Come le facce di un poliedro - o dei diversi aspetti dell'insegnare Matematica - ISIS Europa

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Come le facce di un poliedro - o dei diversi aspetti dell'insegnare Matematica - ISIS Europa
Come le facce
 di un poliedro
o dei diversi aspetti dell’insegnare Matematica

 a cura di Maria Guida
 Prefazione di Lia Terracciano

Teresa Boccia, Carla Circone, Anna Copia, Claudia De Sarno, Aurelio Di Napoli, Rosa Anna
Esposito, Adele Febbraro, Elvira Fratini, Cecilia Fuschillo, Domenico Grasso, Annamaria Lip-
piello, Antonella Lo Sapio, Aurora Marciano, Emilia Marino, Silvana Molaro, M. Rosaria Napoli,
M. Consiglia Petroli, Consiglia Russo, Luisa Scarano, Antonietta Sorrentino, Carlo Stromboli,
Rosa Tafuro, Lucrezia Vivenzio.
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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

 ISIS “Europa” Pomigliano d’Arco. Prima edizione Giugno 2020.

Quest'opera è stata rilasciata con licenza Creative Commons Attribuzione - Non
commerciale - Condividi allo stesso modo 3.0 Italia.

Originalità e correttezza dei singoli paragrafi sono responsabilità diretta dei rispettivi
autori.

In copertina: Franco Cuomo Geometrie. Si ringrazia l’autore per la gentile concessione.

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INDICE

 Prefazione pag. 2

1 La metacognizione in Matematica pag. 4

2 Tecnologia digitale e Matematica pag. 12

3 Matematica e problem solving pag. 18

4 Matematica e realtà pag. 29

5 Sviluppare lo spirito critico e creativo con la didattica per si- pag. 36
 tuazione-problema in Matematica

6 CLIL: un esempio di didattica attiva in Matematica pag. 45

7 Strategie e meccanismi per tenere alta la partecipazione dello pag. 58
 studente all’attività didattica in Matematica

8 Imparare la Matematica in un contesto laboratoriale pag. 63

 Note sugli autori pag. 74
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RINGRAZIAMENTI

Questo libro nasce come prodotto finale collaborativo dei docenti di Mate-
matica partecipanti al corso di formazione “La Matematica in un mondo
complesso”, tenutosi all’ISIS “Europa” di Pomigliano d’Arco (NA) nell’ot-
tobre e novembre 2019, nell’ambito delle iniziative formative della rete d’Am-
bito 19 della Campania.
Un sentito ringraziamento alla Dirigente Scolastica Rosanna Genni per
avermi invitato come formatrice ma soprattutto per aver sempre messo lo
studente al centro di questa ed altre iniziative mirate all’innovazione della
scuola.

 Maria Guida
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 PREFAZIONE

di Lia Terracciano

Molte volte nella mia carriera professionale di insegnante e in quella parimenti
impegnativa di genitore, mi sono trovata davanti a bambini, preadolescenti e
adolescenti nell'impegnativo compito di far comprendere loro perchè è utile
(e può essere al tempo stesso affascinante) studiare la matematica.

Ogni volta, la risposta più semplice che ho ritenuto opportuno dare ai ragazzi
è stata sempre la stessa: perchè la matematica è in ogni cosa che facciamo.
Quando cuciniamo, quando facciamo la spesa, quando lavoriamo da cassiera,
da muratore, da ingegnere, da astronauta, le nostre azioni non sono altro che
una sequenza di attività che usano quei concetti algebrici che, spesso a forza,
la maestra provava ad inculcare nella nostra testa.

Inutile dire che ogni volta i miei interlocutori rimanevano sempre con uno
sguardo, al tempo stesso interrogativo e incredulo; ma posso sicuramente ag-
giungere che dopo pochissimi esempi concreti, erano costretti a ricredersi e
cominciare a lavorare di buona lena sui compiti assegnati.

“La matematica non sarà mai il mio mestiere” cantava un bravo cantautore
negli anni 80 e forse interpretava proprio uno di quei luoghi comuni che so-
vente condizionano il nostro modo di pensare e ci creano pregiudizi che per
pigrizia ci rifiutiamo di superare.

Il libro che vi apprestate a leggere vuole proprio confutare questo pregiudizio
testimoniando due importanti messaggi che, spero, possano arrivare con im-
mediatezza e semplicità ai lettori.

Innanzitutto il libro testimonia una straordinaria esperienza didattica matu-
rata nel tempo dai docenti che si sono misurati con questo progetto del quale
sono onorata di aver fatto da tutor, una esperienza, credetemi, che trae linfa
vitale dal quotidiano confronto con centinaia di allievi, inconsapevoli colla-
boratori nell'opera compositiva dei propri prof, ai quali devono aver tra-
smesso parte di quello spirito creativo vulcanico, tipico della loro età, troppe
volte imbrigliato in schematismi formali rigidi e improduttivi.

Ma poi, scorrendo le pagine e i capitoli, questo libro lascia trapelare un altro
aspetto parimenti affascinante e ci fa man mano comprendere il motivo per
cui questa materia ci seduce: perchè è al tempo stesso ordine e disordine,

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ragionamento e intuito, metodo e inventiva, soluzione unica e soluzione mul-
tipla; perchè è entrata nel nostro lessico quotidiano con parole come scom-
posizione, comune denominatore, mettere in evidenza; perchè la società di-
gitale in cui viviamo, che misura ogni cosa in byte, senza numeri ci proiette-
rebbe immediatamente all'età della pietra; perchè ci insegna a risolvere i pro-
blemi quotidiani ma anche a crearne ed, a volte, inventarne.

Insomma perchè, diciamocelo chiaramente, la matematica ci sarebbe anche
piaciuta tantissimo, ma forse non ce l'hanno mai spiegata con la passione e la
dedizione che apprezzerete nelle prossime pagine, per cui non mi resta che
augurarvi una buona lettura.

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 1 LA METACOGNIZIONE IN MATEMATICA
 1.1 Metacognizione nell’apprendimento della matematica
 di Carlo Stromboli.

Diamo una immediata definizione di metacognizione.
Il concetto di “metacognizione” è, come molti altri concetti psicologici, una
specie di raccoglitore di aspetti differenti del funzionamento psichico.

Esso include:

 - l'atteggiamento metacognitivo: la modalità riflessiva e consapevole
 con cui l’alunno affronta i compiti cognitivi;

 - la conoscenza metacognitiva: le idee che sviluppa sul funzionamento
 mentale;

 - i processi metacognitivi di controllo: processi con cui di conseguenza
 lo controlla.

 Per quanto questa sistematizzazione della metacognizione possa non es-
sere da tutti condivisa, pensiamo che sia indiscutibile il fatto che i fenomeni
sottostanti siano rilevanti per capire l’apprendimento e le sue diffi-
coltà. Buone prestazioni in matematica sembrano, infatti, essere imputabili
proprio all’insieme di conoscenze che lo studente acquisisce circa la cogni-
zione e la sua regolazione. Queste, se ben organizzate, costituiscono una vera
e propria metateoria (Cornoldi, 1995; Borkowski e Muthukrishna, 2011) in
grado di guidarlo nel mettere in atto comportamenti strategici con buoni ri-
sultati nelle prestazioni.
 Lo studio della metacognizione e di concetti ad essi legati, come ci ricorda
Bruno D’Amore ha inizio alla fine degli anni ’70. Nel corso del decennio

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successivo molti sono stati i lavori di analisi ed esperimenti didattici atti a
sottolineare l’atto della consapevolezza dello studente nell’analisi dei concetti
affrontati, della capacità di acquisizione e di acquisizione ragionata.
 Celebre il problema dell’autobus e dei soldati:
 «Un bus dell’esercito trasporta 36 soldati. Se 1128 soldati devono essere
trasportati in bus al campo d’addestramento, quanti bus devono essere
usati?». Lo studente risolve il problema perdendo il senso della proposta con-
creta dal punto di vista semantico, e concentrandosi sui dati numerici e non
sulla “storia” contenuta nel testo. Per cui risponde: 31,3 o 31,33, “dimenti-
cando” che si sta parlando di autobus. Lo studente metacognitivamente ca-
pace dovrebbe avere il “coraggio” di rispondere 32, anche se la divisione dà
come quoziente 31,333333.
 Nel 1987 Alan H. Schoenfeld pubblicò un suo celebre articolo sulla me-
tacognizione, posta in relazione con l’insegnamento-apprendimento della
matematica. Nell’articolo illustrava i risultati dell’indagine sul famoso pro-
blema del bus e dei soldati.
 Questi sono soltanto i primi di numerosi studi che si sono succeduti ed
hanno approfondito il problema della metacognizione nell’apprendimento,
indipendentemente da età e tipo di scuola.
 Ciò che anche nella discussione emersa negli incontri del corso di forma-
zione è l’attenzione alle esperienze metacognitive che permettono allo stu-
dente la presa di coscienza dei processi cognitivi in atto.
 La difficoltà degli alunni di astrarre, di ragionare, al di la del mero calcolo
o della risoluzione meccanica di un problema, di osservare innanzitutto il
contesto ed individuare eventuali altre strade o strade alternative, più belle,
eleganti e a volte le uniche efficaci da percorrere.

Aspetti affettivi, emotivi e motivazionali. Gli approcci metacognitivi
hanno integrato gli aspetti emotivo-motivazionali quando ci s i è resi conto
che certi soggetti possedevano le conoscenze cognitive e metacognitive ne-
cessarie per lo svolgimento di un compito, ma che non le utilizzavano. In
altre parole, questi soggetti avrebbero saputo cosa fare e come farlo, ma non
avevano la volontà di provarci. La motivazione e le reazioni emotive e affet-
tive accompagnano e influenzano i processi cognitivi e metacognitivi durante
l’apprendimento scolastico (De Beni et al., 2001). Per Caponi et al. (2006), il
sistema emotivo-motivazionale è costituito da

 - le credenze dell’alunno circa le proprie capacità di affrontare deter-
 minati compiti (autoefficacia, percezione di competenza, attribu-
 zione, senso di controllo e autodeterminazione);
 - gli scopi che lo guidano (obiettivi, interessi, valori, motivazioni 7 in-
 trinseche);

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 - le reazione emotive (ansia, orgoglio, vergogna, sentimenti legati a sé
 e all’autostima).

 Le emozioni relative all’apprendimento sono legate al modo nel quale lo
 studente spiega i suoi successi o insuccessi. Nel caso ideale, l’allievo pos-
 siede una buona stima di sé, uno stile attributivo adeguato e le emozioni
 positive e negative che prova mentre fa matematica lo spingono ad im-
 pegnarsi e a rimettersi in questione. Nella realtà, però, non è sempre così.
 È possibile infatti che l’allievo sviluppi schemi mentali stabili disfunzio-
 nali. Per esempio, un alunno in difficoltà, con un’immagine negativa di
 sé, può tendere ad attribuire le proprie prestazioni a cause che sfuggono
 al suo controllo quali la mancanza di abilità, la difficoltà del compito o la
 fortuna.

Processi metacognitivi di controllo Durante lo svolgimento di un com-
pito, l’allievo è nell’obbligo di prendere decisioni. Queste decisioni sono di
diversi tipi: continuare o no a lavorare; valutare la correttezza di quello che
sta facendo; chiedere o meno l’aiuto a qualcuno; organizzare il lavoro di
gruppo nel caso di un’attività con altri compagni; etc. Nella risoluzione dei
problemi, in particolare, i processi decisionali hanno una grande importanza.
Zan (2007) cita alcune decisioni cruciali che corrispondono a quello che
chiama processi di controllo: assicurarsi della perfetta comprensione del pro-
blema prima di intraprendere un piano d’azione, pianificare, mantenere il
controllo di come procedono le cose durante la risoluzione (in particolare
decidere cosa fare e quanto tempo riservare ai vari tentativi), distribuire bene
le proprie risorse. In Caponi et al. (2006) e in Fantuzzi (2011), i processi me-
tacognitivi di controllo sono classificati in quattro tipi:

 - la previsione
 - la pianificazione
 - il monitoraggio
 - l’autovalutazione.

 Essi vengono descritti cosi da Fantuzzi:
1) Previsione: saper anticipare il livello della propria prestazione, in relazione
alla tipologia, alla difficoltà e alla finalità del compito. Questa capacità richiede
al soggetto di aver memorizzato certe informazioni relative a compiti e pre-
stazioni precedenti. Durante questo processo sarà anche necessario formu-
lare delle ipotesi, il che favorisce processi di inferenza e di deduzione.
2) Pianificazione: capacità a ordinare le fasi/operazioni necessarie per risol-
vere il compito. La pianificazione può essere fatta a corto, medio o lungo

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termine, e dipende dalla comprensione del compito e dagli obiettivi (anche
intermedi) che il soggetto si è fissato.
3) Monitoraggio: capacità di controllare l’esecuzione del compito. Durante le
fasi di monitoraggio è importante mantenere alta l’attenzione, per esempio
grazie all’attivazione di strategie di limitazione/controllo dei fattori distraenti.
4) Autovalutazione: valutazione autoriferita da parte del soggetto appren-
dente, relativa all’efficacia e all’efficienza delle strategie cognitive messe in
atto. Non si tratta di valutare il prodotto realizzato, ma piuttosto COME è
stato raggiunto questo risultato, attraverso l’analisi delle strategie adottate
(adeguatezza in relazione al successo o insuccesso avuto), la riflessione sulla
generalizzazione delle strategie e la definizione di un piano strategico futuro
finalizzato alla riapplicazione delle strategie efficaci e al superamento delle
strategie inadeguate.

Sviluppo delle capacità metacognitive Le capacità metacognitive non
sono dunque una caratteristica stabile dell’individuo, ma piuttosto un insieme
di conoscenze e di processi soggetti a cambiamenti. Infatti, “la capacità di
riflettere sul proprio pensiero e di regolare le proprie attività cognitive si svi-
luppa e si affina col procedere dell’età e parallelamente allo sviluppo cogni-
tivo, determinando dei cambiamenti relativi alla generalità e alla specificità
delle conoscenze, al tipo di consapevolezza e verbalizzabilità e infine alla di-
sponibilità d’uso” (Caponi et al., 2006, p.27). Come scrive anche Tardif
(1997), la metacognizione fa parte dello sviluppo cognitivo e, di conseguenza,
consiste in un tipo di conoscenza che si sviluppa con l’esperienza e la scola-
rizzazione. L’insegnante deve quindi costruire delle situazioni che permet-
tono ai ragazzi di ampliare le proprie risorse legate ai processi di controllo,
cosi come devono permettere di sviluppare un atteggiamento metacognitivo
positivo e costruttivo verso se stesso e verso la materia.

 1.2 Esperienze di attività metacognitive nella matematica
 di Carlo Stromboli
Il laboratorio matematico L’attività di risoluzione dei problemi e l’appren-
dimento collaborativo possono essere dei validi strumenti per aiutare gli al-
lievi a sviluppare le loro capacità metacognitive. In teoria, però, l’uno non
implica l’altro. Infatti si può risolvere un problema da solo, ed è possibile
lavorare con altri per la risoluzione di un semplice esercizio. Una modalità
pedagogica che combina risoluzione di problemi e apprendimento collabora-
tivo è il laboratorio matematico. Esso, secondo Bolondi (2006), è determi-
nato dalle caratteristiche seguenti:

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- si entra in laboratorio perché si vuole capire qualcosa. Un laboratorio
 è quindi un luogo (non necessariamente fisico), o un tempo, in cui si
 entra con una motivazione forte, legata alla voglia di sapere, in cui si
 rompono gli schemi scolastici. La sfida per l’insegnante sta nel co-
 struire situazioni che risvegliano questo ordine di motivazione.
- si parte dal problema, non dalla soluzione. Questo implica la neces-
 sità per gli allievi di “sporcarsi le mani” nel tentativo di comprendere,
 scoprire ed imparare. Non si presenta una teoria e poi alcuni suoi
 esempi, ma invece si parte da un problema, una osservazione, un
 insieme di dati, e si cerca di costruire una spiegazione razionale e di
 organizzarla in una teoria.
- non è possibile sapere a priori quali strumenti matematici saranno
 necessari per capire e risolvere il problema o la situazione. Tutte le
 conoscenze e le abilità degli allievi possono essere mobilitati.
- il lavoro non è mai individuale. La collaborazione può essere sia oriz-
 zontale (tra i ragazzi) che verticale (tra ragazzi/gruppo e insegnante).
 In un laboratorio, anche gli alunni normalmente in difficoltà pos-
 sono contribuire al lavoro del gruppo, e il compito dell’insegnante
 sarà di fare in modo che le proposte di tutti vengano riconosciuti e
 condivisi.
- non si riesce a tracciare una linea di demarcazione netta tra teoria e
 pratica. L’esperienza e la riflessione sull’esperienza si fondono e fa-
 voriscono il sorgere delle procedure tipiche del pensiero matematico:
 definizione, astrazione, generalizzazione, schematizzazione, dimo-
 strazione, verifica;
- tutto ciò che si fa ha un senso, anche gli errori. I tentativi sbagliati,
 le strade senza uscita, le ripetizioni e i circoli viziosi sono altrettante
 occasioni per dare una dimensione costruttiva all’errore. In generale,
 però, questo non accade automaticamente. Infatti l’azione dell’inse-
 gnante è spesso indispensabile per spingere i ragazzi a porsi do-
 mande sulla pertinenza del loro operato e a riflettere su come i loro
 errori potrebbero essere una chiave per individuare la strada giusta.
- l’intuizione si unisce al rigore, la fantasia al metodo e l’inventiva al
 mestiere. Come per le situazioni problemi, processi cognitivi di alto
 livello come la creatività sono richiesti in situazione di laboratorio.
Come si può costatare da questi 7 punti, il laboratorio non deve per forza
essere un luogo particolare e nessun materiale specifico (come per esem-
pio nel laboratorio di scienze) è necessario. Bolondi (2006) nota però
quanto la presenza di artefatti (modelli matematici e geometrici, materiale
per costruire e sperimentare, giochi, computer e calcolatrice tascabile…)
può essere utile per spingere gli allievi a sperimentare e ad esercitare la
propria intuizione. In una situazione di laboratorio, l’insegnante ha anche

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 un ruolo importante rispetto alla promozione delle capacità metacogni-
 tive degli allievi. Pertichino et al. (2003), parlando di “peer tutoring”, met-
 tono in evidenza i comportamenti possibili del tutor e i loro effetti. Que-
 sti comportamenti possono, secondo me, essere trasferiti al docente che
 fungerà da modello per gli allievi. In questo senso il docente procede
 durante il laboratorio a correzioni, suggerimenti e annotazioni, ma so-
 prattutto pone domande relative ai contenuti (“che cosa state facendo?
 Potete descriverlo in modo preciso?”), alle modalità (“perché fate così?
 Come viene inserito ciò che state facendo nella soluzione?”) e alle capa-
 cità di monitoraggio (“Come vi aiuta a risolvere il problema assegnato?”).
 Come scrivono Caponi et al. (2006) “Queste domande servono a inco-
 raggiare la riflessione degli studenti sul proprio operato, a promuovere lo
 sviluppo di capacità di automonitoraggio e autodiagnosi e a fare esplici-
 tare il ragionamento che sta dietro le loro scelte quando mettono in atto
 le strategie di controllo.”. Uno degli obiettivi del docente è che gli allievi,
 anche se in difficoltà all’inizio di fronte a queste domande, inizino ad
 anticiparle e finalmente a porsele da soli, cioè a se stessi e ai propri com-
 pagni. Così facendo gli alunni diventano più autonomi e guadagnano fi-
 ducia nei propri mezzi. Una particolare attenzione deve probabilmente
 essere portata agli allievi insicuri riguardo alle proprie abilità.

Alcune esperienze che ho avuto si rifanno al metodo Jigsaw Classroom, so-
prattutto nell’introduzione di un nuovo argomento. Parliamo di classi prime
della scuola secondaria di II grado.
Nella pratica, il metodo Jigsaw Classroom funziona nel modo seguente:
 L’insegnante sceglie un argomento che sarà oggetto di studio per la classe
articolata in gruppi. Tale argomento deve essere suddivisibile in moduli auto-
sufficienti ma integrabili. Di tale argomento, procura materiali di studio di
varia natura (parti del libro di testo, dispense, fotocopie, power point, sito-
grafie etc.) che saranno poi forniti agli studenti.
L’insegnante crea dei Gruppi Jigsaw (che dovranno creare il quadro conosci-
tivo d’insieme) e dei Gruppi di Esperti (ciascuno con un argomento specifico
da studiare ed approfondire). In ciascun gruppo Jigsaw nomina un leader-
referente. Ciascun membro di ogni Gruppo Jigsaw fa parte di un Gruppo di
Esperti differente. Sia nei Gruppi Jigsaw sia nei Gruppi di Esperti, l’appren-
dimento avviene attraverso il cooperative learning ed il peer education: si ri-
correrà, dunque, all’ausilio dei compagni e non a quello dell’insegnante nel
processo di studio e di approfondimento.
Al termine dell’attività, l’insegnante somministrerà una prova di verifica a li-
vello individuale ma che contenga gli argomenti complessivi di tutto il lavoro.
In base ai diversi contesti di apprendimento, può trattarsi di un quiz oppure
di una esposizione orale, eventualmente supportata da un power point di sin-

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tesi. All’interno dei Gruppi di Esperti si instaurano tra gli studenti delle pro-
ficue relazioni di scaffolding che investono sia i processi di apprendimento
sia le abilità comunicative.
Scaffolding (derivato di scaffold, parola della lingua inglese traducibile con il
vocabolo italiano impalcatura) è un termine desunto dal lessico psicopedago-
gico. La sua introduzione nell’ambito della psicologia e della pedagogia risale
alla pubblicazione sul Journal of Child Psychology and Psychiatry (1976), di
un articolo firmato da Jerome Bruner, David Wood e Gail Ross, nel quale si
presentavano ed approfondivano le dinamiche di interrelazione intercorrenti
tra un bambino ed un tutor impegnati nella risoluzione di un compito (nello
specifico, la costruzione di una piramide tridimensionale in blocchi di legno).
In seguito, il termine scaffolding venne usato in senso più lato e metaforico
per descrivere il processo in cui una persona più esperta aiuta una persona
meno esperta durante la costruzione attiva del suo processo di apprendi-
mento, supportandola nella risoluzione di un problema o nel raggiungimento
di un obiettivo. Tale dinamica di supporto può attuarsi sia tra persone di età
differente (adulto/bambino o ragazzo) sia tra pari.
Nell’implementazione del metodo Jigsaw Classroom, l’impiego della LIM
può risultare utile ed efficace, poiché, segnatamente all’atto della sintesi finale,
permette di evidenziare concetti e parole-chiave, creare connessioni e colle-
gamenti ipertestuali di maggiore impatto; incrementare, grazie all’aspetto vi-
sivo, la soglia di attenzione di tutti gli studenti, facilitando la completa com-
prensione dell’argomento; incidere positivamente sul livello di motivazione
degli studenti.
 In ragione di ciò, può risultare valido il prevedere la presenza di un esperto
informatico in ciascun gruppo e, conseguentemente, la creazione di un
gruppo di esperti informatici che si confronti sulle migliori modalità d’im-
piego dei supporti digitali e riporti questo tipo di esperienza al gruppo madre.
Implementare nelle classi il metodo Jigsaw Classroom non è difficile, purché
l’insegnante sia motivato e si impegni quanto occorre nella fase preliminare,
scegliendo con oculatezza l’argomento, strutturando in modo adeguato i
gruppi, fornendo un supporto discreto ma costante durante lo svolgimento
dell’attività didattica. Laddove insorgano delle problematiche, il docente deve
essere pronto ad intervenire ma sarebbe preferibile se ciò accadesse solo
dopo aver lasciato al leader del gruppo la possibilità di cimentarsi in prima
persona in un tentativo di risoluzione dei conflitti o di gestione di una diffi-
coltà.

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

 Riferimenti.

Andrich Miato S. e Miato L. (2003), La didattica inclusiva: la via italiana all’ap-
prendimento cooperativo metacognitivo, Erickson, Trento
Bandura A. (2000), Autoefficacia, Erickson, Trento
Cornoldi C. (1995), Metacognizione e apprendimento, Il Mulino, Bologna

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2 TECNOLOGIA DIGITALE E MATEMATICA
2.1 Il contributo della tecnologia digitale di Elvira Fratini

In questi ultimi anni, con l’implementazione del Piano Nazionale Scuola Di-
gitale si è avviato un cambiamento culturale importante nella nostra scuola.
La tecnologia digitale non è rappresentata più solamente da “lavagne interat-
tive” e “apparecchi tecnologici”, ma diventa sempre più lo strumento per
rinnovare profondamente la didattica e renderla più attrattiva per i ragazzi,
usando metodi e linguaggi vicini alle loro sensibilità.
È impensabile credere che, introducendo le nuove tecnologie, la scuola possa
cambiare improvvisamente; non è sufficiente introdurre le tecnologie per mi-
gliorare l’apprendimento.
Per migliorare la scuola, occorre cambiare le pratiche.
L’insegnante deve riflettere sull’uso delle ICT, utilizzando le quali l’insegna-
mento diventa la scienza della progettazione. Pertanto con le nuove tecnolo-
gie gli studenti non possono fare da soli ed il primo ruolo dell’insegnante
diventa quello di progettista!
Le risorse da cui attingere informazioni, notizie e saperi sono tutte in rete, ma
le stesse devono essere canalizzate attraverso la regia dell’insegnante. Le ICT,
pertanto, devono diventare delle risorse per promuovere un processo di in-
segnamento/apprendimento significativo.
Progettare l’insegnamento con le ICT, nella logica delle competenze, signi-
fica:
 - favorire il processo di costruzione della conoscenza attraverso
 l’esplorazione e la scoperta delle risorse informative (condivisione);
 - promuovere esperienze di comprensione attraverso molteplici pro-
 spettive (scelta e interpretazione delle fonti);
 - promuovere l’apprendimento in contesti realistici rilevanti e signifi-
 cativi;

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 - incoraggiare l’autonomia e l’espressione;
 - inserire l’apprendimento in un’esperienza sociale;
 - incoraggiare l’uso di molteplici modalità di rappresentazione;
 - promuovere l’autoconsapevolezza.
La conoscenza, in tal modo, non risulta statica e chiusa, ma diventa iperte-
stuale, multimediale, per associazione, dinamica e flessibile; non è un sapere
sequenziale, ma si costruisce di volta in volta insieme agli alunni. L’insegnante
deve sostenere l’allievo nella ricerca attiva.
Le formae mentis da promuovere negli allievi sono:
 - pensiero abduttivo: saper affrontare l’imprevisto che sorge dal caos;
 - pensiero critico: valutare, interpretare, filtrare, leggere criticamente,
 porsi domande e problemi, creare relazioni con le proprie cono-
 scenze;
 - pensiero multidimensionale: confrontare punti di vista, organizzare,
 contestualizzare.
Sia la scuola che la società sono molto legate alle tecnologie digitali, in quanto
le stesse, di fatto, sono regolarmente utilizzate nella vita quotidiana.
I vantaggi di tale uso possono essere così riassunti:
 - la fluidità e la rapidità delle visualizzazione diverse;
 - la possibilità di maneggiare gli artefatti;
 - la ricchezza dei contenuti, ma ancor di più la possibilità di rendere
 fluido il passaggio da un mediatore ad un altro, la continuità di pas-
 sare dal concreto all’astratto e viceversa, dal generale al particolare.
L’utilizzo del digitale diventa, pertanto, un supporto per i processi logici,
riduce le lezioni frontali, scardinando in tal modo le convizioni tradizionaliste
degli insegnanti. Inoltre favorisce l’introduzione di soluzioni innovative
all’interno delle scuole, quali:
 - lo sviluppo delle competenze digitali di docenti, studenti e cittadini
 in laboratori per l’innovazione;
 - la diffusione di nuovi ambienti per la didattica;
 - i progetti per sensibilizzare genitori, docenti e ragazzi all’uso corretto
 di internet e ai pericoli della rete.
In questi anni di grandi cambiamenti, onde favorire l’introduzione delle tec-
nologie digitali, la scuola si è trovata e continua ad affrontare una serie di
problematiche, inerenti:
 - le strutture e le infrastrutture (la banda, il wifi, le modalità one-to-
 one oppure un dispositivo per tanti, il netbook oppure il tablet);
 - la dematerializzazione, ossia il saper fare a meno della carta;
 - i nuovi contenuti e i nuovi formati, ossia l’utilizzo di libri di testo
 digitali, le diverse piattaforme utilizzate dalle varie case editrici, la
 questione self-pubblishing e degli e-book pubblisher gratuiti per co-
 struire i libri;

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

 - le piattaforme e i sistema di videocomunicazione che potrebbero
 permettere la comunicazione tra plessi diversi, scuole montane o ad-
 dirittura sezioni ospedaliere.
Alla luce di questo nuovo scenario, la proposta formativa della scuola deve
favorire la tecnologia come risorsa culturale “normale” per la didattica e deve
riconoscere il valore delle competenze sviluppate nell’informale, rendendole
funzionali agli apprendimenti.
Per la matematica, l’introduzione delle tecnologie digitali in Italia risale alla
fine degli anni ’70, allorquando si intravede l’opportunità di introdurre a
scuola le calcolatrici tascabili. Da allora software e progetti sono stati svilup-
pati, espressamente per la matematica, sia per il calcolo algebrico, sia per la
geometria.

2.2 Esempi di app di Cecilia Fuschillo

La tecnologia è una componente sempre presente nella vita dei nostri stu-
denti e si impone come un nuovo paradigma educativo, ma non è facile inte-
grare la tecnologia in classe e insegnare ad utilizzarla in modo consapevole ed
equilibrato.
I discenti di oggi fin da piccoli vivono una vita digitale ricca di esperienze e
aspirano ad apprendere agendo in modo innovativo e creativo e noi docenti
siamo chiamati ad esaminare i nuovi scenari didattici reali/virtuali e le loro
implicazioni, valutandone la l’eventuale utilità nel contesto del processo di
apprendimento.
I dispositivi mobili regalano l’accesso a un mondo di informazioni da esplo-
rare, interpretare, comunicare e rappresentare che la scuola non può conti-
nuare a considerare marginali così come ad ignorare le aspettative degli
alunni.
 E’ tuttavia opportuno chiarire che gli strumenti multimediali sono solo degli
artefatti e non possono sostituire il docente. Non possono presentare le ri-
sorse in modo approfondito, né i flussi di informazione rimpiazzare le rela-
zioni significative che si creano in una classe reale tra gli alunni e il docente,
però un uso sensato e corretto delle tecnologie in classe consente di costruire
delle lezioni attive e coinvolgenti intrecciando i diversi sapere e favorendo
l’acquisizione di competenze in un contesto collaborativo.
Vari documenti ministeriali per il curricolo contengono riferimenti all’uso
delle tecnologie digitali nell’apprendimento e insegnamento della matematica
sin dalla scuola primaria.
La ricerca in didattica della matematica si occupa da molti anni di tipi software
e del loro utilizzo per l’insegnamento e l’apprendimento della matematica.
La diffusione del tablet e dello smartphone non sarebbe stata possibile senza
l’affermazione e la creazione delle applicazioni. Le “app” hanno trasformato

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

il modo di interagire dando vita a nuovi linguaggi e forme di comunica-
zione in grado di favorire la creatività e l’apprendimento by doing in chiave
collaborativa.
Una buona progettazione didattico/metodologica trova nelle app delle op-
portunità utili a promuovere e a rafforzare le abilità.
Le applicazioni create per aiutare a muovere i primi passi nel mondo della
matematica sono davvero molte e diversificate. Si va da app basate sul me-
todo Montessori, che sta avendo largo seguito tra le insegnanti (e non solo),
che sfrutta le famose asticelle e tessere, fino ad app che riescono a conciliare
l’esperienza ludica del gioco, all’apprendimento delle prime operazioni.
Anche gli argomenti sono tra i più vari: si possono trovare applicazioni dedi-
cate ai primissimi passi nella matematica per i bambini di età pre-scolare, fino
ad app che agevolano la memorizzazione di formule di algebra e geometria
per i ragazzi delle medie.
Qui di seguito è una breve rassegna di alcune tra le migliori app dedicate alla
matematica.
La Matematica di Montessori è uno strumento ideale per l’insegnamento
di addizioni e sottrazioni con numeri a due e quattro cifre. L’applicazione
consente di settare gli intervalli numerici con cui far lavorare i ragazzi, così
come l’utilizzo o meno dei riporti, per arrivare a una vera e propria persona-
lizzazione del procedimento delle operazioni. La difficoltà dei calcoli è pro-
gressiva e a motivare il bambino è un sistema di raccolta punti e premi, sot-
tolineando così l’importanza dell’apprendimento grazie all’esperienza ludica.
 GeoGebra conosce un grande sviluppo e un notevole successo si parla già
di 300.000 download al mese ed è stato tradotto in decine di lingue, si sta
sperimentando già una sua versione tridimensionale e si sta pensando a ver-
sioni per iPhone e iPad. I motivi del grande successo di GeoGebra, oltre al
fatto di coniugare ambiente geometrico e ambiente algebrico, nonché am-
biente simbolico, sono dovuti anche alla sua gratuità (free software), nonché
alla possibilità di essere aperto (open-source) ad accogliere contributi di svi-
luppatori di tutto il mondo. Punto di forza del software inoltre è la rete, in
continua crescita a livello mondiale, dei GeoGebra Institute, organizzazioni
a carattere non profit che riuniscono e mettono in collegamento tra loro in-
segnanti, studenti, sviluppatori di software e ricercatori con i seguenti obiet-
tivi: creazione di materiale libero per l’insegnamento e la formazione degli
insegnanti; seminari frontali e on-line per insegnanti; organizzazioni di com-
petizioni per gli studenti; supporto on-line agli utenti; sviluppo di software;
elaborazione di progetti di ricerca.
Kahoot E’ piattaforma di apprendimento basata su gioco, progettata per es-
sere accessibile dalle aule e con qualsiasi dispositivo mobile, è un valido sup-
porto nei casi non si abbia un laboratorio di informatica a disposizione e si
possa far uso dei dispositivi mobili degli alunni (tecnica comunemente defi-
nita BYOD )

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

I quiz possono essere creati da chiunque, per qualsiasi argomento e per gli
studenti di tutte le età e possono essere riprodotti utilizzando qualsiasi dispo-
sitivo, desktop o portatile con un browser web. Fra i principali vantaggi è
quello di attrarre e divertire gli studenti per farli partecipare attivamente con
un metodo di lavoro condiviso coerente con il nuovo mondo del lavoro.
Euclidea è una app di geometria dinamica, che propone all’utente di risol-
vere alcuni problemi di geometria euclidea classica, quali la costruzione di
angoli, di centri di circonferenze inscritte o circoscritte a poligoni (regolari o
non), di rette parallele e perpendicolari a rette date, passanti per uno o più
punti dati, e così via. Dopo aver installato l’applicazione Euclidea per tablet
e smartphone e averla aperta, ci si ritrova davanti alla schermata principale,
dalla quale si può accedere al gioco (premendo il pulsante centrale), accedere
alle statistiche di gioco personali (ovvero avere una statistica sulla durata del
gioco, sul numero di stelle acquisito e sui livelli già risolti), alle impostazioni.
Photomat: Semplice ed efficace risolve espressioni con foto. Per utilizzarla
basta puntare la fotocamera sull’espressione matematica e l’app svelerà magi-
camente il risultato. Ma non solo, spiega anche tutto il procedimento eseguito
in maniera dettagliata.
OneMath è un’applicazione made in Italy, al momento disponibile solo
per Android, che propone interessanti funzioni per risolvere calcoli com-
plessi. È gratuita, funziona senza connessione a Internet e non richiede regi-
strazioni.
Tutto quello che si deve fare per usare OneMath è scaricare la app sul dispo-
sitivo e avviarla. Nella schermata principale, premere sul pulsante per acce-
dere al menu dell’applicazione e scegliere una delle funzioni disponi-
bili: Equazioni e sistemi, per risolvere espressioni numeriche, equazioni di se-
condo e di terzo grado, sistemi a due e a tre incognite; Calcolatrice, per avere
a disposizione una calcolatrice scientifica oppure Conversioni, per lavorare
con le basi numeriche e effettuare semplici conversioni.
Conclusioni: In conclusione le opportunità tecnologiche e metodologiche
offerte dai nuovi strumenti sono molteplici e in prospettiva ci aspettiamo che
i vari ambienti di lavoro integrino sempre più le risorse visuali con i problemi
tradizionalmente posti e le attività esplorative anche di tipo touch con gli
strumenti automatici consueti. Se la matematica non è solo calcolo, e si pone
sempre più come ‘pensare matematico’, il visuale è sicuramente la chiave di
ingresso per un nuovo mondo accattivante ed impegnativo.

Riferimenti

Accomazzo, P., Beltramino, S., Sargenti, A. Esplorazioni matematiche con geoge-
bra A cura di: Ornella Robutti, Ledizioni 2013

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

Biancardi, A.& Ara, A.(2018) La matematica con le app. Carrocci.

Rivoltella, P. C. (2013). Fare didattica con gli EAS. La Scuola. Brescia

Ilaria Tonetto La matematica più facile con le app
https://kidpass.it/la-matematica-piu-facile-con-le-app/

App per matematica di Salvatore Aranzulla
https://www.aranzulla.it/app-per-matematica-1023708.html

 17
3 MATEMATICA E PROBLEM SOLVING
 3.1 Cos’è il Problem Solving e perché utilizzarlo di Anna Copia

 Un problema può essere definito come la situazione in cui si trova un
essere vivente, il solutore, il quale desidera passare da uno stato dato ad uno
desiderato, ma non può farlo tramite un’azione istintiva né mediante un com-
portamento appreso.
 Il termine inglese Problem Solving è quindi il processo cognitivo messo
in atto per analizzare questa situazione e trovare una soluzione. Si tratta di un
concetto entrato a far parte di diversi settori professionali, un requisito inse-
rito nei curricula e un metodo utilizzato ora anche nel contesto accademico
e scolastico.
 Infatti, nell’ottica del lifelong learning, sono le nuove competenze ad as-
sumere maggior valore: il problem solving, il pensiero critico, la creatività, la
gestione costruttiva dei sentimenti, le cosiddette soft skills.
 Grazie a questo metodo di apprendimento è possibile sviluppare una serie
di abilità fondamentali per la vita futura del ragazzo.
 In primo luogo la capacità di analizzare e valutare la propria attività co-
gnitiva, avendo così consapevolezza dei vari aspetti del lavoro mentale. Una
persona capace di individuare il tipo di ragionamento a cui è più portata, le
difficoltà incontrate durante il processo risolutivo e i benefici ricavati, sarà
anche in grado di scegliere per sé la strategia migliore o di trovare gli errori
compiuti nel percorso di ricerca.
 Inoltre, la capacità di elaborare un pensiero creativo, detto anche pensiero
produttivo, da contrapporre a quello riproduttivo che procede per automati-
smi. Un approccio creativo permette di analizzare il problema da diversi punti
di vista, di riformularlo in termini nuovi, ottenendo una visione globale della
situazione, lasciando la possibilità di cogliere al tempo stesso le parti che la
costituiscono e i nessi tra queste.
COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

 L’obiettivo finale è quello di dare vita ad “esseri pensanti”, dare ai ragazzi
quello spirito critico fondamentale per affrontare una realtà globale e in con-
tinuo mutamento.

 3.2 Come approcciarsi al metodo per la soluzione dei pro-
blemi di Anna Copia

 Spesso la matematica è percepita dagli studenti come una disciplina in cui
tutto è preconfezionato, le cose si devono fare in una determinata maniera e
solo in quella. Non c’è possibilità di utilizzare la fantasia e si devono seguire
schemi fissi, e se si esce dal seminato certamente si sbaglierà. Un altro pro-
blema, legato a quello appena enunciato, è che gli studenti a volte non capi-
scono da dove si parta e dove si voglia arrivare. Soprattutto in geometria, ma
capita anche in altri campi della matematica, non si capisce perché le cose da
cui si parte sono quelle e non si capisce che cosa si stia cercando. Questo,
come si diceva, è legato al primo aspetto messo in luce in quanto dato che gli
studenti non hanno partecipato al processo di costruzione, al percorso di
scoperta che ha portato a quei risultati, non è chiaro perché si parta da quei
presupposti per arrivare a quelle conclusioni, non è naturale, lo sarebbe solo
se anche loro avessero provato a risolvere da soli, o meglio con l’aiuto del
docente, i problemi che hanno portato a quei risultati.
 Il fatto che “se si esce dal seminato certamente si sbaglierà” inoltre non
deve essere vista come una limitazione ma come una risorsa. La storia del
pensiero umano è fatta di tentativi ed errori e a questo si deve abituare il
pensiero dei nostri studenti, o per lo meno si deve dar loro la possibilità di
sperimentare tale modalità. L’attività di problem solving diventa a questo
punto di primo piano e vediamo subito perché. Daremo per assioma il fatto
che l’utilizzo e lo sviluppo della fantasia, della creatività sia un elemento sti-
molante e motivante per gli studenti. Un altro assunto che si farà è che gli
studenti si fidano del docente e di ciò che esso propone. Questo non sempre
accade, lo ammetto, ma questo aspetto dipende moltissimo dalla capacità del
docente di guadagnarsi le fiducia degli alunni. Da questi due assiomi parti-
remo per sviluppare il percorso di questa tesi. La possibilità di utilizzare la
risorsa creatività va sfruttata, ma per vedere come questo può essere fatto
dobbiamo analizzare prima cos’è un problema. “Risolvere un problema si-
gnifica trovare una strada per uscire da una difficoltà, una strada per aggirare
o superare un ostacolo, per raggiungere uno scopo che non sia immediata-
mente raggiungibile. Risolvere un problema è un impresa specifica dell’intel-
ligenza umana […]. In generale un desiderio può condurre ad un problema
oppure no. Se un desiderio fa venire subito in mente, senza alcuna difficoltà,
qualche azione ovvia che verosimilmente ci fa ottenere l’oggetto desiderato
non c’è problema. Se invece non viene in mente nessuna di tali azioni, ecco
il problema. Quindi avere un problema significa: cercare coscientemente

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

un’azione appropriata per ottenere uno scopo chiaramente concepito ma non
immediatamente ottenibile. Trovare tale azione (o tali azioni) porta a risolvere
il problema” In classe porto sempre il paragone che risolvere un problema è
come trovare le strada in un labirinto che va dall’ingresso all’uscita. La meta-
fora del labirinto è per me particolarmente significativa: è una metafora che
si rifà ad un gioco e dunque predispone gli allievi a tentare di arrivare alla fine,
rende conto in maniera chiara che per arrivare alla soluzione è possibile pren-
dere vicoli ciechi, che non portano dunque a risolvere il problema, ma che e
indispensabile percorrere per trovare la strada giusta. Si dovrà allora tornare
indietro, e provare un’altra strada. Come in un labirinto è possibile essere
fortunati e trovare subito la strada giusta, ma si capisce che questa non è la
regola bensì una possibilità all’inizio poco probabile. Questo dà già un idea
di quanto sia necessaria la fase creativa nella soluzione di problemi.

 3.3 Tecniche di risoluzione dei problemi di Annamaria Lippiello

 Descartes, tra tutti, progettò di presentare un metodo universale per la
risoluzione di problemi costituito da questi tre passi:
 - ridurre ogni problema ad un problema matematico,
 - ridurre ogni problema matematico ad un problema algebrico,
 - ridurre ogni problema algebrico alla soluzione di una equazione.
 Cartesio stesso, per primo, si rese conto come tale schema sia a volte
inutilizzabile. È certo che fosse alquanto pretenzioso da parte di uno schema
di questo tipo quello di voler essere universale, trattandosi di uno schema
troppo spoglio e in grado di prendersi in carico un ristretto numero di tipo-
logie di problemi, per lo meno se visto in un ottica di tipo formativo, ossia
insegnare ai ragazzi a diventare buoni risolutori di problemi. Trovo anzi che
il fatto di trovare uno schema generale vada contro il principio stesso di abilità
nel risolvere problemi, che non può ridursi all’applicazione di un metodo
quanto all’integrazione creativa di una serie di strumenti. Innanzitutto va
chiarito esplicitamente che in ogni problema che affrontiamo, di qualsiasi tipo
esso sia, ci sono degli elementi chiave, che sono:
 - Le risorse iniziali, i punti di partenza,
 - L’obiettivo,
 - Le strategie, le modalità, le relazioni che legano i primi ai secondi,
 la condizione o le condizioni da rispettare per arrivare dalle prime
 al secondo.
 Si sono chiamati con questi termini i tre elementi chiave di un problema
per dare l’accezione più generale possibile ad essi. Ma si chiarirà subito agli
studenti che parlando di risorse si intendono i DATI e QUELLO CHE SAP-
PIAMO su di essi, ossia tutti i teoremi, le proprietà che gli enti che trattiamo
posseggono e che si studiano. Le risorse sono dunque il nostro punto di par-
tenza, la nostra conoscenza. L’obiettivo sono le INCOGNITE, quello che

 20
COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

dobbiamo trovare, il punto in cui dobbiamo arrivare, cercando di vedere con
chiarezza, in ordine conveniente, tutte le relazioni che devono intercorrere
fra le incognite ed i dati, in rapporto alla CONDIZIONE.
 Fasi propedeutiche alla risoluzione di un problema, che risultano in ogni
caso indispensabili e debbono essere discusse con gli studenti sono:
 - riconoscere in una situazione reale il problema matematico,
 - la stesura di un eventuale testo del problema o la scrittura di quali
 sono i punti di partenza.
 Questi sono due passaggi che hanno più a che fare con problemi di vita
quotidiana. Spesso il problema, soprattutto a scuola, viene proposto già con
un testo esplicito.
 Ci sono dei passi fondamentali che possono aiutare nella risoluzione di
un problema. Si riportano di seguito quelle che sono ritenuti i più significativi:
 - L’analisi dettagliata del testo e la comprensione di ogni sua parte.
 - L’identificazione della richiesta posta dal problema, (obiettivo).
 - L’identificazione chiara dei dati, (parte delle risorse).
 - La strutturazione dei dati, il fatto di ordinarli secondo una schema
 mentale, il più utile possibile per quel tipo di problema: costruzione
 di tabelle, grafici e disegni, scrittura di considerazioni, diagrammi o
 schemi… la schematizzazione o rappresentazione dei dati non è uni-
 voca per tutti i problemi, anche se ci possono essere tipologie di pro-
 blemi che possono essere schematizzati in maniera simile e soprat-
 tutto tipologie di risolutori che prediligono determinati tipi di sche-
 matizzazione. Questo punto è molto importante e se fatto in maniera
 corretta può aiutare molto a trovare una soluzione. Gli strumenti (ta-
 belle, rappresentazioni…) dovranno essere indagate nei problemi
 che via via si presenteranno.
 - La scelta dell’incognita o delle incognite per la scrittura dell’equa-
 zione o delle equazioni. In genere può essere conveniente prendere
 come incognita quello che chiede il problema.
 - L’analisi delle connessioni tra i dati (condizione) e la scrittura coe-
 rente a queste delle equazioni o delle formule risolutrici. Questa
 spesso è la fase più critica assieme alla rappresentazione e schema-
 tizzazione dei dati. Qui spesso interviene la tecnica di individuazione
 e scomposizione in sottoproblemi che si è in grado risolvere.
 - La risoluzione delle equazioni o dell’equazione del problema o del
 sottoproblema.
 - La valutazione della soluzione per la verifica dell’accettabilità, o in-
 terpretazione del significato di una certa soluzione.
 - L’organizzazione del lavoro fatto e l’argomentazione dei risultati e
 del processo di risoluzione.

 3.4 Metodo BOTTOM-UP e TOP-DOWN di Rosa Tafuro

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

 Tra le tecniche i per la valutazione della validità delle strategie utilizzate ce
ne sono due che meritano un a particolare nota: il metodo il metodo Bottom-
Up e Top -Down
 Bottom-Up
 L’idea di base è semplicemente quella di partire dai dati che si hanno per
arrivare alla soluzione. Organizzare i dati ricercando tra le “cose che sap-
piamo”, utilizzando le proprietà che conosciamo, cercando di risalire verso la
soluzione: Partendo dai dati e dalle conoscenze che si hanno, cioè dallo studio
della teoria che si è fatto, si devono mettere insieme i dati e, appunto, la teoria.
Scrivere con i dati che si hanno tutte le formule che conosciamo, o meglio
quelle che crediamo siano le più utili in quel tipo di problema. In ogni formula
ci mancherà un dato o più. Se ce ne manca solo uno possiamo trovarlo (o
con quella formula o con quella inversa), se ce ne mancano di più proviamo
a vedere se ci sono altre formule che ce lo possono dare. Si dovrà dunque
ragionare sulle formule che si possono usare a seconda dei dati che si hanno.
Cercare di convergere verso la soluzione, ossia trovare alla fine una formula
che dia quello che ci era stato richiesto e in cui conosco i valori di tutte le
altre grandezze.
 Top-Down
 L’idea è quella di partire da ciò che devo trovare dalla soluzione (che non
ho) e cercare di scrivere equazioni che mi possono dare il risultato e mano a
mano cercare le quantità che mi mancano all’indietro, cioè sfruttando le co-
noscenze che ho, trovando il modo per calcolare le quantità che mi mancano
e che mi portano alla soluzione. Si deve avere sempre un occhio alla soluzione
e uno ai dati per trovare la strada che conduce dall’una agli altri. Anche in
questo caso la teoria ed il ragionamento sono essenziali al processo. In genere
questi metodi funzionano molto bene anche con problemi di fisica e vorrei
qui riportare una possibile proposta di schema di risoluzione per un problema
che si può fornire anche ai ragazzi.
 1. Leggere bene il testo, con l’obbligo di capire tutto quello che c’è scritto.
Se non si capisce qualcosa non si deve andare avanti a leggere. In questa fase
si possono scrivere i dati e la richiesta del problema. Se ci sono più richieste
trovare un risultato alla volta, dividere il problema.
 2. Se necessario fare uno schema del problema, disegnare quello che mi
aiuta, disegnare quello che devo trovare.
 3. Scrivere le formule che conosciamo e che ci danno il risultato. Ragio-
nare sulle formule che si possono usare a seconda dei dati che abbiamo (per
vedere quali usare).
 4. Controllare se nella formula che si è scritta si hanno tutti i valori (se li
dà il testo del problema) di tutte le altre grandezze della formula (oltre al
risultato che si deve trovare e che ovviamente non abbiamo).
 5. Per i valori che non si hanno cercare altre formule con cui si potrebbero

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

trovare tali valori. Non si possono usare (rischio la circolare autoreferenzialità
del metodo) le stesse formule che ho già usato.
 6. Fare lo stesso ragionamento del punto 4: se si hanno a disposizione
tutti i termini della formula allora la si userà, altrimenti si andrà avanti a cer-
care altre formule finché non si arriverà a dover utilizzare solo i dati che il
problema mette a disposizione.
 7. Quando si hanno formule in cui si possono usare i dati, si applicano e,
tornando verso l’alto con le formule che si sono già scritte si risale verso il
risultato.

 È certo in ogni caso che nonostante tutte le tecniche che si hanno a di-
sposizione, e che si sono volute qui indicare, la risoluzione di problemi è,
come detto dall’inizio, un attività che dovrà sempre poggiare e far riferimento
anche all’intuizione, alla creatività, alla fantasia, intese sia come capacità di far
collegamenti all’interno del nostro schema logico e interpretativo (collega-
menti che avverranno all’interno del nostro cervello) e sia come capacità di
concepire qualcosa di nuovo. Questa attività rende conto di una grandissima
possibilità del potenziale umano, da valorizzare negli studenti, in un ottica di
sviluppo e progresso umano verso i veri significati della vita, che tenga conto
della collettività e del servizio ad essa. Nella risoluzione dei problemi mentre
si tiene un occhio aperto a tutte le possibilità l’altro ne valuta in modo appro-
fondito una in particolare, utilizzando varie tecniche: considerando il pro-
blema come già risolto, costruendo schemi in cui incognite e dati siano riuniti
in modo appropriato, cercando di rispettare ciò che è richiesto dalla condi-
zione. Si deve cercare di trovare indizi famigliari nel problema, di riferirsi a
qualche conoscenza pertinente: una breccia che porti alla soluzione. L’idea
brillante viene da questo tipo di impostazione, valutando un po’ “tutto in-
sieme”, considerando contemporaneamente sia nel suo complesso. Alla fine
la soluzione sembrerà una sequenza ordinata di passi attraverso i quali si passa
da dei dati alla soluzione, ma di fatto nel risolvere il problema la sequenza
non è stata affatto così ordinata e sequenziale. Si salterà molto spesso da una
parte all’altra, aggiustando qua o là un passaggio, un paragrafo, finché non si
arriva alla forma finale. Questo è un altro processo tipico che avviene in tutti
i processi creativi, a partire dalla musica fino ad arrivare alla scultura, alla pit-
tura, alla scrittura, invadendo la risoluzione dei problemi e molte altre avven-
ture del pensiero umano.

 3.5 Programmare attraverso il problem solving di Claudia De
Sarno

 Oggi il mondo è diventato molto più complesso, in piena trasformazione
digitale, e questo si riflette sia nella vita delle persone, sia nella vita delle or-

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COME LE FACCE DI UN POLIEDRO

ganizzazioni economiche che scolastiche. In un contesto di questo tipo i pro-
blemi sono la regola, perciò le competenze di problem solving sono diventate
ancora più importanti, e lo saranno sempre di più: con la trasformazione di-
gitale, l’intelligenza artificiale, la robotica. I lavori che prevedono compiti
semplici e ripetitivi sono stati i primi in cui le macchine hanno sostituito
l’uomo. Rimarranno sempre più riservati agli esseri umani quei lavori che ri-
chiedono creatività e intuito, caratteristiche difficilmente replicabili da un
software.
 Problem solving significa letteralmente “risoluzione di problemi”, ovvero
la strada per dare la migliore risposta possibile a una determinata situazione
critica, solitamente nuova, ed è una soft skill di cui si sente parlare sempre più
spesso.
 Molte persone hanno un’attitudine naturale alla soluzione di problemi, ma
si tratta comunque di una competenza che può essere acquisita, grazie anche
all’applicazione di un metodo.
 Il metodo del problem solving più diffuso prevede quattro fasi o passaggi:
 1) Definire il problema
 Quello che viene ritenuto il problema evidente, spesso non è il problema
reale ma solo un suo sintomo. Analizzare bene una situazione, andare a fondo
e individuare la situazione critica originale è l’unico modo per raggiungere
una soluzione efficace. Se la situazione è complessa può essere utile scom-
porre il problema principale in problemi secondari. A questo punto si tratta
di rappresentare e analizzare il problema: determinare i fattori rilevanti, capire
quali informazioni ci servono, reperire i dati di riferimento.

 2) Generare alternative
 È la fase creativa, quella della ricerca delle soluzioni alle domande poste
dal problema. Qui si tratta anche di organizzare le informazioni e individuare
delle risorse per realizzare un piano di attuazione. Può essere molto utile uti-
lizzare metodologie di design thinking.

 3) Valutare e selezionare le alternative
 Bisogna prendere in considerazione diverse soluzioni alternative e poi se-
lezionare quella che sembra più in linea con le aspettative di successo. In
questa fase entra in gioco quel processo cognitivo ed emozionale che per-
mette di raggiungere una scelta finale.
 4) Implementare le soluzioni
 Scelta la soluzione e realizzato un piano di attuazione, questo va imple-
mentato, cioè portato a esecuzione. È questa la fase in cui tutto il processo di
problem solving trova compiuta espressione.

 Perchè è importante programmare per problem solving nella scuola?

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