IOT E SMART CITY, IL POSTO DELL'INTELLIGENZA - ARIA SPA

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IoT e smart city, il posto dell’intelligenza

di Andrea Lawendel , 19 aprile 2018

L’ultima tavola rotonda dedicata all’IoT si interroga su come sia possibile trasformare le
città grandi e piccole in luoghi di produzione e riuso delle informazioni digitali. Vere e
proprie fabbriche sostenibili di nuovi servizi, sicurezza e benessere

Affrontati gli aspetti dell’automazione intelligente degli edifici e dei luoghi della produzione
industriale, la serie di conversazioni dedicata all’Internet of Things torna a occuparsi di
spazi abitati, ampliando il discorso al complesso sistema costituito dalle nostre città. In
un’epoca che attribuisce una crescente importanza ai grandi agglomerati metropolitani, la
sfida della smart city sta coinvolgendo amministratori, organizzazioni aziendali, operatori,
utilities, provider tecnologici e singoli individui, tutti chiamati a costruire, anche grazie
all’intelligenza dei sensori e degli strumenti analitici e predittivi, un ambiente abitativo,
ricreativo e lavorativo complementare all’azione della trasformazione digitale e dello smart
working nelle imprese. Un ambiente capace in definitiva di ridurre i consumi energetici;
facilitare gli spostamenti nello spazio fisico; razionalizzare la produzione e ridistribuzione
delle risorse: agevolare l’erogazione e l’accessibilità a nuovi servizi; rendere più sicure le
sue aree periferiche e i suoi infiniti angoli ciechi. L’IoT insomma come fattore abilitante dei
futuri modelli di urbanizzazione e piattaforma di servizio finalizzata alla crescita economica
e alla qualità di vita di abitanti stanziali, fruitori e visitatori.

L’incontro dedicato alla smart city avviene come sempre in un contesto “diverso” dalle
tradizionali sale anonime che in genere ospitano convegni ed eventi, con il preciso intento
di associare al tema trattato uno spazio simbolico in grado di sintetizzarne l’idea e lo spirito
di innovazione. Uno spazio, quello del centro Oxy.gen, che merita la speciale introduzione
da parte di Riccardo Gini, direttore di Parco Nord Milano, grande spazio verde di 600
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ettari allestito a partire dagli anni 70. Il padiglione che ospita i relatori di questo evento
rappresenta – aggiunge Gini – un’ulteriore evoluzione della storia del Parco, che abbraccia
ben sei territori comunali della Città metropolitana, costituendo un felice esempio di
collaborazione tra pubblico e privato, resa ancora più efficace dagli strumenti della
tecnologia. «Il luogo dove ci troviamo – spiega il direttore – è stato ideato dal Gruppo
farmaceutico Zambon, che insieme al Parco ha dato vita ai Giardini della scienza
inaugurati in occasione di Expo 2015». Le origini di Oxy.gen, dell’area umida circostante e
di tutto il bosco di circa quattro ettari che costituiscono i Giardini, risalgono al 2000 quando
il Comune di Bresso assegnava una porzione del suo territorio per consentire al Parco
Nord di entrare nei confini comunali. «Una decina di anni dopo – racconta Gini – un bando
regionale invitava alla presentazione di progetti per incrementare la funzione delle aree
protette e aprire ai privati la partecipazione al Parco Nord. Il Comune e Zambon
raccolgono la sfida con il progetto dei Giardini della scienza». Fedele al mandato –
sottolinea Gini – Zambon punta alla creazione di un’area “viva”, con un laghetto che
circonda la struttura di Oxy.gen, a sua volta progettata dall’architetto De Lucchi.

UN LABORATORIO NEL PARCO

Parco Nord si è occupato dell’intera area verde di quattro ettari e mezzo, donata dal
Rotary Club: un boschetto di circa 150 alberi, tutti georeferenziati, con una trentina di
querce, alcuni esemplari di gelsi a integrazione di un paio di piante storiche sopravvissute
e tutta la vegetazione idrofila a bordo lago. «Oxy.gen è diventato un laboratorio di cultura
scientifica dove portare le nuove generazioni a riflettere sull’aria che respiriamo. A ogni
circonferenza concentrica di vegetazione – conclude Gini – corrispondono diverse specie
per fioritura e stagionalità. Il nostro miglior risultato è poter vivere occasioni come queste,
riunendo le persone che possono aiutarci a progettare il futuro». Come di consueto, in
rappresentanza di IDC Italia, Daniela Rao, senior consulting & research director offre
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ai convenuti una serie di considerazioni e cifre introduttive, partendo da una serie di
previsioni a livello globale. «A proposito di importanza delle infrastrutture, la nostra prima
previsione riguarda il ruolo che i provider di servizi di comunicazione avranno nel 2018
come “digital hero” delle smart city». Questi operatori, continua Daniela Rao, porteranno
avanti progetti in collaborazione con le istituzioni locali, assicurando alle città intelligenti la
materia prima fondamentale: la banda trasmissiva. «Tra gli esempi più recenti c’è
l’operatore vietnamita che sta trasformando le vecchie cabine telefoniche in hot spot per il
Wi-Fi cittadino». Un’altra previsione riguarda lo sviluppo di piattaforme condivise sulle
quali costruire progetti più mirati. «In una grande città su tre su scala mondiale, vediamo
operatori impegnati a realizzare reti di sensori destinati alla raccolta di dati, fondamentali
per lo sviluppo di servizi. In Europa questi progetti si muovono in direzione della sicurezza,
in Asia invece vanno verso la mobilità di merci e persone». Sulla base di queste
informazioni altri provider, in “coopetion” con altri, potranno dare vita a nuove attività,
costruendo man mano una visione unificata della smart city. E infine, sul piano dei modelli
di finanziamento, IDC ritiene che nel biennio che abbiamo davanti, la metà dei grandi
progetti sarà finanziato in partnership pubblico/privato (il modello PPP), da organismi non
profit o da opportuni protocolli di intesa tra municipalità e fornitori di tecnologie come
alternativa al tradizionale approccio della pubblica committenza.

SMART CITY IN ITALIA: A METÀ DELL’OPERA

Nel confronto con le altre nazioni europee, Italia e Spagna si trovano abbastanza allineate,
con analoghi livelli di soluzioni adottate e progetti in corso. «Siamo in un certo senso a
metà dell’opera – spiega Daniela Rao. «Nel Regno Unito, vantano un maggior numero di
progetti consolidati o avviati e anche un maggior numero di progetti in fase di
valutazione». Ma in quali direzioni stanno investendo le nostre smart city? «Tra le
applicazioni più diffuse la condivisione di auto e altri veicoli, le carte di identità digitali, i
lampioni intelligenti e gli smart building. In prospettiva, aumenteranno i progetti relativi alla
sicurezza, alla raccolta smart di rifiuti e alla gestione di asset e infrastrutture. Ambiti come i
parcheggi smart appaiono già consolidati». Lo stesso concetto di smart city, interviene
ancora Riccardo Gini di Parco Nord Milano, può avere declinazioni inaspettate. Anche
un’area verde può essere gestita in modo più intelligente grazie alle tecnologie. Gli alberi
del Parco, per esempio, sono taggati in RFID, una tecnologia che ha consentito lo sviluppo
interno di un vero e proprio gestionale arboreo. «Successive sperimentazioni con li Wi-Fi
hanno consentito di installare un sistema di video sorveglianza con 35 telecamere e 150
guardie ecologiche che aggiungono valore ai dati trasportati dalla rete. Il software viene
utilizzato anche nel nostro centro visitatori, per animare i tavoli espositivi e visto che nel
nostro territorio esiste anche uno dei più grossi centri di accoglienza dei migranti di
Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa, lo smartphone è diventato il principale dispositivo
di aggregazione, e ci permette di offrire a queste persone corsi di giardinaggio e altre
attività».
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CULTURA DELLA COLLABORAZIONE

Con Sara Belli interviene a questo punto il primo degli esponenti della PA seduti al nostro
tavolo. La direttrice dei progetti di interoperabilità del Comune di Milano spiega che la
progettualità finalizzata alla città intelligente e ai suoi sistemi è in effetti “cross” tra diverse
direzioni di riferimento. Le politiche del lavoro, per esempio, si occupano anche di aspetti
come il coworking o i progetti Horizon 2020 che hanno come obiettivo il miglioramento
della mobilità attraverso servizi che possano ottimizzare, anche grazie alla sensoristica
IoT, gli spostamenti nell’area urbana. La direzione sistemi per la smart city lavora con
quella preposta all’urbanistica in progetti come Sharing City, che investe la zona sud di
Milano, finora esclusa da servizi di successo come il bike sharing, ma che negli ultimi anni
– afferma la Belli – «ha visto molti interventi anche in collaborazione con privati come la
Fondazione Prada. Lo scopo è creare un ambito territoriale «dove poter misurare
parametri come l’inquinamento, o la facilità di spostamento, anche come base per la
successiva riqualificazione di aree ed edifici». Un altro progetto è Synchronicity, inserito in
un contesto di collaborazione europea e finalizzato, anche qui attraverso l’IoT, a rilevare i
comportamenti dei cittadini-utenti in modo da premiare i più virtuosi, promuovere la
partecipazione delle piccole imprese attraverso bandi in “open call” (per esempio per la
realizzazione di un navigatore multimodale), lo sviluppo di sistemi di supporto decisionale
alla definizione dei tragitti più indicati per le piste ciclabili. Come funziona,
organizzativamente, l’intervento di una pluralità di direzioni? «Non sempre è facile
dialogare, perché in passato ogni direzione era abituata a operare in modo più verticale e
modificare i propri obiettivi in senso orizzontale è complesso» – riconosce Sara Belli.
«L’obbligo del raggiungimento di obiettivi su scala europea aiuta, ma deve anche avvenire
un cambiamento culturale che porti al rispetto della collaborazione».

Alessandro La Rocca interviene sul tema della mobilità prendendo spunto dalle
informazioni rivelate da Daniela Rao di IDC Italia, che osservava un basso livello di
investimenti nel comparto del trasporto pubblico locale (TPL). Alessandro La Rocca, che è
stato più volte ospite degli incontri di Data Manager, partecipa in questa occasione come
direttore generale di Nugo, startup di Gruppo Ferrovie dello Stato. «Il TPL è l’esempio
principe di trasporto condiviso e credo debba avere un ruolo fondamentale nella shared
mobility» – afferma La Rocca. «Se non è smart – aggiunge il neoresponsabile di Nugo – la
mobilità condivisa è difficile. Eppure, è anche una soluzione che consentirebbe di
aggredire tematiche come l’inquinamento o l’affollamento delle strade. La nuova società
del Gruppo FS punta a risolvere il problema con una piattaforma che consente di spostarsi
da una città all’altra e all’interno delle città con unico sistema integrato di bigliettistica. Nata
da poco, Nugo punta a integrare un migliaio di operatori TPL diversi, ciascuno con un
proprio sistema di tariffazione, per dar vita a un unico brand riconoscibile a livello
nazionale. Non è un’impresa agevole, sottolinea La Rocca. «Solo in Emilia Romagna per il
TPL su scala regionale abbiamo contato 700 sistemi di tariffazione. Il nostro strumento
deve dare parità a tutti i vettori». A dominare – spiega ancora La Rocca – non è il singolo
operatore, ma il mezzo pubblico. E il cliente non è il cliente di un operatore, ma una
persona che ora è cliente della rete del Comune di Milano, subito dopo di FS, più tardi
della rete del Comune di Roma. «Se non diamo a questa persona visibilità su tutto il TPL
nell’arco dei suoi spostamenti, molto probabilmente eviterà di utilizzare mezzi condivisi e
inquinerà di più».
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REINTERMEDIAZIONE SOTTO CONTROLLO

Piattaforme di questo tipo cominciano a partire in Europa e si deve puntare su questo se
non si vuole cedere il passo a operatori esterni, come Uber o la stessa Google, che
offrono questi ruoli di reintermediatore, ma non sono facilmente controllabili. «La difficoltà
non è tecnica, ma risiede nella mancanza di standard» – avverte La Rocca, invitando tutto
il settore del TPL a prendere esempio dal trasporto aereo, che ha standardizzato da anni il
sistema di scambio dei flussi economici legati alla emissione di biglietti. «L’approccio
adottato da Nugo prevede l’espansione e il potenziamento di sistemi come il GTFS
(General Transit Feed Specification), oggi limitato alla messa a fattor comune delle
informazioni sugli orari delle linee TPL. Prima o poi – conclude La Rocca – sarà
necessario far sedere tutti gli operatori intorno a un tavolo per standardizzare tutte le
informazioni che servono a gestire un unico cliente». Torniamo però al modo in cui le
grandi pubbliche amministrazioni locali affrontano il tema della città intelligente. Genova,
come Milano, ha una lunga familiarità con i progetti coordinati e finanziati a livello
Europeo, ma come racconta Paolo Castiglieri della direzione pianficazione strategica,
smart city, innovazione d’impresa e statistica del Comune di Genova, è stata
costituita una associazione che riunisce il Comune e un centinaio di stake holders di
imprese private. «La finalità è discutere e affrontare le problematiche legate alla
“smartitudine” della città e del territorio» – sottolinea Castiglieri, che al tavolo presenta un
caso particolare già affrontato nei nostri incontri: il complesso progetto di un acceleratore
di impresa per startup innovative che ha percorso un lungo iter interno, dovuto alla
necessità di coordinare figure e competenze diverse, dall’energy manager del Comune di
Genova alla direzione patrimonio urbano che ha curato gli aspetti della riqualificazione
delle strutture che ospiteranno l’iniziativa, sostenuta da un partner tecnologico esterno.
«Un’attenzione fondamentale per quanto concerne le municipalità è cercare di mettere a
fattor comune interessi prioritari su cui coinvolgere i partner, interrogarsi sulle criticità, i
modelli di business e soprattutto la sostenibilità dei progetti nel tempo» – spiega
Castiglieri, che prosegue osservando come i casi di studio segnalati in Europa non sempre
bastano a replicare a livello locale le storie di successo. «Il nostro scopo deve essere
quello di sviluppare progetti con alto contenuto innovativo, sfruttando questi “dimostratori”
per fare da stimolo al tessuto imprenditoriale locale». Uno stimolo anche a livello
normativo, conclude il dirigente genovese, sottolineando il ruolo sempre più critico delle
aree urbane: «Per la prima volta, la Commissione europea ha cominciato a stornare fondi
un tempo concessi solo su scala regionale per assegnarli direttamente alle municipalità. Il
dovere della PA è evidenziare ed eventualmente rimuovere i colli di bottiglia regolamentari
che portano a situazioni di inadeguatezza, ma anche imporre uno svecchiamento interno,
attraverso una formazione che stimoli i dipendenti pubblici a prendere coscienza delle
tecnologie dell’innovazione».
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SICUREZZA, BENE PUBBLICO E TRASVERSALE

Sara Belli del Comune di Milano interviene a questo punto a proposito della questione
normativa, osservando come uno dei temi più caldi e fondamentali della smart city, la
possibilità di incrociare dati di diversa natura, anche in ordine al comportamento delle
persone, diventa più complicato da affrontare alla luce di normative come il GDPR. Una
prima risposta arriva da Sirio Magliocca, amministratore delegato di Motorola
Solutions Italia, specializzata in sistemi di telecomunicazione mission critical. «Il
successo dell’IoT, della interconnettività tra enti e sistemi tecnologici dipenderà da come
saremo in grado di eliminare ogni tipo di barriera. Il problema non sta nei dati che posso
raccogliere, ma nella necessità di gestirli correttamente e proteggerli». Per questo il
concetto di public safety è così importante e trasversale, sottolinea Magliocca, precisando
che Motorola Solutions investe sulla sicurezza e sull’integrazione, sul dialogo tra sistemi,
edifici, forze di pronto intervento, con un occhio particolare alle capacità offerte dalla
quinta generazione di comunicazioni mobili. «Stiamo parlano di una città che fa scattare il
semaforo sul verde al passaggio dell’ambulanza, dove ospedali e forze dell’ordine
possono scambiarsi informazioni in modo seamless. Per passare dalla teoria al pratica
dobbiamo affrontare e risolvere i problemi di natura organizzativa, in modo da rendere
tutto interconnesso e interoperabile sulla base di standard condivisi».

Sul fondamentale aspetto della protezione dei dati e della privacy interviene anche Enzo
Maria Tieghi, membro del comitato tecnico scientifico di CLUSIT e navigato esperto
della sicurezza delle infrastrutture degli impianti industriali. «La riservatezza che il GDPR
ci chiama a rispettare non deve farci dimenticare che per i servizi della smart city la
disponibilità e l’integrità dei dati sono altrettanto importanti e forse vengono prima, perché
senza elettricità la città non può funzionare, senza elettricità non funzionano i computer
che d’altra parte mi servono per garantire energia e sistemi di comunicazione in un
rapporto di totale interdipendenza». Tieghi si sofferma anche sul tema dell’integrità,
avvertendo come ogni punto reso smart, un semaforo, un lampione intelligente trasformato
in hot-spot Wi-Fi, può diventare fonte di attacchi e perdita di controllo. Purtroppo, è questa
– conclude l’esperto di CLUSIT – la pesante eredità dell’interconnessione, dove la
presenza di più operatori può determinare conflitti regolamentari. «Il primo punto è far
capire alle persone che esistono questi problemi di sicurezza, fare molto training ed
evitare approcci a macchia di leopardo: no, alla sicurezza fatta di arcipelaghi».

NON SOLO METROPOLI

Uno degli operatori coinvolti nel complicato mosaico delle smart city è Engie, che al tavolo
viene rappresentato da Hubert Dusausoy, sales development & innovation manager.
Engie, brand nato in Francia dalla fusione di Gaz de France e Suez, offre servizi di
trasformazione delle reti di distribuzione di gas ed energia e secondo Dusausoy in Italia si
sta concentrando soprattutto sulle aree urbane di medie dimensioni, dove ci sono carenze
di natura tecnica e procedurale. «In centri di 10mila abitanti, esistono fondi europei che
potrebbero coprire a fondo perduto l’80% degli investimenti smart fino a 5 milioni, ma lo
sanno pochi» – afferma il manager di Engie. «Fare in Italia quello che abbiamo realizzato
a Nizza, trasformando la rete di illuminazione in un sistema decisionale per la mobilità e la
sicurezza, implicherebbe uno sforzo di educazione sia sulle procedure sia
sull’integrazione». In Italia – conclude Dusausoy – «spesso mancano i dati che alimentano
le applicazioni rendendole più efficaci». Nella definizione di Engie, le navi di Grandi Navi
Veloci si possono considerare città di media grandezza e Paolo Beatini, CIO della
società di trasporti marittimi ragiona in modo molto simile ai suoi colleghi dei comuni di
Genova e Milano. Da questo punto di vista, i sistemi di controllo e automazione a bordo
delle navi, affidati a società come ABB e Rolls-Royce e ai data center di bordo, sono
relativamente facili da affrontare («a parte i costi elevati della comunicazione satellitare» –
riconosce Beatini). Il punto di discussione riguarda il momento in cui le navi GNV
attraccano nei porti di riferimento delle rotte passeggeri e merci. «Per una serie di
tematiche come l’ottimizzazione e il risparmio energetico, o la gestione delle merci, sono in
atto progetti europei come Marebonus» – spiega Beatini. «Ma il vero problema è
migliorare l’accessibilità alle aree portuali, specialmente nelle città storiche. Aree in cui si
mescolano vacanzieri e mezzi di trasporto in una complessa promiscuità, che avrebbe
molto bisogno di servizi avanzati. Per questo però dobbiamo migliorare l’integrazione tra
strumenti che esistono già e le interfacce tra le varie autorità che insistono su un porto».

RETI PROTETTE PER LA SANITÀ

Un analogo livello di integrazione e dialogo è l’obiettivo di Lombardia Informatica. «Con
1.500 servizi e 700 applicazioni erogate, i 470 dipendenti di Lombardia Informatica
contribuiscono tra l’altro a generare, attraverso le gare, un mercato di 170 milioni di euro
all’anno, di ulteriori servizi IT» – afferma Giorgio Caielli, presidente della digital company
di Regione Lombardia, che sottolinea l’ambizione dell’azienda di trasformarsi in un polo
strategico per l’Agenzia per l’Italia Digitale, «aggregando tutte le iniziative afferenti alla
Lombardia per conto delle amministrazioni che non hanno capacità gestionale, per
imporre standard di riferimento e poter colloquiare, o anche per offrire, i servizi per conto
di comuni molto piccoli». Caielli non dimentica però il ruolo di Lombardia Informatica nei
confronti delle grandi città e dei servizi ospedalieri: tante attività che pongono l’azienda in
una posizione unica anche come data repository. «Custodiamo dati su 10 milioni di
abitanti che ricevono assistenza sanitaria da vent’anni. Si tratta di informazioni alle quali si
aggiungono quelle riguardanti l’agricoltura, la protezione civile, le emergenze sanitarie».
Su questi dati Lombardia Informatica sviluppa app per la prenotazione dei servizi. «Tra le
aree di investimento identificate da IDC, mancano i servizi innovativi per la salute.
Ricordiamoci che investire in innovazione rende più sostenibile anche la gestione delle
persone che invecchiano». Caielli auspica lo sviluppo di una cultura della sicurezza by
design «che ancora non c’è». E in controtendenza sostiene la necessità di «creare intranet
chiuse e gestite per assicurare i servizi in comparti critici come gli ospedali». Anche
utilizzando servizi in cloud, domanda Enzo Tieghi di CLUSIT? «Conta soprattutto come
vengono definiti i confini del servizio» – risponde il presidente di Lombardia Informatica.
«E contano gli aspetti della fisicità del dato, della connettività col data center, per evitare
troppi passaggi e assicurare le condizioni di cifratura e sicurezza. Anzi, con la capacità
computazionale e Big Data, le nostre competenza guadagnano valore nei mercati».

Il luogo che Fabio Degli Esposti, CIO di SEA – Aeroporti di Milano, è chiamato a
immaginare si chiama già “aerotropoli”, una vera e propria smart city inserita in una smart
city dai confini più estesi. «I miei obiettivi iniziali in SEA – esordisce il responsabile IT degli
aeroporti milanesi – consisteva nel garantire ai passeggeri un percorso ottimale dal gate di
accesso al gate di uscita. Oggi, parliamo di un sistema integrato che segue lo stesso
passeggero nel percorso home-to-home». Due sono le aree di intervento per Degli
Esposti. Una riguarda ancora il passenger engagement nella sua navigazione interna alla
aerostazione, un tracciato supportato da applicazioni che in passato erano inconcepibili,
ma che oggi riescono a essere anche una fonte di paradossi. «Sul telefonino posso
disporre persino del mio titolo di viaggio, ma il personale al gate è ancora costretto a
verificare la mia carta di identità» – osserva perplesso Degli Esposti. «L’altra area di
intervento attinge all’enorme patrimonio di dati che riguardano una infrastruttura
complessa e possono essere trasformati in efficientamento, automazione e risparmio».

E GLI SMART CITIZEN?

Come affrontare tutto questo, rispettando in ambito aeroportuale un vincolo di sicurezza
che innovazioni come l’IoT rendono semmai più complessa da garantire? «Il paradigma da
applicare – risponde Degli Esposti – riguarda il concetto degli ecosistemi: gestire
l’interscambio tra ecosistemi con metodologie EDI. In questo senso, l’esperienza maturata
con Expo Milano 2015 è stata fondamentale. Le modalità che ci consentono di
interscambiare i dati tra passeggeri e stakeholder nelle varie realtà industriali sono il
presupposto di processi come quelli messi in atto dalla nuova piattaforma NewGo del
Gruppo FS. «In pratica – sintetizza alla fine Degli Esposti – se vuoi essere digitale fuori
devi esserlo soprattutto dentro. Noi parliamo di smart city, ma dovremmo piuttosto parlare
di smart citizen, e in questo senso la parola d’ordine è awareness. E l’intelligenza artificiale
sta “invecchiando” con noi, siamo tutti più svegli ma non è detto che tutti siamo finalizzati
all’uso delle tecnologie. Il mio problema è fare in modo che anche il passeggero a mobilità
ridotta a causa dell’artrite possa interagire con lo smartphone e l’ambiente smart».

La discussione ha fatto emergere – insieme all’esigenza dell’integrazione, della
collaborazione e di una maggiore consapevolezza delle opportunità createsi con l’avvento
di tecnologie come l’IoT e il 5G – la centralità del dato da aggregare e trasformare in
informazioni, ottimizzazione e servizi come ha spiegato Fabio Ardossi, associate
partner di Data Reply. «In Data Reply siamo innovatori per DNA e a volte guardiamo
avanti troppo velocemente e fatichiamo a vedere certi ostacoli» – riconosce Ardossi. «Ma
al netto delle problematiche emerse, la smart city resta un generatore di dati e la mia
natura è cercare di capire come utilizzarli». Ardossi afferma di essere rimasto affascinato
da esempi come quello fornito da Riccardo Gini a proposito di alberi e tag RFID, ma come
trovare le risorse finanziarie per sfruttare questi patrimoni informativi? «Mi vengono in
mente applicazioni come i Pokemon Go, piattaforme ludiche attraverso cui scoprire luoghi
poco conosciuti della città, o un tamagotchi che ti permette di far crescere il tuo albero».
Ardossi conclude con un rimando alla forza dell’immaginazione e al presupposto
fondamentale dei protocolli condivisi necessari per incentivare la creazione e il riuso dei
dati. «Dobbiamo fare in modo che la città diventi un fattore abilitante di una miriade di
azioni».
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