Calcio, settore giovanile. Vaniglia: "Per far crescere i talenti bisogna cambiare mentalità ed investire di più nei vivai" - Il Vostro Giornale

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Calcio, settore giovanile. Vaniglia: "Per far crescere i talenti bisogna cambiare mentalità ed investire di più nei vivai" - Il Vostro Giornale
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      Calcio, settore giovanile. Vaniglia: “Per far crescere i
      talenti bisogna cambiare mentalità ed investire di più nei
      vivai”
      di Redazione
      18 Settembre 2014 – 19:57

      Savona. Dopo i disastrosi mondiali d’Africa (2010) e del Brasile (2014), in cui pur hanno
      esordito o hanno potuto mettersi in mostra durante le selezioni nuovi talenti come
      Balotelli, Santon, Verratti, El Shaarawy, Borini, Destro, Insigne, De Sciglio, Perin,
      eccetera, per tentare di risalire la china, a parere del selezionatore delle rappresentative
      provinciali Felicino Vaniglia c’è solo una ricetta valida.

      Ecco le sue parole: “Dare più spazio ai settori giovanili nei bilanci societari e recuperare le
      posizioni perdute in campo internazionale promuovendo un netto cambiamento di rotta
      culturale attraverso una svolta riformista con l’introduzione di un protocollo di gioco nei
      club professionisti e/o dilettantistici e con l’istituzione di un supercorso ad hoc e la
      realizzazione delle Accademie, vale a dire di strutture qualificate dove i ragazzi possano
      studiare ed allenarsi”.

      Che non sia un “paese per giovani”, si dice da un po’ di tempo dell’Italia. E del calcio
      italiano lo si dice in particolare. Solo il coraggio di pochi (veri appassionati) e la
      contingente crisi economica, stanno provando a rompere, seppur a fatica, questo cliché.

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      Nonostante che in Serie A sia in crescita (seppur ancora troppo limitativamente) l’utilizzo
      degli azzurrini Under 21, restiamo ancora indietro alle altre nazioni europee, in merito alla
      presenza nelle rose delle prime squadre e nei minutaggi-gara di giovani provenienti dai
      vivai: l’incidenza sul totale dei giocatori schierati pur essendo passata dal 7,8% del
      2011-12 al 10,3% di quest’anno (un risultato tutto sommato incoraggiante) è ancora molto
      lontana dalla Germania (14,7), dall’Inghilterra (17,5), dalla Francia (21,1) e naturalmente
      dalla Spagna (25,6). Come si vede il confronto con l’Estero e’ impietoso specie se a queste
      considerazioni si aggiunge che la Serie A è il torneo in cui si registra l’età media più
      avanzata (26.3) e che dall’Italia non bastassero le fughe dei “cervelli” fuggono anche
      talenti affermati del calibro di Immobile e Cerci, e promesse come Bryan Cristante, tanto
      per citarne alcuni. Per approfondire questo argomento di primario interesse, in
      concomitanza con la ripresa ufficiale dei campionati di calcio junior, abbiamo rivolto
      alcune domande al CT Felicino Vaniglia, da sempre schierato a favore dei giovani a cui si
      dedica da più di quarant’anni con competenza, passione ed immutato entusiasmo.

      Qual è il suo punto di vista sulla “questione giovanile” divenuta così d’attualità non
      solamente tra i calciofili?

      Nei miei recenti viaggi di aggiornamento tecnico nei paesi europei che rappresentano
      l’eccellenza in materia di “youth sector” (per intenderci Inghilterra, Spagna, Germania e, a
      breve, la Francia) ho potuto constatare il ritardo che abbiamo accumulato nei riguardi dei
      nostri storici “competitor” e credo che lo si possa far risalire ad aspetti di mentalità (la
      tendenza a rifiutare di confrontarsi con altre realtà, quasi a voler disconoscere che esse
      siano oramai, specie in campo calcistico, piu’ evolute metodologicamente e meglio
      organizzate), culturali (il voler mettere il risultato al primo posto e’ penalizzante, quando
      invece oltreconfine non importa più di tanto vincere e con ogni mezzo i rispettivi
      campionati, quanto cercare, attraverso investimenti adeguati e muniti della pazienza
      necessaria, di produrre potenziali giocatori di talento), gestionali (come la mancanza di
      pianificazione e di programmazione a medio e lungo termine), strutturali (vedi l’atavica
      carenza di impianti adeguati) ed economici (su tutti, la svalorizzazione sistematica dei
      nostri vivai, un tempo vero fiore all’occhiello del football made in Italy).

      Come giudica le nuove direttrici federali rivolte a cercare di risolvere questo spinoso
      problema e quali ripercussioni pensa che possano avere nell’immediato?

      Essere istituzionalmente inseriti in un contesto così prestigioso come la grande famiglia
      della FIGC se da una parte comporta oneri e sacrifici notevoli (ricordo che a questa attività
      si ci dedica volontaristicamente e per puro spirito di servizio), dall’altra consente, come mi
      è capitato nel triennio appena trascorso, di entrare in contatto con figure carismatiche del
      calibro di Gianni Rivera (ex Presidente del Settore Giovanile e Scolastico), di Roberto
      Baggio (ex Direttore del Settore Tecnico) e di Arrigo Sacchi (ex Coordinatore Tecnico e
      Supervisor delle Nazionali Minori), da cui si ha occasione di imparare molto. Proprio da
      quest’ultimo maestro di sport e di vita ho potuto trarre degli insegnamenti che hanno
      arricchito il mio già vasto bagaglio di conoscenze. Nel caso dell’indomito sostenitore del
      4-4-2 aver fatto disputare numerose partite contro le nazionali più accreditate per fare
      acquisire una mentalità internazionale, aver creato dal nulla l’Under 15 e l’esperimento
      dell’Under 17 dilettanti, aver fatto giocare centinaia di match tra le varie “italiette”, aver
      visionato ogni fine settimana tra le 40 e le 50 partite con un’apposito staff di tecnici e di
      osservatori, ma soprattutto aver avviato un protocollo di gioco unico per tutte le nostre
      nazionali, rappresentano uno straordinario sforzo modernista eseguito nel tentativo di
      recuperare il gap che ci divide dalle altre potenze calcistiche. Sono convinto che il neo
      Presidente Tavecchio nell’assegnare l’incarico di Ct ad un allenatore come Antonio Conte

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      abbia voluto dare continuità alla rincorsa al rinverdimento già avviata prova ne sono le
      linee guida della per certi versi rivoluzionaria riforma che è stata presentata al Consiglio
      Federale e che prevede tra i vari punti, che le rose della Serie A siano formate da un
      numero massimo di 25 giocatori di cui 8 obbligatoriamente provenienti dal vivaio e che
      vengano allestiti una ventina di centri federali regionali per la formazione dei giovani.Del
      resto e’ universalmente riconosciuto che i nostri ragazzi abbiano grandi potenzialità, ma
      che non vengano valorizzati adeguatamente. La strada da seguire per la rinascita filtra
      attraverso un’inversione di tendenza profonda che si ispiri a modelli di riferimento più
      progrediti che pongano la qualità del gioco, l’etica del gruppo e la congruità degli
      investimenti ( siamo il fanalino di coda a livello europeo con i grandi club che investono
      meno del 3% del loro fatturato), al centro del progetto. Per le società calcistiche ritengo
      che questo tentativo di cambiamento debba rappresentare la priorità per eccellenza.

      Per favorire l’introduzione di concetti fondamentali come “la qualita’ del gioco” e “l’etica
      del gruppo” imiterebbe quanto hanno già fatto una gloriosa società come il Barcellona FC ,
      adottando 4-3-3 e tiki-taka, dalla “cantera” alla prima squadra?

      Il mio modello di riferimento resta saldamente quello del calcio totale, inventato dagli
      olandesi e adottatto via Johan Crujff dal lungimirante presidente blaugrana Nunez, e che
      continua ad essere la prediletta fonte di ispirazione anche per i club che vanno per la
      maggiore,e che sono fermamente convinto sia il calcio dell’oggi e del domani. In Europa si
      pratica indiscutibilmente più calcio totale che da noi in Italia, un calcio più aggressivo ed
      ultraorganizzato, dove tutti partecipano allo sviluppo dell’azione: nell’era della globalità
      immaginatevi se sia possibile restare ancora fermi alla specializzazione dei ruoli, come è
      nostro costume. È ciò che dovrebbero fare pure le nostre società: se c’è già uno “style
      cult” di successo allora alleniamo i giocatori per questo stile di gioco visto che è il
      prescelto delle maggiori potenze calcistiche. Lo fa la Germania, lo fa la Spagna, lo fa la
      Francia, mentre in Italia è una cosa inusuale.Non di tratta di importare copyright garantiti
      e di applicarli tout-court, ma semplicemente di ridurre le distanze con chi ci ha sorpassato.
      Dobbiamo cercare finalmente di modificare la nostra mentalità. Le squadre più titolate
      degli ultimi 40 anni, dal Liverpool all’Ajax, dal Milan al Chelsea fino ad arrivare all’attuale
      Bayern Monaco hanno avuto il coraggio e l’intuizione di crederci e di adottare il calcio
      totale, favorendone l’applicazione sino dalle leve più piccole. Ai ragazzi infatti, al di là dei
      dettami tattici, bisognerebbe insegnare quanto siano importanti le basi di cui si alimenta il
      calcio totale, come la generosità in campo, lo spirito di sacrificio, l’etica di gruppo,
      caratteri fondamentali per la crescita tecnica e morale, perché anziché alzare il livello
      della performance individuale (dove simulazione ed astuzia la fanno da padroni) sarebbe il
      caso di cercare di potenziare il gioco di squadra (è arrivato il momento di dire basta con il
      calcio che specula, fatto di episodi).

      Al fine di cercare di portare all’interno dei propri vivai giovanili questi principi formativi ha
      potuto osservare una maggiore sensibilità da parte delle società?

      La Federazione sta cercando di coinvolgere in questa direzione sempre maggiormente sia i
      club professionistici che le società dilettanti. La Juventus si è, come spesso le accade,
      mossa per tempo (leggasi Stadio di Proprietà) creando la prima Accademia in Italia,
      seguita dall’Udinese, dalla Reggina, dalla Lazio ecc. e la Fiorentina ha annunciato la
      nascita di uno sperimentale “liceo”. I primi risultati di questa pionieristica tendenza non
      dovrebbero farsi attendere poiche’ considerato che nelle “accademies” i giovani calciatori
      potranno lavorare fino a 20 ore a settimana contro le 4-6 dei sistemi tradizionali. Il
      vantaggio in termini di didattica calcistica sara’ enorme. Partiamo svantaggiati perché in
      Germania, Francia, Inghilterra, Austria, Svizzera le accademie sono obbligatorie, su

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      disposizione federale, per tutti, ma confidiamo di poter raggiungere presto gli obiettivi che
      molte società italiane si stanno prefissando.

      C’è forse un problema di preparazione dei tecnici da dover affrontare dovutamente?.

      Verissimo. Abbiamo bisogno di ampliare e attualizzare le nostre certezze, partendo proprio
      dagli istruttori, a cominciare dalla base. Nel programma del nuovo governo federale viene
      data un’enorme rilevanza alla formazione dei quadri tecnici (che devono necessariamente
      rinnovarsi) che avverra’ attraverso l’introduzione di ministage per l’apprendimento
      dell’inglese e di full immersion per il corretto dominio dell’evoluzione informatica. Se
      vogliamo evolverci dalla situazione di empasse in cui ci siamo venuti a trovare, dobbiamo
      investire di più nei settori giovanili anche a questo livello, dobbiamo cioè selezionare
      istruttori e formatori qualificati cercando di dare una correlazione chiara agli
      insegnamenti evitando di limitarci alla filosofia del giocare solo per vincere.

      C’è chi ha proposto (compreso mister Allegri) la separazione dei corsi a Coverciano tra chi
      allena le squadre giovanili e chi guida le prime squadre. E’ d’accordo?

      In linea di massima sì. Ricordo che quando la Federazione Francese si ingegnò nei Centre
      de Formation, Italo Allodi obbligò tutti i club professionistici ad avere un responsabile
      tecnico che avesse completato il Supercorso di Coverciano riservato ai settori giovanili. A
      quel particolare corso vi parteciparono, anche allenatori affermati tipo Zeman, Mondonico
      e altri, ma dopo 3-4 anni gli stessi passarono tutti nelle prime squadre e si dovette tornare
      a quell’istituto perché serviva la specializzazione. Sarebbe in ogni caso utile dare più soldi
      al Settore Tecnico affinché si facciano corsi studiati specificatamente per migliorare i
      futuri insegnanti di calcio giovanile.

      Quanti e quali sono gli allenatori “bravi” a lavorare con i giovani nella nostra provincia?
      Senza fare nomi, nella nostra realtà savonese ce ne sono moltissimi e tutti ben preparati
      teoricamente anche in considerazione del fatto che il patentino e’ stato reso obbligatorio
      per guidare le giovanili. Anche qui, però, il vero problema sta nell’impossibilità di potergli
      garantire adeguati aggiornamenti. Il Presidente Nazionale dell’AIAC Renzo Ulivieri sta
      facendo il massimo, ma da noi è impensabile effettuare corsi ogni due anni come accade
      altrove.Se dobbiamo trovare un punto di ciriticità nel sistema formativo, mi pare (e con me
      concordano in genere gli ex giocatori miei colleghi) che prevalga ancora la tendenza a far
      si’ che quasi tutti gli iscritti che si presentano ai corsi tecnici (anche quelli che non hanno
      avuto una militanza attiva propedeutica) vengano accettati e promossi, disconoscendo di
      fatto il merito ed il curriculum preliminarmente acquisito.

      Ha dei consigli da trasmettere alle nuove generazioni di allenatori di giovani calciatori?

      Per prima cosa li inviterei a concentrare di meno la loro attenzione sugli aspetti tattici e
      sulla ricerca della forma fisica dando la prevalenza alle esercitazioni per lo sviluppo della
      tecnica (individuale ed applicata), con l’impiego costante della palla per tutto il tempo
      delle sedute e soprattutto in regime di velocita’.La rinuncia di una parte di essi (come ho
      potuto constatare de visu) ad effettuare un lavoro serio sui fondamentali di base
      specialmente dalle fasi evolutive iniziali della preparazione calcistica, così come
      l’abbandono dell’insegnamento delle abilità motorie e della coordinazione, non può che
      creare le precondizioni per un graduale peggioramento del livello del gioco, fenomeno
      progressivo che ahimé stiamo amaramente constatando.I ragazzi del secondo millenio non
      hanno certo le capacità tecniche e motorie (per esempio sapeersi arrampicarmi sugli alberi
      o scavalcare una recinzione) delle generazioni che li hanno preceduti, qualità che venivano

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      coltivate per strada, sui marciapiedi, nei cortili e quando andava bene negli oratori, luoghi
      dove si giocava ripetutamente a calcio. Preferendo la staticità dei luoghi chiusi (playstation
      e social network, docet) alla dinamica delle esperienze all’aria aperta, tendono ad
      assumere delle rigidità nei movimenti un elemento su cui bisognerebbe intervenire in
      maniera competente quando arrivano al campo gia’ dalle prime volte, nel tentativo di
      migliorarne postura e corsa, tralasciando magari gli aspetti tattici che pur essendo in
      prospettiva altrettanto importanti, possono aspettare una più compiuta maturazione.
      Secondariamente registro una chiara tendenza dei mister a favore dell’adozione del
      metodo induttivo su quello deduttivo, ossia l’inclinazione a spingere i giocatori a trovare
      da soli le risposte ottimali, senza insegnare loro come coordinarsi, quali movimenti fare,
      quali punti di impatto del piede utilizzare per colpire la palla, senza che siano loro a
      dedurre, con le basi che hanno imparato, come risolvere i problemi: una soluzione che
      seppur piu’ efficace nell’immediato e senz’altro piu’ comoda in termini di energie profuse
      manca di respiro nel lungo periodo per la costruzione dei campioni del domani.

      Come si sta muovendo il Settore Tecnico?

      I progetti e le iniziative a favore del calcio giovanile non mancano di certo, anche se come
      spesso avviene il problema è quello della copertura economica delle buone idee. Dalla
      partecipazione alle riunioni tecniche e di programmazione della Commissione per l’attività
      di base del Settore per l’Attività Giovanile e Scolastico, alla collaborazione per l’attività del
      Notiziario del Settore Tecnico, sia per la realizzazione di articoli specifici riguardanti il
      calcio dei giovani che per la verifica qualitativa e tecnica degli articoli pervenuti; dalla
      confezione unitamente al Centro Studi, dell’indagine conoscitiva dei settori giovanili delle
      società professionistiche, a favore della apposita Commissione per la valorizzazione del
      vivaio calcistico nazionale, alla fattiva partecipazione ai Corsi di Aggiornamento, svolti ed
      organizzati di concerto dall’Associazione Italiana Allenatori di Calcio (AIAC) e dal Settore
      Tecnico e alla progettazione e realizzazione di corsi di aggiornamento, unitamente alle
      società professionistiche che hanno organizzato sul territorio, un coinvolgimento tecnico
      delle scuole di calcio (Milan, Inter, Juventus, Parma, ecc.). Credo tuttavia di poter
      individuare tra le autorevoli e variegate voci che ho avuto modo di raccogliere durante
      l’espletamento delle funzioni affidatemi un ventaglio di proposte che meritano di avere la
      dovuta’ pubblicita’. Per intanto il Supercorso di Coverciano dovrebbe essere sviluppato e
      incentivato (ora dura solo 40 giorni, mentre in prima la frequenza era di almeno per un
      anno. Inoltre visto che si ritiene importantissimo ed indispensabile crescere tecnici
      adeguati a tutti i livelli, il Settore Tecnico dovrebbe impegnarsi nell’allestimento di corsi di
      specializzazione dedicati espressamente al settore giovanile compreso master di
      perfezionamento. Infine andrebbe potenziata la figura del “maestro di tecnica” rendendole
      lo spazio che merita all’interno degli organigrammi tecnici delle giovanili ed implementato
      il neo corso integrato per l’abilitazione a “Allenatore di Giovani Calciatori Uefa Grassroots
      C Licence e Istruttore di Calcio.

      Parlando di investimenti per i giovani nel calcio, come descrive la situazione italiana?

      Basta comparare alcuni dati ufficiali per fare un punto ed evidenziare le emergenze e le
      criticita’ dei nostri vivai. Basti sapere che in Spagna Real Madrid e Barcellona investono
      ogni anno circa 50 milioni di euro sul settore giovanile mentre da noi si arriva al massimo
      a 10-12 milioni. In Inghilterra, Germania, Svizzera, Belgio le federazioni hanno imposto ai
      club di creare delle Accademies dove in una settimana si lavora sui ragazzi quanto da noi
      in un mese.Credo, senza ombra di smentita, che sia giunto il momento di iniziare a
      spendere meno per le prime squadre ed investire maggiori risorse sui settori giovanili, per
      favorire la crescita di campioni fatti in casa.

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      Il calcio Junior in Italia è una vera e propria miniera d’oro, ma ancora non abbiamo
      compreso come valorizzare i talenti e come aiutarli nella loro crescita” e che per dare una
      sterzata ad un modo di operare sorpassato ed anacronistico occorrera’ che come in altre
      nazioni la Federazione intervenga tracciando il percorso da seguire per il futuro
      .Potrebbero tornare di moda in questo periodo di austerity proposte, al limite della
      provocazione, come quelle paventate in passato dall’ex vice presidente federale Innocenzo
      Mazzini ( destinare i proventi delle multe delle societa’ professionistiche ad un fondo a
      favore del settore giovanile) o dall’AD della Fiorentina all’indomani della sentenza Bosman
      del 30/09/96 (tassare i guadagni dei calciatori professionisti costituendo una specie di
      fondo di garanzia da far pervenire come “bonus” a favore della societa’ che li abbia
      scoperti ed avviati al calcio) o da dirigenti esperti di amministrazione finanziaria (tipo la
      creazione di un budget-tipo per la Serie C).Contro la mancanza di volonta’ di dar vita ad un
      discorso programmatico serio sul futuro dei settori giovanili qualsiasi iniziativa puo’
      rivelarsi valida se si considera che l’operazione ha per titolo : salvare i vivai. anche. Anche
      il calcio d’altronde è uno specchio della crisi che il Paese sta vivendo e risente degli stessi
      problemi che affliggono la politica ed il sociale. E’ del tutto evidente percio’ che in Italia
      non sappiamo ancora “fare sistema” come invece gia’ accade altrove. Bisogna organizzarsi
      ed andare avanti.

      L’introduzione delle Accademie si inserisce in questa voglia di cambiamento?

      In Spagna, Francia, Svizzera, Germania, Inghilterra ( paesi che ci hanno superato
      prepotentemente) esistono ormai da anni le Académy sia a livello federale che di club. La
      Francia che fu la prima ad avviarle, aumentando di conseguenza le vittorie delle nazionali
      e la qualità media dei giocatori, le sta perfezionando. Le Accademie si occupano
      completamente dei ragazzi: studio, svago e allenamento. E nel mentre in Italia una
      squadra di giovanissimi fa mediamente 3 allenamenti a settimana da 90-120 minuti, nelle
      Académie ci si prepare 2 ore al mattino e 2 al pomeriggio per 5-6 giorni la settimana
      facendo una media di 20-24 ore di allenamento settimanale a fronte delle nostre max 6. Da
      noi sono ancora pochi i club che hanno investito su queste strutture di accoglimento per i
      giovanitori, mentre all’estero la loro creazione e’ divenuta un fatto conseutudinario.
      A maggio ho avuto l’opportunità di visitare l’Accademia del Chelsea che e’ praticamente
      un college con insegnanti ed istruttori sportivi di primissima qualita’ : dalle 8 alle 10
      scuola, poi dalle 10,30 alle 12,30 allenamento; e al pomeriggio avanti così, dalle 14 alle 16
      studio e poi via ancora al campo.
      E questo aviene non certo perché gli inglesi sono ricchi, e possono permetterselo, in
      quanto per lavorare al meglio non è sempre e solo questione di soldi, ma anche di volontà.
      Ormai anche Germania, Austria, Svizzera sono su questo piano poiché le federazioni
      obbligano i club a politiche tutelanti il calcio giovanile.

      La sua riconosciuta capacità di non porsi inerzialmente difronte al desiderio di
      cambiamento e di innovazione che dominano in oggi la scena in tutti i campi delle attivit°
      umane, dove la sta calcisticamente dirigendo?

      Non appartengo di certo a quel partito che sostiene che nel calcio non ci sia più niente di
      nuovo da inventare. E se anche in parte questa opinione potesse essere vera (nell’eterno
      conflitto tra tradizione e modernità, tra conservazione e progressismo, va ricercato
      l’equilibrio giusto) non possiamo certo nasconderci che moltissime cose sono cambiate ed
      esigono risposte diverse da quelle in voga, perche’ pare del tutto evidente che gli addetti
      ai lavori non riescano più ad intercettare le aspettative e le esigenze delle next generation.
      Sotto questo profilo ben vengano nuovi modelli formativi, sul tipo di quelli che ho potuto
      prendere in visione durante le mie incursioni fuori frontiera di cui realazionerò

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      approfonditamente entro la fine di autunno con un miniciclo di incontri a tema. Per quanto
      concerne il panorama nazionale seguo con interesse e curiosità tutto cio’ viene proposto al
      fine di poter cambiare il trend negativo che accompagna i nostri vivai. Sotto questo profilo
      sto tenendo sotto stato di osservazione il proliferare anche in Italia, sul modello francese e
      tedesco, delle “Soccer School” e di strumenti di arricchimento didattico come ad esempio,
      lo “SportFourUniversity – Calcio 4D” presentato recentemente a Torino da Adriano Baconi,
      un progetto che prevede un corso di specializzazione universitaria di metodologia e
      strategia dell’allenamento (che si basa sull’aspetto cognitivo, sul vissuto percettivo e sulla
      consapevolezza della corporeità) indirizzato ai tecnici riconosciuti dal settore giovanile,
      che pur non sostituendo i patentini federali e non essendo un’alternativa al master di
      Coverciano, vuole essere un complementare format divulgativo che si poggia su due
      pilastri, la metodologia e la tecnologia che hanno come radice comune, l’innovazione e la
      ricerca, di cui c’e’ tanto bisogno per ridare lustro alla scuola calcistica italiana.

      Quali conclusioni e quali prospettive emergono da questa breve disamina dei mali oscuri
      che affliggono i vivai nostrani?

      Ribadisco che urgono provvedimenti immediati se non si vuole continuare a perdere
      terreno nei confronti delle più importanti leghe europee.Senza sviluppare un buon settore
      giovanile nessuna societa’ potra’ sperare di andare lontano. L’addestramento e la
      valorizzazione dei giovani devono pertanto essere l’obiettivo primario anche per quanti che
      (diversamente da me) non hanno certo dimostrato di possedere una vocazione per la
      “filosofia verde”. Grazie alla Federazione ( vedi la riforma della LND in ambito di utilizzo
      dei giovani in campo nelle categorie di Eccellenza e di Promozione con obbligo vincolante
      a livello nazionale, che pur è stata oggetto di concertazioni e dispute ) questo
      cambiamento culturale si sta passo dopo passo iniziando ad avverare.L’agenda strategica
      del movimento segnala una significativa escalation delle giovani leve (96 e 97) inveratasi
      attraverso una serie di innovazioni condivise che hanno avuto il pregio di interpretare in
      profondità il calcio nella sua accezione dilettantistica più corretta, favorendo progettualità
      di crescita dei giovani sempre più in linea con le reali possibilità tecniche degli attori che
      operano sul territorio. In questa direzione va il disegno di rilancio dei vivai che la FIGC sta
      adottando. Nel programma “Tavecchio” il varo del “Progetto Giovani” avverrà per il
      tramite della realizzazione di 20 Centri di Formazione Federale (CFF) da utilizzare come
      poli territoriali per la formazione dei dirigenti sportivi, degli allenatori e dei giovani
      calciatori, con l’avvio di uno scouting ancor piu’ approfondito al fine di evitare la
      dispersione dei talenti. Un percorso ritenuto a ragione “ineludibile” tanto più nella
      congiuntura sociale, politica ed economica che conosce oggi il nostro Paese. Confido che
      tutte le società comprendano al più presto che d’ora in avanti dovranno sapersi costruire
      in casa i talenti da promuovere per le proprie prime squadra perché non ho dubbi
      nell’affermare che la partita del futuro si giocherà sui “giovani”.

Il Vostro Giornale                                 -7/7-                                        18.12.2021
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