Commento Settimanale - Niche Asset Management

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Commento Settimanale - Niche Asset Management
21/06/2021

Commento Settimanale

Brrrrrr…
Ventata gelida sui mercati a seguito della riunione della Fed da cui emerge che tra 18/24
mesi i tassi di interesse inizieranno a normalizzarsi, con un paio di rialzi previsti per il
2023. La migliore tra le possibili ipotesi. Se Jerome Powell fosse stato troppo timido (un
solo rialzo nel 2023), le commodities, bitcoin e speculazione avrebbero ulteriormente
impazzato. Avesse parlato di tempistiche molto prossime (2022), un vero taper tantrum
                                              sarebbe stato inevitabile. Allora perché il
                                              mercato è sceso? Due rialzi al posto di uno
                                              previsto per il 2023 indicherebbero, secondo
                                              alcuni commentatori, una certa ansia della
                                              FED... Questa è chiaramente la micro-retorica
                                              che abbiamo visto tante volte a seguito delle
                                              riunioni della Fed. In realtà non è avvenuto
                                              niente di grave. Il mercato si annoia e ha
                                              bisogno di scossoni di tanto in tanto. Ma la
situazione rimane positiva. Il contesto è di crescita con deboli (e positive) pressioni
inflattive strutturali, e forti pressioni inflattive congiunturali, dovute ad una serie di colli
di bottiglia che velocemente si riassorbiranno (i commenti della FED aiuteranno in tal
senso). Il mercato potrebbe ancora scendere un pochino, ma l’unico motivo per una
feroce correzione sarebbe il timore di segnali recessivi misti a sostenuta e strutturale
inflazione (stagflazione), di cui assolutamente non vi è traccia (!). Durante i veri e propri
sell-off la coda è cospicua in quanto passano diversi giorni da quando i comitati di
gestione discutono il da farsi, al momento in cui gli ordini arrivano sul mercato. E poi
servono alcuni giorni per processare gli stessi ordini. A questo va aggiunto il flusso degli
investitori momentum che si aggregano. Quindi, solitamente, meglio non avere fretta.
Prendersi qualche settimana di vacanza (senza nessuna connessione al mercato) in tali
circostanze è raccomandabile. Tuttavia ora è diverso e crediamo che la coda sarà
abbastanza breve e ci potrà dare comunque la possibilità di comprare molti titoli
interessanti con uno sconto del 10%-15% rispetto ai massimi recenti. Come abbiamo già
avuto occasione di commentare, ci concentreremmo su settori come telefonici, utilities,
retailer, finanziari, farmaceutici e media che non hanno beneficiato del trade
sull’inflazione, ma che saranno favoriti da una graduale ripresa strutturale legata a
diversi fattori, specifici per ognuno di loro. Cercheremo di dedicare particolare
attenzione alle società la cui attività esercita un positivo impatto per la comunità,
societa’ che dovrebbero beneficiare di aiuti sul fronte regolamentare e di minore costo
dell’equity. Per chi si focalizza su prodotti finanziari gestiti e non sui singoli titoli, questa
fase concede la possibilità di aggiustare qualche posizione e magari di aggiungere value
e sostenibilità ai portafogli, nel caso non lo si fosse ancora fatto (ma qui ammettiamo di
essere in conflitto di interessi...). Il value è stato penalizzato in questi giorni di paura e
confusione. Crediamo però di trovarci solo all’inizio di una protratta fase di mercato in
cui i settori tradizionali, in buona parte sfrattati dagli indici durante l’ultimo decennio e
dove giace buona parte dell’universo value, potranno tornare nei portafogli degli
investitori e l’analisi fondamentale possa, al contempo, tornare ad avere un ruolo
determinante nella scelta degli investimenti.
Commento Settimanale - Niche Asset Management
Angie
Quando spariranno tutte quelle nuvole?
Angie, Angie
Dove si andrà da qui?
Senza amore nelle nostre anime
E niente soldi nei nostri cappotti
Non puoi dire che siamo soddisfatti
Angie, Angie
Non puoi dire che non abbiamo mai provato
Angie, sei bellissima, sì
Ma non è ora che ci salutiamo?
Angie, ti amo ancora
Ricordi tutte quelle notti in cui abbiamo pianto?
Tutti i sogni sono stati tenuti così vicini
Sembrava andare tutto in fumo
Lasciami sussurrare nel tuo orecchio
Angie, Angie
Dove ci porterà da qui?
Oh, Angie, non piangere
Oh, i tuoi baci hanno ancora un sapore dolce
Odio quella tristezza nei tuoi occhi
Ma Angie, Angie
Non è ora che ci salutiamo?

Angie, bellissima e storica canzone dei Rolling Stones, fu scritta secondo le fonti ufficiali
da Keith Richards per sua figlia Angela, sebbene alcuni pensino sia stata dedicata a
un’altra Angela, la moglie di David Bowie.
Titolo e contenuto di questa canzone possono far pensare ad un azionista di Engie, la
più grande utilities francese, che si rivolge con tristezza alla società, prima di vendere i
titoli, dopo anni di aspettative e delusioni.
Nata nel 1834, Engie conta circa duecentomila dipendenti e attività in settanta paesi. La
società dalla sua quotazione, avvenuta nel 2005 (allora si chiamava Gaz de France), ha
registrato, pur considerando i dividendi netti incassati, un rendimento pari a zero, il che
implica aver perso, in termini reali, quasi la metà del proprio valore.
Questo gruppo è passato attraverso la liberalizzazione del mercato, il crollo del valore
                      dei carburanti fossili che ne
                      hanno minato la profittabilità,
                      una costosa aggregazione
                      interna con SUEZ, una serie di
                      acquisizioni sbagliate, l’uscita
                      forzosa e intempestiva dal
                      carbone e dal petrolio, Il
                      decommissioning delle centrali nucleari in Belgio e, recentemente,
                      la pandemia che ne ha indebolito la divisione Clienti. Come
                      sempre, il value investing consiste nell’individuare il punto di
     Mick Jagger      inflessione, ossia quando le forze positive per la crescita della
                      società superano gli elementi negativi ancora attivi. Questo va
fatto con un certo grado di anticipo che permette di comprare a valutazioni attraenti e
con un downside massimo misurabile, in modo da creare una adeguata strategia di
accumulazione. Si producono a tal fine modelli di sensitivity analysis sebbene il risultato
non possa chiaramente essere matematico visto il numero di variabili in gioco (questo è
anche il motivo per cui la diversificazione è decisiva). Oggi l’inflection point per Engie
sembra arrivato. Dopo anni di investimento nelle rinnovabili la società è per quasi l’80%
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una società regolata, di cui il 35% è legato alla produzione di energia rinnovabile e il 45%
al suo network di distribuzione. Entro il 2030 la società passerà dagli attuali 30 GW a
80GW di generazione di energia da rinnovabili, non lontano da tutta la generazione
attuale. Le stime degli utili per i prossimi tre anni, crescita degli utili dell’8% all’anno,
sono modeste e possono essere battute. La società è solida, vanta un alto rating
creditizio e può pagare un dividendo del 6/7% all’anno senza problemi (la società ha
fissato 65 centesimi, il 5%, come soglia minima per i prossimi 3 anni). La ristrutturazione
ancora in corso potrebbe portare a sorprese positive non considerate dal mercato. La
nuova CEO, Catherine MacGregor, ha escluso grosse operazioni di acquisizione. Engie
dovrebbe apprezzarsi di oltre il 25% per raggiungere la valutazione di Enel e del 50% per
raggiungere quella di Iberdrola, realtà che tra 12/18 mesi saranno comparabili a Engie
in termini di esposizione alle rinnovabili. I multipli sono modesti, a 11x gli utili 2022, 6,5x
l’EV/EBITDA. In un mondo che strapaga per avere esposizione a società rinnovabili super
fashion, che spesso sono sopravvalutate o non registrano utili, Engie offre una crescente
e massiccia esposizione a questo mondo per poco più di una canzone. Quanto al fashion,
non escludiamo Engie lo diventi presto.

Ma Engie, Engie,
Sarebbe forse il caso di aspettare ancora un pochino prima di salutarsi?

Ieri come oggi..
Militare e politico americano, George C. Marshall fu Capo di Stato Maggiore durante la
seconda Guerra mondiale sotto Franklin Delano Roosevelt e poi Segretario di Stato sotto
Harry Truman. Marshall promosse il piano di aiuti per l’Europa (chiamato informalmente
                           Piano Marshall e ufficialmente ERP, European Recovery
                           Program) pari a 22 miliardi di dollari (al valore attuale 120
                           miliardi di dollari) per accelerare la ricostruzione. A seguito di
                           questa iniziativa, Marshall fu insignito del Nobel per la pace nel
                           1953.
                           Oggi stiamo rivivendo quella fase. Non sarà una strada in
                           discesa e tante cose possono andare ancora storte. Ci sono
                           tuttavia elementi per poter dire che qualcosa andrà
                           sicuramente bene. Questo avviene proprio quando negli ultimi
                           mesi si legge da più parti quanto il paradigma del capitale
  George C. Marshall
                           investito sia cambiato e come oggi le attività immateriali siano
                           più importanti di quelle materiali. Sebbene ciò sia parzialmente
vero, parlarne oggi serve solo a capire le dinamiche dello
scorso ventennio e non ad interpretare il futuro.
Segnaliamo un bell’articolo uscito in settimana sull’FT di Ian
Harnett, fondatore di Absolute Research Strategy, una casa
di strategia basata a Londra (clicca qui per leggerlo). Ian è
persona con grande esperienza, capacità di interpretare il
cambiamento e di anticipare trend. Fu per diversi anni capo
della strategia a UBS, prima di fondare la sua boutique.
Nell’articolo Ian vede il passaggio da un modello di sviluppo
caratterizzato da business a bassa intensità di capitale, che
                                                                     Ian Harnett
ha dominato i passati vent’anni, ad un modello ad alta
intensità di capitale, ovvero il modello che ha caratterizzato il dopoguerra.
Sarebbero quattro i trend che portano a questo cambiamento secondo Ian:
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1) Investimenti per riportare la capacità produttiva a casa (onshoring), a seguito di
un’estremizzazione dell’outsourcing che ha avuto effetti sociali e strategici importanti.
La disruption della supply chain durante la pandemia è stata una wake up call, così come
il nazionalismo emerso dalla distruzione di molti distretti industriali nei paesi sviluppati.
2) Lo spostamento degli Investimenti dall’information all’infrastruttura. Ian cita The
Global Infrastructures Hub che stima in 94 trilioni di USD (si, trilioni!) la necessità di
investimenti in infrastrutture nei prossimi 20 anni solo per tenere il passo con i
cambiamenti demografici e con l’obsolescenza di quelle attuali.
3) La necessità di gestire la transizione energetica verso un mondo a zero emissioni di
CO2. Questo è un obiettivo ciclopico che interesserà non solo i trasporti, ma diversi altri
settori come acciaio e agricoltura.
4) La corsa per gestire il confronto geopolitico. Negli anni ’60 questo fu uno dei driver
per investimenti che divennero funzionali all’innovazione tecnologica. Oggi il confronto
si gioca su cybersecurity, 5G, semiconduttori, aereospace e quantum computing.
Enormi capitali saranno convogliati in questi settori.
Per i prossimi dieci anni Ian vede quindi il ritorno del business e degli Investimenti verso
le società ad alta intensità di capitale, che sono poi, conclude, quelle su cui si
concentrano la maggior parte delle strategie value.
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