LA PERCEZIONE PSICOSOCIALE DELL'EFFICACIA DELLE MEDICINE ALTERNATIVE - Guido A. Morina

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Guido A. Morina

 LA PERCEZIONE PSICOSOCIALE
DELL’EFFICACIA DELLE MEDICINE
        ALTERNATIVE
Indice

1        Introduzione

4        Capitolo 1° Definizione di medicine alternative

         1. 1. Il paradigma “biopsicosociale”, 8

11        Capitolo 2°     Che cos’è e come si misura l’efficacia di un metodo terapeutico

         2. 1. Efficacia in termini scientifici delle medicine alternative, 12
         2. 2. L’efficacia alternativa delle medicine alternative,          15
         2. 3. Considerazioni circa il ricorso alle medicine alternative, 18

21       Capitolo 3°     Le illusioni cognitive

         3. 1. Errori e illusioni cognitive, 22
         3. 2. Una panoramica sugli errori cognitivi, 24
         3. 3. Tassonomia degli errori cognitivi, 26
         3. 3. 1. Errore nella raccolta o acquisizione dei dati e controllo dell’informazione,
         27
         3. 3. 2. Errori nel ragionamento deduttivo, 35
         3. 3. 3. Errori nel ragionamento induttivo, 44
         3. 3. 4. Errori nel ragionamento abduttivo, 48

49       Capitolo 4° Il pensiero magico e le medicine alternative

          4.1.   La coerenza cognitiva, 49
          4.2.   Pensiero logico e pensiero magico nelle medicine alternative, 51
          4.3.   Struttura e funzioni del pensiero magico in medicina alternativa, 54
          4.4.   L’attrazione per la magia, 57
          4.5.   La rottura dell’organizzazione spazio-temporale, 59
          4.6.   La violazione del principio della fissita’ del passato, 59
          4.7.   Wishful thinking, 60
          4.8.   Simboli e rituali nelle medicine alternative, 62
          4.9.   La fede, 63

67        Conclusioni

73        Bibliografia

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Introduzione

La definizione di medicine alternative è alquanto complessa tanto quanto il tentativo di
comprendere il loro funzionamento e l’efficacia del loro utilizzo. Genericamente possono
essere distinte a seconda del loro rapporto con la medicina tradizionale, e pertanto si
avranno tutte le tecniche, discipline, pratiche, tradizioni e rimedi aventi lo scopo di
migliorare la salute dell’essere umano, in sinergia e complementarietà con la medicina
convenzionale (e allora si utilizzerà più correttamente il termine “medicine complementari
o non convenzionali”), oppure quelle effettivamente alternative alla medicina scientifica
(Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2005; Skrabanek, McCormick, 2002; Sointu, 2006).
Gli strumenti utilizzati da queste medicine allo scopo di promuovere la salute sono
molteplici e diversi tra loro: manipolazioni, massaggi, infissione di aghi, tecniche corporee
non invasive, di rilassamento e di respirazione, somministrazione di rimedi più o meno
naturali, utilizzo di apparecchiature elettromedicali o di biorisonanza. In comune c’è una
visione olistica o “biopsicosociale” della salute, influenzata dalla teoria generale dei sistemi
(Bertalanffy von L. 1971), secondo la quale salute e benessere si fondano su naturali e
corretti stili e abitudini di vita (a cominciare da alimentazione e attività fisica) e su un
atteggiamento positivo verso sé stessi, gli altri, l’ambiente che ci circonda (Bert, 1974;
Bertini, 1988; Engel, 1977; Petrillo, 2004; Vithoulkas, 1991).
Parte dell’universo delle medicine alternative è tutt’ora rivolto alla cura, in senso
tipicamente allopatico, delle malattie: è il caso dell’omeopatia, dell’agopuntura e di altre
tecniche normalmente appannaggio della classe medica, le quali però non hanno mai potuto
dimostrare la loro efficacia, superiore al placebo, in studi controllati e condotti secondo il
metodo scientifico (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri, Lodispoto, 2001;
Heimann, 1999; Le Moine, 2002; Maddox, Randi, Stuart 1988; Moerman, 2004;
Skrabanek, McCormick, 2002). Secondo questi autori, ciò significa che questi tipi di cura
alternativa sono privi di per sé di valore e di efficacia terapeutica e andrebbero finalmente e
una volta per tutti abbandonati al loro destino di reperti storici.
Resta il fatto, ampiamente documentato (Antonovsky,1987; Astin, 1998; Fulder, 1996;
Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991), della autovalutazione positiva              circa
l’efficacia di queste cure in moltissimi casi, perlomeno sotto il profilo della percezione

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soggettiva di un generale miglioramento dello stato di salute. È a quest’ultimo, infatti, che
molti di coloro che si rivolgono alle medicine alternative aspirano, più che alla remissione
dai sintomi e segni di una malattia (Sointu, 2006). Ci proponiamo quindi di sottoporre al
vaglio dell’analisi della letteratura scientifica (Astin, 1998; Brancato, Pandolfi, 2005;
Diener, 1998; Spaltro, 2007) l’ipotesi che tale miglioramento, lungi dal dipendere dagli
intrinseci effetti terapeutici delle cure e dei rimedi alternativi (in quanto mai dimostrati),
possa essere dovuto all’efficacia del poco misurabile approccio olistico alla salute, fondato
su ascolto ed empatia, ma anche su suggerimenti o prescrizioni relative a stile di vita,
alimentazione, attività fisica, atteggiamento mentale. Questo tipo di approccio si
accompagna sempre, indissolubilmente, ai rimedi somministrati e alle cure prestate anche e
specialmente dai terapisti alternativi, i quali, non affidandosi agli effetti di cure
farmacologiche tradizionali,    tengono in massimo conto l’importanza di tutti i fattori
“biopsicosociali” della salute (Murray, Pizzorno, 2000; Sanfo, 2003). Al tempo stesso,
cercheremo di mostrare come euristiche, strategie e illusioni cognitive possano influire
sulla percezione dell’efficacia delle cure (Dobrilla, 2004, Dorfles, 1977; Eliade, 1976;
Giusberti, Nori, 2000; Gulotta, 1999; Gulotta, Boi, 1997; Le Moine, 2002).
Se tale ipotesi si dimostrasse fondata e plausibile anche sotto il profilo scientifico, si
giungerebbe a poter legittimamente sostenere la sostanziale inutilità di tutto ciò che nelle
cure alternative appare rivolto alla cura delle malattie (trattamenti, rimedi, da sempre privi
di efficacia scientificamente dimostrata) e ad estrapolare, dal corpus eterogeneo delle
medicine alternative, i soli contenuti utili, validi ed efficaci ai fini della salute, e cioè la
relazione terapeutica fondata su analisi e correzione dello stile di vita e l’attenzione verso
l’assoluta individualità del paziente secondo una visione olistica della salute.
Una delle conseguenze potrebbe essere quella di modificare drasticamente il paradigma
della salute che vede, di fatto, medicina scientifica e alternativa come rivolte allo studio e
alla cura delle malattie mentre la psicologia sarebbe confinata allo studio e alla cura della
salute mentale. Secondo il nostro punto di vista la cura della salute dell’essere umano
potrebbe ricavare enormi benefici dal fatto di dirottare le risorse umane e finanziarie
attualmente utilizzate per mantenere in vita un sistema di cure privo di validità ed efficacia
scientifica come quello delle medicine alternative, verso una medicina complementare e
sinergica rispetto a quella ufficialmente riconosciuta, rappresentata da tutte le discipline
che si applicano con rigore scientifico all’educazione, alla prevenzione e alla ricerca del
benessere psicofisico, tra le quali spicca la psicologia della salute (Bertini, 1988; Engel,
1977; Petrillo, 2004). Spetta a quest’ultima raccogliere l’eredità dei principi su cui si

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fondano le antiche e moderne tradizioni delle medicine alternative, attualizzandole e
rendendole finalmente efficaci attraverso l’utilizzo di conoscenze e strumenti scientifici di
cui oggi la psicologia dispone. Attraverso l’eliminazione dell’ostacolo rappresentato dalle
inutili medicine alternative, la cura della salute dell’essere umano dovrebbe molto più
utilmente, efficacemente ed efficientemente essere demandata alla medicina scientifica, per
quanto riguarda la visione patogenetica della salute volta alla cura delle malattie, e alla
psicologia della salute per tutti gli aspetti complementari, sul presupposto che l’azione
positiva sulla salute dipenda fondamentalmente dal grado di conoscenza e consapevolezza
della nostra collocazione individuale in un contesto di tipo biopsicosociale (Astin, 1998;
Mauri, Tinti, 2006; Sointu, 2006; Vithoulkas,1991).

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CAPITOLO 1

Definizione di medicine alternative

Le medicine alternative costituiscono un insieme di dottrine e di prassi diagnostico-
terapeutiche caratterizzate dalle più diverse origini (Ferrieri, Lodispoto, 2001; Murray,
Pizzorno, 2000; Richardson, 2004). Alcune di esse, come l’omeopatia o la medicina
antroposofica, sono nate negli ultimi secoli per opera di pensatori europei, mentre altre,
come la medicina tradizionale cinese, l’ayurvedica o la tibetana, traggono origine da
dottrine filosofiche-religiose dell’oriente. Valerio Sanfo, sociologo, autore di decine di
manuali e libri sulle medicine alternative, tra cui una “Enciclopedia delle discipline
bionaturali” (Sanfo, 2005), passa in rassegna oltre duecento medicine alternative diverse,
ma riconosce che il loro numero supera abbondantemente la cifra di ottocento.
La oggettiva difficoltà di individuare elementi comuni a queste diverse forme di medicina
ci costringe a ricorrere a diverse, possibili definizioni, a seconda del punto di vista col
quale vogliamo valutarle.
Sotto il profilo giuridico, le medicine alternative sono tutte quelle forme di diagnosi o
terapia il cui studio, insegnamento e la cui pratica non è riconosciuta               e non è
regolamentata dalla legge (Sanfo, 2003; Skrabaneck, McCormick, 2002). In altre parole, si
tratta di tutte quelle terapie che non sono insegnate presso le Facoltà di Medicina o di
Psicologia di nessuna Università, in nessuna parte del mondo, ma solo da scuole di
insegnamento privato. In mancanza di regolamentazione delle stesse, esse sono praticabili
teoricamente da chiunque (sulla base del principio secondo cui ciò che non è espressamente
vietato è consentito dalla legge), salvo il rispetto della norma che vieta l’esercizio abusivo
della professione medica.
Sotto il profilo strettamente scientifico, si tratta di medicine che non sono mai state
sottoposte al vaglio del metodo scientifico, o nei rari casi in cui ciò è stato fatto, sono
risultate prive del relativo fondamento, sia per quanto riguarda l’aspetto teorico,
metodologico ed epistemologico, sia specialmente per quanto riguarda l’efficacia pratica.
Per una rapida verifica dell’affermazione secondo cui non esistono prove scientifiche
incontrovertibili della loro efficacia terapeutica è sufficiente consultare i lavori più recenti

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della vastissima letteratura in proposito (Brancato, Pandolfi, 2005; Dobrilla, 2004; Ferrieri,
Lodispoto, 2001; Moerman, 2004, Skrabanek, McCormick, 2002).
Si noti come le definizioni finora enunciate siano formulate in negativo perché
l’eterogeneità di queste discipline rende più facile definire cosa non sono piuttosto che cosa
sono.
In positivo, sotto questo nome possiamo raggruppare tutte le tecniche, discipline, pratiche,
tradizioni aventi lo scopo di agire positivamente sulla salute dell’essere umano, in sinergia
e complementarietà con la medicina convenzionale (e allora si utilizzerà più correttamente
il termine ”medicine complementari o non convenzionali”), oppure quelle effettivamente
alternative alla medicina scientifica convenzionale.
Un altro modo di definirle consiste nel fare riferimento al loro fondamento teorico ed
epistemologico (Bara, 2000). Da questo punto di vista una medicina si definisce alternativa
quando presenta le seguenti caratteristiche:

   1. Si basa su una visione biologica vitalistica o olistica e non certamente meccanicista.
   2. Si basa su una patologia generale, una fisiologia, una clinica medica ed una terapia
        del tutto slegate dalla Medicina Scientifica.

Sotto il profilo diagnostico-terapeutico (Ferrieri, Lodispoto 2001; Sanfo, 2005), le medicine
alternative possono distinguersi in:
• quelle che necessitano di una diagnosi di tipo medico, se pur integrata con valutazioni
   che di solito il medico non prende in considerazione, ma che non sono necessariamente
   in contrasto con l’attività diagnostica tradizionale. Il medico “alternativo” ricerca pur
   sempre e tiene in massimo conto tutti i segni e sintomi delle malattie secondo gli stessi
   criteri della medicina convenzionale, salvo integrare tale diagnosi con valutazioni più
   approfondite e diverse e salvo prescrivere un farmaco omeopatico anziché allopatico.
   Tant’è vero che la cosiddetta “medicina naturale” lungi dall’essere una medicina
   alternativa, non è altro che medicina allopatica che cura, quando possibile, con rimedi
   naturali.
• Quelle effettivamente alternative, che nello svolgimento dell’attività diagnostica
   utilizzano nozioni anatomiche, fisiologiche e patologiche in parte estranee a quelle della
   medicina occidentale, come la medicina tradizionale cinese (da cui deriva, per esempio,
   l’agopuntura), l’ayurvedica, la kinesiologia applicata. In questi casi la diagnosi non è più
   rivolta a individuare una patologia, ma un’altra condizione non meglio identificata, detta
   “squilibrio”. Poiché tale squilibrio è “diagnosticato” sulla base di una valutazione non
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legata a dati e metodi scientifici, ma della sola interpretazione soggettiva del terapeuta,
  essa non è soggetta a verifica e falsificazione.
• Quelle alternative ma che non effettuano neppure una diagnosi, essendo tutte orientate
  alla terapia, intesa come consulenza qualificata circa abitudini e stili di vita più corretti e
  “naturali”. È il caso della naturopatia, che prescinde totalmente dalla diagnosi clinica e
  si limita a valutare la condizione di benessere della persona sulla base del modo in cui
  conduce la sua vita quotidiana, suggerendo di conseguenza rimedi naturali e non
  farmaci, oltre a modifiche, magari anche radicali, dello stile di vita (Sanfo, 2003).
• Quelle che utilizzano strumenti diagnostici alternativi per rilevare patologie secondo i
  canoni della medicina tradizionale. Per esempio l’iridologia (Di Spazio, 1995; Lo Rito,
  1993; Ratti, 2000) quando si propone di diagnosticare predisposizioni a patologie sulla
  base dei segni dell’iride; la visologia, che compie la stessa “diagnosi” osservando i segni
  e le caratteristiche del viso, l’analisi con apparecchiature di biorisonanza e altre tecniche
  diagnostiche piuttosto fantasiose (Sanfo, 2005). Anche in questo caso, come
  accennavamo poco sopra, manca qualsiasi prova circa validità ed efficacia di queste
  medicine.
• Le attività terapeutiche di gruppo, di tipo catartico o psicoterapeutico, che non
  presuppongono diagnosi, prognosi e neppure una terapia nel senso comune del termine
  (cioè come prescrizione di rimedi) e che, nelle intenzioni dei loro fruitori, possono
  anche essere svolte per pura curiosità, sete di conoscenza e di esperienze fuori dal
  comune, come arricchimento spirituale o culturale o come mezzo per conoscersi meglio.
  Rientrano in questa categoria innumerevoli discipline: la pet therapy, dance therapy, art
  therapy, le “costellazioni familiari” (Hellinger, Hovel, 2001) e lo psicodramma nelle
  loro infinite variazioni, il reiki, la pranoterapia e tutte le tecniche di “trasferimento
  energetico”, la camminata sui carboni ardenti. Nella quasi totalità dei casi, queste
  attività a scopo psicoterapeutico non sono condotte da personale qualificato in
  psicoterapia, ma da personaggi di diversa estrazione e formazione culturale e
  professionale, spesso da semplici cultori o appassionati di temi legati alla spiritualità, al
  misticismo e alla psicologia esoterica, ma privi di competenza legalmente riconosciuta
  nella gestione di qualsiasi forma di relazione terapeutica .
Le caratteristiche comuni a questa costellazione di medicine consentono di definirle quindi
come tutte quelle forme di diagnosi e cura della persona che prescindono da criteri, regole,
principi e metodi propri della scienza e della medicina occidentale. Dal che discende una
considerazione che è centrale in questo lavoro.

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Se esse agiscono positivamente sulla salute dell’essere umano nonostante utilizzino basi
teoriche, principi, strumenti e terapie estranee alla medicina scientifica, è chiaro che esse
pongono il problema di indagare a fondo e seriamente sul loro fondamento e sulla loro
efficacia, in quanto, se effettivamente utili nella cura della salute e del benessere, esse
costituirebbero un patrimonio che la cultura scientifica ha colpevolmente trascurato, in certi
casi da secoli.
A partire da questa ipotesi, ci proponiamo di indagare sul fatto che l’efficacia delle
medicine alternative si fondi non su intrinseche caratteristiche della cura, quanto
sull’attivazione di processi cognitivi che conducono a loro volta all’innesco di reazioni a
livello fisiologico, spesso utili a migliorare la condizione di salute del paziente. In altre
parole, se saremo in grado di dimostrare esaustivamente quanti e quali errori cognitivi,
quanti e quali processi inferenziali illogici e scorretti siano alla base della convinzione
soggettiva dell’efficacia di queste cure, avremo allora a disposizione sufficienti prove a
sostegno della tesi secondo cui i processi omeostatici (in gran parte sconosciuti) e la nostra
mente sono in grado di produrre effetti fisiologici assimilabili a quelli dei farmaci, almeno
sul piano della percezione dell’efficacia della cura.
Dopo aver illustrato quale sia il limitato campo di applicazione di questo tipo di medicine,
e cioè quello dei disturbi allergici, psicosomatici e acuti di lieve entità (Correa-Velez,
Clavarino, Barret, 2003; Moerman, 2004; Richardson, 2004) svilupperemo la nostra ipotesi
di base sulla constatazione, suffragata da osservazioni e ricerche scientifiche (Antonosky,
1987; Argyle, 1987; Astin, 1998; Richardson, 2004; Sharma, 1992; Sointu, 2006), che la
guarigione, la remissione dei sintomi, la condizione di ritrovato benessere e il recupero
della salute a seguito di tali cure non sono da attribuire, se non in parte, alla cura stessa
(nei termini dell’attivazione diretta di processi biochimici e fisici scientificamente
osservabili e controllabili). Piuttosto, questi effetti sembrano dovuti a fattori in parte
sconosciuti alla scienza medica e in parte ben conosciuti alla moderna psicologia, come
placebo (Moerman, 2004; Dobrilla, 2004), suggestione (Dilts, Grinder, Bandler, Bandler,
DeLozier, 1982; Peluffo, 1999; Zangrilli, 2001), capacità persuasiva del terapeuta (Asher,
1972; Skrabanek, McCormick, 2002; Watzlawick, Beavin, Jackson, 1971), capacità
persuasiva di gruppo (Asch, 1958; Gulotta, 1999), wishful thinking (Gulotta, 1999;
Gulotta, Boi, 1997; Morlock, 1967; Spaltro, 2007), pensiero magico (Giusberti, Nori 2000;
Monaco, 2007), persino la fede (Fusi 2006; Pavese, 2005).
Gli interrogativi cui cercheremo di rispondere, analizzando studi e ricerche in proposito,
sono quindi i seguenti:

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• Fino a che punto la diffusione delle medicine alternative è dovuta alla loro efficacia e
   quanta parte gioca invece, eventualmente, la suggestione, l’influenza del gruppo sociale
   e culturale di appartenenza, la moda, l’irresistibile bisogno di credere nell’ignoto, il
   desiderio di un ritorno al passato (in tutte le sue forme, in quanto considerato un periodo
   più consono a garantire un ottimale stato di salute)?
• Quale effettivo bisogno si cerca di soddisfare attraverso il ricorso alle medicine
   alternative? La guarigione dai sintomi organici di una malattia, o qualcos’altro?
• Qual’è esattamente, nelle intenzioni dei loro fruitori, il campo di intervento delle
   medicine alternative? Coincide con quello della medicina convenzionale? E se la
   risposta è positiva, quali vantaggi offrono e specialmente quale livello di efficacia
   possono vantare le medicine alternative rispetto a quella convenzionale?
• Infine: quali fattori intervengono nella percezione soggettiva di una migliorata
   condizione di benessere a seguito della sottoposizione a cure “alternative”?
La letteratura scientifica internazionale non fornisce nessuno studio comparativo circa
l’efficacia della medicina non convenzionale rispetto a quella alternativa. Ciò perché, come
abbiamo sottolineato più volte, non è possibile il raffronto tra discipline che si fondano su
principi diversi, delle quali una rifiuta l’adozione del metodo scientifico, e che, oltretutto,
mostrano nei fatti di avere anche scopi diversi (la cura delle malattie l’una, la cura della
salute l’altra). Si consideri poi che mentre la medicina scientifica è una sola, quella
alternativa è composta di centinaia di pratiche, terapie e tecniche diverse, per cui un serio
confronto sarebbe praticamente impossibile.
Non è quindi su questo impossibile confronto che abbiamo centrato la nostra attenzione,
volendo indagare sulla percezione dell’efficacia delle medicine non convenzionali, quanto
su come le cure alternative siano percepite, vissute e interpretate da coloro che ad esse
fanno ricorso.

1 . 1 . Il paradigma “biopsicosociale”

La posizione di monopolio nell’ambito della salute da parte della medicina scientifica su
cui si fonda ancora oggi il paradigma biomedico è stata conquistata grazie agli straordinari
e rapidi successi ottenuti nel corso del secolo scorso, grazie alla scoperta di farmaci efficaci
contro le malattie infettive, le vaccinazioni, e dallo sviluppo di strumenti diagnostici e di
analisi sempre più sofisticati e sempre meno invasivi, nonché dall’affinamento delle
tecniche chirurgiche. Secondo Murray e Pizzorno (2000, p. 8), la “presa di potere

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monopolistico della medicina allopatica può essere fatta risalire alla metà degli anni trenta
del secolo scorso”, quando si verificarono parecchi fattori che offrirono l’opportunità alla
professione medica di gettare le fondamenta del suo effettivo attuale monopolio della cura
della salute: le fondazioni appoggiate dalle industrie chimiche e farmaceutiche
cominciarono a sovvenzionare in modo massiccio le facoltà di medicina; la classe medica
smise finalmente di usare le sue terapie “eroiche” (il salasso e il dosaggio del mercurio) e
fu in grado di sostituirle con terapie che erano più efficaci nel trattamento dei sintomi e
molto meno tossiche; inoltre, essa divenne molto più provveduta dal punto di vista politico
e, utilizzando i notevolissimi progressi tecnologici in chirurgia, resi possibili dalle due
guerre mondiali, fu in grado di convincere sia l’opinione pubblica sia i politici
dell’evidente superiorità dei suoi sistemi. Tutto ciò ebbe come risultato l’approvazione di
leggi che limitavano severamente l’attuazione di altri sistemi terapeutici. L’insieme di
questi fattori, abbinato al parallelo progresso tecnologico in tutti i settori della nostra vita,
ha favorito la nascita e lo sviluppo dell’illusione di una onnipotenza curativa da parte di
scienza medica e tecnologia, le quali, per di più, hanno cominciato a svelare il fondamento
e le giustificazioni scientifiche di tutte le altre pratiche o tecniche terapeutiche che si
rifacevano alla cosiddetta medicina popolare, e che oggi definiamo medicine alternative.
La crisi del paradigma biomedico cui abbiamo fatto riferimento si inquadra in un più
generale orientamento di carattere costruttivista e socio-costruzionistico (Bara, 2000,
Petrillo, 2004): secondo questo nuovo modello la salute è una costruzione sociale, cioè
socialmente costruita nel contesto delle relazioni umane. Il modello biopsicosociale
propone cioè un concetto globale di salute coerente con l’approccio della teoria generale
dei sistemi (Bertalanffy von; 1971; Bertini, 1988).
La teoria generale dei sistemi collega in un tutto unico le scoperte delle scienze fisiche,
filosofiche e psicologiche, concependo la biosfera alla luce di un modello ecologico
globale, in cui l’organismo umano, la persona, comprende più sottosistemi che la
costituiscono, di carattere fisico, emozionale, cognitivo, spirituale ecc (Bertalanffy von,
1971; Gulotta, 1999). A sua volta la persona è compresa all’interno di uno dei sistemi più
ampi: il microsistema (famiglia, luoghi di lavoro, amici ecc), il mesosistema (tutti i sistemi
interagenti nella vita quotidiana), l’esosistema (organizzazioni governative, economiche,
religiose ecc), e il macrosistema (cultura, convinzioni comuni, aspettative sociali ecc)
(Capra, 1997; Petrillo, 2006).
L’ottica del nuovo paradigma si sposta quindi dalla lotta alla malattia alla promozione
della salute, che assume una diversa centralità. Il concetto stesso di salute va ben oltre la

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sfera fisica, al punto da sfumare in quello di benessere, in cui le componenti biologica,
psicologica e sociale assurgono a dimensioni portanti di pari dignità. L’ottica non è più
quella medica, ma quella integrata e olistica che assegna alla persona e non al corpo malato
il ruolo di protagonista della salute e del benessere.
Il benessere è un concetto positivo, legato alla salutogenesi, mentre la medicina opera
attraverso la lotta al negativo in un’ottica di patogenesi, e per questo motivo si caratterizza
nei confronti delle altre discipline per un continuo e esasperato richiamo alla cautela e alla
ricerca degli aspetti negativi dell’esistenza.
La medicina alternativa nasce, o meglio, sta nascendo attualmente nel mondo occidentale
dall’esigenza di concepire la salute e la nostra vita come rivolta anche e specialmente alla
ricerca del bene, in senso positivo, anziché alla lotta contro il male, cioè contrapponendo
una visione orientata alla salutogenesi anziché alla patogenesi (Engel, 1997; Dethlefsen,
Dahlke, 2000; Ferrieri, Lodispoto, 2001; Sanfo, 2003) .
Resta da analizzare un aspetto particolarmente difficile: ammettendo la legittimità e
l’opportunità di un approccio alla salute non medico, ma alternativo ad esso, è possibile,
come parte dei cosiddetti medici alternativi sostiene (Benveniste, Davenas, Beauvais,
Amara, Oberbaum, Robinzon, Miadonna, Tedeschi, Pomeranz, Fortner, Belon, 1988; De
Chirico, 2000; Di Spazio, 1995; Kleijnen, Knipschild, Rietter 1991), dimostrare la validità
e l’efficacia delle cure alternative in termini rigorosamente scientifici? Se la risposta fosse
positiva, allora la medicina alternativa dovrebbe cessare di essere tale, per essere ricondotta
nell’ambito della medicina scientifica. Ma se la risposta fosse negativa, allora gli effetti
positivi e soggettivamente percepiti da parte di coloro che alle medicine alternative si sono
rivolti, dovrebbero avere un fondamento non scientifico. In questo secondo caso sarà
necessario definire più esattamente quali siano questi fattori e quali, specialmente, le loro
caratteristiche. In questo modo avremo chiarito quali siano i meccanismi che producono un
miglioramento dello stato di salute, distinguendo tra quelli dovuti ai normali e fisiologici
processi di autoguarigione da quelli più strettamente cognitivi, quali l’effetto placebo e le
altre risorse cognitive più o meno conosciute.

                                                                                            11
Capitolo 2°

Che cos’è e come si misura l’efficacia di un metodo terapeutico

Per efficacia di un intervento terapeutico, di una cura o di un rimedio, si intende la sua
capacità di modificare la normale storia evolutiva di una malattia, intervenendo
positivamente sulla specifica condizione in esame, e non semplicemente sullo stato di
salute generale della persona (Pedon, Gnisci, 2004). In altri termini, una cura, per essere
efficace, deve agire in maniera appropriata sulla specifica causa della malattia,
rimuovendola, se possibile definitivamente, o rendendola perlomeno tale da permettere di
condurre un’ esistenza priva di dolore e limitazioni. In termini clinici si definisce efficace
quel trattamento o quella terapia capace di aumentare la sopravvivenza dei pazienti trattati,
di ridurre le conseguenze negative legate alla storia evolutiva della malattia in questione
oppure di agire positivamente sui sintomi provocati dalla malattia, ad esempio riducendo il
dolore (Mauri, Tinti, 2006; Murray, Pizzorno, 2000; Pedon, Gnisci, 2004).
Qualunque sia l’obiettivo terapeutico che ci si propone, è necessario che l’efficacia di una
cura sia valutata a condizione che siano rispettati principi ormai condivisi da tutta la
comunità scientifica: bisogna produrre prove tangibili della capacità (pur se parziale) di
raggiungere gli obiettivi dichiarati. In campo internazionale questa prova prende il nome di
evidenza di efficacia (evidence of effectiveness; Gray, 1997; Sackett 1996) e permette di
sostenere che, sulla base dei risultati della sperimentazione, il trattamento in esame ha
dimostrato di saper produrre il risultato inizialmente promesso.
Lo “studio clinico randomizzato” (randomised controlled trial) rappresenta un valido
strumento che la comunità scientifica ha sviluppato per valutare l’efficacia di una terapia
(Pedon, Gnisci, 2004, Moerman, 2004). Esso prevede che la cura in esame venga
somministrata a tre gruppi di pazienti affetti da quella particolare malattia che la cura
intende guarire. L’andamento della cura e i suoi risultati sono valutati non di per sé, ma nel
confronto tra i gruppi (di uguale consistenza e con le medesime caratteristiche del primo,
ma i cui componenti sono distribuiti a caso tra i tre gruppi). Al primo gruppo viene
somministrata la cura che si intende testare, al secondo, il gruppo di controllo o di storia
naturale,   non viene somministrata nessuna cura, il terzo è il cosiddetto gruppo placebo.

                                                                                           12
Perché una terapia sia considerata efficace nella cura di una certa malattia essa deve
dimostrare di produrre un effetto superiore a quello generato dal solo effetto placebo e a
quello che si produce attraverso il ripristino fisiologico dell’omeostasi, legato al trascorrere
di un certo periodo di tempo, diverso per ogni malattia e ogni paziente, e evidenziato dal
gruppo di storia naturale.
Un secondo principio imprescindibile di ogni ricerca medica è quello della cecità del trial.
Essa garantisce la minima interferenza possibile, consapevole o meno, sull’andamento e i
risultati del trattamento, da parte del rilevatore (singolo cieco) il quale non deve conoscere
il tipo di trattamento somministrato a ogni paziente, e dello stesso paziente (doppio cieco),
il quale, sapendo di partecipare a un trial scientifico potrebbe lasciarsi influenzare dalla
maggiore o minore fiducia nel trattamento proposto. Nel caso di trials in doppio cieco la
cecità è possibile quando sia il medico sia i due gruppi trattati ricevono trattamenti diversi
nel principio attivo, ma assolutamente indistinguibili nella forma (Pedon, Gnisci, 2004).

2. 1. Efficacia in termini scientifici delle medicine alternative

Se lo scopo della medicina alternativa è quello di migliorare la condizione di salute e di
benessere senza combattere direttamente i sintomi delle eventuali malattie di cui la persona
soffre, sorge il problema di come sia possibile “misurare” scientificamente il
miglioramento della condizione di benessere.
I sostenitori delle medicine alternative sostengono che, al di là delle prove scientifiche,
esse, semplicemente, “funzionino”(Butto, 2003; Chopra, 1992; De Chirico, 2000; Pace,
1933) . Tale affermazione non è sufficiente per giustificare l’utilizzo di cure che vanno ad
agire sulla salute dell’essere umano: l’ipotesi scientifica deve essere, per sua natura,
sottoposta continuamente al vaglio di critiche e miglioramenti, e chi la propone si
sottopone al rischio che la sua teoria venga falsificata. Anzi, una teoria che intenda
acquisire un carattere empirico ed essere riconosciuta e utilizzata con pari dignità di
qualsiasi altra deve offrirsi alla possibilità di essere confutata e falsificata. Ciò che
caratterizza il metodo empirico “è la maniera in cui esso espone alla falsificazione, in ogni
modo concepibile, il sistema che si deve controllare. Il suo scopo non è quello di salvare la
vita ai sistemi insostenibili, ma al contrario, quello di scegliere il sistema che al paragone si
rivela più adatto, dopo averli esposti tutti alla più feroce lotta per la sopravvivenza”
(Popper, 1970, p.20).

                                                                                              13
Come invece è stato notato (Skrabanek, McCormick, 2002), la caratteristica peculiare del
sostenitore delle medicine alternative è quella di dare per scontata la loro validità ed
efficacia;   dare   per   scontata   l’esistenza   di   studi   scientifici   che   dimostrino
inequivocabilmente questa efficacia; rimuovere automaticamente dalla coscienza tutti i
fatti, i dati, le considerazioni che possano in qualunque modo scuotere la fede nella
medicina alternativa; ignorare sistematicamente qualunque tipo di ragionamento logico che
possa dimostrare l’inefficacia o l’assurdità di questo tipo di fede; utilizzare ipotesi ad hoc e
un linguaggio “oscurantista” (Gulotta, Boi, 1997; Pedon, Gnisci, 2004).
In realtà, anche facendo riferimento al curioso e poco scientifico parametro del
“funzionamento”, esse non funzionano perché non rispettano la “legge di guarigione
totale” secondo cui una terapia è valida quando la patologia è guarita totalmente nella
totalità dei casi in un tempo breve (Brancato, Pandolfi, 2005; Skrabanek, McCormick,
2002). Non esistono patologie curate globalmente dalle medicine alternative. Globalmente
significa che "tutti i pazienti affetti da una determinata patologia con la cura del caso
guariscono". Le medicine alternative riferiscono guarigioni, ma sono sempre singole
(Astin, 1998). Non esiste mai la certezza che invece fornisce la medicina tradizionale,
almeno su un numero ormai vasto di malattie, attraverso la pubblicazione di risultati
relativi a ricerche condotte secondo criteri e metodologie scientificamente accettate e
validate dalla comunità scientifica di riferimento. Non esistono neppure patologie, o classi
di esse, per cui una qualunque delle centinaia di cure alternative abbia mai dimostrato una
efficacia pari o superiore alle cure tradizionali (Borraccino, 2007; Ferrieri, Lodispoto,
2001). E a maggior ragione, nonostante queste medicine si definiscano tali e siano spesso
praticate da medici, esse non si propongono di curare chirurgicamente (non esiste la
chirurgia alternativa), né sono mai state utilizzate per patologie di urgenza (non esistono
centri di pronto soccorso omeopatici o alternativi, per intenderci, in nessuna parte del
mondo), né per tutte le patologie gravi e potenzialmente mortali. A fronte di queste
considerazioni, i fautori delle medicine alternative continuano a fornire prove singole di
guarigioni, mai suffragate da fatti incontrovertibili, tramite i loro specifici canali di
informazione, cioè riviste prive di qualsiasi rilevanza in termini di affidabilità secondo la
comunità scientifica internazionale (Pedon, Gnisci, 2004), edite da aziende che producono
rimedi alternativi o da scuole di insegnamento privato di medicine alternative (si veda, per
esempio, “Riza salute” e “Riza psicosomatica”, oppure “Medicina funzionale”, “Omeo
Net”o ancora “La medicina biologica”).

                                                                                             14
È curioso notare come questo dibattito, osservato nell’ottica della psicologia sociale,
assomigli sempre più a un dialogo tra sordi. Un aspetto particolarmente grottesco dello
scontro fra la cultura della soggettività e la cultura dell’oggettività è l’affannarsi di alcuni
nel prendere alla lettera la prospettiva magica (propria delle medicine alternative) e nel
cercarne un’interpretazione definita o auspicata come scientifica. Ci troviamo di fronte,
cioè, alla situazione paradossale, ben evidenziata da alcuni autori (Dobrilla, 2004;
Moerman, 2004), per cui da un lato i sostenitori delle medicine alternative sostengono
come non sia possibile valutare le medicine alternative sulla base di criteri scientifici, dal
momento che non è ad essi che esse fanno riferimento, né nella teoria, né nei metodi, e che
gli effetti delle relative cure non sono valutabili secondo il metodo scientifico dell’analisi di
laboratorio o clinica; dall’altra continuano a ricercare una giustificazione e una prova
scientifica dell’ esistenza di queste medicine, salutando come prove scientifiche
incontrovertibili tutte le ricerche che sembrino dimostrare una qualche efficacia dei rimedi
alternativi, superiore al placebo. Che le osservazioni personali o i casi aneddotici non
possano sostituire trials in doppio cieco, randomizzato, multicentrico, ed eseguito su grandi
numeri di pazienti, dovrebbero essere concetti risaputi; ma l’ostinazione con cui alcuni
medici e i sostenitori delle medicine alternative proclamano la loro fede nella loro efficacia,
pur in assenza di prove certe, è la dimostrazione che non solo la gente comune ma anche
alcuni scienziati preferiscono credere - secondo il ben noto principio del “wishful thinking”
(Gulotta, 1997 e 1999; Morlock, 1967; Spaltro, 2007) piuttosto che affrontare la realtà dei
fatti. E i fatti, almeno in questo caso, parlano chiaro. Nel senso, perlomeno, che non
mostrano mai una inequivocabile efficacia delle cure alternative (Garlaschelli, 1999;
Kleijnen, Knipschild, Rietter, 1991; Maddox , Randi , Stuart, 1988; Moerman, 2004).
Proprio questa ostinazione dei sostenitori delle discipline alternative ad attribuire ad esse
effetti non mai dimostrati rende ragione della necessità di ricercare le motivazioni e gli
errori cognitivi che stanno alla base della loro stessa esistenza. Se saremo in grado di
dimostrare che l’efficacia delle medicine alternative non si fonda sui fattori addotti dai loro
sostenitori, ma su illusioni cognitive e nella ricerca di una spiegazione irrazionale della
realtà, saremo in grado di permettere lo studio dei loro reali effetti positivi su basi
scientifiche.

                                                                                              15
2. 2. L’ Efficacia alternativa delle medicine alternative

Alla luce della letteratura scientifica, possiamo ragionevolmente affermare che l’efficacia
delle medicine alternative non è stata mai dimostrata sul piano dei riscontri scientifici
propri della medicina convenzionale (Brancato, Pandolfi, 2005; Moerman, 2004;
Skrabaneck, McCormick, 2003) . Ma una certa efficacia, almeno secondo le affermazioni
di parte di coloro che ad esse fanno ricorso, esiste (Antonovsky,1987; Astin, 1998; Fulder,
1996; Richardson, 2004; Sointu, 2006; Strack, Argyle, Schwarz, 1991). Come valutarla?
Gli autori che si sono occupati dell’argomento (Antonovsky,1987; Argyle, 1987; Diener,
1998; Gray, 1997; Sointu, 2006) sono concordi nel ritenere che gli effetti e l’efficacia di
queste medicine vanno valutate secondo tre aspetti:
   1. quello della valutazione soggettiva e introspettiva, da parte dell’utente stesso,
   2. quello della valutazione da parte del terapista, relativamente a quanto il cliente
       riporta circa le modificazioni nel suo stile di vita,
   3. quello scientifico e oggettivo dei parametri clinici.
La misurazione dello stato di salute, inteso come assenza di malattia, è certamente
osservabile e misurabile oggettivamente facendo riferimento a dati di carattere fisiologico.
Quando però il concetto di salute si estende a comprendere la condizione biosociale e
psicologica della persona, allora ci troviamo di fronte all’impossibilità di una valutazione
oggettiva, perché di per sé priva di parametri di riferimento standard (come può essere, per
esempio, il valore corretto di colesterolo ematico o il livello di pressione arteriosa) e
caratterizzata da troppe variabili. Il benessere è infatti una condizione soggettiva, relativa, e
valutabile quasi esclusivamente attraverso l’introspezione (Gadamer, 1933).
Infatti, in mancanza di dati scientifici circa l’efficacia delle medicine alternative nella cura
delle patologie, i ricercatori che si sono occupati dell’argomento hanno dovuto puntare la
loro attenzione e la loro analisi su fattori più legati al benessere, alla ricerca di una
condizione di equilibrio psicofisico, di recupero di autostima e consapevolezza. Molti di
coloro che si rivolgono alle medicine alternative cercano un senso soggettivo di benessere
piuttosto che semplice salute intesa come assenza di malattia (Diener, 1998). “Questo
benessere è concepito in termini di fattori quali consapevolezza e possibilità di scelte
riguardo alla propria vita” (Sointu, 2006).
Tra gli studi che hanno affrontato il problema specifico della misurazione della
soddisfazione dei pazienti che si rivolgono alle medicine alternative (Thomas, Carr,
Westlake, Williams, 1991; Thomas, Nicholl, Coleman, 2001; Fulder,1996; Wernike,

                                                                                              16
Turner, Priebke 2006; Wiles, Rosenberg, 2001) si consideri quello (Richardson, 2004)
svolto su 327 pazienti cui sono state somministrate cure di agopuntura, osteopatia e
omeopatia.
Ai fini della misurazione dell’efficacia delle terapie è stato utilizzato un questionario di
autovalutazione che prende in considerazione quattro parametri principali:          benessere
percepito, disagio e disabilità sociale e di ruolo, modalità di comportamento, valutazione
personale. Inoltre, veniva richiesto di rispondere alla domanda: “Cosa si aspetta dalla
terapia medica alternativa?”.
Si noti innanzitutto che quelli che sono valutati in questo studio (Richardson, 2004) sono i
soli disturbi di cui si occupano le medicine alternative: malattie acute respiratorie
(raffreddori, per intenderci, non certo polmoniti), malattie allergiche in genere, eruzioni e
arrossamenti cutanei di origine probabilmente allergica, dolori muscolari e articolari. Tutti
questi disturbi hanno in comune il fatto di non essere mortali e di risolversi, in genere,
senza bisogno dell’intervento del medico, trattandosi, sostanzialmente di condizioni che
potremmo definire di malessere, ma non certo di malattia vera e propria.
Le malattie possono essere classificate in downhill, (per esempio, cancro in fase terminale),
cioè degenerative; static, (per esempio, ipertensione arteriosa) cioè malattie croniche
caratterizzate dall’assenza quasi totale di variazioni nel loro andamento; fluctuating (per
esempio colon irritabile), cioè le malattie acute, caratterizzate da una fase iniziale
progressivamente tendente alla gravità, un picco e una fase di remissione naturale dei
sintomi (Moerman 2004). Gli studi in materia (Antonosky, 1987; Argyle, 1987; Sointu,
2006) sembrano evidenziare il fatto che le cure alternative sono prestate non per combattere
in senso allopatico una patologia, quanto per prendersi cura del malessere di una persona
fondamentalmente sana, affetta da disturbo fluctuating, oppure a scopo palliativo, per
alleviare le sofferenze in pazienti per i quali la medicina non ha più armi a sua
disposizione, come i malati terminali (Correa-Velez, Clavarino, Barret, Eastwood, 2003) .
Restano al di fuori della valutazione di questi studi (Thomas, Carr, Westlake, Williams,
1991; Thomas, Nicholl, Coleman, 2001; Fulder,1996; Richardson, 2004; Wernike, Turner,
Priebke 2006; Wiles, Rosenberg, 2001), che si propongono di rilevare l’efficacia delle cure
alternative, tutte le malattie gravi, croniche e degenerative e in genere tutti quei disturbi
che possono condurre alla morte. Nessuno studio riporta dati relativi al beneficio percepito
in termini oggettivi (per esempio, riduzione dello stato infiammatorio) ma tutti si limitano a
riportare ancora una volta quelle che sono semplicemente le aspettative di coloro che

                                                                                           17
vedono nelle medicine alternative non tanto un metodo di cura più efficace o meno
dannoso, quanto le seguenti motivazioni:
• sollievo dal dolore muscolare o articolare (per il quale manca la prova oggettiva, come
   dicevamo, della efficacia delle cure prestate)
• un approccio terapeutico di tipo olistico (interpretato come l’esigenza di essere presi in
   considerazione come persone e non come “portatori di una patologia”)
• miglioramento della qualità della vita
• informazioni più complete di quelle fornite dalla medicina convenzionale sul loro reale
   stato di salute
• ripiego rispetto a cure convenzionali rivelatesi inefficaci
• consigli e suggerimenti di autocura e medicazione (Richardson, 2004).
In conclusione, i pochi studi che hanno affrontato il tema dell’efficacia delle medicine
alternative si sono limitati a rilevare le aspettative di guarigione attraverso forme di cura
più ”umane” e rispettose della persona, senza peraltro poter ricollegare il ricorso a tali cure
alternative con alcun dato relativo all’efficacia in termini oggettivi delle medesime,
tantomeno attraverso un confronto con l’efficacia di cure convenzionali prestate per le
stesse patologie.
In altre parole, non ci troviamo di fronte ai risultati di una serie di cure prestate per
patologie, ma solo alla misurazione del grado di fiducia, dell’interesse, delle aspettative dei
pazienti sottoposti a cure alternative; per cui, in primo luogo, si riconosce implicitamente il
fatto che le cure alternative non sono dirette alla cura di malattie, come è invece compito
della medicina tradizionale, e in secondo luogo, si conferma che il ricorso alle medicine
alternative trova la sua ragione di essere nella ricerca di accoglienza, contenimento, ascolto,
più che di un metodo alternativo per curare una malattia. Il che sembra cominciare a
costruire uno dei tasselli a supporto della nostra ipotesi proposta con il presente lavoro, e
cioè che le medicine alternative non hanno alcuna efficacia sulla cura diretta delle
patologie, ma, a dispetto del loro fantasioso apparato di fondamenti parascientifici,
agiscono solo        a livello psicologico, producendo peraltro in questo modo effettivi
miglioramenti dello stato di salute. Si consideri a questo proposito l’affermazione secondo
cui “ Nonostante il fatto che le medicine alternative e complementari possano essere
utilizzate per la cura di malattie serie, la guarigione prodotta attraverso questi sistemi di
cura è interpretata come qualcosa che trascende la salute in senso fisiologico e si riferisce
piuttosto a un dichiarato “senso di benessere” (Sointu, 2006, p.1).

                                                                                            18
2 . 3 . Considerazioni circa le motivazioni al ricorso alle medicine alternative

Il ricorso alle medicine alternative è spesso giustificato o dalla necessità di risolvere un
problema di salute che la medicina convenzionale non è riuscita a gestire, o perché la
cosiddetta “biomedicina” non ha “prodotto i risultati desiderati” (Sacks 2003, p.113).
“Alcuni cercano in esse sollievo alla disperazione di fronte a una malattia terminale, altri
utilizzano queste cure per semplice mantenimento dello stato di salute” (Sointu 2006). Il
fatto che il ricorso alle cure alternative sia motivato da considerazioni o preoccupazioni
legate più alla salute e al corretto stile di vita che alla malattia, è confermato anche da una
ricerca italiana sulla medicina non convenzionale (Format, 2003).
La ricerca Format del 2003 è una ricerca di mercato del tipo multiclient condotta da un
istituto specializzato su un campione statisticamente significativo della popolazione italiana
di età superiore ai 18 anni, con una numerosità campionaria di 865 individui. Il campione
era di tipo proporzionale, stratificato a due stadi: aree geografiche (primo stadio) e
ampiezza dei centri demografici (secondo stadio). Il campione è stato inoltre controllato
utilizzando i seguenti caratteri delle unità statistiche: sesso, classi di età, stato civile,
utilizzando l’Istat come fonte per la distribuzione della popolazione.
Le risposte che ci interessano, ai fini del presente lavoro, sono state date in relazione alle
seguenti domande:
   1. i primi items si riferiscono al grado di diffusione delle medicine complementari
       valutato secondo le risposte a domande circa il ricordo, spontaneo o sollecitato,
       della loro esistenza. (items n° 1e 2)
   2. i successivi si riferiscono al ricorso ad esse (items n° 2, 3,4)
   3. le domande 5, 5 bis, 6 e 7 si riferiscono alla loro utilità, come percepita dagli
       intervistati.
   4. l’item n° 15 chiede: “Per quali problemi avete fatto uso di terapie non convenzionali
       nell’ultimo anno?”
La risposta all’item n° 7 (per quale motivo ritiene utili le terapie non convenzionali?)
mostra inequivocabilmente che il ricorso ad esse è paradossalmente giustificato
dall’esigenza di non subire effetti dannosi indesiderati dalla cura, piuttosto che ottenere la
guarigione: oltre il 30,5% degli intervistati ritiene utili le terapie non convenzionali per la
loro minore tossicità, il 10,6% perché “sono cure più naturali”, l’11,2% perché “sono
l’alternativa alla medicina convenzionale”, mentre solo l’8,7% perché sono anche più
efficaci. È piuttosto sorprendente la componente ideologica di queste risposte, che

                                                                                            19
evidenziano più una preoccupazione per gli effetti dannosi delle cure tradizionali rispetto
alla valutazione in positivo delle cure alternative.
Le medicine alternative rappresenterebbero quindi una sorta di ripiego dopo aver
preventivamente sperimentato l’inefficacia delle cure tradizionali, oppure possono essere
vissute come una forma di primo soccorso della salute, quando il disturbo lamentato non è
grave, o prima che possa diventarlo. Nel primo caso ci si rivolge alle medicine alternative
quando quelle convenzionali hanno fallito, e cioè ex post. Nel secondo caso ci si rivolge
alle medicine alternative in via preventiva quando il disturbo non è valutato o percepito
come grave, per evitare di dover ricorrere alle cure mediche e specialmente
farmacologiche, considerate, come vedremo, piuttosto dannose da una parte della
popolazione. Solo in pochissimi casi il ricorso a cure alternative è considerato la scelta
primaria, ma mai comunque per patologie gravi o d’urgenza.
Le risposte all’item n° 15 della stessa ricerca (Format, 2003), mostrano come alla domanda:
“Per quali problemi avete fatto uso di terapie non convenzionali nell’ultimo anno?” ad
eccezione del ricorso all’omeopatia (che viene vissuta come una medicina convenzionale
allopatica che però cura con rimedi non dannosi), la percentuale più alta, tra coloro che
hanno fatto uso di terapie non convenzionali nell’ultimo anno, è proprio quella di coloro
che desideravano migliorare la qualità della loro vita, superiore cioè a quella di coloro che
volevano curare patologie croniche o degenerative (6,6% contro 5,8%), mentre circa il 6%
si rivolge alle medicine alternative persino per la cura di problemi psicologici (Format,
2003, item n°15).
D’altra parte, che si tratti di disturbi di lieve entità o meno, perlomeno dalla
autovalutazione di queste persone emerge il fatto che un miglioramento delle loro
condizioni di salute è stato soggettivamente percepito. Per questo motivo ci sembra utile
sbarazzare il campo da tutti i possibili fattori di disturbo della valutazione di questa
efficacia, per concentrare la nostra attenzione proprio sui reali fattori responsabili di tali
effetti positivi. Se cure, rimedi, farmaci omeopatici e trattamenti di tipo “alternativo”, si
fossero mai mostrati efficaci nella cura di qualsiasi malattia, avrebbero immediatamente
cessato di essere considerati alternativi, per entrare a far parte delle cure proprie della
medicina scientifica. Se, come riteniamo, i benefici che tali cure producono non sono legati
alle caratteristiche intrinseche delle stesse, ma a fattori psicologici, sarà allora al
miglioramento della conoscenza di questi ultimi che dovremo rivolgere la nostra attenzione
di terapeuti e di ricercatori. Ciò chiarito e scientificamente dimostrato, sarà possibile
approfondire ed estrapolare dal corpus delle medicine alternative quello straordinario

                                                                                           20
patrimonio di elementi terapeutici che fino ad oggi è stato nascosto sotto il velo di
fantasiosi e inutili rimedi, rituali, protocolli e manipolazioni pressoché ininfluenti, di per sé,
a produrre qualsiasi miglioramento nello stato di salute.
Infatti, quando il recupero della salute non passa attraverso un intervento meccanico-
chirurgico, la guarigione e la remissione dei sintomi è legata a una serie infinita di fattori
fisiologici e psichici, come i casi delle cosiddette “straordinarie” confermano, rispetto ai
quali è spesso impossibile riconoscere quale tra essi sia stato preponderante sugli altri
(Hirshberg, Barash, 1995; O’ Regan, Hirshberg, 1993).
Ma al di là di queste situazioni estreme, il fatto stesso che tutte le ricerche medico-
scientifiche siano effettuate con studi randomizzati in doppio cieco e contro placebo
dimostra quanto fattori estranei alle proprietà “ufficiali” delle cure agiscano positivamente
e in maniera spesso sorprendente. Su questa linea si pone il neuroscienziato Antonio
Damasio, secondo il quale la medicina ha stentato a riconoscere che la percezione della
propria condizione di salute da parte del paziente è un fattore importante per l’esito della
cura. “Ancora troppo poco si sa sull’effetto placebo…Si comincia finalmente ad accettare il
fatto che disturbi psicologici, lievi o gravi, possano provocare malattie somatiche, ma
ancora non si studiano le circostanze - e la misura - in cui ciò può avvenire (Damasio,1995,
p. 346 ).

                                                                                               21
Capitolo 3

Le illusioni cognitive

Alla base della refrattarietà dei sostenitori delle medicine alternative all’utilizzo del buon
senso, del senso critico e del metodo scientifico nel valutare la loro validità ed efficacia ci
sono alcuni atteggiamenti mentali che oggi la ricerca psicologica ha individuato e messo in
evidenza sotto la denominazione di illusioni cognitive (Gulotta, 1999; Nisbett, Ross, 1989;
Piattelli Palmarini, 1993). Attraverso il recupero di miti, tradizioni, simboli e filosofie del
passato o di paesi lontani, e la riproposizione della magia in forma apparentemente
scientifica, l’essere umano contemporaneo mostra di essere ancora alla ricerca di certezze e
di conoscenza, nonostante il notevole progresso (principalmente tecnologico) di cui si
vanta. Secondo Dorfles (1977), la nostra esistenza è ancora in gran parte intessuta di
elementi rituali, o meglio è proprio attraverso un concatenarsi di elementi, volere o no,
rituali, che l’umanità riesce a vincere la forza disgregatrice di un esistenza priva ormai di
ogni dimensione autenticamente mitica. “Nell’essere umano dei nostri giorni vivono
tutt’ora, anche se nascoste, la nostalgia dell’Eden perduto e la memoria dell’albero sacro,
simboli della vita e della trascendenza” (Eliade, 1976, p.68).
In quest’ottica possiamo quindi leggere, oltre al rinnovato interesse per le pratiche
magiche, l’interesse per tutto ciò che richiama al passato: anziché cercare di star dietro al
presente e al futuro, che corrono troppo forte e richiedono un costante sforzo di
adattamento (Cohen, 1964; Gleick, 2000) è molto più facile mobilitarsi per cercare di far
fermare il mondo e scendere in un paradiso dove tutto è naturale, dove regna la quiete e la
pace.
In mancanza di evidenze scientifiche, per convincerci a credere nell’efficacia delle
medicine alternative dobbiamo quindi rendere efficace ciò che non lo è. E ciò è possibile
con varie strategie, euristiche, illusioni cognitive trasformate in credenze, rimozione dei
fatti contrari, creazione di ipotesi ad hoc, strategie di esitamento (Gulotta, Boi, 1997;
Taylor, 1991). Naturalmente, alcuni individui sono più soggetti al potere suggestivo del
pensiero e delle pratiche magiche: si tratta di quelli che potremmo definire menti deboli.
Con questo termine non si intende fare riferimento a ipotetici giudizi di ordine intellettivo o
culturale, ma solo al fatto che certi soggetti mostrano più di altri di essere più facilmente
suggestionabili e di aver bisogno di certezze attraverso agenti e fattori esterni, collocando

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