LA PERCEZIONE PSICOSOCIALE DELL'EFFICACIA DELLE MEDICINE ALTERNATIVE - Guido A. Morina
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Guido A. Morina LA PERCEZIONE PSICOSOCIALE DELL’EFFICACIA DELLE MEDICINE ALTERNATIVE
Indice 1 Introduzione 4 Capitolo 1° Definizione di medicine alternative 1. 1. Il paradigma “biopsicosociale”, 8 11 Capitolo 2° Che cos’è e come si misura l’efficacia di un metodo terapeutico 2. 1. Efficacia in termini scientifici delle medicine alternative, 12 2. 2. L’efficacia alternativa delle medicine alternative, 15 2. 3. Considerazioni circa il ricorso alle medicine alternative, 18 21 Capitolo 3° Le illusioni cognitive 3. 1. Errori e illusioni cognitive, 22 3. 2. Una panoramica sugli errori cognitivi, 24 3. 3. Tassonomia degli errori cognitivi, 26 3. 3. 1. Errore nella raccolta o acquisizione dei dati e controllo dell’informazione, 27 3. 3. 2. Errori nel ragionamento deduttivo, 35 3. 3. 3. Errori nel ragionamento induttivo, 44 3. 3. 4. Errori nel ragionamento abduttivo, 48 49 Capitolo 4° Il pensiero magico e le medicine alternative 4.1. La coerenza cognitiva, 49 4.2. Pensiero logico e pensiero magico nelle medicine alternative, 51 4.3. Struttura e funzioni del pensiero magico in medicina alternativa, 54 4.4. L’attrazione per la magia, 57 4.5. La rottura dell’organizzazione spazio-temporale, 59 4.6. La violazione del principio della fissita’ del passato, 59 4.7. Wishful thinking, 60 4.8. Simboli e rituali nelle medicine alternative, 62 4.9. La fede, 63 67 Conclusioni 73 Bibliografia 1
Introduzione La definizione di medicine alternative è alquanto complessa tanto quanto il tentativo di comprendere il loro funzionamento e l’efficacia del loro utilizzo. Genericamente possono essere distinte a seconda del loro rapporto con la medicina tradizionale, e pertanto si avranno tutte le tecniche, discipline, pratiche, tradizioni e rimedi aventi lo scopo di migliorare la salute dell’essere umano, in sinergia e complementarietà con la medicina convenzionale (e allora si utilizzerà più correttamente il termine “medicine complementari o non convenzionali”), oppure quelle effettivamente alternative alla medicina scientifica (Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2005; Skrabanek, McCormick, 2002; Sointu, 2006). Gli strumenti utilizzati da queste medicine allo scopo di promuovere la salute sono molteplici e diversi tra loro: manipolazioni, massaggi, infissione di aghi, tecniche corporee non invasive, di rilassamento e di respirazione, somministrazione di rimedi più o meno naturali, utilizzo di apparecchiature elettromedicali o di biorisonanza. In comune c’è una visione olistica o “biopsicosociale” della salute, influenzata dalla teoria generale dei sistemi (Bertalanffy von L. 1971), secondo la quale salute e benessere si fondano su naturali e corretti stili e abitudini di vita (a cominciare da alimentazione e attività fisica) e su un atteggiamento positivo verso sé stessi, gli altri, l’ambiente che ci circonda (Bert, 1974; Bertini, 1988; Engel, 1977; Petrillo, 2004; Vithoulkas, 1991). Parte dell’universo delle medicine alternative è tutt’ora rivolto alla cura, in senso tipicamente allopatico, delle malattie: è il caso dell’omeopatia, dell’agopuntura e di altre tecniche normalmente appannaggio della classe medica, le quali però non hanno mai potuto dimostrare la loro efficacia, superiore al placebo, in studi controllati e condotti secondo il metodo scientifico (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Heimann, 1999; Le Moine, 2002; Maddox, Randi, Stuart 1988; Moerman, 2004; Skrabanek, McCormick, 2002). Secondo questi autori, ciò significa che questi tipi di cura alternativa sono privi di per sé di valore e di efficacia terapeutica e andrebbero finalmente e una volta per tutti abbandonati al loro destino di reperti storici. Resta il fatto, ampiamente documentato (Antonovsky,1987; Astin, 1998; Fulder, 1996; Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991), della autovalutazione positiva circa l’efficacia di queste cure in moltissimi casi, perlomeno sotto il profilo della percezione 2
soggettiva di un generale miglioramento dello stato di salute. È a quest’ultimo, infatti, che molti di coloro che si rivolgono alle medicine alternative aspirano, più che alla remissione dai sintomi e segni di una malattia (Sointu, 2006). Ci proponiamo quindi di sottoporre al vaglio dell’analisi della letteratura scientifica (Astin, 1998; Brancato, Pandolfi, 2005; Diener, 1998; Spaltro, 2007) l’ipotesi che tale miglioramento, lungi dal dipendere dagli intrinseci effetti terapeutici delle cure e dei rimedi alternativi (in quanto mai dimostrati), possa essere dovuto all’efficacia del poco misurabile approccio olistico alla salute, fondato su ascolto ed empatia, ma anche su suggerimenti o prescrizioni relative a stile di vita, alimentazione, attività fisica, atteggiamento mentale. Questo tipo di approccio si accompagna sempre, indissolubilmente, ai rimedi somministrati e alle cure prestate anche e specialmente dai terapisti alternativi, i quali, non affidandosi agli effetti di cure farmacologiche tradizionali, tengono in massimo conto l’importanza di tutti i fattori “biopsicosociali” della salute (Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2003). Al tempo stesso, cercheremo di mostrare come euristiche, strategie e illusioni cognitive possano influire sulla percezione dell’efficacia delle cure (Dobrilla, 2004, Dorfles, 1977; Eliade, 1976; Giusberti, Nori, 2000; Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Le Moine, 2002). Se tale ipotesi si dimostrasse fondata e plausibile anche sotto il profilo scientifico, si giungerebbe a poter legittimamente sostenere la sostanziale inutilità di tutto ciò che nelle cure alternative appare rivolto alla cura delle malattie (trattamenti, rimedi, da sempre privi di efficacia scientificamente dimostrata) e ad estrapolare, dal corpus eterogeneo delle medicine alternative, i soli contenuti utili, validi ed efficaci ai fini della salute, e cioè la relazione terapeutica fondata su analisi e correzione dello stile di vita e l’attenzione verso l’assoluta individualità del paziente secondo una visione olistica della salute. Una delle conseguenze potrebbe essere quella di modificare drasticamente il paradigma della salute che vede, di fatto, medicina scientifica e alternativa come rivolte allo studio e alla cura delle malattie mentre la psicologia sarebbe confinata allo studio e alla cura della salute mentale. Secondo il nostro punto di vista la cura della salute dell’essere umano potrebbe ricavare enormi benefici dal fatto di dirottare le risorse umane e finanziarie attualmente utilizzate per mantenere in vita un sistema di cure privo di validità ed efficacia scientifica come quello delle medicine alternative, verso una medicina complementare e sinergica rispetto a quella ufficialmente riconosciuta, rappresentata da tutte le discipline che si applicano con rigore scientifico all’educazione, alla prevenzione e alla ricerca del benessere psicofisico, tra le quali spicca la psicologia della salute (Bertini, 1988; Engel, 1977; Petrillo, 2004). Spetta a quest’ultima raccogliere l’eredità dei principi su cui si 3
fondano le antiche e moderne tradizioni delle medicine alternative, attualizzandole e rendendole finalmente efficaci attraverso l’utilizzo di conoscenze e strumenti scientifici di cui oggi la psicologia dispone. Attraverso l’eliminazione dell’ostacolo rappresentato dalle inutili medicine alternative, la cura della salute dell’essere umano dovrebbe molto più utilmente, efficacemente ed efficientemente essere demandata alla medicina scientifica, per quanto riguarda la visione patogenetica della salute volta alla cura delle malattie, e alla psicologia della salute per tutti gli aspetti complementari, sul presupposto che l’azione positiva sulla salute dipenda fondamentalmente dal grado di conoscenza e consapevolezza della nostra collocazione individuale in un contesto di tipo biopsicosociale (Astin, 1998; Mauri, Tinti, 2006; Sointu, 2006; Vithoulkas,1991). 4
CAPITOLO 1 Definizione di medicine alternative Le medicine alternative costituiscono un insieme di dottrine e di prassi diagnostico- terapeutiche caratterizzate dalle più diverse origini (Ferrieri, Lodispoto, 2001; Murray, Pizzorno, 2000; Richardson, 2004). Alcune di esse, come l’omeopatia o la medicina antroposofica, sono nate negli ultimi secoli per opera di pensatori europei, mentre altre, come la medicina tradizionale cinese, l’ayurvedica o la tibetana, traggono origine da dottrine filosofiche-religiose dell’oriente. Valerio Sanfo, sociologo, autore di decine di manuali e libri sulle medicine alternative, tra cui una “Enciclopedia delle discipline bionaturali” (Sanfo, 2005), passa in rassegna oltre duecento medicine alternative diverse, ma riconosce che il loro numero supera abbondantemente la cifra di ottocento. La oggettiva difficoltà di individuare elementi comuni a queste diverse forme di medicina ci costringe a ricorrere a diverse, possibili definizioni, a seconda del punto di vista col quale vogliamo valutarle. Sotto il profilo giuridico, le medicine alternative sono tutte quelle forme di diagnosi o terapia il cui studio, insegnamento e la cui pratica non è riconosciuta e non è regolamentata dalla legge (Sanfo, 2003; Skrabaneck, McCormick, 2002). In altre parole, si tratta di tutte quelle terapie che non sono insegnate presso le Facoltà di Medicina o di Psicologia di nessuna Università, in nessuna parte del mondo, ma solo da scuole di insegnamento privato. In mancanza di regolamentazione delle stesse, esse sono praticabili teoricamente da chiunque (sulla base del principio secondo cui ciò che non è espressamente vietato è consentito dalla legge), salvo il rispetto della norma che vieta l’esercizio abusivo della professione medica. Sotto il profilo strettamente scientifico, si tratta di medicine che non sono mai state sottoposte al vaglio del metodo scientifico, o nei rari casi in cui ciò è stato fatto, sono risultate prive del relativo fondamento, sia per quanto riguarda l’aspetto teorico, metodologico ed epistemologico, sia specialmente per quanto riguarda l’efficacia pratica. Per una rapida verifica dell’affermazione secondo cui non esistono prove scientifiche incontrovertibili della loro efficacia terapeutica è sufficiente consultare i lavori più recenti 5
della vastissima letteratura in proposito (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Moerman, 2004, Skrabanek, McCormick, 2002). Si noti come le definizioni finora enunciate siano formulate in negativo perché l’eterogeneità di queste discipline rende più facile definire cosa non sono piuttosto che cosa sono. In positivo, sotto questo nome possiamo raggruppare tutte le tecniche, discipline, pratiche, tradizioni aventi lo scopo di agire positivamente sulla salute dell’essere umano, in sinergia e complementarietà con la medicina convenzionale (e allora si utilizzerà più correttamente il termine ”medicine complementari o non convenzionali”), oppure quelle effettivamente alternative alla medicina scientifica convenzionale. Un altro modo di definirle consiste nel fare riferimento al loro fondamento teorico ed epistemologico (Bara, 2000). Da questo punto di vista una medicina si definisce alternativa quando presenta le seguenti caratteristiche: 1. Si basa su una visione biologica vitalistica o olistica e non certamente meccanicista. 2. Si basa su una patologia generale, una fisiologia, una clinica medica ed una terapia del tutto slegate dalla Medicina Scientifica. Sotto il profilo diagnostico-terapeutico (Ferrieri, Lodispoto 2001; Sanfo, 2005), le medicine alternative possono distinguersi in: • quelle che necessitano di una diagnosi di tipo medico, se pur integrata con valutazioni che di solito il medico non prende in considerazione, ma che non sono necessariamente in contrasto con l’attività diagnostica tradizionale. Il medico “alternativo” ricerca pur sempre e tiene in massimo conto tutti i segni e sintomi delle malattie secondo gli stessi criteri della medicina convenzionale, salvo integrare tale diagnosi con valutazioni più approfondite e diverse e salvo prescrivere un farmaco omeopatico anziché allopatico. Tant’è vero che la cosiddetta “medicina naturale” lungi dall’essere una medicina alternativa, non è altro che medicina allopatica che cura, quando possibile, con rimedi naturali. • Quelle effettivamente alternative, che nello svolgimento dell’attività diagnostica utilizzano nozioni anatomiche, fisiologiche e patologiche in parte estranee a quelle della medicina occidentale, come la medicina tradizionale cinese (da cui deriva, per esempio, l’agopuntura), l’ayurvedica, la kinesiologia applicata. In questi casi la diagnosi non è più rivolta a individuare una patologia, ma un’altra condizione non meglio identificata, detta “squilibrio”. Poiché tale squilibrio è “diagnosticato” sulla base di una valutazione non 6
legata a dati e metodi scientifici, ma della sola interpretazione soggettiva del terapeuta, essa non è soggetta a verifica e falsificazione. • Quelle alternative ma che non effettuano neppure una diagnosi, essendo tutte orientate alla terapia, intesa come consulenza qualificata circa abitudini e stili di vita più corretti e “naturali”. È il caso della naturopatia, che prescinde totalmente dalla diagnosi clinica e si limita a valutare la condizione di benessere della persona sulla base del modo in cui conduce la sua vita quotidiana, suggerendo di conseguenza rimedi naturali e non farmaci, oltre a modifiche, magari anche radicali, dello stile di vita (Sanfo, 2003). • Quelle che utilizzano strumenti diagnostici alternativi per rilevare patologie secondo i canoni della medicina tradizionale. Per esempio l’iridologia (Di Spazio, 1995; Lo Rito, 1993; Ratti, 2000) quando si propone di diagnosticare predisposizioni a patologie sulla base dei segni dell’iride; la visologia, che compie la stessa “diagnosi” osservando i segni e le caratteristiche del viso, l’analisi con apparecchiature di biorisonanza e altre tecniche diagnostiche piuttosto fantasiose (Sanfo, 2005). Anche in questo caso, come accennavamo poco sopra, manca qualsiasi prova circa validità ed efficacia di queste medicine. • Le attività terapeutiche di gruppo, di tipo catartico o psicoterapeutico, che non presuppongono diagnosi, prognosi e neppure una terapia nel senso comune del termine (cioè come prescrizione di rimedi) e che, nelle intenzioni dei loro fruitori, possono anche essere svolte per pura curiosità, sete di conoscenza e di esperienze fuori dal comune, come arricchimento spirituale o culturale o come mezzo per conoscersi meglio. Rientrano in questa categoria innumerevoli discipline: la pet therapy, dance therapy, art therapy, le “costellazioni familiari” (Hellinger, Hovel, 2001) e lo psicodramma nelle loro infinite variazioni, il reiki, la pranoterapia e tutte le tecniche di “trasferimento energetico”, la camminata sui carboni ardenti. Nella quasi totalità dei casi, queste attività a scopo psicoterapeutico non sono condotte da personale qualificato in psicoterapia, ma da personaggi di diversa estrazione e formazione culturale e professionale, spesso da semplici cultori o appassionati di temi legati alla spiritualità, al misticismo e alla psicologia esoterica, ma privi di competenza legalmente riconosciuta nella gestione di qualsiasi forma di relazione terapeutica . Le caratteristiche comuni a questa costellazione di medicine consentono di definirle quindi come tutte quelle forme di diagnosi e cura della persona che prescindono da criteri, regole, principi e metodi propri della scienza e della medicina occidentale. Dal che discende una considerazione che è centrale in questo lavoro. 7
Se esse agiscono positivamente sulla salute dell’essere umano nonostante utilizzino basi teoriche, principi, strumenti e terapie estranee alla medicina scientifica, è chiaro che esse pongono il problema di indagare a fondo e seriamente sul loro fondamento e sulla loro efficacia, in quanto, se effettivamente utili nella cura della salute e del benessere, esse costituirebbero un patrimonio che la cultura scientifica ha colpevolmente trascurato, in certi casi da secoli. A partire da questa ipotesi, ci proponiamo di indagare sul fatto che l’efficacia delle medicine alternative si fondi non su intrinseche caratteristiche della cura, quanto sull’attivazione di processi cognitivi che conducono a loro volta all’innesco di reazioni a livello fisiologico, spesso utili a migliorare la condizione di salute del paziente. In altre parole, se saremo in grado di dimostrare esaustivamente quanti e quali errori cognitivi, quanti e quali processi inferenziali illogici e scorretti siano alla base della convinzione soggettiva dell’efficacia di queste cure, avremo allora a disposizione sufficienti prove a sostegno della tesi secondo cui i processi omeostatici (in gran parte sconosciuti) e la nostra mente sono in grado di produrre effetti fisiologici assimilabili a quelli dei farmaci, almeno sul piano della percezione dell’efficacia della cura. Dopo aver illustrato quale sia il limitato campo di applicazione di questo tipo di medicine, e cioè quello dei disturbi allergici, psicosomatici e acuti di lieve entità (Correa-Velez, Clavarino, Barret, 2003; Moerman, 2004; Richardson, 2004) svilupperemo la nostra ipotesi di base sulla constatazione, suffragata da osservazioni e ricerche scientifiche (Antonosky, 1987; Argyle, 1987; Astin, 1998; Richardson, 2004; Sharma, 1992; Sointu, 2006), che la guarigione, la remissione dei sintomi, la condizione di ritrovato benessere e il recupero della salute a seguito di tali cure non sono da attribuire, se non in parte, alla cura stessa (nei termini dell’attivazione diretta di processi biochimici e fisici scientificamente osservabili e controllabili). Piuttosto, questi effetti sembrano dovuti a fattori in parte sconosciuti alla scienza medica e in parte ben conosciuti alla moderna psicologia, come placebo (Moerman, 2004; Dobrilla, 2004), suggestione (Dilts, Grinder, Bandler, Bandler, DeLozier, 1982; Peluffo, 1999; Zangrilli, 2001), capacità persuasiva del terapeuta (Asher, 1972; Skrabanek, McCormick, 2002; Watzlawick, Beavin, Jackson, 1971), capacità persuasiva di gruppo (Asch, 1958; Gulotta, 1999), wishful thinking (Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Morlock, 1967; Spaltro, 2007), pensiero magico (Giusberti, Nori 2000; Monaco, 2007), persino la fede (Fusi 2006; Pavese, 2005). Gli interrogativi cui cercheremo di rispondere, analizzando studi e ricerche in proposito, sono quindi i seguenti: 8
• Fino a che punto la diffusione delle medicine alternative è dovuta alla loro efficacia e quanta parte gioca invece, eventualmente, la suggestione, l’influenza del gruppo sociale e culturale di appartenenza, la moda, l’irresistibile bisogno di credere nell’ignoto, il desiderio di un ritorno al passato (in tutte le sue forme, in quanto considerato un periodo più consono a garantire un ottimale stato di salute)? • Quale effettivo bisogno si cerca di soddisfare attraverso il ricorso alle medicine alternative? La guarigione dai sintomi organici di una malattia, o qualcos’altro? • Qual’è esattamente, nelle intenzioni dei loro fruitori, il campo di intervento delle medicine alternative? Coincide con quello della medicina convenzionale? E se la risposta è positiva, quali vantaggi offrono e specialmente quale livello di efficacia possono vantare le medicine alternative rispetto a quella convenzionale? • Infine: quali fattori intervengono nella percezione soggettiva di una migliorata condizione di benessere a seguito della sottoposizione a cure “alternative”? La letteratura scientifica internazionale non fornisce nessuno studio comparativo circa l’efficacia della medicina non convenzionale rispetto a quella alternativa. Ciò perché, come abbiamo sottolineato più volte, non è possibile il raffronto tra discipline che si fondano su principi diversi, delle quali una rifiuta l’adozione del metodo scientifico, e che, oltretutto, mostrano nei fatti di avere anche scopi diversi (la cura delle malattie l’una, la cura della salute l’altra). Si consideri poi che mentre la medicina scientifica è una sola, quella alternativa è composta di centinaia di pratiche, terapie e tecniche diverse, per cui un serio confronto sarebbe praticamente impossibile. Non è quindi su questo impossibile confronto che abbiamo centrato la nostra attenzione, volendo indagare sulla percezione dell’efficacia delle medicine non convenzionali, quanto su come le cure alternative siano percepite, vissute e interpretate da coloro che ad esse fanno ricorso. 1 . 1 . Il paradigma “biopsicosociale” La posizione di monopolio nell’ambito della salute da parte della medicina scientifica su cui si fonda ancora oggi il paradigma biomedico è stata conquistata grazie agli straordinari e rapidi successi ottenuti nel corso del secolo scorso, grazie alla scoperta di farmaci efficaci contro le malattie infettive, le vaccinazioni, e dallo sviluppo di strumenti diagnostici e di analisi sempre più sofisticati e sempre meno invasivi, nonché dall’affinamento delle tecniche chirurgiche. Secondo Murray e Pizzorno (2000, p. 8), la “presa di potere 9
monopolistico della medicina allopatica può essere fatta risalire alla metà degli anni trenta del secolo scorso”, quando si verificarono parecchi fattori che offrirono l’opportunità alla professione medica di gettare le fondamenta del suo effettivo attuale monopolio della cura della salute: le fondazioni appoggiate dalle industrie chimiche e farmaceutiche cominciarono a sovvenzionare in modo massiccio le facoltà di medicina; la classe medica smise finalmente di usare le sue terapie “eroiche” (il salasso e il dosaggio del mercurio) e fu in grado di sostituirle con terapie che erano più efficaci nel trattamento dei sintomi e molto meno tossiche; inoltre, essa divenne molto più provveduta dal punto di vista politico e, utilizzando i notevolissimi progressi tecnologici in chirurgia, resi possibili dalle due guerre mondiali, fu in grado di convincere sia l’opinione pubblica sia i politici dell’evidente superiorità dei suoi sistemi. Tutto ciò ebbe come risultato l’approvazione di leggi che limitavano severamente l’attuazione di altri sistemi terapeutici. L’insieme di questi fattori, abbinato al parallelo progresso tecnologico in tutti i settori della nostra vita, ha favorito la nascita e lo sviluppo dell’illusione di una onnipotenza curativa da parte di scienza medica e tecnologia, le quali, per di più, hanno cominciato a svelare il fondamento e le giustificazioni scientifiche di tutte le altre pratiche o tecniche terapeutiche che si rifacevano alla cosiddetta medicina popolare, e che oggi definiamo medicine alternative. La crisi del paradigma biomedico cui abbiamo fatto riferimento si inquadra in un più generale orientamento di carattere costruttivista e socio-costruzionistico (Bara, 2000, Petrillo, 2004): secondo questo nuovo modello la salute è una costruzione sociale, cioè socialmente costruita nel contesto delle relazioni umane. Il modello biopsicosociale propone cioè un concetto globale di salute coerente con l’approccio della teoria generale dei sistemi (Bertalanffy von; 1971; Bertini, 1988). La teoria generale dei sistemi collega in un tutto unico le scoperte delle scienze fisiche, filosofiche e psicologiche, concependo la biosfera alla luce di un modello ecologico globale, in cui l’organismo umano, la persona, comprende più sottosistemi che la costituiscono, di carattere fisico, emozionale, cognitivo, spirituale ecc (Bertalanffy von, 1971; Gulotta, 1999). A sua volta la persona è compresa all’interno di uno dei sistemi più ampi: il microsistema (famiglia, luoghi di lavoro, amici ecc), il mesosistema (tutti i sistemi interagenti nella vita quotidiana), l’esosistema (organizzazioni governative, economiche, religiose ecc), e il macrosistema (cultura, convinzioni comuni, aspettative sociali ecc) (Capra, 1997; Petrillo, 2006). L’ottica del nuovo paradigma si sposta quindi dalla lotta alla malattia alla promozione della salute, che assume una diversa centralità. Il concetto stesso di salute va ben oltre la 10
sfera fisica, al punto da sfumare in quello di benessere, in cui le componenti biologica, psicologica e sociale assurgono a dimensioni portanti di pari dignità. L’ottica non è più quella medica, ma quella integrata e olistica che assegna alla persona e non al corpo malato il ruolo di protagonista della salute e del benessere. Il benessere è un concetto positivo, legato alla salutogenesi, mentre la medicina opera attraverso la lotta al negativo in un’ottica di patogenesi, e per questo motivo si caratterizza nei confronti delle altre discipline per un continuo e esasperato richiamo alla cautela e alla ricerca degli aspetti negativi dell’esistenza. La medicina alternativa nasce, o meglio, sta nascendo attualmente nel mondo occidentale dall’esigenza di concepire la salute e la nostra vita come rivolta anche e specialmente alla ricerca del bene, in senso positivo, anziché alla lotta contro il male, cioè contrapponendo una visione orientata alla salutogenesi anziché alla patogenesi (Engel, 1997; Dethlefsen, Dahlke, 2000; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Sanfo, 2003) . Resta da analizzare un aspetto particolarmente difficile: ammettendo la legittimità e l’opportunità di un approccio alla salute non medico, ma alternativo ad esso, è possibile, come parte dei cosiddetti medici alternativi sostiene (Benveniste, Davenas, Beauvais, Amara, Oberbaum, Robinzon, Miadonna, Tedeschi, Pomeranz, Fortner, Belon, 1988; De Chirico, 2000; Di Spazio, 1995; Kleijnen, Knipschild, Rietter 1991), dimostrare la validità e l’efficacia delle cure alternative in termini rigorosamente scientifici? Se la risposta fosse positiva, allora la medicina alternativa dovrebbe cessare di essere tale, per essere ricondotta nell’ambito della medicina scientifica. Ma se la risposta fosse negativa, allora gli effetti positivi e soggettivamente percepiti da parte di coloro che alle medicine alternative si sono rivolti, dovrebbero avere un fondamento non scientifico. In questo secondo caso sarà necessario definire più esattamente quali siano questi fattori e quali, specialmente, le loro caratteristiche. In questo modo avremo chiarito quali siano i meccanismi che producono un miglioramento dello stato di salute, distinguendo tra quelli dovuti ai normali e fisiologici processi di autoguarigione da quelli più strettamente cognitivi, quali l’effetto placebo e le altre risorse cognitive più o meno conosciute. 11
Capitolo 2° Che cos’è e come si misura l’efficacia di un metodo terapeutico Per efficacia di un intervento terapeutico, di una cura o di un rimedio, si intende la sua capacità di modificare la normale storia evolutiva di una malattia, intervenendo positivamente sulla specifica condizione in esame, e non semplicemente sullo stato di salute generale della persona (Pedon, Gnisci, 2004). In altri termini, una cura, per essere efficace, deve agire in maniera appropriata sulla specifica causa della malattia, rimuovendola, se possibile definitivamente, o rendendola perlomeno tale da permettere di condurre un’ esistenza priva di dolore e limitazioni. In termini clinici si definisce efficace quel trattamento o quella terapia capace di aumentare la sopravvivenza dei pazienti trattati, di ridurre le conseguenze negative legate alla storia evolutiva della malattia in questione oppure di agire positivamente sui sintomi provocati dalla malattia, ad esempio riducendo il dolore (Mauri, Tinti, 2006; Murray, Pizzorno, 2000; Pedon, Gnisci, 2004). Qualunque sia l’obiettivo terapeutico che ci si propone, è necessario che l’efficacia di una cura sia valutata a condizione che siano rispettati principi ormai condivisi da tutta la comunità scientifica: bisogna produrre prove tangibili della capacità (pur se parziale) di raggiungere gli obiettivi dichiarati. In campo internazionale questa prova prende il nome di evidenza di efficacia (evidence of effectiveness; Gray, 1997; Sackett 1996) e permette di sostenere che, sulla base dei risultati della sperimentazione, il trattamento in esame ha dimostrato di saper produrre il risultato inizialmente promesso. Lo “studio clinico randomizzato” (randomised controlled trial) rappresenta un valido strumento che la comunità scientifica ha sviluppato per valutare l’efficacia di una terapia (Pedon, Gnisci, 2004, Moerman, 2004). Esso prevede che la cura in esame venga somministrata a tre gruppi di pazienti affetti da quella particolare malattia che la cura intende guarire. L’andamento della cura e i suoi risultati sono valutati non di per sé, ma nel confronto tra i gruppi (di uguale consistenza e con le medesime caratteristiche del primo, ma i cui componenti sono distribuiti a caso tra i tre gruppi). Al primo gruppo viene somministrata la cura che si intende testare, al secondo, il gruppo di controllo o di storia naturale, non viene somministrata nessuna cura, il terzo è il cosiddetto gruppo placebo. 12
Perché una terapia sia considerata efficace nella cura di una certa malattia essa deve dimostrare di produrre un effetto superiore a quello generato dal solo effetto placebo e a quello che si produce attraverso il ripristino fisiologico dell’omeostasi, legato al trascorrere di un certo periodo di tempo, diverso per ogni malattia e ogni paziente, e evidenziato dal gruppo di storia naturale. Un secondo principio imprescindibile di ogni ricerca medica è quello della cecità del trial. Essa garantisce la minima interferenza possibile, consapevole o meno, sull’andamento e i risultati del trattamento, da parte del rilevatore (singolo cieco) il quale non deve conoscere il tipo di trattamento somministrato a ogni paziente, e dello stesso paziente (doppio cieco), il quale, sapendo di partecipare a un trial scientifico potrebbe lasciarsi influenzare dalla maggiore o minore fiducia nel trattamento proposto. Nel caso di trials in doppio cieco la cecità è possibile quando sia il medico sia i due gruppi trattati ricevono trattamenti diversi nel principio attivo, ma assolutamente indistinguibili nella forma (Pedon, Gnisci, 2004). 2. 1. Efficacia in termini scientifici delle medicine alternative Se lo scopo della medicina alternativa è quello di migliorare la condizione di salute e di benessere senza combattere direttamente i sintomi delle eventuali malattie di cui la persona soffre, sorge il problema di come sia possibile “misurare” scientificamente il miglioramento della condizione di benessere. I sostenitori delle medicine alternative sostengono che, al di là delle prove scientifiche, esse, semplicemente, “funzionino”(Butto, 2003; Chopra, 1992; De Chirico, 2000; Pace, 1933) . Tale affermazione non è sufficiente per giustificare l’utilizzo di cure che vanno ad agire sulla salute dell’essere umano: l’ipotesi scientifica deve essere, per sua natura, sottoposta continuamente al vaglio di critiche e miglioramenti, e chi la propone si sottopone al rischio che la sua teoria venga falsificata. Anzi, una teoria che intenda acquisire un carattere empirico ed essere riconosciuta e utilizzata con pari dignità di qualsiasi altra deve offrirsi alla possibilità di essere confutata e falsificata. Ciò che caratterizza il metodo empirico “è la maniera in cui esso espone alla falsificazione, in ogni modo concepibile, il sistema che si deve controllare. Il suo scopo non è quello di salvare la vita ai sistemi insostenibili, ma al contrario, quello di scegliere il sistema che al paragone si rivela più adatto, dopo averli esposti tutti alla più feroce lotta per la sopravvivenza” (Popper, 1970, p.20). 13
Come invece è stato notato (Skrabanek, McCormick, 2002), la caratteristica peculiare del sostenitore delle medicine alternative è quella di dare per scontata la loro validità ed efficacia; dare per scontata l’esistenza di studi scientifici che dimostrino inequivocabilmente questa efficacia; rimuovere automaticamente dalla coscienza tutti i fatti, i dati, le considerazioni che possano in qualunque modo scuotere la fede nella medicina alternativa; ignorare sistematicamente qualunque tipo di ragionamento logico che possa dimostrare l’inefficacia o l’assurdità di questo tipo di fede; utilizzare ipotesi ad hoc e un linguaggio “oscurantista” (Gulotta, Boi, 1997; Pedon, Gnisci, 2004). In realtà, anche facendo riferimento al curioso e poco scientifico parametro del “funzionamento”, esse non funzionano perché non rispettano la “legge di guarigione totale” secondo cui una terapia è valida quando la patologia è guarita totalmente nella totalità dei casi in un tempo breve (Brancato, Pandolfi, 2005; Skrabanek, McCormick, 2002). Non esistono patologie curate globalmente dalle medicine alternative. Globalmente significa che "tutti i pazienti affetti da una determinata patologia con la cura del caso guariscono". Le medicine alternative riferiscono guarigioni, ma sono sempre singole (Astin, 1998). Non esiste mai la certezza che invece fornisce la medicina tradizionale, almeno su un numero ormai vasto di malattie, attraverso la pubblicazione di risultati relativi a ricerche condotte secondo criteri e metodologie scientificamente accettate e validate dalla comunità scientifica di riferimento. Non esistono neppure patologie, o classi di esse, per cui una qualunque delle centinaia di cure alternative abbia mai dimostrato una efficacia pari o superiore alle cure tradizionali (Borraccino, 2007; Ferrieri, Lodispoto, 2001). E a maggior ragione, nonostante queste medicine si definiscano tali e siano spesso praticate da medici, esse non si propongono di curare chirurgicamente (non esiste la chirurgia alternativa), né sono mai state utilizzate per patologie di urgenza (non esistono centri di pronto soccorso omeopatici o alternativi, per intenderci, in nessuna parte del mondo), né per tutte le patologie gravi e potenzialmente mortali. A fronte di queste considerazioni, i fautori delle medicine alternative continuano a fornire prove singole di guarigioni, mai suffragate da fatti incontrovertibili, tramite i loro specifici canali di informazione, cioè riviste prive di qualsiasi rilevanza in termini di affidabilità secondo la comunità scientifica internazionale (Pedon, Gnisci, 2004), edite da aziende che producono rimedi alternativi o da scuole di insegnamento privato di medicine alternative (si veda, per esempio, “Riza salute” e “Riza psicosomatica”, oppure “Medicina funzionale”, “Omeo Net”o ancora “La medicina biologica”). 14
È curioso notare come questo dibattito, osservato nell’ottica della psicologia sociale, assomigli sempre più a un dialogo tra sordi. Un aspetto particolarmente grottesco dello scontro fra la cultura della soggettività e la cultura dell’oggettività è l’affannarsi di alcuni nel prendere alla lettera la prospettiva magica (propria delle medicine alternative) e nel cercarne un’interpretazione definita o auspicata come scientifica. Ci troviamo di fronte, cioè, alla situazione paradossale, ben evidenziata da alcuni autori (Dobrilla, 2004; Moerman, 2004), per cui da un lato i sostenitori delle medicine alternative sostengono come non sia possibile valutare le medicine alternative sulla base di criteri scientifici, dal momento che non è ad essi che esse fanno riferimento, né nella teoria, né nei metodi, e che gli effetti delle relative cure non sono valutabili secondo il metodo scientifico dell’analisi di laboratorio o clinica; dall’altra continuano a ricercare una giustificazione e una prova scientifica dell’ esistenza di queste medicine, salutando come prove scientifiche incontrovertibili tutte le ricerche che sembrino dimostrare una qualche efficacia dei rimedi alternativi, superiore al placebo. Che le osservazioni personali o i casi aneddotici non possano sostituire trials in doppio cieco, randomizzato, multicentrico, ed eseguito su grandi numeri di pazienti, dovrebbero essere concetti risaputi; ma l’ostinazione con cui alcuni medici e i sostenitori delle medicine alternative proclamano la loro fede nella loro efficacia, pur in assenza di prove certe, è la dimostrazione che non solo la gente comune ma anche alcuni scienziati preferiscono credere - secondo il ben noto principio del “wishful thinking” (Gulotta, 1997 e 1999; Morlock, 1967; Spaltro, 2007) piuttosto che affrontare la realtà dei fatti. E i fatti, almeno in questo caso, parlano chiaro. Nel senso, perlomeno, che non mostrano mai una inequivocabile efficacia delle cure alternative (Garlaschelli, 1999; Kleijnen, Knipschild, Rietter, 1991; Maddox , Randi , Stuart, 1988; Moerman, 2004). Proprio questa ostinazione dei sostenitori delle discipline alternative ad attribuire ad esse effetti non mai dimostrati rende ragione della necessità di ricercare le motivazioni e gli errori cognitivi che stanno alla base della loro stessa esistenza. Se saremo in grado di dimostrare che l’efficacia delle medicine alternative non si fonda sui fattori addotti dai loro sostenitori, ma su illusioni cognitive e nella ricerca di una spiegazione irrazionale della realtà, saremo in grado di permettere lo studio dei loro reali effetti positivi su basi scientifiche. 15
2. 2. L’ Efficacia alternativa delle medicine alternative Alla luce della letteratura scientifica, possiamo ragionevolmente affermare che l’efficacia delle medicine alternative non è stata mai dimostrata sul piano dei riscontri scientifici propri della medicina convenzionale (Brancato, Pandolfi, 2005; Moerman, 2004; Skrabaneck, McCormick, 2003) . Ma una certa efficacia, almeno secondo le affermazioni di parte di coloro che ad esse fanno ricorso, esiste (Antonovsky,1987; Astin, 1998; Fulder, 1996; Richardson, 2004; Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991). Come valutarla? Gli autori che si sono occupati dell’argomento (Antonovsky,1987; Argyle, 1987; Diener, 1998; Gray, 1997; Sointu, 2006) sono concordi nel ritenere che gli effetti e l’efficacia di queste medicine vanno valutate secondo tre aspetti: 1. quello della valutazione soggettiva e introspettiva, da parte dell’utente stesso, 2. quello della valutazione da parte del terapista, relativamente a quanto il cliente riporta circa le modificazioni nel suo stile di vita, 3. quello scientifico e oggettivo dei parametri clinici. La misurazione dello stato di salute, inteso come assenza di malattia, è certamente osservabile e misurabile oggettivamente facendo riferimento a dati di carattere fisiologico. Quando però il concetto di salute si estende a comprendere la condizione biosociale e psicologica della persona, allora ci troviamo di fronte all’impossibilità di una valutazione oggettiva, perché di per sé priva di parametri di riferimento standard (come può essere, per esempio, il valore corretto di colesterolo ematico o il livello di pressione arteriosa) e caratterizzata da troppe variabili. Il benessere è infatti una condizione soggettiva, relativa, e valutabile quasi esclusivamente attraverso l’introspezione (Gadamer, 1933). Infatti, in mancanza di dati scientifici circa l’efficacia delle medicine alternative nella cura delle patologie, i ricercatori che si sono occupati dell’argomento hanno dovuto puntare la loro attenzione e la loro analisi su fattori più legati al benessere, alla ricerca di una condizione di equilibrio psicofisico, di recupero di autostima e consapevolezza. Molti di coloro che si rivolgono alle medicine alternative cercano un senso soggettivo di benessere piuttosto che semplice salute intesa come assenza di malattia (Diener, 1998). “Questo benessere è concepito in termini di fattori quali consapevolezza e possibilità di scelte riguardo alla propria vita” (Sointu, 2006). Tra gli studi che hanno affrontato il problema specifico della misurazione della soddisfazione dei pazienti che si rivolgono alle medicine alternative (Thomas, Carr, Westlake, Williams, 1991; Thomas, Nicholl, Coleman, 2001; Fulder,1996; Wernike, 16
Turner, Priebke 2006; Wiles, Rosenberg, 2001) si consideri quello (Richardson, 2004) svolto su 327 pazienti cui sono state somministrate cure di agopuntura, osteopatia e omeopatia. Ai fini della misurazione dell’efficacia delle terapie è stato utilizzato un questionario di autovalutazione che prende in considerazione quattro parametri principali: benessere percepito, disagio e disabilità sociale e di ruolo, modalità di comportamento, valutazione personale. Inoltre, veniva richiesto di rispondere alla domanda: “Cosa si aspetta dalla terapia medica alternativa?”. Si noti innanzitutto che quelli che sono valutati in questo studio (Richardson, 2004) sono i soli disturbi di cui si occupano le medicine alternative: malattie acute respiratorie (raffreddori, per intenderci, non certo polmoniti), malattie allergiche in genere, eruzioni e arrossamenti cutanei di origine probabilmente allergica, dolori muscolari e articolari. Tutti questi disturbi hanno in comune il fatto di non essere mortali e di risolversi, in genere, senza bisogno dell’intervento del medico, trattandosi, sostanzialmente di condizioni che potremmo definire di malessere, ma non certo di malattia vera e propria. Le malattie possono essere classificate in downhill, (per esempio, cancro in fase terminale), cioè degenerative; static, (per esempio, ipertensione arteriosa) cioè malattie croniche caratterizzate dall’assenza quasi totale di variazioni nel loro andamento; fluctuating (per esempio colon irritabile), cioè le malattie acute, caratterizzate da una fase iniziale progressivamente tendente alla gravità, un picco e una fase di remissione naturale dei sintomi (Moerman 2004). Gli studi in materia (Antonosky, 1987; Argyle, 1987; Sointu, 2006) sembrano evidenziare il fatto che le cure alternative sono prestate non per combattere in senso allopatico una patologia, quanto per prendersi cura del malessere di una persona fondamentalmente sana, affetta da disturbo fluctuating, oppure a scopo palliativo, per alleviare le sofferenze in pazienti per i quali la medicina non ha più armi a sua disposizione, come i malati terminali (Correa-Velez, Clavarino, Barret, Eastwood, 2003) . Restano al di fuori della valutazione di questi studi (Thomas, Carr, Westlake, Williams, 1991; Thomas, Nicholl, Coleman, 2001; Fulder,1996; Richardson, 2004; Wernike, Turner, Priebke 2006; Wiles, Rosenberg, 2001), che si propongono di rilevare l’efficacia delle cure alternative, tutte le malattie gravi, croniche e degenerative e in genere tutti quei disturbi che possono condurre alla morte. Nessuno studio riporta dati relativi al beneficio percepito in termini oggettivi (per esempio, riduzione dello stato infiammatorio) ma tutti si limitano a riportare ancora una volta quelle che sono semplicemente le aspettative di coloro che 17
vedono nelle medicine alternative non tanto un metodo di cura più efficace o meno dannoso, quanto le seguenti motivazioni: • sollievo dal dolore muscolare o articolare (per il quale manca la prova oggettiva, come dicevamo, della efficacia delle cure prestate) • un approccio terapeutico di tipo olistico (interpretato come l’esigenza di essere presi in considerazione come persone e non come “portatori di una patologia”) • miglioramento della qualità della vita • informazioni più complete di quelle fornite dalla medicina convenzionale sul loro reale stato di salute • ripiego rispetto a cure convenzionali rivelatesi inefficaci • consigli e suggerimenti di autocura e medicazione (Richardson, 2004). In conclusione, i pochi studi che hanno affrontato il tema dell’efficacia delle medicine alternative si sono limitati a rilevare le aspettative di guarigione attraverso forme di cura più ”umane” e rispettose della persona, senza peraltro poter ricollegare il ricorso a tali cure alternative con alcun dato relativo all’efficacia in termini oggettivi delle medesime, tantomeno attraverso un confronto con l’efficacia di cure convenzionali prestate per le stesse patologie. In altre parole, non ci troviamo di fronte ai risultati di una serie di cure prestate per patologie, ma solo alla misurazione del grado di fiducia, dell’interesse, delle aspettative dei pazienti sottoposti a cure alternative; per cui, in primo luogo, si riconosce implicitamente il fatto che le cure alternative non sono dirette alla cura di malattie, come è invece compito della medicina tradizionale, e in secondo luogo, si conferma che il ricorso alle medicine alternative trova la sua ragione di essere nella ricerca di accoglienza, contenimento, ascolto, più che di un metodo alternativo per curare una malattia. Il che sembra cominciare a costruire uno dei tasselli a supporto della nostra ipotesi proposta con il presente lavoro, e cioè che le medicine alternative non hanno alcuna efficacia sulla cura diretta delle patologie, ma, a dispetto del loro fantasioso apparato di fondamenti parascientifici, agiscono solo a livello psicologico, producendo peraltro in questo modo effettivi miglioramenti dello stato di salute. Si consideri a questo proposito l’affermazione secondo cui “ Nonostante il fatto che le medicine alternative e complementari possano essere utilizzate per la cura di malattie serie, la guarigione prodotta attraverso questi sistemi di cura è interpretata come qualcosa che trascende la salute in senso fisiologico e si riferisce piuttosto a un dichiarato “senso di benessere” (Sointu, 2006, p.1). 18
2 . 3 . Considerazioni circa le motivazioni al ricorso alle medicine alternative Il ricorso alle medicine alternative è spesso giustificato o dalla necessità di risolvere un problema di salute che la medicina convenzionale non è riuscita a gestire, o perché la cosiddetta “biomedicina” non ha “prodotto i risultati desiderati” (Sacks 2003, p.113). “Alcuni cercano in esse sollievo alla disperazione di fronte a una malattia terminale, altri utilizzano queste cure per semplice mantenimento dello stato di salute” (Sointu 2006). Il fatto che il ricorso alle cure alternative sia motivato da considerazioni o preoccupazioni legate più alla salute e al corretto stile di vita che alla malattia, è confermato anche da una ricerca italiana sulla medicina non convenzionale (Format, 2003). La ricerca Format del 2003 è una ricerca di mercato del tipo multiclient condotta da un istituto specializzato su un campione statisticamente significativo della popolazione italiana di età superiore ai 18 anni, con una numerosità campionaria di 865 individui. Il campione era di tipo proporzionale, stratificato a due stadi: aree geografiche (primo stadio) e ampiezza dei centri demografici (secondo stadio). Il campione è stato inoltre controllato utilizzando i seguenti caratteri delle unità statistiche: sesso, classi di età, stato civile, utilizzando l’Istat come fonte per la distribuzione della popolazione. Le risposte che ci interessano, ai fini del presente lavoro, sono state date in relazione alle seguenti domande: 1. i primi items si riferiscono al grado di diffusione delle medicine complementari valutato secondo le risposte a domande circa il ricordo, spontaneo o sollecitato, della loro esistenza. (items n° 1e 2) 2. i successivi si riferiscono al ricorso ad esse (items n° 2, 3,4) 3. le domande 5, 5 bis, 6 e 7 si riferiscono alla loro utilità, come percepita dagli intervistati. 4. l’item n° 15 chiede: “Per quali problemi avete fatto uso di terapie non convenzionali nell’ultimo anno?” La risposta all’item n° 7 (per quale motivo ritiene utili le terapie non convenzionali?) mostra inequivocabilmente che il ricorso ad esse è paradossalmente giustificato dall’esigenza di non subire effetti dannosi indesiderati dalla cura, piuttosto che ottenere la guarigione: oltre il 30,5% degli intervistati ritiene utili le terapie non convenzionali per la loro minore tossicità, il 10,6% perché “sono cure più naturali”, l’11,2% perché “sono l’alternativa alla medicina convenzionale”, mentre solo l’8,7% perché sono anche più efficaci. È piuttosto sorprendente la componente ideologica di queste risposte, che 19
evidenziano più una preoccupazione per gli effetti dannosi delle cure tradizionali rispetto alla valutazione in positivo delle cure alternative. Le medicine alternative rappresenterebbero quindi una sorta di ripiego dopo aver preventivamente sperimentato l’inefficacia delle cure tradizionali, oppure possono essere vissute come una forma di primo soccorso della salute, quando il disturbo lamentato non è grave, o prima che possa diventarlo. Nel primo caso ci si rivolge alle medicine alternative quando quelle convenzionali hanno fallito, e cioè ex post. Nel secondo caso ci si rivolge alle medicine alternative in via preventiva quando il disturbo non è valutato o percepito come grave, per evitare di dover ricorrere alle cure mediche e specialmente farmacologiche, considerate, come vedremo, piuttosto dannose da una parte della popolazione. Solo in pochissimi casi il ricorso a cure alternative è considerato la scelta primaria, ma mai comunque per patologie gravi o d’urgenza. Le risposte all’item n° 15 della stessa ricerca (Format, 2003), mostrano come alla domanda: “Per quali problemi avete fatto uso di terapie non convenzionali nell’ultimo anno?” ad eccezione del ricorso all’omeopatia (che viene vissuta come una medicina convenzionale allopatica che però cura con rimedi non dannosi), la percentuale più alta, tra coloro che hanno fatto uso di terapie non convenzionali nell’ultimo anno, è proprio quella di coloro che desideravano migliorare la qualità della loro vita, superiore cioè a quella di coloro che volevano curare patologie croniche o degenerative (6,6% contro 5,8%), mentre circa il 6% si rivolge alle medicine alternative persino per la cura di problemi psicologici (Format, 2003, item n°15). D’altra parte, che si tratti di disturbi di lieve entità o meno, perlomeno dalla autovalutazione di queste persone emerge il fatto che un miglioramento delle loro condizioni di salute è stato soggettivamente percepito. Per questo motivo ci sembra utile sbarazzare il campo da tutti i possibili fattori di disturbo della valutazione di questa efficacia, per concentrare la nostra attenzione proprio sui reali fattori responsabili di tali effetti positivi. Se cure, rimedi, farmaci omeopatici e trattamenti di tipo “alternativo”, si fossero mai mostrati efficaci nella cura di qualsiasi malattia, avrebbero immediatamente cessato di essere considerati alternativi, per entrare a far parte delle cure proprie della medicina scientifica. Se, come riteniamo, i benefici che tali cure producono non sono legati alle caratteristiche intrinseche delle stesse, ma a fattori psicologici, sarà allora al miglioramento della conoscenza di questi ultimi che dovremo rivolgere la nostra attenzione di terapeuti e di ricercatori. Ciò chiarito e scientificamente dimostrato, sarà possibile approfondire ed estrapolare dal corpus delle medicine alternative quello straordinario 20
patrimonio di elementi terapeutici che fino ad oggi è stato nascosto sotto il velo di fantasiosi e inutili rimedi, rituali, protocolli e manipolazioni pressoché ininfluenti, di per sé, a produrre qualsiasi miglioramento nello stato di salute. Infatti, quando il recupero della salute non passa attraverso un intervento meccanico- chirurgico, la guarigione e la remissione dei sintomi è legata a una serie infinita di fattori fisiologici e psichici, come i casi delle cosiddette “straordinarie” confermano, rispetto ai quali è spesso impossibile riconoscere quale tra essi sia stato preponderante sugli altri (Hirshberg, Barash, 1995; O’ Regan, Hirshberg, 1993). Ma al di là di queste situazioni estreme, il fatto stesso che tutte le ricerche medico- scientifiche siano effettuate con studi randomizzati in doppio cieco e contro placebo dimostra quanto fattori estranei alle proprietà “ufficiali” delle cure agiscano positivamente e in maniera spesso sorprendente. Su questa linea si pone il neuroscienziato Antonio Damasio, secondo il quale la medicina ha stentato a riconoscere che la percezione della propria condizione di salute da parte del paziente è un fattore importante per l’esito della cura. “Ancora troppo poco si sa sull’effetto placebo…Si comincia finalmente ad accettare il fatto che disturbi psicologici, lievi o gravi, possano provocare malattie somatiche, ma ancora non si studiano le circostanze - e la misura - in cui ciò può avvenire (Damasio,1995, p. 346 ). 21
Capitolo 3 Le illusioni cognitive Alla base della refrattarietà dei sostenitori delle medicine alternative all’utilizzo del buon senso, del senso critico e del metodo scientifico nel valutare la loro validità ed efficacia ci sono alcuni atteggiamenti mentali che oggi la ricerca psicologica ha individuato e messo in evidenza sotto la denominazione di illusioni cognitive (Gulotta, 1999; Nisbett, Ross, 1989; Piattelli Palmarini, 1993). Attraverso il recupero di miti, tradizioni, simboli e filosofie del passato o di paesi lontani, e la riproposizione della magia in forma apparentemente scientifica, l’essere umano contemporaneo mostra di essere ancora alla ricerca di certezze e di conoscenza, nonostante il notevole progresso (principalmente tecnologico) di cui si vanta. Secondo Dorfles (1977), la nostra esistenza è ancora in gran parte intessuta di elementi rituali, o meglio è proprio attraverso un concatenarsi di elementi, volere o no, rituali, che l’umanità riesce a vincere la forza disgregatrice di un esistenza priva ormai di ogni dimensione autenticamente mitica. “Nell’essere umano dei nostri giorni vivono tutt’ora, anche se nascoste, la nostalgia dell’Eden perduto e la memoria dell’albero sacro, simboli della vita e della trascendenza” (Eliade, 1976, p.68). In quest’ottica possiamo quindi leggere, oltre al rinnovato interesse per le pratiche magiche, l’interesse per tutto ciò che richiama al passato: anziché cercare di star dietro al presente e al futuro, che corrono troppo forte e richiedono un costante sforzo di adattamento (Cohen, 1964; Gleick, 2000) è molto più facile mobilitarsi per cercare di far fermare il mondo e scendere in un paradiso dove tutto è naturale, dove regna la quiete e la pace. In mancanza di evidenze scientifiche, per convincerci a credere nell’efficacia delle medicine alternative dobbiamo quindi rendere efficace ciò che non lo è. E ciò è possibile con varie strategie, euristiche, illusioni cognitive trasformate in credenze, rimozione dei fatti contrari, creazione di ipotesi ad hoc, strategie di esitamento (Gulotta, Boi, 1997; Taylor, 1991). Naturalmente, alcuni individui sono più soggetti al potere suggestivo del pensiero e delle pratiche magiche: si tratta di quelli che potremmo definire menti deboli. Con questo termine non si intende fare riferimento a ipotetici giudizi di ordine intellettivo o culturale, ma solo al fatto che certi soggetti mostrano più di altri di essere più facilmente suggestionabili e di aver bisogno di certezze attraverso agenti e fattori esterni, collocando 22
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