Commento Settimanale - Niche Asset Management
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11/10/2021 Commento Settimanale Cut The CUB! La nicchia The CUB (China Under Biden) è stata chiusa giovedì scorso e i suoi titoli venduti venerdì in apertura. Qui di seguito alcune considerazioni. La logica della nicchia The CUB è una Nicchia lanciata il primo giorno di apertura dei mercati del 2021. Era composta da un portafoglio di titoli il cui obiettivo era di esporsi alla Cina attraverso società solide, affidabili e dalle valutazioni molto depresse, per beneficiare di un miglioramento delle relazioni tra USA e Cina, fortemente sotto pressione durante l’amministrazione Trump. Le società erano in buona parte legate alle infrastrutture ed esposte al progetto One Belt One Road, una volta un tema di investimento caldissimo e oggi dimenticato, sebbene la sua rilevanza di medio periodo si sia solo rafforzata negli ultimi anni. Valutazioni e affidabilità del portafoglio I titoli godevano di valutazioni molto attraenti, con valutazioni sui 2/3x l’ebitda, 6/7x gli utili a fronte di una solida struttura patrimoniale. Oltre a ciò, quasi tutti i titoli erano partecipati dallo Stato (SOE), elemento che li rendeva affidabili in termini di bilanci e di supporto politico. Cosa ha funzionato Grazie al supporto politico il portafoglio non ha subito i contraccolpi della campagna di “ri- direzionamento” di alcuni settori attualmente in corso. Inoltre, la spaccatura con gli USA ha reso più importante il proseguimento di gestione delle alleanze politiche, uno degli obiettivi del progetto One Belt One Road. Questo ha permesso al portafoglio di apprezzarsi pur in un contesto negativo. Dal suo lancio la Nicchia ha registrato una performance positiva del 30.4% contro il -4.1% dell’indice HSI di Hong Kong (entrambi i dati sono riportati in versione total return e in euro). Andamento The CUB Vs Hong Kong (HIS)
Cosa non ha funzionato L’atteso ammorbidimento tra USA e Cina dopo l’ascesa al potere di Biden non è avvenuto. I titoli cinesi delistati forzosamente dal mercato americano sono rimasti tali e il loro completo disinvestimento da parte degli investitori americani rimane obbligatorio entro novembre. Perché vendere? Dal punto di vista valutativo vediamo un probabile ulteriore importante rerating del portafoglio nei prossimi 2/3 anni. I multipli rimangono bassi e il newsflow dovrebbe essere supportivo per queste società. Tuttavia, la situazione politica cinese nel breve rimane instabile e di difficile lettura e riteniamo più interessante prendere qui profitto e reimpiegare le risorse in aree con valutazioni ancora più basse e un clima politico in miglioramento. Ciò nonostante, è possibile che questo rappresenti solo un arrivederci. Dove reinvestiamo? Reinvestiamo le risorse liquidate (5% del NAV del fondo) aumentando lo spazio, dal 5 al 10%, della Nicchia Japanese Orphan Companies che si concentra su società giapponesi non coperte dagli analisti e con determinate caratteristiche. Dedichiamo a questa Nicchia il prossimo commentino. I tardigradi dell’equity I tardigradi sono creature lunghe circa un millimetro e in grado di sopravvivere per un decennio senza cibo né acqua, a temperature prossime allo zero assoluto o ben oltre il punto di ebollizione dell’acqua, a pressioni sei volte maggiori di quelle dei fondali oceanici, in mancanza di ossigeno, ad altissimi livelli di radiazioni, e anche per lungo tempo nello spazio. Sono così resistenti perché sono in grado di riparare il proprio DNA e ridurre il loro contenuto di acqua del corpo a pochi punti percentuali. In condizioni estreme questi animali sospendono ogni attività metabolica visibile. Sul mercato azionario le società che sicuramente risaltano come capacità di resistenza sono le piccole società giapponesi quotate da prima del 1990. Queste società sono sopravvissute a 30 anni di crisi dell’arcipelago nipponico e hanno quindi sviluppato caratteristiche uniche. Tra queste societa’ molte sono proprio dimenticate, ossia non coperte dagli analisti. Stiamo parlando di quasi 3000 società quotate abituate a fare a meno di copertura di analisti e quindi di investitori stranieri. Qui troviamo per lo più realtà con una capitalizzazione che varia tra i 100 mln e 1 bln USD. Tra queste, guardando tra quelle con scambi adeguati, oltre 700 hanno un rapporto capitalizzazione/patrimonio netto tangibile inferiore a 0.8x e net cash pari ad oltre il 50% della capitalizzazione ed è su questa parte su cui ci concentriamo.
Stiamo parlando di società generalmente redditizie e sul mercato da lungo tempo. Chiaramente, lungi dall’essere società di moda, sono aziende eccezionali, capaci di sopportare le crisi più nere grazie a business model flessibili e stati patrimoniali che sembrano banche. Piccole e parecchio toste. I veri tardigradi dell’equity! Da questo bellissimo bacino noi selezioniamo titoli per la Nicchia Orphan Companies e con le società selezionate iniziamo un processo di engagement finalizzato a migliorare le loro politiche di sostenibilità. Il lavoro è molto interessante e i risultati dell’engagement estremamente positivi. Qui vediamo upside molto importanti, a fronte di rischi sul downside limitati dalla ricchezza patrimoniale di queste società, dalla loro capacità di generare utili in periodi estremamente difficili, dall’affidabilità delle loro scritture contabili, dalle grandi capacità professionali, dall’esposizione ai mercati esteri dove molte si sono espanse, dal graduale cambio di governance, dalla migliore attenzione alla comunicazione con gli investitori e da una dinamica legislativa che favorisce la distribuzione di dividendi. Un graduale ritorno alle infrastrutture fisiche su cui molte di queste società sono focalizzate rappresenta un potenziale catalyst, oltre all’arrivo delle tanto sospirate riforme politiche strutturali in Giappone. “Se i macelli avessero muri di vetro saremmo tutti vegetariani” Riportiamo qui come titolo la famosa frase di Sir Paul McCartney, dagli investitori a nostro parere troppo trascurata. Vi sono alcune rivoluzioni evitabili e imprevedibili. E vi sono delle rivoluzioni inevitabili e prevedibili. Non lo sembrano perché sono lente. L’uomo è creatura dinamica: deve fare, vedere, provare, gioire. Non è portato ad aspettare. La demise dell’industria della carne è scritta. Come quella del tabacco o del petrolio. Chi nasce oggi ne consumerà meno. Non e’ da escludere che i nostri bisnipoti o anche nipoti si chiederanno com’era possibile allevare e macellare mammiferi per poi mangiarli. A loro potrebbe addirittura fare ribrezzo. Come per noi mangiare una blatta fritta, delicatessen in Tailandia. Il cambiamento potrebbe necessitare 50 anni o, nel mondo del grande fratello, anche solo 5. Le pellicce furono criticate per 50 anni senza molti effetti e poi in 10 anni, a causa dell’opera incessante degli attivisti, quasi sparirono. Contro la carne troppi elementi negativi: 1) Sara’ sempre meno accettabile che i mammiferi vengano trattati crudelmente. Nel Medioevo gli animali erano una risorsa importante e venivano trattati con piu’ rispetto di oggi. Oggi sono solo beni di consumo da allevare e macellare industrialmente. Non parliamo di cosa fanno in Cina… Dov’è la coerenza in un mondo apparentemente sempre piu’ attento alla sofferenza e all’ingiustizia? La coerenza sta nel fatto che l’industria è potente e compra tanta pubblicita’ e le immagini brutte di cio’ che succede dietro le scene non sono rese visibili. Ma lo saranno sempre di più e quel boccone potrebbe diventare difficile da ingoiare, con ripercussioni pesanti per le societa’ del settore. 2) Gli allevamenti di mammiferi sono responsabili quasi del 20% delle emissioni di gas serra e quindi hanno un peso importante sul surriscaldamento terrestre. 3) L’utilizzo di acqua e terra legato all’allevamento dei mammiferi è enorme e potrebbe essere
utilizzato per produrre molte più proteine vegetali e sconfiggere definitivamente la malnutrizione nel mondo. Tutti e tre i punti ci fanno pensare a un decrescente supporto politico per l’industria. Gli investimenti per trovare alternative, più etiche per gli animali, meno nocive per il clima e più rispettose per coloro che hanno meno da mangiare, stanno aumentando significativamente. I risultati sono strabilianti. Consigliamo vivamente una serie di articoli della scorsa edizione dell’Economist sull’argomento. Technology can help deliver cleaner, greener delicious food | The Economist Il futuro è segnato. Quindi cosa fare? a) Non investire in produttori di carne o, se lo si fa, tenere ben presente che non può essere un investimento di lungo periodo b) Investire in società esposte ad alternative alla carne. A conferma di cio’ che diciamo, i big della carne sono tra i piu’ grandi investitori in societa’ che propongono alternative alla carne stessa. Visto che abbiamo ben chiaro il trend davanti a noi vorremmo offrire ai nostri investitori esposizione a prodotti/società che possono beneficiare di questo shift colossale. Tuttavia, noi abbiamo un approccio value e ad oggi le scelte sono limitate ma non nulle. Queste le opzioni: 1) Società che producono proteine vegetali. Vi sono società che puntano ad offrire un’alternativa alla carne e vi sono società che vogliono offrire la stessa esperienza della carne usando ingredienti vegetali. Qui le società pure quotate sono poche e troppo care (per un value investor). Tuttavia, vi sono conglomerati che hanno qui divisioni eventualmente da spinoffare che possono creare valore con limitato rischio. 2) Società che producono proteine dagli insetti (in occidente utilizzabili per nutrire gli animali domestici e per acquacultura). È un’area con grandi potenziali. Qui non esistono problematiche etiche e ambientali. Non vi sono società quotate pure e se ci fossero sarebbero probabilmente molto care. Ci si può esporre attraverso società nel settore alimentare che hanno investito in start up in quest’area. 3) Società che producono carne in laboratorio, attraverso le stem cells, senza il bisogno di allevare e macellare animali. Qui vale lo stesso discorso precedente. 4) Società operanti nel campo della pesca responsabile e dell’acquacoltura 5) Ogni società che offre prodotti e/o servizi che possono servire alle società di cui sopra. Un’industria da un trilione di euro potrebbe essere spazzata via. Ogni distruzione porta con se grandi opportunità ... Log Book Questa settimana iniziano ad uscire i risultati delle grandi banche americane che, come sempre, anticipano il resto del mercato. Siamo fiduciosi possano riportare risultati decenti e aiutare così il sentiment degli investitori. Se così fosse, ci aspettiamo che le banche europee e asiatiche possano ben rispondere. Ci attendiamo un mercato sanguigno verso i titoli growth: quelli che riporteranno bene potranno andare ancora più su, ma quelli che riporteranno male potrebbero essere puniti senza pietà. A questi livelli ci aspettiamo un po’ più di indulgenza verso i titoli value che riportano male, e molto entusiasmo in caso contrario. La recente scrollata dei mercati può essere quanto mai positiva e creare un po’ di vuoto per far concludere l’anno positivamente. I venditori delle ultime settimane non potranno che
lasciare buona parte del venduto in cash. Questo, se il mercato non crolla, verrà gradualmente rimesso sul mercato sul rimbalzo, dando la forza di rompere le varie resistenze. Questo vale in particolare per gli indici più value. Ricordiamoci che il mercato può salire con volumi molto sottili; uniche condizioni richieste è ci sia liquidità in giro, pochi venditori e un po’ di quella cosa che nei paesi anglosassoni chiamano FOMO (fear of missing out), ossia l’ansia di perdere il treno del mercato. E il rischio di perdersi un (poco atteso) rally di fine anno qui sembra assolutamente da non sottovalutare.
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