BARBAPAPA MODEL Giulio Fezzi 1/2021 - Phoenix Capital
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“La misura dell’intelligenza è data dalla capacità di cambiare quando è necessario.” Albert Einstein “Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo.” Eraclito “Resta di stucco…è un Barbatrucco!” La famiglia Barbapapà
1. Premessa “Cambiare è la regola della vita. E quelli che guardano al passato od al presente, certamente perderanno il futuro.” John Fitzgerald Kennedy Che il cambiamento sia un elemento insito in tutti i fatti della vita, quotidiana e lavorativa, delle persone e delle imprese, è da diversi anni (forse decenni) un dato di fatto se non addirittura una certezza. È da dire che i recenti eventi endogeni ed esogeni hanno immesso nello scenario macro e micro, di breve e di lungo termine, un livello di volatilità tale da richiedere un nuovo approccio “sistematico” al cambiamento continuo. Per la gestione di grandi o piccole sfide, la realizzazione di progetti, il raggiungimento di risultati, la soluzione di problemi o per gestire la vita familiare. Per “far succedere le cose”. O anche solo per sopravvivere. Cercheremo qui di rappresentare, anche basandoci sull’esperienza concreta, come l’attitudine al cambiamento, portata ad un livello più elevato, per non dire estremo, può rappresentare il fil-rouge di un approccio innovativo e distintivo alla soluzione di problemi nel nuovo mondo fluido che sta venendo, un po' alla volta, definendosi. Non siamo certi che quanto segua possa costituire un insieme di regole o di validi consigli. Certamente sono il tratto caratteristico di come abbiamo provato ad affrontare molte sfide che ci si sono poste davanti negli ultimi anni e di come pensiamo – pronti a cambiare e ad adattarci, naturalmente – di affrontare le settimane e i mesi che verranno. La considerazione di fondo è che, soprattutto per realtà di piccole e medie dimensioni, per potersi muovere in modo vivace e resiliente nelle mutevoli spire del presente contesto economico, di business e umano, in generale, è necessaria una tempestiva, fluida e “unprecedented” (direbbero gli inglesi) capacità di adattamento multi-dimensionale, sintetizzata in un approccio continuamente cangiante – seppur basato su un solido sistema di coerenze – ai problemi ed alle esigenze di singoli, clienti, collettività, imprese, enti, istituzioni, nazioni. Tempo fa, quando mi trovai a descrivere questo tipo di approccio ad una cliente, per essere sicuro che avesse capito che saremmo stati in grado di adattarci alle sue esigenze e di costruire quindi, in collaborazione con altri partner “nuovi” e “antichi”, una soluzione precisamente conformata sulle sue esigenze, le dissi: “Ha presente Barbapapà? Ecco, il nostro approccio può essere definito: il modello barbapapà. O, in modo più altisonante, il barbapapa model”.
2. Barbapapà La serie Barbapapà è nata dalla fantasia di due autori, l'architetta e designer francese Annette Tison e il professore di matematica e biologia statunitense Talus Taylor, moglie e marito, che all'epoca risiedevano a Parigi. Durante una passeggiata nei giardini del Lussemburgo nel maggio 1970, Taylor sentì un bambino chiedere ai suoi genitori qualcosa che suonava come “baa baa baa baa” e, non comprendendo il francese, chiese alla moglie il significato, scoprendo che si trattava di “barbe à papa”, il nome con cui è chiamato lo zucchero filato. Trovando divertente il suono, più tardi in un ristorante i due si misero a schizzare sulla tovaglia un personaggio ispirato al dolce, dall'aspetto rosa e tondo, che chiamarono “Barbapapa”. Barbapapà, una sorta di grosso e amichevole blob a forma di pera di colore rosa, nasce spuntando dal sottosuolo del giardino di una casa di provincia. L'arrivo di questo essere alto quanto la loro casa spaventa non poco gli adulti che vi risiedono. Tutt'altra reazione hanno invece i due bambini che vi abitano, Francesco e Carlotta (François e Claudine), che diventano i primi amici di Barbapapà. Dal canto suo il curioso essere sarà per loro uno speciale compagno di giochi: caratteristica principale di Barbapapà è infatti quella di modellare a suo piacimento il proprio corpo, assumendo la forma della cosa o dell'animale più indicato per risolvere una situazione. La trasformazione è sempre accompagnata dalla frase che diventerà il vero e proprio tormentone della serie: "Resta di stucco, è un barbatrucco!" (nell'originale francese Hupla hup barba-truc!) Barbapapà all'inizio è un emarginato, vittima della diffidenza della società degli adulti, che spesso lo allontanano intimoriti dal suo aspetto inedito e dalle sue dimensioni colossali, anche se - nel corso del tempo - la sua versatile peculiarità, che gli permette le trasformazioni più disparate, si rivelerà essere preziosa per sbrogliare problemi, salvare vite umane, riacciuffare gli animali fuggiti da uno zoo e tanto altro ancora. Guadagnatasi la fiducia del mondo in cui vive, il secondo grave problema che gli si prospetta è quello della solitudine: è, infatti, l'unico essere della sua specie che si conosca. Con l'aiuto di Francesco e Carlotta, Barbapapà parte per un viaggio alla ricerca di una Barbamamma. Incastrato dentro una piccola roulotte trainata dalla bicicletta dei due amici, Barbapapà tocca i principali paesi del mondo. La ricerca si conclude felicemente proprio nella casa dei due bambini: dallo stesso giardino da cui un giorno è misteriosamente spuntato lui, nasce infatti anche la Barbamamma (Barbamama), dalle forme più aggraziate, di colore nero alla quale Barbapapà dona subito un mazzetto di fiori rossi che comporranno la vezzosa coroncina che la Barbamamma porta sul capo.
Barbapapà e Barbamamma decidono dunque di crearsi una famiglia, depositando uova nello stesso terreno che ha dato loro i natali. Dall'unione dei due nascono quindi sette barbabebé, ciascuno con specifiche peculiarità e capacità basate sulla comune attitudine a mutare forma. 3. Barbapapa model Per barbapapa model intendiamo un approccio alla soluzione di problemi da parte delle organizzazioni che poggia su un sistema integrato multidimensionale e multidirezionale di flessibilità che possono operare – anche parzialmente – simultaneamente, sequenzialmente ed in modo cooperativo. Tra i benefici di questo (non semplice, lo riconosciamo) modello, oltre ad una quasi totale assenza di noia, vi sono tratti di fidelizzazione di lunghissimo termine, la costruzione di relazioni solide e vere ed una certa (e prosaica) capacità di avere sempre, o quasi, una soluzione (o un pezzo di soluzione) al problema che viene posto. Tra le diverse e principali flessibilità che devono essere messe in opera, ci pare opportuno suggerire le seguenti sette (come i bambini della famiglia Barbapapa): • flessibilità orizzontale; • flessibilità verticale; • flessibilità diagonale o temporale; • flessibilità di “cadenza”; • flessibilità cooperativa; • flessibilità organizzativa o della delega; • flessibilità di obiettivo. Il barbapapa model, per essere messo in opera, richiede la progressiva edificazione e messa a disposizione di una serie di fattori abilitanti e prerequisiti essenziali. Nei paragrafi che seguono è data sintetica descrizione delle principali diverse direttrici di flessibilità nonché dei fattori abilitanti e prerequisiti del modello. 4. Flessibilità orizzontale “One stop shop” Senza sfociare nella “tuttologia” ma, al contempo, senza avere alcuna paura (magari per conformismo) di ampliare il proprio raggio di azione, è bene che l’organizzazione si prepari – in via orizzontale – a volgere sguardo ed operatività ad ambiti più o meno vicini al
proprio settore di origine: questa presenza “diversificata” può risultare utile per la soluzione di problemi complessi o il soddisfacimento di esigenze articolate. La composizione di questo bouquet di offerta orizzontale (es. dalla consulenza alla tecnologia, dai servizi operativi a quelli digitali, dall’assistenza alle persone, alla fornitura di materiali, oggetti e prodotti, dall’esecuzione di progetti alle costruzioni materiali, …) è generalmente “tirata” dall’esperienza di ciascuna organizzazione che, nel corso della propria esistenza - e su richiesta stessa dei propri interlocutori (leggi clienti) – è stata spinta, nel tempo, ad attivare nuovi servizi o allestire nuovi prodotti, più o meno limitrofi alla propria zona di comfort. L’ampliamento del proprio ambito di offerta orizzontale e multi-settoriale, può essere (a seconda delle esperienze di ciascuna organizzazione) costruito in casa (make), comprato da fidati fornitori (buy) o allestito in partnership con soggetti ben conosciuti e specializzati (ally). Per costruire la soluzione più adeguata all’esigenza del momento, con riferimento alla flessibilità orizzontale, l’organizzazione deve essere ‘pronta a’ ed ‘in grado di’ integrare pezzi di offerta di settori differenti, tanto quelli allestiti in casa quanto quelli integrati “da fuori”. 5. Flessibilità verticale “Qua servirebbe qualcuno che si occupi di tutto: dalla strategia fino ad accendere la luce” – Andrea Battista, CEO Net Insurance e Presidente Esecutivo di Archimede SpA. Chiamiamo flessibilità verticale la necessaria capacità di integrare in modo flessibile e modulare tutti gli elementi della catena del valore e di servizio di ciascun singolo settore merceologico o di servizio attivato. Ovvero l’organizzazione deve essere in grado di gestire, sulla singola esigenza settoriale (es. servizi per start-up), le componenti più elevate del problema (es. la ricerca, lo studio, la strategia, …), quelle correnti e quotidiane (amministrazione, gestione dei soci, …) fino alle più minute tematiche pratiche ed operative (es. far portare i mobili, allacciare la connettività … far accendere la luce). Anche in questo caso, gli elementi della catena del valore possono essere integrati “in house” oppure sulla base di relazioni di valore con altri partner. 6. Flessibilità diagonale o temporale “… è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” – Vangelo di San Matteo
“Simba, lascia che ti dica una cosa che mio padre disse a me. Guarda le stelle. I grandi re del passato ci guardano da quelle stelle (…) Perciò quando ti senti solo, ricordati che quei re saranno sempre lì per guidarti. Ci sarò anche io” – Mufasa, Il Re Leone Ogni organizzazione deve essere consapevole di avere un grandissimo patrimonio di esperienze (un tesoro) da cui estrarre pezzi di soluzioni e di servizi. E per farlo in modo adeguato ed efficace deve essere consapevole che ciò che è magari stato un grave errore in una certa circostanza, può essere la soluzione ideale per un qualche problema corrente. Oppure, più semplicemente, l’esperienza maturata in certi fallimenti è preziosissima per “salvare la pelle” in altre circostanze. L’organizzazione deve sapersi muovere con agilità lungo la propria storia e saper estrarre, magari opportunamente rimodulandole, esperienze e soluzioni che lì si trovano. Una sorta di memoria intelligente, che sa cambiare – nel continuo – la “lente” attraverso cui leggere le esperienze passate, per scegliere quelle più adatte alla sfida del momento. Oppure, naturalmente, semplicemente non farlo, se la situazione non lo richiede. 7. Flessibilità di “cadenza” “Prendi tempo per pensare; ma quando arriva il momento dell’azione, smetti di pensare e agisci” – Andrew Jackson “Velocità, io sono Velocità” – Saetta McQueen, Cars Talvolta è bene essere velocissimi, talaltra è molto più importante ponderare bene ogni mossa e quindi, necessariamente, andare molto piano. Con massima prudenza. Penso che questi siano tempi dove, in generale, la velocità e la tempestività siano quasi sempre determinanti fattori critici di successo. Capacità, competenze, potenzialità sono alla portata di molti. Spesso può essere essenziale riuscire ad essere i più veloci. Si badi bene, velocità e non fretta. E allora bisogna che l’organizzazione sia caratterizzata di massima “flessibilità di cadenza”. Deve saper andare piano e poi, al bisogno, accelerare e portarsi ad elevatissima “velocità di crociera”. Viceversa può essere necessario, una volta raggiunti “a tutta velocità” i primi risultati ed obiettivi, decelerare – anche bruscamente – per apportare le necessarie tarature e gli aggiustamenti, prima di ri-accelerare.
E, naturalmente, come visto anche per altre direttrici di flessibilità, l’organizzazione deve essere pronta a gestire, contemporaneamente, diverse velocità (accelerazioni o decelerazioni) su diversi fronti, su diversi progetti, su diverse proprie linee di business. 8. Flessibilità cooperativa “Nessuno è nato sotto una cattiva stella; ci sono semmai uomini che guardano male il cielo.” – Dalai Lama “È leggero il compito quando molti si dividono la fatica” – Omero Elemento essenziale del barbapapa model è la completa e, si direbbe, assoluta, quasi nativa, capacità di cooperare. La cooperazione è insita, asse portante, del barbapapa model. Come già abbiamo visto, l’organizzazione deve saper cooperare con chi è chiamato attivamente sul problema nell’ambito delle flessibilità orizzontale e verticale. Addirittura è l’organizzazione stessa che ha anche il compito di costruire e moltiplicare, nel tempo, in modo proattivo la rete di collaborazioni. L’organizzazione deve anche essere in grado di cooperare con chi magari, sino a lì sconosciuto, è già operativo sul problema perché storico fornitore del cliente o dell’istituzione che “ha chiamato” il supporto. E quindi diventa necessario “spegnere” alcuni propri ambiti di servizio/ prodotto per lasciare campo ai soggetti già presenti. Cooperando con loro, adattandosi al meglio alla loro presenza e valorizzandola al massimo. Potranno magari diventare componenti della rete di cooperazione per il futuro. Si deve essere pronti ad adattarsi a diversi modelli di cooperazione. A volte può essere necessario che l’organizzazione ci “metta la faccia” in tutto o in parte, a volte invece può essere meglio o obbligatorio che l’organizzazione “sappia rimanere nell’ombra” a fare il “lavoro sporco”, dietro le quinte. Altre volte, ancora, possono essere opportuni modelli ibridi e misti. 9. Flessibilità organizzativa o “della delega” “Se sei nel dubbio, borbotta; se sei nei guai, delega; se sei il capo pondera” - James Boren “Al mondo esistono tre tipi di persone: quelli che fanno, quelli che stanno a guardare e quelli che chiedono cosa è successo” Il barbapapa model, essendo fatto di flessibilità, implica molto spesso ed in via principale/ maggioritaria un ampio ricorso alla delega all’interno delle organizzazioni, in modo da fare
massima leva sulle competenze presenti, sulle specializzazioni disponibili e in fondo anche sulle semplici forze in campo, massimizzando la massa di manovra. Ma, come abbiamo visto in tutti gli altri casi, il barbapapa model richiede anche della meta- flessibilità all’interno della medesima categoria di flessibilità. Bisogna cioè essere pronti a dare delega in alcune circostanze, a non darla in altre. Talvolta anche contemporaneamente, da un lato, esercitare al massimo la delega, dall’altro accentrare decisamente tutti i “poteri” perché, magari, alcuni temi sono delicati o, molto spesso, riservati. L’organizzazione deve anche essere pronta a dosare, nel tempo, il livello di delega, diminuendola o aumentandola a seconda delle esigenze, dei momenti e del particolare “stadio” di risoluzione del problema. Alcuni temi, alcune relazioni, non possono essere delegati affatto. Altri devono essere delegati. 10. Flessibilità di obiettivo “Non ne posso più dei consulenti” “Ma, Maurizio, anche noi siamo consulenti!” “No, no. Voi siete diversi. Voi fate le cose” "Non importa quanto doniamo, ma quanto amore mettiamo in quello che doniamo." - Madre Teresa di Calcutta “La carità è il solo tesoro che si aumenta col dividerlo” - Anonimo Volendo chiudere questa rassegna sulle principali direttrici di flessibilità implicate dal barbapapa model, pare opportuno accennare ad un’ultima componente chiave: la flessibilità di obiettivo. In realtà un’organizzazione basata sul modello barbapapa ha, tendenzialmente, un obiettivo preciso e molto chiaro, naturalmente declinato ed adattato alle diverse situazioni, che è un obiettivo che definirei “costruttivista” di: far succedere le cose, risolvere concretamente il problema, vincere la sfida. Come si nota l’obiettivo centrale e primario non è, quindi, quello del profitto. Il risultato economico positivo è (quasi) certamente una derivata del far succedere le cose, del risolvere concretamente il problema. Certo è che se si riesce nell’intento di far succedere le cose e, conseguentemente, si genera del valore economico, allora questo stesso potrà essere apportatore di ulteriore sostenibilità al modello.
Parimenti, in via conseguente al far succedere le cose, da cui (auspicabilmente) si dovrebbe generare anche il profitto, consegue un altro possibile obiettivo del barbapapa model, che è quello di restituire parte del valore all’ecosistema che lo ha generato, favorendo la nascita di nuove iniziative e di nuove organizzazioni oppure anche in ottica puramente non profit e benefica. L’organizzazione basata sul modello flessibile deve quindi sapersi muovere, adattandosi e con diverse prevalenze a seconda delle circostanze, tra l’obiettivo centrale di “far succedere le cose”, a quello di generare valore sostenibile e a quello, ancora, di restituire porzioni di valore all’ecosistema di origine in forma di sviluppo di nuove iniziative o anche di diretta promozione umana e beneficenza. 11. Prerequisiti e fattori abilitanti “Non è la vittoria che conta bensì la tenacia e il coraggio coi quali abbiamo lottato” – Santa Teresa di Gesù Bambino Per poter essere messo in opera, il barbapapa model richiede un ampio set di requisiti e di fattori abilitanti che non sono semplici da rinvenire, tutti insieme, nelle organizzazioni e, allo stesso tempo, non sono di immediati o rapidi acquisizione, realizzazione o sviluppo. Tra i molti prerequisiti e fattori abilitanti, senza che vi sia necessariamente un indirizzo di priorità, si ritiene di dover richiamare i seguenti. Anzitutto servono una buona dose di capacità di ascolto e umiltà in quanto bisogna riconoscere che benchè si abbiano “pezzi di soluzione” non si ha mai la soluzione completa e perfetta ad un problema. L’approccio va ogni volta adattato e costruito su misura a partire dall’ascolto e dall’esame del problema e della necessità ed essendo consapevoli di non sapere tutto e di non saper fare tutto … ma di poter certamente trovare chi lo sa e/o lo sa fare. L’umiltà, talora, si concretizza – come detto – anche nel fatto e nella capacità di contribuire alla soluzione, magari in modo determinante, sapendo rimanere dietro le quinte, operando nell’ombra. Per ipotizzare, identificare, scegliere e comporre i “pezzi” di soluzione più pertinenti ed integrarli nel modo più pertinente in relazione alla necessità specifica, è poi richiesto un grande senso pratico ed un continuo approccio pragmatico. L’obiettivo non è fare teoria ma far succedere le cose. Bisogna poi avere una certa quantità di coraggio, a volte finanche di audacia, per prendere in mano ed affrontare sistematicamente e continuamente problematiche che, per loro natura, non sono mai identiche ad altre. Ogni volta il tema è nuovo, almeno a
guardarlo nella sua interezza. A volte, a seconda delle circostanze, il coraggio (o l’audacia) può essere molto importante perché, per la buona riuscita dell’iniziativa, potrebbe essere necessario “metterci la faccia” ed essere capofila oppure essere pronti ad andare controcorrente, a rischiare di apparire “anticonformisti”. Ci vogliono poi grandi resistenza e capacità di mettersi continuamente in discussione perché, appunto, si deve cambiare ogni volta forma. Magari anche di poco, magari anche solo al margine, ma anche quel piccolo mutamento e quella continua esigenza di mutare, non sono “gratis”. Richiedono impegno, costanza, tenacia ed energia. Affinché sia riconosciuto valore a questo continuamente cangiante modello, è essenziale la credibilità dell’intero impianto. La credibilità, nella nostra concezione, può solo essere conseguenza dei risultati portati, delle “cose fatte succedere”. Per poter funzionare, il barbapapa model ha bisogno poi di un’ampia capacità ed infrastruttura di cooperazione, basata su relazioni di valore, costruite nel tempo secondo una logica di “catena di reputazione” che condivide principi e valori. In questo approccio cangiante ed olistico allo stesso tempo, è impensabile poter fare tutto da soli. Bisogna cooperare con altri, secondo un principio multi-specialistico. Ma non basta mettere insieme specializzazioni. Quella è, forse la parte più facile. Bisogna saper fare operare insieme (quindi co-operare) le specializzazioni. Inoltre, non tutti i soggetti, non tutti gli specialisti, non tutte le “fabbriche di prodotto/ servizio” hanno lo stesso livello di efficacia, di concretezza e/o comunque non hanno quei livelli di efficacia e di concretezza che il modello, per sussistere, richiede. E, così, è solo nel corso del tempo e delle esperienze concrete che si riesce a costruire una rete di relazioni di valore in grado di sostenere quella che definiamo la “catena di reputazione” (reputation chain) che è alla base del barbapapa model. Per così dire, è necessario che tutti gli anelli della catena siano caratterizzati da un “valore di reputazione” maggiore o uguale al valore medio dell’intera catena. E che lo mantengano nel tempo. In modo che ogni elemento aggiunga valore al tutto, o quantomeno – certamente – non lo indebolisca. Il valore della catena di reputazione va, sistematicamente, presidiato. Inizialmente con l’esercizio di un monitoraggio proattivo. Nel tempo, poi, è la stessa catena che si auto- monitora in quanto diventa interesse di tutti presidiarne il valore complessivo. E lo stesso ‘operare concreto” la tempra nel continuo. Tra gli elementi essenziali, decisamente fattori abilitanti il modello, vi sono le persone che lo compongono e lo esercitano. Sono necessarie persone che siano in grado di reggere, e ancor meglio di promuovere, l’adattamento continuo; esprimendo proattività e capacità di ascolto, di costruzione e valorizzazione di relazioni, di cooperazione ed attivazione di competenze, assoluta fairness e trasparenza, oltre che deciso focus sui risultati e sulla soluzione dei problemi.
Difficile, anche se non impossibile, trovare persone che già incarnino ‘nativamente’ tutti questi elementi. Va certamente delineato, anche qui in modo adattivo sulle diverse situazioni di partenza di ciascuno, un percorso “costruttivo”, per così dire ‘maieutico’, che integri elementi di formazione tradizionale con building-up esistenziale nel lavoro, nell’operatività quotidiana, nel concreto della vita. Ciò per fare in modo che ciascuna persona, al proprio livello e secondo le proprie attitudini, diventi un valido anello della catena di reputazione. Che, in questo modo, cresce. Il barbapapa model, per sua natura, deve poggiare su un modello operativo (processi e sistemi) decisamente agile. Per quanto riguarda i sistemi, è da prevedere un ampio utilizzo di strumentazione digitale, costruita ed evoluta nel continuo secondo approcci agili. Preferibilmente gli sviluppi saranno in carico o a team interni o a team riconducibili a soggetti che rappresentano un anello della catena di reputazione. In modo che possano intervenire velocemente e secondo standard ed indirizzi adeguati. È sottinteso che i team saranno misti/ integrati di tecnici e di persone di business. Con riferimento ai processi, deve essere assicurato il delicatissimo equilibrio tra ordine e scalabilità, da un lato, e totale adattabilità dall’altro. Penso che la soluzione a questo risieda, più che nei processi in sé, soprattutto nell’intelligenza emotiva delle persone che devono esercitare tali processi. Arriviamo infine ad un elemento che potrebbe sembrare “ossimorico” rispetto alla fluidità del modello barbapapà ma che è assolutamente essenziale al funzionamento dell’intero costrutto. Il barbapapa model poggia su impianti legali e contrattuali solidi ma, al contempo, innovativi. Anche dal punto di vista legale e contrattuale, devono essere identificati professionisti e soluzioni in grado di (e con la rara attitudine a) adattare prassi e modelli consolidati a problemi nuovi e mutevoli. Ciò sia con riferimento all’identificazione e costruzione di soluzioni alle problematiche che si presentano, sia in relazione alla tenuta, nel continuo, del sistema stesso di relazioni su cui poggia il modello.
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