IOT E SMART CITY, IL POSTO DELL'INTELLIGENZA - ARIA SPA
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IoT e smart city, il posto dell’intelligenza di Andrea Lawendel , 19 aprile 2018 L’ultima tavola rotonda dedicata all’IoT si interroga su come sia possibile trasformare le città grandi e piccole in luoghi di produzione e riuso delle informazioni digitali. Vere e proprie fabbriche sostenibili di nuovi servizi, sicurezza e benessere Affrontati gli aspetti dell’automazione intelligente degli edifici e dei luoghi della produzione industriale, la serie di conversazioni dedicata all’Internet of Things torna a occuparsi di spazi abitati, ampliando il discorso al complesso sistema costituito dalle nostre città. In un’epoca che attribuisce una crescente importanza ai grandi agglomerati metropolitani, la sfida della smart city sta coinvolgendo amministratori, organizzazioni aziendali, operatori, utilities, provider tecnologici e singoli individui, tutti chiamati a costruire, anche grazie all’intelligenza dei sensori e degli strumenti analitici e predittivi, un ambiente abitativo, ricreativo e lavorativo complementare all’azione della trasformazione digitale e dello smart working nelle imprese. Un ambiente capace in definitiva di ridurre i consumi energetici; facilitare gli spostamenti nello spazio fisico; razionalizzare la produzione e ridistribuzione delle risorse: agevolare l’erogazione e l’accessibilità a nuovi servizi; rendere più sicure le sue aree periferiche e i suoi infiniti angoli ciechi. L’IoT insomma come fattore abilitante dei futuri modelli di urbanizzazione e piattaforma di servizio finalizzata alla crescita economica e alla qualità di vita di abitanti stanziali, fruitori e visitatori. L’incontro dedicato alla smart city avviene come sempre in un contesto “diverso” dalle tradizionali sale anonime che in genere ospitano convegni ed eventi, con il preciso intento di associare al tema trattato uno spazio simbolico in grado di sintetizzarne l’idea e lo spirito di innovazione. Uno spazio, quello del centro Oxy.gen, che merita la speciale introduzione da parte di Riccardo Gini, direttore di Parco Nord Milano, grande spazio verde di 600
ettari allestito a partire dagli anni 70. Il padiglione che ospita i relatori di questo evento rappresenta – aggiunge Gini – un’ulteriore evoluzione della storia del Parco, che abbraccia ben sei territori comunali della Città metropolitana, costituendo un felice esempio di collaborazione tra pubblico e privato, resa ancora più efficace dagli strumenti della tecnologia. «Il luogo dove ci troviamo – spiega il direttore – è stato ideato dal Gruppo farmaceutico Zambon, che insieme al Parco ha dato vita ai Giardini della scienza inaugurati in occasione di Expo 2015». Le origini di Oxy.gen, dell’area umida circostante e di tutto il bosco di circa quattro ettari che costituiscono i Giardini, risalgono al 2000 quando il Comune di Bresso assegnava una porzione del suo territorio per consentire al Parco Nord di entrare nei confini comunali. «Una decina di anni dopo – racconta Gini – un bando regionale invitava alla presentazione di progetti per incrementare la funzione delle aree protette e aprire ai privati la partecipazione al Parco Nord. Il Comune e Zambon raccolgono la sfida con il progetto dei Giardini della scienza». Fedele al mandato – sottolinea Gini – Zambon punta alla creazione di un’area “viva”, con un laghetto che circonda la struttura di Oxy.gen, a sua volta progettata dall’architetto De Lucchi. UN LABORATORIO NEL PARCO Parco Nord si è occupato dell’intera area verde di quattro ettari e mezzo, donata dal Rotary Club: un boschetto di circa 150 alberi, tutti georeferenziati, con una trentina di querce, alcuni esemplari di gelsi a integrazione di un paio di piante storiche sopravvissute e tutta la vegetazione idrofila a bordo lago. «Oxy.gen è diventato un laboratorio di cultura scientifica dove portare le nuove generazioni a riflettere sull’aria che respiriamo. A ogni circonferenza concentrica di vegetazione – conclude Gini – corrispondono diverse specie per fioritura e stagionalità. Il nostro miglior risultato è poter vivere occasioni come queste, riunendo le persone che possono aiutarci a progettare il futuro». Come di consueto, in rappresentanza di IDC Italia, Daniela Rao, senior consulting & research director offre
ai convenuti una serie di considerazioni e cifre introduttive, partendo da una serie di previsioni a livello globale. «A proposito di importanza delle infrastrutture, la nostra prima previsione riguarda il ruolo che i provider di servizi di comunicazione avranno nel 2018 come “digital hero” delle smart city». Questi operatori, continua Daniela Rao, porteranno avanti progetti in collaborazione con le istituzioni locali, assicurando alle città intelligenti la materia prima fondamentale: la banda trasmissiva. «Tra gli esempi più recenti c’è l’operatore vietnamita che sta trasformando le vecchie cabine telefoniche in hot spot per il Wi-Fi cittadino». Un’altra previsione riguarda lo sviluppo di piattaforme condivise sulle quali costruire progetti più mirati. «In una grande città su tre su scala mondiale, vediamo operatori impegnati a realizzare reti di sensori destinati alla raccolta di dati, fondamentali per lo sviluppo di servizi. In Europa questi progetti si muovono in direzione della sicurezza, in Asia invece vanno verso la mobilità di merci e persone». Sulla base di queste informazioni altri provider, in “coopetion” con altri, potranno dare vita a nuove attività, costruendo man mano una visione unificata della smart city. E infine, sul piano dei modelli di finanziamento, IDC ritiene che nel biennio che abbiamo davanti, la metà dei grandi progetti sarà finanziato in partnership pubblico/privato (il modello PPP), da organismi non profit o da opportuni protocolli di intesa tra municipalità e fornitori di tecnologie come alternativa al tradizionale approccio della pubblica committenza. SMART CITY IN ITALIA: A METÀ DELL’OPERA Nel confronto con le altre nazioni europee, Italia e Spagna si trovano abbastanza allineate, con analoghi livelli di soluzioni adottate e progetti in corso. «Siamo in un certo senso a metà dell’opera – spiega Daniela Rao. «Nel Regno Unito, vantano un maggior numero di progetti consolidati o avviati e anche un maggior numero di progetti in fase di valutazione». Ma in quali direzioni stanno investendo le nostre smart city? «Tra le applicazioni più diffuse la condivisione di auto e altri veicoli, le carte di identità digitali, i lampioni intelligenti e gli smart building. In prospettiva, aumenteranno i progetti relativi alla sicurezza, alla raccolta smart di rifiuti e alla gestione di asset e infrastrutture. Ambiti come i parcheggi smart appaiono già consolidati». Lo stesso concetto di smart city, interviene ancora Riccardo Gini di Parco Nord Milano, può avere declinazioni inaspettate. Anche un’area verde può essere gestita in modo più intelligente grazie alle tecnologie. Gli alberi del Parco, per esempio, sono taggati in RFID, una tecnologia che ha consentito lo sviluppo interno di un vero e proprio gestionale arboreo. «Successive sperimentazioni con li Wi-Fi hanno consentito di installare un sistema di video sorveglianza con 35 telecamere e 150 guardie ecologiche che aggiungono valore ai dati trasportati dalla rete. Il software viene utilizzato anche nel nostro centro visitatori, per animare i tavoli espositivi e visto che nel nostro territorio esiste anche uno dei più grossi centri di accoglienza dei migranti di Lampedusa, gestito dalla Croce Rossa, lo smartphone è diventato il principale dispositivo di aggregazione, e ci permette di offrire a queste persone corsi di giardinaggio e altre attività».
CULTURA DELLA COLLABORAZIONE Con Sara Belli interviene a questo punto il primo degli esponenti della PA seduti al nostro tavolo. La direttrice dei progetti di interoperabilità del Comune di Milano spiega che la progettualità finalizzata alla città intelligente e ai suoi sistemi è in effetti “cross” tra diverse direzioni di riferimento. Le politiche del lavoro, per esempio, si occupano anche di aspetti come il coworking o i progetti Horizon 2020 che hanno come obiettivo il miglioramento della mobilità attraverso servizi che possano ottimizzare, anche grazie alla sensoristica IoT, gli spostamenti nell’area urbana. La direzione sistemi per la smart city lavora con quella preposta all’urbanistica in progetti come Sharing City, che investe la zona sud di Milano, finora esclusa da servizi di successo come il bike sharing, ma che negli ultimi anni – afferma la Belli – «ha visto molti interventi anche in collaborazione con privati come la Fondazione Prada. Lo scopo è creare un ambito territoriale «dove poter misurare parametri come l’inquinamento, o la facilità di spostamento, anche come base per la successiva riqualificazione di aree ed edifici». Un altro progetto è Synchronicity, inserito in un contesto di collaborazione europea e finalizzato, anche qui attraverso l’IoT, a rilevare i comportamenti dei cittadini-utenti in modo da premiare i più virtuosi, promuovere la partecipazione delle piccole imprese attraverso bandi in “open call” (per esempio per la realizzazione di un navigatore multimodale), lo sviluppo di sistemi di supporto decisionale alla definizione dei tragitti più indicati per le piste ciclabili. Come funziona, organizzativamente, l’intervento di una pluralità di direzioni? «Non sempre è facile dialogare, perché in passato ogni direzione era abituata a operare in modo più verticale e modificare i propri obiettivi in senso orizzontale è complesso» – riconosce Sara Belli. «L’obbligo del raggiungimento di obiettivi su scala europea aiuta, ma deve anche avvenire un cambiamento culturale che porti al rispetto della collaborazione». Alessandro La Rocca interviene sul tema della mobilità prendendo spunto dalle informazioni rivelate da Daniela Rao di IDC Italia, che osservava un basso livello di investimenti nel comparto del trasporto pubblico locale (TPL). Alessandro La Rocca, che è stato più volte ospite degli incontri di Data Manager, partecipa in questa occasione come direttore generale di Nugo, startup di Gruppo Ferrovie dello Stato. «Il TPL è l’esempio principe di trasporto condiviso e credo debba avere un ruolo fondamentale nella shared mobility» – afferma La Rocca. «Se non è smart – aggiunge il neoresponsabile di Nugo – la mobilità condivisa è difficile. Eppure, è anche una soluzione che consentirebbe di aggredire tematiche come l’inquinamento o l’affollamento delle strade. La nuova società del Gruppo FS punta a risolvere il problema con una piattaforma che consente di spostarsi da una città all’altra e all’interno delle città con unico sistema integrato di bigliettistica. Nata da poco, Nugo punta a integrare un migliaio di operatori TPL diversi, ciascuno con un proprio sistema di tariffazione, per dar vita a un unico brand riconoscibile a livello nazionale. Non è un’impresa agevole, sottolinea La Rocca. «Solo in Emilia Romagna per il TPL su scala regionale abbiamo contato 700 sistemi di tariffazione. Il nostro strumento deve dare parità a tutti i vettori». A dominare – spiega ancora La Rocca – non è il singolo operatore, ma il mezzo pubblico. E il cliente non è il cliente di un operatore, ma una persona che ora è cliente della rete del Comune di Milano, subito dopo di FS, più tardi della rete del Comune di Roma. «Se non diamo a questa persona visibilità su tutto il TPL nell’arco dei suoi spostamenti, molto probabilmente eviterà di utilizzare mezzi condivisi e inquinerà di più».
REINTERMEDIAZIONE SOTTO CONTROLLO Piattaforme di questo tipo cominciano a partire in Europa e si deve puntare su questo se non si vuole cedere il passo a operatori esterni, come Uber o la stessa Google, che offrono questi ruoli di reintermediatore, ma non sono facilmente controllabili. «La difficoltà non è tecnica, ma risiede nella mancanza di standard» – avverte La Rocca, invitando tutto il settore del TPL a prendere esempio dal trasporto aereo, che ha standardizzato da anni il sistema di scambio dei flussi economici legati alla emissione di biglietti. «L’approccio adottato da Nugo prevede l’espansione e il potenziamento di sistemi come il GTFS (General Transit Feed Specification), oggi limitato alla messa a fattor comune delle informazioni sugli orari delle linee TPL. Prima o poi – conclude La Rocca – sarà necessario far sedere tutti gli operatori intorno a un tavolo per standardizzare tutte le informazioni che servono a gestire un unico cliente». Torniamo però al modo in cui le grandi pubbliche amministrazioni locali affrontano il tema della città intelligente. Genova, come Milano, ha una lunga familiarità con i progetti coordinati e finanziati a livello Europeo, ma come racconta Paolo Castiglieri della direzione pianficazione strategica, smart city, innovazione d’impresa e statistica del Comune di Genova, è stata costituita una associazione che riunisce il Comune e un centinaio di stake holders di imprese private. «La finalità è discutere e affrontare le problematiche legate alla “smartitudine” della città e del territorio» – sottolinea Castiglieri, che al tavolo presenta un caso particolare già affrontato nei nostri incontri: il complesso progetto di un acceleratore di impresa per startup innovative che ha percorso un lungo iter interno, dovuto alla necessità di coordinare figure e competenze diverse, dall’energy manager del Comune di Genova alla direzione patrimonio urbano che ha curato gli aspetti della riqualificazione delle strutture che ospiteranno l’iniziativa, sostenuta da un partner tecnologico esterno. «Un’attenzione fondamentale per quanto concerne le municipalità è cercare di mettere a fattor comune interessi prioritari su cui coinvolgere i partner, interrogarsi sulle criticità, i modelli di business e soprattutto la sostenibilità dei progetti nel tempo» – spiega Castiglieri, che prosegue osservando come i casi di studio segnalati in Europa non sempre bastano a replicare a livello locale le storie di successo. «Il nostro scopo deve essere quello di sviluppare progetti con alto contenuto innovativo, sfruttando questi “dimostratori” per fare da stimolo al tessuto imprenditoriale locale». Uno stimolo anche a livello normativo, conclude il dirigente genovese, sottolineando il ruolo sempre più critico delle aree urbane: «Per la prima volta, la Commissione europea ha cominciato a stornare fondi un tempo concessi solo su scala regionale per assegnarli direttamente alle municipalità. Il dovere della PA è evidenziare ed eventualmente rimuovere i colli di bottiglia regolamentari che portano a situazioni di inadeguatezza, ma anche imporre uno svecchiamento interno, attraverso una formazione che stimoli i dipendenti pubblici a prendere coscienza delle tecnologie dell’innovazione».
SICUREZZA, BENE PUBBLICO E TRASVERSALE Sara Belli del Comune di Milano interviene a questo punto a proposito della questione normativa, osservando come uno dei temi più caldi e fondamentali della smart city, la possibilità di incrociare dati di diversa natura, anche in ordine al comportamento delle persone, diventa più complicato da affrontare alla luce di normative come il GDPR. Una prima risposta arriva da Sirio Magliocca, amministratore delegato di Motorola Solutions Italia, specializzata in sistemi di telecomunicazione mission critical. «Il successo dell’IoT, della interconnettività tra enti e sistemi tecnologici dipenderà da come saremo in grado di eliminare ogni tipo di barriera. Il problema non sta nei dati che posso raccogliere, ma nella necessità di gestirli correttamente e proteggerli». Per questo il concetto di public safety è così importante e trasversale, sottolinea Magliocca, precisando che Motorola Solutions investe sulla sicurezza e sull’integrazione, sul dialogo tra sistemi, edifici, forze di pronto intervento, con un occhio particolare alle capacità offerte dalla quinta generazione di comunicazioni mobili. «Stiamo parlano di una città che fa scattare il semaforo sul verde al passaggio dell’ambulanza, dove ospedali e forze dell’ordine possono scambiarsi informazioni in modo seamless. Per passare dalla teoria al pratica dobbiamo affrontare e risolvere i problemi di natura organizzativa, in modo da rendere tutto interconnesso e interoperabile sulla base di standard condivisi». Sul fondamentale aspetto della protezione dei dati e della privacy interviene anche Enzo Maria Tieghi, membro del comitato tecnico scientifico di CLUSIT e navigato esperto della sicurezza delle infrastrutture degli impianti industriali. «La riservatezza che il GDPR ci chiama a rispettare non deve farci dimenticare che per i servizi della smart city la disponibilità e l’integrità dei dati sono altrettanto importanti e forse vengono prima, perché senza elettricità la città non può funzionare, senza elettricità non funzionano i computer che d’altra parte mi servono per garantire energia e sistemi di comunicazione in un rapporto di totale interdipendenza». Tieghi si sofferma anche sul tema dell’integrità, avvertendo come ogni punto reso smart, un semaforo, un lampione intelligente trasformato in hot-spot Wi-Fi, può diventare fonte di attacchi e perdita di controllo. Purtroppo, è questa – conclude l’esperto di CLUSIT – la pesante eredità dell’interconnessione, dove la presenza di più operatori può determinare conflitti regolamentari. «Il primo punto è far capire alle persone che esistono questi problemi di sicurezza, fare molto training ed evitare approcci a macchia di leopardo: no, alla sicurezza fatta di arcipelaghi». NON SOLO METROPOLI Uno degli operatori coinvolti nel complicato mosaico delle smart city è Engie, che al tavolo viene rappresentato da Hubert Dusausoy, sales development & innovation manager. Engie, brand nato in Francia dalla fusione di Gaz de France e Suez, offre servizi di trasformazione delle reti di distribuzione di gas ed energia e secondo Dusausoy in Italia si
sta concentrando soprattutto sulle aree urbane di medie dimensioni, dove ci sono carenze di natura tecnica e procedurale. «In centri di 10mila abitanti, esistono fondi europei che potrebbero coprire a fondo perduto l’80% degli investimenti smart fino a 5 milioni, ma lo sanno pochi» – afferma il manager di Engie. «Fare in Italia quello che abbiamo realizzato a Nizza, trasformando la rete di illuminazione in un sistema decisionale per la mobilità e la sicurezza, implicherebbe uno sforzo di educazione sia sulle procedure sia sull’integrazione». In Italia – conclude Dusausoy – «spesso mancano i dati che alimentano le applicazioni rendendole più efficaci». Nella definizione di Engie, le navi di Grandi Navi Veloci si possono considerare città di media grandezza e Paolo Beatini, CIO della società di trasporti marittimi ragiona in modo molto simile ai suoi colleghi dei comuni di Genova e Milano. Da questo punto di vista, i sistemi di controllo e automazione a bordo delle navi, affidati a società come ABB e Rolls-Royce e ai data center di bordo, sono relativamente facili da affrontare («a parte i costi elevati della comunicazione satellitare» – riconosce Beatini). Il punto di discussione riguarda il momento in cui le navi GNV attraccano nei porti di riferimento delle rotte passeggeri e merci. «Per una serie di tematiche come l’ottimizzazione e il risparmio energetico, o la gestione delle merci, sono in atto progetti europei come Marebonus» – spiega Beatini. «Ma il vero problema è migliorare l’accessibilità alle aree portuali, specialmente nelle città storiche. Aree in cui si mescolano vacanzieri e mezzi di trasporto in una complessa promiscuità, che avrebbe molto bisogno di servizi avanzati. Per questo però dobbiamo migliorare l’integrazione tra strumenti che esistono già e le interfacce tra le varie autorità che insistono su un porto». RETI PROTETTE PER LA SANITÀ Un analogo livello di integrazione e dialogo è l’obiettivo di Lombardia Informatica. «Con 1.500 servizi e 700 applicazioni erogate, i 470 dipendenti di Lombardia Informatica contribuiscono tra l’altro a generare, attraverso le gare, un mercato di 170 milioni di euro all’anno, di ulteriori servizi IT» – afferma Giorgio Caielli, presidente della digital company di Regione Lombardia, che sottolinea l’ambizione dell’azienda di trasformarsi in un polo strategico per l’Agenzia per l’Italia Digitale, «aggregando tutte le iniziative afferenti alla Lombardia per conto delle amministrazioni che non hanno capacità gestionale, per imporre standard di riferimento e poter colloquiare, o anche per offrire, i servizi per conto di comuni molto piccoli». Caielli non dimentica però il ruolo di Lombardia Informatica nei confronti delle grandi città e dei servizi ospedalieri: tante attività che pongono l’azienda in una posizione unica anche come data repository. «Custodiamo dati su 10 milioni di abitanti che ricevono assistenza sanitaria da vent’anni. Si tratta di informazioni alle quali si aggiungono quelle riguardanti l’agricoltura, la protezione civile, le emergenze sanitarie». Su questi dati Lombardia Informatica sviluppa app per la prenotazione dei servizi. «Tra le aree di investimento identificate da IDC, mancano i servizi innovativi per la salute. Ricordiamoci che investire in innovazione rende più sostenibile anche la gestione delle persone che invecchiano». Caielli auspica lo sviluppo di una cultura della sicurezza by design «che ancora non c’è». E in controtendenza sostiene la necessità di «creare intranet chiuse e gestite per assicurare i servizi in comparti critici come gli ospedali». Anche utilizzando servizi in cloud, domanda Enzo Tieghi di CLUSIT? «Conta soprattutto come vengono definiti i confini del servizio» – risponde il presidente di Lombardia Informatica. «E contano gli aspetti della fisicità del dato, della connettività col data center, per evitare troppi passaggi e assicurare le condizioni di cifratura e sicurezza. Anzi, con la capacità computazionale e Big Data, le nostre competenza guadagnano valore nei mercati». Il luogo che Fabio Degli Esposti, CIO di SEA – Aeroporti di Milano, è chiamato a immaginare si chiama già “aerotropoli”, una vera e propria smart city inserita in una smart
city dai confini più estesi. «I miei obiettivi iniziali in SEA – esordisce il responsabile IT degli aeroporti milanesi – consisteva nel garantire ai passeggeri un percorso ottimale dal gate di accesso al gate di uscita. Oggi, parliamo di un sistema integrato che segue lo stesso passeggero nel percorso home-to-home». Due sono le aree di intervento per Degli Esposti. Una riguarda ancora il passenger engagement nella sua navigazione interna alla aerostazione, un tracciato supportato da applicazioni che in passato erano inconcepibili, ma che oggi riescono a essere anche una fonte di paradossi. «Sul telefonino posso disporre persino del mio titolo di viaggio, ma il personale al gate è ancora costretto a verificare la mia carta di identità» – osserva perplesso Degli Esposti. «L’altra area di intervento attinge all’enorme patrimonio di dati che riguardano una infrastruttura complessa e possono essere trasformati in efficientamento, automazione e risparmio». E GLI SMART CITIZEN? Come affrontare tutto questo, rispettando in ambito aeroportuale un vincolo di sicurezza che innovazioni come l’IoT rendono semmai più complessa da garantire? «Il paradigma da applicare – risponde Degli Esposti – riguarda il concetto degli ecosistemi: gestire l’interscambio tra ecosistemi con metodologie EDI. In questo senso, l’esperienza maturata con Expo Milano 2015 è stata fondamentale. Le modalità che ci consentono di interscambiare i dati tra passeggeri e stakeholder nelle varie realtà industriali sono il presupposto di processi come quelli messi in atto dalla nuova piattaforma NewGo del Gruppo FS. «In pratica – sintetizza alla fine Degli Esposti – se vuoi essere digitale fuori devi esserlo soprattutto dentro. Noi parliamo di smart city, ma dovremmo piuttosto parlare di smart citizen, e in questo senso la parola d’ordine è awareness. E l’intelligenza artificiale sta “invecchiando” con noi, siamo tutti più svegli ma non è detto che tutti siamo finalizzati all’uso delle tecnologie. Il mio problema è fare in modo che anche il passeggero a mobilità ridotta a causa dell’artrite possa interagire con lo smartphone e l’ambiente smart». La discussione ha fatto emergere – insieme all’esigenza dell’integrazione, della collaborazione e di una maggiore consapevolezza delle opportunità createsi con l’avvento di tecnologie come l’IoT e il 5G – la centralità del dato da aggregare e trasformare in informazioni, ottimizzazione e servizi come ha spiegato Fabio Ardossi, associate partner di Data Reply. «In Data Reply siamo innovatori per DNA e a volte guardiamo avanti troppo velocemente e fatichiamo a vedere certi ostacoli» – riconosce Ardossi. «Ma al netto delle problematiche emerse, la smart city resta un generatore di dati e la mia natura è cercare di capire come utilizzarli». Ardossi afferma di essere rimasto affascinato da esempi come quello fornito da Riccardo Gini a proposito di alberi e tag RFID, ma come trovare le risorse finanziarie per sfruttare questi patrimoni informativi? «Mi vengono in mente applicazioni come i Pokemon Go, piattaforme ludiche attraverso cui scoprire luoghi poco conosciuti della città, o un tamagotchi che ti permette di far crescere il tuo albero». Ardossi conclude con un rimando alla forza dell’immaginazione e al presupposto
fondamentale dei protocolli condivisi necessari per incentivare la creazione e il riuso dei dati. «Dobbiamo fare in modo che la città diventi un fattore abilitante di una miriade di azioni».
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