestre il fabbisogno è in linea con quello del 2016, intorno ai 34,5 miliardi. Il ministro
 dell'Economia Pier Carlo Padoan sarà ascoltato domani dalla Camera sui conti pubblici e la manovra
 correttiva, che ha iniziato il suo iter. Ieri è arrivato il giudizio di Confindustria, critica per le troppe tasse e
 timorosa che sulle riforme ci sia «un arretramento elettoralistico», che sollecita invece una «robusta
 accelerazione degli investimenti pubblici».
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  15-24 anni 25-34 anni 35-49 anni 50 anni e più NUMERO DISOCCUPATI TASSO DI DISOCCUPAZIONE
 Fonte: Istat 524 mila 34,1% 879 mila 17,7% 1,052 milioni 9,7% 567 mila 6,9% Come cambia il lavoro Marzo
 2016 - Marzo 2017 Tasso di disoccupazione Valori percentuali 12,2% 12,0% 11,8% 11,6% 11,4% 11,2%

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 11,0% M A M G L A S O N D G F M 2016 2017 +0,1% +11,7%
 La parola
 inattivi
 Gli inattivi, secondo la definizione dell'Istat, sono quelle persone che non fanno parte delle forze di lavoro,
 ovvero quelle non
 classificate come occupate o disoccupate. Il rapporto tra gli inattivi e la corrispondente popolazione di
 riferimento determina il tasso di inattività

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 Lo studio
 «L'innalzamento dell'età del ritiro? È costato 43 mila posti in meno»
 Lorenzo Salvia

 ROMA La riforma Fornero, che alla fine del 2011 ha alzato l'età della pensione, è stata più volte accusata di
 aver creato un tappo alle assunzioni, in particolare quelle dei giovani. Una critica spesso utilizzata sul
 terreno della politica ma che adesso ha anche una base scientifica. Nei primi tre anni di applicazione, e
 cioè tra il 2012 e il 2014, le nuove regole previdenziali hanno indotto il 2,2% delle aziende italiane a
 rinunciare alle assunzioni già programmate. E questo ha comportato una «perdita di nuove assunzioni pari
 a 43 mila lavoratori». Tanto o poco? Abbastanza, visto che quei 43 mila «non assunti» valgono lo 0,5% del
 totale dei lavoratori dipendenti alla fine del 2014. I dati arrivano da un ricerca dell'Inapp, l'Istituto nazionale
 per l'analisi delle politiche pubbliche, ente controllato dal ministero del Lavoro.
 La ricerca - basata su un campione di 30 mila aziende - consente di capire dove l'impatto della riforma è
 stato più forte. Tra le piccole imprese, quelle al di sotto dei 15 dipendenti, la fetta che ha rinunciato ad
 assumere è stata pari all'1,6%. Tra le aziende più grandi, oltre i 250 lavoratori, la quota schizza al 15%.
 Aprendo la cartina geografica dell'Italia viene fuori che l'effetto-tappo si è fatto sentire soprattutto nelle zone
 dove l'economia è più dinamica: nel Nord-Ovest le aziende che hanno rinunciato ad assumere sono state il
 2,6% del totale, un valore di poco superiore a quello del Nord-Est. Mentre al Centro e al Sud, la quota delle
 imprese che hanno cambiato programma si ferma al di sotto del 2%. C'è poi un'ultima classifica
 interessante, quella dei settori produttivi più colpiti: al primo posto c'è l'industria, che con quasi 20 mila
 assunzioni mancate copre quasi la metà del totale. Poi il commercio con quasi 7 mila, il trasporto, con
 4.700 e le costruzioni, con poco più di 2 mila. Graduatorie a parte, resta la domanda: è vero che a pagare
 la riforma sono stati soprattutto i giovani? Secondo lo studio sì, con un ragionamento in controtendenza
 rispetto ai dati dell'Istat, che del resto riguardano un altro periodo. Tra le aziende che hanno rinunciato ad
 assumere, c'è stata una «riduzione significativa dell'occupazione giovanile», al di sotto dei 35 anni. Il calo è
 compreso tra il 2 e il 4,7%, a seconda dei diversi metodi di calcolo possibili. Ma c'è stato anche un altro
 effetto, in parte virtuoso. Tra le stesse aziende c'è stato un aumento della propensione a investire in
 formazione, tra l'1,3 e il 5,1%. Non potendo prendere persone nuove, hanno provato a rendere più
 produttive quelle che avevano già.
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  4,7 per cento
 La percentuale massima (di un intervallo che parte dal 2%,
 a seconda dei diversi metodi di calcolo)
 di aziende
 che hanno rinunciato
 ad assumere,
 a causa della legge Fornero, giovani
 al di sotto
 dei 35 anni 2,6 per cento
 La percentuale di aziende che nel Nord-Ovest hanno rinunciato
 ad assumere
 a causa
 della riforma Fornero, valore di poco inferiore nel Nord-Est. Al Centro e al Sud, la quota si è invece fermata
 sotto il 2%

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 FLESSIONE DEL 4,6%
 Auto, il calendario di aprile penalizza le vendite: primo stop dopo 3 anni
 Filomena Greco

 Dopo tre anni di crescita ininterrotta e il +18,16% di marzo, le vendite di auto nuove in Italia hanno
 registrato ad aprile il primo stop dopo tre anni: - 4,6% rispetto allo stesso mese 2016. È l'effetto del
 calendario: due giorni lavorativi in meno e ponte del 25. Greco pagina 11, con l'analisi di Francesco
 Antonioli TORINO Una battuta d'arresto per il mercato dell'auto ad aprile. In Italia le immatricolazioni il
 mese scorso sono state 160.359, il 4,62% in meno rispetto ad un anno fa. Il calo è determinato
 sostanzialmente dal calendario: due giorni lavorativi in meno rispetto allo stesso mese del 2016 e due ponti
 ravvicinati, 25 aprilee Primo maggio. Il risultato di aprile segue un marzo da record (+18,16%) ma non
 pregiudica comunque la performance del primo quadrimestre dell'anno: da gennaio ad aprile le
 immatricolazioni sono comunque cresciute del 7,96% in Italia,a quota 743.321 autovetture. Il Gruppo Fiat
 Chrysler accusa il colpo e segna un calo del 4,02%, da 48.846 a 46.88 immatricolazioni. Considerando
 l'intero periodo però Fca fa meglio del mercatoe tra gennaio ed aprile cresce del 9,62%, a quota 219.232
 immatricolazioni, con una quota di mercato al 29,49 per cento. Fiat Chrysler poi ha chiuso la giornata in
 calo in Borsa (-4,2%) a causa del risultato sul mercato americano dove il Gruppo ha registrato una
 contrazione del 7% delle immatricolazioni il mese scorso, a quota 177.441 unità. Negli Usa Volkswagen è
 cresciuta ad aprile dell'1,64% rispetto allo stesso mese del 2016 raggiungendo le 27.557 vetture. In linea
 generale quasi tutti i brand automobilistici in Italia hanno chiuso il mese di aprile con il segno meno. Fanno
 eccezione Alfa Romeo, che fa un balzo del 46,63%, Maserati che raddoppia le vendite, da 108 a 221
 vetture in Italia, Renault (+13,85%), Suzuki (+26,06%), e poi Bmw, Citroen, Dacia e Skoda, con aumenti tra
 il 7,22 e l'1,98%. Volkswagen, con 11.063 auto immatricolate, cala di quasi 13 punti, Peugeot perde il
 7,83%, Ford chiude il mese in Italia con il 4,07% di immatricolazioni in meno, Opel segna -10,68% e
 Mercedes lascia sul campo oltre7 punti percentuali. Un giorno lavorativo in meno, stimano gli operatori,
 pesa tra il 4 e il 5% delle vendite. Aprile dun- que, in condizioni diverse, avrebbe potuto raggiungere un
 risultato positivo, in linea con l'andamento annuale. Il risultato del mese scorso dunque non modifica le
 previsioni degli operatori sul mercato auto in Italia. Per Gian primo Quagliano,a capo del Centro Studi
 Promotor, nel 2017 si dovrebbero superare i due milioni di immatricolazioni. «Il mercato mantiene la propria
 effervescenza nell'area delle immatricolazioni a società - spiega Michele Crisci, nuovo presidente Unrae,
 l'Associazione delle Case automobilistiche estere - mentre inizianoa flettere gli acquisti dei privati». Grazie
 ad un primo trimestre già più alto delle aspettativee al miglioramento dello scenario macroeconomico,
 aggiunge Crisci, l'Unrae conferma la previsione a favore di un mercato Italia che sfiorerà i due milioni di
 immatricolazioni (1.996.000 vetture, in crescita del 9,3% sul 2016). Il primo segno negativo dopo 34 mesi
 consecutivi in crescita non è considerato un fattore preoccupante dal mondo dell'automotive in capo
 all'Anfia. «Il miglioramento del clima di fiducia dei consumatori, il calo dei prezzi dei carburanti e la buona
 performance delle vetture italiane, con sei modelli nella top ten mensile delle auto più vendute, fanno ben
 sperare per il mantenimento di volumi di mercato in linea con le previsioni nei mesi a venire» sottolinea il
 presidente dell'Anfia Aurelio Nervo. Per le concessionarie riunite in Federauto l'Italia sta comunque facendo
 numeri da «pre-crisi» anche se il presidente Filippo Pavan Bernacchi prevede «che da qui a fine anno
 assisteremo a una decelerazione della crescita» con un 2017 che potrà concludersi con un incremento del
 +8% sul 2016. Quanto al peso dei privati sul mercato, la rilevazione dell'Unrae evidenzia un calo degli
 acquisti: -17,1% a confronto con l'incremento del 14% dello stesso mese nel 2016, con una quota di
 mercato scesa al 53,9%. Dall'altro lato, come sottolinea il Centro Studi Promotor, il noleggio a lungo
 termine, soluzione per l'acquisto delle auto utilizzata prevalentemente nelle flotte aziendali, sta prendendo
 piede tra i privati. Dalle rilevazioni condotte risulta che i concessionari che hanno vendutoa società di

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 noleggio vetture destinate al noleggio a lungo termine per privati siano passati dal 14,9% del 2015 al 30,7%
 del 2017.
 L'andamento Immatricolazioni autovetture per marca in Italia APRILE 2017 Fiat Volkswagen Psa Renault
 Ford General Motors Daimler Toyota Bmw Nissan Hyundai Kia Suzuki Land Rover Jaguar 47.124 20.023
 14.930 17.065 10.999 7.967 7.527 6.880 7.378 3.766 4.618 3.563 2.322 1.855
 Fonte: ministero Infrastrutture e Trasporti -40 -20 Variazione % 0 20 40 60 -3,70 12,31 -4,07 -10,68 -10,21 -
 1,92 -0,03 -30,95 -12,72 -5,91 26,06 -11,46 GENNAIO/APRILE 2017 -3,84 220.523 -8,21 93.502 69.718
 68.574 53.546 39.556 33.044 33.026 31.199 23.097 19.676 17.451 11.010 9.390 -40 -20 Variazione % 0
 20 40 60 9,90 5,30 9,90 11,71 8,23 8,07 -5,01 15,22 4,70 3,47 -0,90 5,96 49,31 4,87

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 SALVATAGGI E AIUTI DI STATO
 Mps, trattativa finale con la Ue sugli esuberi
 Marco Ferrando

 Pagina 28 MILANO Insieme ai conti del primo trimestre domani sul tavolo del cda del Monte dei Paschi di
 Siena arriverà anche l'ultima versione del piano industriale discussa la settimana scorsa con i tecnici della
 Dg Competition. Non è ancora quella definitiva, ma ormai si sarebbe lontani dalla strategia elaborata
 nell'autunno scorso e presentata al mercato a corredo dell'aumento da 5 miliardi, poi naufragato:
 l'orizzonte, ad esempio, è diventato quinquennale - con la scadenza posticipata dal 2019 al 2021-e alcune
 voci sono state riviste al rialzo, in particolare al capitolo riduzione dei costi. E qui, stando a quanto trapela
 da diverse fonti vicine alla trattiva, si sta cercando una non facile quadratura del cerchio sugli esuberi. Un
 tema finito al centro di un nuovo acceso dibattito tra la banca, il Tesoro che nei fatti la rappresenta al tavolo,
 la Bce e la Commissione, un braccio di ferro che molto somiglia a quello di gennaio e febbraio
 sull'ammontare del capitale, con Francoforte a chiedere il massimo del capitale e Bruxelles il minimo. Di
 nuovo il pres- sing è della Dg Comp, che per autorizzare la ricapitalizzazione precauzionale pubblicaquindi
 l'aiuto di Stato - chiede in cambio un piano di estremo rigore, che consenta alla banca di imboccare la strada
 della sostenibilità e quindi possa tornare in mani private il più in fretta possibile. A fine ottobre il ceo Marco
 Morelli aveva spiegato al mercato che la banca avrebbe ridotto il numero degli addetti dai 25.200 di fine
 2016 a quota 22.600, grazie a 450 pensionamenti, 300 nuovi ingressi e 2.450 uscite anticipate, per cui era
 stato predisposto un fondo di solidarietà di 550 milioni; muoversi da questi valori, così come ha chiesto la
 Commissione europea che ragiona per obiettivi, non è facile: il management vuole evitare i licenziamenti,
 ma l'unico modo per farlo è incrementare le uscite con scivolo,e dunquei costi sul breve periodo. Ora si
 starebbe cercando una mediazione su un valore intorno alle 5-6mila unità ma spalmate sui cinque anni e
 non più su tre, con un impatto dunque diluito nel tempo; anche perché, siè fatto notare dalla banca in
 queste settimane, il Monte è già reduce da un quadriennio, il 2012-15, che ha visto i costi da lavoro
 scendere del 17%, dunque a rischio è l'operatività stessa della banca. Secondo alcune stime di cui Il Sole è
 venuto in possesso, alzando le uscite intorno a quota 5mila l'effetto sui costi salirebbe a -654 milioni (circa
 mezzo miliardo in più rispetto al piano di ottobre), pari al 18% sulla base costi del 2016, migliorando
 sensibilmente il 54,5% di cost/income che la banca si era data come obiettivo per il 2019e che ora per il
 2021 potrebbe essere ritoccato. Altro capitolo decisivo, ovviamente, anche la gestione dei 29 miliardi di
 sofferenze lorde ancora in pancia alla banca: si lavora su più ipotesi, ma al momento quella considerata più
 realistica prevede il coinvolgimento di Atlante 2 con l'acquisto per circa mezzo miliardo della tranche junior.
 5 anni Periodo in cui distribuire i 5-6mila esuberi che chiede la Ue
 I NUMERI 5-6 mila Gli esuberi Per la trattativa sui nuovi esuberi si sta ragionando su un impatto da 5-6000
 persone: questo farebbe salire a -654 milioni l'impatto sui conti: circa mezzo miliardi in più rispetto al piano
 di ottobre. 29 miliardi Lo stock di sofferenze lorde Per lo smaltimento si continua a lavorare a più ipotesi:
 quella al momento più realistica prevede il coinvolgimento del fondo Atlante, con l'acquisto per circa mezzo
 miliardo della tranche junior.
 Foto: .@marcoferrando77 AGF Il riassetto del Monte. La sede di Mps

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 CONTI PUBBLICI
 Allo studio una riforma per rivalutare le concessioni
 Carmine Fotina Gianni Trovati

 Una riforma delle concessioni pubbliche, tra statali e locali, che potrebbe partire da una base di 1,5 miliardi:
 il progetto è allo studio del governo. Con l'obiettivo di innalzare gli incassi derivanti dai canoni annui. In
 questa prima fase di screening l'attenzione è rivolta a spiagge, petrolio e gas, tlc, giochi, acque minerali e
 termali, risorse geotermiche, commercio ambulante. Fotina e Trovati pagina 2 ROMA Nelle riunioni
 tecniche di governo l'hanno chiamata «Asset review». Una riforma delle concessioni pubbliche, tra statali e
 locali, che potrebbe partire da una base di 1,5 miliardi: il progetto è allo studioe ha cominciatoa passare al
 setaccio le entrate che arrivano da un primo gruppo di beni, con l'obiettivo ovviamente di aumentarle. La
 quota di pertinenza dello Stato, in particolare, è oggetto di grandi attenzioni perché in futuro potrebbe
 rivelarsi una leva per ridurre il debito. Anche perché la via maestra delle privatizzazioniè inciampata in
 difficoltà di mercato e polemiche politiche, con il risultato che gli stessi programmi governativi scritti
 nell'ultimo Def sono "dimagriti" puntando a entrate per 0,3 punti di Pil anziché 0,5 come indicato un anno
 fa(5 miliardi contro8 abbondanti). Il vero oggetto della «review»è costituito dai canoni versati, spesso
 considerati dal governo troppo bassi. Spiagge, petrolio e gas, tlc, giochi, acque minerali e termali, risorse
 geotermiche, commercio ambulante (in questo caso però di competenza dei Comuni): sono solo le
 concessioni con le scadenze più ravvicinate. Ce ne sono anche di più lunghe ma potenzialmente più
 redditizie, vedi gli aeroporti. In alcune situazioni, e per qualche anno,è stato perfino difficile raccogliere e
 censire i dati, fino al loro inserimento nella banca dati "Patrimonio Pa". Il caso forse più discusso è quello
 delle spiagge, che generano un introito di circa 103 milioni per un totale di 21.390 stabilimenti. Questa
 materia è oggetto di un Ddl delega all'esame del Parlamento, e secondo le stime del Programma nazionale
 di riforma nell'ipotesi minima di riordino si potrebbe avere un raddoppio del gettito (in parte da destinarea
 Regionie Comuni). Bisognerà invece vedere se e in che misura le polemiche politiche sulle trivellazioni
 influenzeranno le scelte in materia di idrocarburi (petrolio e gas, in terraferma e in mare), altra potenziale
 fetta del progetto di riforma. Nel 2015 erano attive 220 concessioni per estrazione e stoccaggio, che hanno
 prodotto entrate per 275 milioni, derivanti in questo caso da canone annuo e royalty. Tra il 2017 e il 2020
 scadranno 130 concessioni per un controvalore di canoni di 230 milioni. Numeri più bassi per le risorse
 geotermiche, cioè la coltivazionee lo sfruttamento del calore terrestre sotterraneo: 95 concessioni per 21
 milioni. Le acque minerali e termali rientrano invece tra i beni del patrimonio indisponibile delle Regioni: 307
 concessioni di sfruttamento per soli 18 milioni (52 quelle a scadenza tra quest'anno e il 2020). Sono 490 le
 concessioni per le acque termali (con entrate per 1,8 milioni). Sotto osservazione c'è anche il settore dei
 giochi. Tra il 2013 e il 2016 sono scadute quasi tutte le concessioni per l'apertura delle 200 sale bingo che
 operano in regime di proroga versando un totale di circa 120 milioni annui. Il 30 giugno 2016 sono scadute
 anche le concessioni per le scommesse sportive, ma in questo caso si tratta di una proroga non onerosa ed
 è versato solo un adeguamento delle garanzie fideiussorie. Il governo si attende ovviamente anche un
 incasso "una tantum" dalle nuove gare: circa 490 milioni tra scommessee sale bingo. Anche per le
 tlc-tvradio le cifre forti sono quelle una tantum, derivanti dalle assegnazioni delle frequenze: 18 miliardi totali,
 fin qui, per trasmissione di voce e dati. I canoni complessivi, anch'essi finiti nel monitoraggio complessivo,
 valgono invece 148 milioni, per il 70% riferibili alla telefonia. Entro il 2018 scadranno le concessioni della
 banda Gsm. Nello stesso anno, dopo l'ultimo intervento del "milleproroghe", dovrebbe essere attuata la
 direttiva Bolkestein per la messaa gara delle concessioni per l'occupazione di suolo pubblico. In prima fila ci
 sonoi Comuni, per le concessioni agli ambulanti e agli stabilimenti balneari, in una partita che vale circa 750
 milioni di incassi all'anno: proprio i sindaci, però, sono in prima fila per rimandare ancora l'appuntamento, a
 riprova del fatto che la strada verso le liberalizzazioniè ancora lunga.Asset review Il perimetro a valori

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 attuali delle concessioni oggetto della possibile riforma del governo (entrate da canoni annui). Considerate
 solo le scadenze ravvicinate. Dati in milioni di euro
 Commercio ambulante (entrate dei comuni) Idrocarburi Tlc Bingo Concessioni demaniali marittime Risorge
 geotermiche Acque minerali e termali TOTALE 1.436 750 275 148 120 103 21 19Settori sotto la lente
 SCOMMESSE SPORTIVE
 Il 30 giugno 2016 sono scadute le concessioni per le scommesse sportive. Il governo si attende un incasso
 "una tantum" dalle nuove gare: circa 490 milioni tra scommesse e sale bingo. INCASSO ATTESO 490
 milioni TELEFONIA Anche per le tlc-tv-radio gli incassi maggiori per il governo sono quelle una tantum
 (assegnazioni delle frequenze): 18 miliardi totali, negli anni, per trasmissione di vocee dati.I canoni
 complessivi, valgono invece 148 milioni, per il 70% riferibili alla telefonia LA QUOTA 70%

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 CONFINDUSTRIA
 Sì alla manovrina ma non devono pagare le imprese
 Marzio Bartoloni

 Bartoloni pagina 2 Sì alla manovrina ma non devono pagare le imprese Bene gli «obiettivi di fondo» della
 manovrina: la riduzione del deficit è una «scelta resa necessaria dal clima non più favorevole
 all'investimento nel debito pubblico italiano», come dimostra il nuovo nervosismo sullo spread. Positive
 anche diverse misure: da quelle sul terremoto al rilancio degli investimenti pubblici. Ma la correzione dei
 conti pubblici che doveva ricorrere soprattutto alla lotta all'evasione non è a costo zero. E finisce per pesare
 in particolare sulle imprese. A sottolinearlo è il direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci, in
 audizione ieri davanti alle commissioni Bilancio di Camerae Senato: «Appaiono evidenti alcuni aumenti del
 carico impositivo: penso all'inasprimento della tassazione per i comparti del gioco, che non ha ormai eguali
 in Europa,e del tabacco, nonché alla stretta su misure strutturali che interessano la generalità delle
 imprese, quali l'Ace». Il depotenziamento di questa misura «lede il legittimo affidamento dei contribuenti
 che hanno effettuato ricapitalizzazioni con prospettive di lungo periodo», ricorda ancora la Panucci che
 chiede più «coraggio» nel sostegno alle aziende che vogliono investire. E non va certo in questa direzione
 la rimodulazione del credito d'imposta per il Sud e il mancato potenziamento dell'iperammortamento di
 industria 4.0, con la proroga almeno del termine di consegna dei beni agevolati al 31 dicembre 2018. Più in
 generale c'è il serio rischio che qualcuno degli obiettivi del Def - riduzione del deficit, clausole di
 salvaguardia e sostegno alla crescita - «non potrà essere raggiunto». Mentre sulle riforme «pende la spada
 di Damocle di un arretramento elettoralistico». Per il dg di Confindustria che vede nell'approdo in Parla-
 mento l'occasione giusta «per migliorare il provvedimento», la manovrina aggiunge anche «gravosi oneri
 procedurali» per le imprese. Il pensiero va all'estensione dello split payment, «un intervento che desta non
 poche preoccupazioni». Per la Panucci non possono infatti «essere sottaciuti i riflessi che questa azione
 avrà sulla liquidità delle imprese, anche in considerazione dei tempi medi con cui l'amministrazione fiscale
 italiana provvede al rimborso dei crediti Iva» (602 giorni in Italia contro i 35 giorni della Germania e i 126
 della Spagna). «Seria preoccupazione» c'è anche per gli adempimenti Iva, con i nuovi termini,
 notevolmente ridotti, per esercitare il diritto alla detrazione sull'acquisto di beni e servizi che addossano
 sulle imprese «nuovi costi di compliance». «Una contrazione irrealistica» che per la Panucci «occorre
 assolutamente ripensare questo termine». Tra le note positive ci sono invece le misure destinate ad
 allentare la tensione finanziaria degli Enti territoriali e l'ampio capitolo dedicato ai trasporti e alle
 infrastrutture, che possono far ripartire gli investimenti. Positive anche alcune misure che agiscono su
 strumenti già esistenti, come i Pir o l'equity crowdfunding e quelle dedicate alla ricostruzione post-sisma,
 con lo stanziamento di 1 miliardo aggiuntivo e l'istituzione della Zona Franca Urbana nei comuni colpiti.

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 PANORAMA
 Giovani disoccupati al 34,1% ma ai minimi dal 2012
 Davide Colombo

 A fine marzo, 90 giorni dopo la fine degli sgravi del Jobs act, la disoccupazione è in lieve aumento
 all'11,7%. In calo quella giovanile ai minimi da febbraio 2012 ma ancora al 34,1%. pagina 13 ROMA A fine
 marzo, ovveroa 90 giorni dalla chiusura degli sgravi generalizzati che accompagnavano il Jobs
 act,l'occupazione è segnalata in calo tra gli ultracinquantenni (-55 mila) e in lieve aumento nelle restanti
 classi d'età, in particolare le più giovani (+44mila tra i 15-34enni). Cresce il numero di lavoratori dipendenti
 (+63 mila), sia permanenti (+41 mila) siaa termine (+22 mila), mentre calano di 70mila unità gli autonomi.
 Alla luce di queste dinamiche congiunturali, Istat parla di un tasso di occupazione stabile al 57,6%e un
 tasso di disoccupazione in crescita di un decimale rispetto a febbraio (all'11,7%)e in calo sempre di un
 decimale se si confronta il primo trimestre dell'anno con l'ultimo del 2016. Secondo le stime
 programmatiche del Governo, il tasso di disoccupazione dovrebbe stabilirsi attorno all'11,5% nella media
 d'anno per poi calare all'11,1% nel 2018. In marzo nell'Eurozona il tasso di disoccupazioneè stato pari al
 9,5%, il dato più basso dall'aprile del 2009 (8% nell'Uea 28; il più basso dal gennaio 2009). Il tasso di
 disoccupazioneè calato, su base congiunturale, in 23 paesi dell'Unione, rimasto stabile in due (Franciae
 Austria) in aumento in tre (Italia, Danimarcae Lituania). Commentando questo quadro statistico, il ministro
 del Lavoro, Giuliano Poletti, è ripartito dal calcolo dei nuovi occupati registrati dal febbraio 2014, ovvero
 dall'insediamento del Governo Renzi: sono cresciuti di 734.000 unità. «Tenuto conto delle dinamiche
 demografiche - ha commentato in una nota - nel corso dell'ultimo anno l'occupazione aumenta in tutte le
 fasce di età. Nel saldo degli occupati si evidenzia una crescita del lavoro dipendente, in particolare quello
 stabile. Tornaa ridursi l'area degli inattivi che diminuiscono di 34.000 unità in un mese e di 390.000 in un
 anno. Continua a migliorare la situazione del mercato del lavoro giovanile: proseguono la discesa del tasso
 di disoccupazione, che con il 34,1% si colloca al livello più basso dal febbraio 2012,e la crescita del tasso di
 occupazione, che sale al 17,2%, il livello più alto dal novembre 2012, con un aumento di 24.000 occupati
 nell'ultimo mese». È da registrare, sul fronte di chi ha perduto un lavoro e ne cerca un altro, che per la
 prima volta dal 2004, anno di partenza delle serie storiche omogenee, il numero dei disoccupati over 50 ha
 superato quello dei giovani. A marzo risultavano senza lavoroe in cerca 576mila persone di quell'età,
 59.000 in più rispettoa febbraioe 103.000 in più ri- spettoa marzo 2016.È il dato massimo dal 2004 e supera,
 come detto, quello dei disoccupati tra i 15 e i 24 anni (524.000). Il sorpasso dei disoccupati senior, che va
 letto tenendo conto della demografia: 13 anni fa lavoravano in 4,8 milioni in questa fascia d'età, oggi 8
 milioni, arriva in coincidenza con il rinvio dell'attuazione dell'Ape sociale, l'ammortizzatore sperimentale che
 finanzia a fondo perduto il ponte verso la pensione a una serie di ex lavoratori 63enni in condizioni di
 disagio. Una lettura su base annua dei dati provvisori diffusi ieri dall'Istat, conferma in marzo la tendenza
 all'aumento del numero di occupati (+0,9%, paria +213 mila). La crescita riguarda i lavoratori dipendenti
 (+310 mila, con una prevalenza dei contratti a termine +167 mila) mentre diventa più ampio il calo degli
 autonomi (-97 mila). Sempre su base annua aumentano anchei disoccupati (+2,9%, paria +86 mila) e
 calano sensibilmente gli inattivi (-2,8%, paria -390 mila).

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 Regole. La Vigilanza: cruciale che si trovi presto un accordo per aggiornare Basilea 3
 Bce: 100 ispezioni sulle banche, possibile riduzione del capitale
 Nouy: revisione «soft» per i modelli interni di rating
 Gerardo Graziola

 Le banche che utilizzano i modelli interni potrebbero ottenere una «riduzione» dei requisiti di capitale al
 termine dell'analisi mirata avviata dalla Vigilanza della Bce quest'anno e che andrà avanti fino al 2019. Lo
 ha detto ieri, parlando a Vienna, Danièle Nouy, presidente del Consiglio di Vigilanza. Frase che gli esegeti
 della banca centrale europea faranno fatica a trovare negli interventi pronunciati da quando è nata la
 Vigilanza unica, tre anni fa. Fino ad oggi mai si era parlato di una riduzione del capitale prudenziale come
 una possibilità reale e in un orizzonte temporale certo. Nouy ha aggiunto, ovviamente, che i requisiti di
 capitale a seguito dell'analisi sui modelli interni (Trim) potrebbero anche aumentare ma la novitàè l'accento
 messo sull'alleggerimento dei requisiti, in linea con i toni più morbidi che le due «guardiane» della Vigilanza
 europea (assieme a Nouy c'è la Vice presidente Sabine Lautenschlaeger) sembrano aver adottato nei loro
 interventi dall'inizio di quest'anno. Nouy nell'intervento nella capitale austriaca ha ricordato che l'analisi dei
 modelli in- terni è il secondo maggior progetto lanciato dalla Vigilanza dopo l'analisi approfondita
 (comprehensive assessment) del 2014 e che Francoforte effettuerà quest'anno «oltre 100 ispezioni»
 presso le banche significative con l'obiettivo di valutare i modelli interni sul rischio di credito, di controparte
 e di mercato. Nella misurazione dei rischi, ha ricordato Nouy, bisogna trovare un giusto equilibrio tra un
 approccio troppo semplice, come quello basato sul rapporto tra patrimonio e attività non ponderate (il
 leverage ratio), che da solo avrebbe delle controindicazioni, e quello basato su modelli interni troppo
 complessi «esposti all'errore e alla manipolazione». La presidente del Consiglio di Vigilanza di Francoforte
 ha sottolineato come non tutti i rischi possano essere misurati e per questa ragione vadano utilizzate anche
 misure di sicurezza (backstop) come il leverage ratio. A questo proposito Nouy ha ribadito l'apprezzamento
 per il fatto che la Commissione europea punti ad inserire nella legislazione europea lo standard del
 coefficiente di leva finanziaria, oggi assente nel diritto europeo ma presente come standard internazionale.
 Avere a disposizione allo stesso tempo modelli interni sensibili al rischio e il più grezzo leverage ratio è
 come indossare contemporaneamente cinta e bretelle per essere sicuro di non perdersi i pantaloni ha detto
 Nouy con una metafora inconsueta. Per mitigare i possibili errori dei modelli interni, ha ricordato
 l'esponente della Bce, c'èa livello globale la proposta di introdurre il cosiddetto «output floor», tema su cui si
 sta cercando un accordo all'interno del Comitato di Basilea sulla supervi- sione bancaria. L'output floor è
 pensato per evitare che con l'applicazione dei modelli interni le banche possano detenere un quantitativo di
 capitale a presidio dei rischi inferiore a una certa soglia (floor). «Il pacchetto di riforme di Basilea 3 deve
 essere varato il prima possibile» ha ribadito Nouy che aveva già fatto degli appelli in tal senso nelle ultime
 settimane. A Francoforte ritengono che un approccio globale alla regolamentazione sia un elemento
 importante per la stabilità del sistema. L'adozione dei backstop (leverage ratio e output floor) assieme agli
 sforzi della Bce per la messa a punto dei modelli interni delle banche renderanno le banche europee più
 resistenti e aumenterà la fiducia nei loro requisiti patrimoniali. Questi ultimi sono aumentati per le grandi
 banche dal 9 al 3% in cinque anni. Dati simili per le banche italiane nel loro complesso secondo l'ultimo
 rapporto sulla Stabilità finanziaria della Banca d'Italia. Via Nazionale stima, tenendo conto dell'aumento di
 capitale di UniCredit da 13 miliardi, un Cet1 ratio del sistema italiano in linea con quello registrato a giugno
 scorso (12,4%).
 Foto: Al vertice dell'Ssm. Danièle Nouy

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 Regole/2. Il programma 2017/18 del Comitato: gli sforzi si concentreranno sull'implementazione delle
 norme in vigore
 Basilea 4, scatta la moratoria: per due anni nessuna stretta
 L'EFFETTO TRUMP La radicalizzazione della posizione americana ha imposto uno stop all'introduzione di
 nuovi paletti per il settore
 Marco Ferrando

 «C'è chiaramente un eccesso di capitale nel siste- ma bancario». Così ha sentenziato non più di un mese fa
 Jamie Dimon, presidente e ceo di Jp Morgan, nella lettera d'accompagnamento ai soci del bilancio 2016, il
 più ricco di sempre per la banca d'affari americana, con i suoi 24,7 miliardi di dollari di utile netto. Ma per il
 banchiere si potrebbe fare anche di più, se solo non ci fossero regole che impongono di immobilizzare
 enormi quantità di capitale e non lasciano le banche libere di finanziare l'economia. Come ha dichiarato
 lunedì a Bloomberg, il tema è sulla scrivania di Donald Trump, che dopo le promesse effettuate in
 campagna elettorale ora sta valutando come muoversi. Al di qua dell'Oceano Atlantico, in Europa, la
 pensano diversamente, sia i banchieri che i regolatori. Ma nel dibattito apertissimo sulla regolamentazione
 bancaria, in cui ogni potenza è impegnata a difendere i propri modelli di business e le regole che meno li
 penalizzano c'è un punto su cui tutti sono d'accordo: l'alluvione di novità deve cessare e il quadro normativo
 va stabilizzato per qualche tempo; per valutarne gli effetti e, intanto, ar- monizzarne l'applicazione nei vari
 Paesi. È così che il Comitato di Basilea, probabilmente il regolatore più attivo nello sforzo di mettere in
 sicurezza il sistema dopo Lehman, ha deciso di correre ai ripari. Nel suo programma di attività per il 2017e
 2018, pubblicato la settimana scorsa, il Comitato ha formalizzato che nei prossimi due anni la priorità sarà
 "semplicemente" l'implementazione delle regole attuali, compresi i tasselli che ancora mancano di Basilea 3
 (come quello a cui faceva riferimento ieri Danièle Nouy). Ma per eventuali, ulteriori, revisioni si apre ora una
 vera e propria moratoria biennale, destinata così a consolidare (e armonizzare) il quadro normativo
 attualmente in vigore, così come richiesto dai banchieri di mezzo mondo. La sterzata degli Usa Morale: il
 fantasma di nuove rivoluzioni normative , almeno per un paio d'anni, smetterà di aleggiare tra le banche
 italiane (e non solo). Confermando che la pressione regolatoria sul settore, dopo anni di giri di vite continui,
 è destinata ad allentarsi. Dietro alla frenata di Basilea c'è senz'altro l'effetto Trump, che - attraverso la Fed -
 ha radicalizzato la posizione negoziale americana. Impossibile, si è valutato dentro al Ghos, il gruppo dei
 governatori delle principali banche centrali dove si decide su Basilea, pensare a nuove riforme strutturali in
 questo nuovo contesto. Tanto è vero che già sull'implementazione delle regole attuali si litiga: a dicembre, il
 nuovo corso Trumpiano nei fatti ha allontanato l'accordo che sembrava a un passo sui mo- delli interni di
 valutazione del rischio adottati dalle singole banche, e in particolare sui benefici che possono generare i
 modelli avanzati rispetto ai modelli standard. Il nodo dei modelli interni La questione pare tecnica, ma è
 talmente rilevante che assume un connotato chiaramente politico. Le banche europee, dove i modelli
 avanzati dominano, si oppongono all'introduzione di un otuput floor - ovvero una limitazio- ne al beneficio -
 superiore al 70%; gli Stati Uniti, invece, non vogliono scendere sotto l'80%, visto che per loro il modello
 standard è prassi. Come anticipato da Il Sole 24 Ore il 30 marzo scorso, un compromesso del 75%, con
 un'introduzione graduale del 55% dal 2021 per arrivare a regime nel 2025, al momento appare la soluzione
 più probabile, ma ci vorrà ancora qualche mese di trattativa supplementare. Tanto è vero, concordano due
 diverse fonti vicine alla trattativa contattate da Il Sole, che un'intesa raggiunta entro la fine dell'anno
 parrebbe già un buon risultato. Sta di fatto che le premesse per aprire altri fronti almeno non ci sono.
 Pertanto, l'attività del Comitato di Basilea si concentrerà sulla «finalizzazione delle norme esistenti», si
 legge nel documento ufficiale, con un focus specifico sul trattamento delle esposizioni sui titoli di Stato, ma
 anche sulle coperture dei crediti in sofferenza. Più in generale, «un'importante priorità per il Comitato - si
 legge ancora - è quella di continuare a monitorare l'eventuale emergere di rischi ciclici o strutturali, nonché
 cambiamenti del modello di business e nuove tecnologie transattive che possano andare contro lo spirito
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 del quadro regolatorio di Basilea». In quest'ottica, il Comitato «adotterà un approccio sistematico, micro e
 macroprudenziale», utile a valutare eventuali punti critici.
 Foto: .@marcoferrando77

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 Il caso. Nei primi tre mesi dell'anno gli occupati sono aumentati solo dello 0,2% nonostante l'impennata
 degli altri principali indicatori
 L'industria riparte, il Pil cresce ma i nuovi posti non arrivano
 Le imprese più avanzate tecnologicamente tendono a sostituire gli over 50 con i robot
 ROBERTO PETRINI

 ROMA. C'è il rischio che la ripresa non porti più posti di lavoro. Si tratta di alcuni primi campanelli d'allarme,
 ma il segno sembra inequivocabile: è il fantasma della jobless recovery. Con una aggravante: al posto del
 cinquantenne si assume un robot.
  Cosa sta succedendo? Intanto la ripresa. Un piccolo vento di recupero c'è: il Ref ha già stimato che il
 secondo trimestre dell'anno si chiuderà con un crescita del Pil dello 0,4 per cento, in leggera accelerazione
 rispetto allo 0,2 del primo trimestre. Nei primi due mesi dell'anno, rispetto a dodici mesi prima, sono
 aumentati fatturato (+2,4 per il solo settore manifatturiero) e gli ordinativi dell'industria hanno subito un
 balzo dell'8,2%. Cresce anche il clima di fiducia delle imprese - sempre calcolato dall'Istat - che in aprile ha
 registrato il quarto rimbalzo consecutivo. Tutto ciò in un ambiente di crescita mondiale, certificato dall'Fmi, e
 un lento ma deciso recupero europeo. E il lavoro? L'occupazione rischia di non seguire l'aumento del Pil. I
 dati diffusi ieri dall'Istat indicano che nei primi tre mesi dell'anno il numero degli occupati è aumentato solo
 dello 0,2 per cento rispetto agli ultimi tre mesi del 2016 e a marzo su febbraio l'incremento è stato uguale
 allo zero. Il tasso di disoccupazione resta inchiodato all'11,7%: sale di 0,1 rispetto a dodici mesi prima e
 scende dello 0,1 rispetto all'ultimo trimestre dello scorso anno.
  Dopo il boom dell'occupazione degli ultimi anni (circa 734 mila nuovi posti di lavoro dal settembre del
 2013) grazie al meccanismo della decontribuzione, oggi le imprese sembrano guardare più alle macchine
 che agli uomini. Segno positivo perché arrivano gli investimenti da sempre invocati: secondo i dati
 dell'Ucimu (l'associazione dei costruttori di macchine e robot) nel primo trimestre dell'anno gli ordinativi,
 grazie alle misure Industria 4.0, sono aumentati del 22,2 per cento sul mercato interno.
  Ma proprio questa tendenza ha un riflesso preoccupante: se venisse confermata nei prossimi mesi si
 profilerebbe una ripresa senza creazione di posti di lavoro, un po' come accadde tra gli Anni Ottanta e
 Novanta, quando nei Paesi Ue a causa dell'ondata di nuove tecnologie si verificò una forte espansione
 della produttività, ma a danno dell'occupazione. Nella situazione attuale ci sarebbe una complicazione
 ulteriore. A subire la concorrenza dei robot sarebbero soprattutto gli over 50. I dati dell'Istat, diffusi ieri,
 indicano che il tasso di occupazione per la fascia di età tra i 50 e i 64 anni è sceso a marzo rispetto a
 febbraio di 0,5 punti, mentre nel primo trimestre dell'anno, rispetto al precedente, l'aumento è stato pari a
 zero. L'Istat stavolta ci consegna anche una tabella che considera la fascia 50-64 anni al netto della
 "componente demografica", cioè non tiene conto che gli anziani baby boomers sono considerevolmente di
 più. Ebbene da questa analisi risulta che i disoccupati dai "capelli grigi" sono il 19% e che diminuiscono gli
 inattivi (più cinquantenni si presentano sul mercato del lavoro a caccia di redditi). A marzo c'è stato un
 sorpasso storico: i disoccupati con più di 50 anni erano 567 mila, contro gli under 25 che erano 524 mila.
  In questo caso la jobless recovery prende una piega ancora più preoccupante: le aziende si ristrutturano,
 introducono nuove tecnologie e il vecchio capitale umano non è più utilizzabile. Di qui la necessità di
 spingere su misure di formazione e introdurre sconti sul cuneo fiscale non limitati solo ai giovani.
 Occupati
 23.000
 22.900
 22.800
 22.700

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