ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE - TRIESTE SEZIONE DEL CLUB ALPINO ITALIANO
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ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE – TRIESTE SEZIONE DEL CLUB ALPINO ITALIANO Commissione TAM – Tutela Ambiente Montano 18° Corso anno 2018/19 ASPETTI STORICO-NATURALISTICI DEL BOSCO BAZZONI E DELL’AMBIENTE CIRCOSTANTE PREMESSE L’escursione si svolge immediatamente a meridione di Basovizza/Bazovica, nella zona compresa fra la S.S. N. 14, proveniente da Trieste e che conduce al valico confinario di Pesek e, ancor più a sud, dalle due vaste cave, “Italcementi” e “Scoria”, intervallate da un’accentuata e digradante ripida landa rupestre (“Stene”, “Breške stene” e “Čukova stena”). Quest’ultima è costellata da impervie emersioni rocciose, talvolta a spettacolare pinnacolo, con panoramici strapiombi sulla località di San Giuseppe/Ricmanje. L’ampia plaga, oggetto dell’escursione e nota localmente come “Kotlice”, è rappresentata, in buona parte, da vasti ed ariosi prativi ondulati, ancora regolarmente curati e falciati, nei quali s’avvalla qualche dolina, di non accentuata profondità, come ad esempio quella, relativamente riposta, in località “Nadočice”, o l’altra denominata “Črbenjak”, ubicata poco a sud della Foiba di Basovizza. Generalmente queste depressioni includono, sotto l’aspetto vegetazionale, alcune specie di gran pregio floristico che, in tutta la regione carsica, trovano solamente in questi luoghi le condizioni meteoclimatiche ottimali per potersi sviluppare in modo fiorente. Esse possono inoltre accogliere autentici “Patriarchi Arborei”, quali vetusti cerri (Quercus cerris), annosi roveri (Quercus petraea) ed aceri minori o trilobi (Acer monspessulanum), come ad esempio quello, veramente imponente e secolare (circa 220 anni d’età) che rientra a ragione nei modelli arborei (“I Grandi Alberi”) segnalati nel Friuli Venezia Giulia. L’esemplare s’erge, assai rigogliosamente, per un’altezza di quasi 15 m, denotando una circonferenza di circa 2,40 m, al N. 294 di Basovizza. Scarsamente qui presenti, a differenza di quanto succede negli altri dintorni di Basovizza e di San Lorenzo, sono peraltro le raccolte d’acqua. Mancano gli stagni veri e propri per cui, per l’abbeverata della fauna selvatica locale, sono state realizzate delle raccolte artificiali (vasche di cemento) oppure interrate vasche da bagno. Infrequenti risultano pure le dimore temporanee agro-pastorali, chiamate più precisamente “capanne in pietra a secco” e localmente note come “Partirške hiške” Esse appaiono molto più diffuse nelle altre adiacenze della località, come ad esempio nel Bosco Igouza, alle falde del Cocusso o verso Gropada, a volte restaurate o realizzate ex novo, con grande perizia, dal raffinato artista Vojko Ražem. Pochi risultano anche i fenomeni ipogei, seppur piuttosto conosciuti, quali il bistrattato “Pozzo dei Colombi” (42/33 VG), la “Cavernetta a Sud-Ovest di Basovizza” (825/3474 VG), la “Grotta sopra la Chiusa” (47/44 VG), e la “Grotta Nera” (43/140 VG) nella “Particella” del Bosco Bazzoni/Borovec. Si rammenta inoltre che proprio in questa plaga, a poche decine di metri a sud-est dalla strada statale N. 14, dopo la doppia curva e quasi accanto al Sentiero N. 1, s’apre (q. 368 m) l’ingresso alto della “Grotta Impossibile” (ARVA 1, 6800/6300 VG). Dall’altra parte della strada, ad una sessantina di metri, è situata la “Grotta del Bosco dei Pini” (16 R/18 VG, “Jama na Župnici”, “Jama na Gabrijeh”, “La 18”, la più classica delle grotte triestine). La fascia di territorio che s’estende a sud-ovest di Basovizza e che, sfiorando continuativamente la cava “Italcementi”, conduce al Bosco Bazzoni, è opportunamente costellata dalla segnaletica che invita a raggiungere la riposta “Particella”. Inoltre, nei punti strategici, essa offre all’escursionista una variegata ed esaustiva gamma di pannelli illustrativi riguardanti gli aspetti storici e naturalisti del luogo. Inoltre, piantati al suolo, sia in tempi recenti che in quelli passati, si possono individuare numerose stele e cippi di vecchi confini. Alcuni, quelli più datati, presentano incisi numeri romani (ad esempio, VI, VII, VIII); altri, di dimensioni ridotte e di più recente posizionamento, hanno l’indicazione regionale con un numero progressivo (dal N. 1 sino al 70 ed oltre). LA SORPRENDENTE DOLINA IN LOCALITA’ “NADOČICE” Mirabile appare, sotto l’aspetto vegetazionale, questa riposta ed ampia dolina che, circondata d’ariosi e pianeggianti distese prative, s’avvalla in località “Nadočice”. A partire dalla stagione primaverile, e sino a quella tarda autunnale, essa offre una vasta e pregiata gamma d’entità botaniche che raramente si possono rinvenire, così armoniosamente riunite, in altri siti del Carso triestino. Ed è soprattutto il pur ridotto versante meridionale, esposto a settentrione, ad offrire – oltre a quelle tipiche ed usuali, ma sempre distintive - alcune specie del tutto infrequenti
sull’altipiano. Così si susseguono, nell’arco dell’anno, le fioriture della latrea (Latraea squamaria), della speronella (Delphinium fissum), della valeriana tuberosa (Valeriana tuberosa), dell’euforbia dolce (Euphorbia dulcis), dell’elabro nero (Veratrum nigrum) e del cerfoglio bastardo (Chaerophyllum aureum). All’esterno della dolina, un centinaio di metri ad ovest di essa, ancora presente seppur ridotta, esiste una stazione del rarissimo ranuncolo illirico (Ranunculus illyricus). Questa entità, molto elegante e soffusa da una mirabile tomentosità argentea e contraddistinta da fiori di colore giallo zolfino, appare ormai in via d’estinzione dal territorio carsico ed esiste ancora solamente in rarissime località carsiche (fra Basovizza e Pesek). A proteggere il prezioso versante dolinare s’ergono, imponenti, alcuni esemplari di cerro (Quercus cerris) e di rovere (Quercus petraea) che infondono, a tutto l’ambiente, una gradevole ed arcana pacatezza d’animo. IL “POZZO DEI COLOMBI DI BASOVIZZA” (42/33 VG) Il “Pozzo dei Colombi di Basovizza” (42/33 VG, localmente “Vojska” o “Vojaska jama”, “Jama v Kotelcah”) s’apre, nella landa ormai ben incespugliata, poco distante dall’evidente pilo dell’Elettrodotto. Attualmente esso è recintato e parzialmente mascherato dalla vegetazione (pini neri, frassini, scòtano). Di conseguenza, è possibile solo in parte rendersi conto della profondità e della vastità della grotta. Nonostante le opposizioni di molti Gruppi Speleologici, essa è stata riempita, in passato, con l’immissione di terra e di rifiuti di ogni genere: pertanto la cavità, che era una delle più note e frequentate dei dintorni di Basovizza, non è più agevolmente accessibile. E’ stata parzialmente bonificata nel 1996 nell'ambito del Programma Interregionale relativo al Piano di risanamento del bacino del Fiume Timavo. Il dislivello complessivo della cavità è di 72 m con uno sviluppo globale di 115 m. Essa fu rilevata, inizialmente, da Eugenio Boegan (Commissione Grotte “E. Boegan”) il 13.08.1893. Un successivo aggiornamento, datato 14.3.2005, fu eseguito da Giuseppe Baldo, pure della CG.E.B.. LA “CAVERNETTA A SUD-OVEST DI BASOVIZZA” (825/3474 VG) L’ipogeo in oggetto si trova in un piccolo ma marcato avvallamento di crollo, non distante dalla linea ad alta tensione che collega la zona industriale a Padriciano, ed in prossimità della carrareccia proveniente dalla Strada Statale N. 14 (biforcazione all'altezza della “Grotta nel Bosco dei Pini”, 16/18VG). Essa è accessibile da due ingressi: quello più ampio si trova sul versante orientale della dolinetta, nella quale si può agevolmente accedere mediante alcuni rozzi gradini calcarei nascosti dalla vegetazione. L’ingresso della caverna, con a lato un rigoglioso esemplare di fico (Ficus carica), è largo 6m ed alto 2 m; una breve pendenza porta in un'ampia stanza dalle pareti annerite, sormontata da due camini che sembrano chiusi. Un’erta ascesa tende invece al secondo ingresso, dall'imboccatura alta 90 cm e larga un paio di metri; una doppia ripida china, risalendo una trincea probabilmente artificiale e perigliosa per il distacco di pietre, si materializza sul vicino prativo. Il tratto di trincea più meridionale termina dinanzi ad un cunicolo, attualmente non accessibile, lungo poco più di un metro e alto pochi decimetri. Nella cavità si possono notare tracce di scavi. Il ridotto avvallamento, antistante l’imbocco della cavernetta, è interessante sotto l’aspetto botanico. Infatti vi si sviluppano un paio di esemplari, ormai dall’aspetto arboreo, di tasso (Taxus baccata), con tutta probabilità inseriti parecchi decenni addietro. Attualmente essi si sviluppano con buona vigorìa vegetativa conferendo all’ambiente un senso di sereno distacco dalla frenetica quotidianità. PUNTO PANORAMICO CONTRADDISTINTO DA UN PITTORESCO “PINO SOLITARIO” A breve distanza dalla precedente cavernetta, continuando a salire per poche decine di metri verso la morbida sommità del rilievo che ascende lateralmente, si giunge al cospetto di un unico esemplare di pino (Pinus nigra) che, inconfondibile e pittoresco, si staglia nell’ariosa landa circostante, permeata, nella precocissima stagione primaverile, da un continuativo strato della pungente sesleria sottile (Sesleria juncifolia). Ci si può allora qui opportunamente soffermare per alcuni minuti, soprattutto per godere dell’ampio e sorprendente panorama che il luogo offre, con grande appagamento, alla vista del curioso ed attento escursionista. Si possono così ben riconoscere l’abitato di Basovizza, sotto un’inattesa angolazione e, quindi, una nutrita gamma di rilievi vicini e lontani, che s’ergono entro ed oltre il confine di Stato, e ben noti al gitante triestino. Si procede quindi, raggiungendo in breve il Sentiero Segnavie N. 1 con la marcata deviazione che tende alla “Particella Sperimentale” del Bosco Bazzoni ed alla “Grotta Nera” che vi sprofonda. Si avrà modo, durante l’avvicinamento, d’individuare alcuni cippi confinari in serie, in parte storici e contrassegnati da numeri romani (VI, VII) ed in parte di recente posizionamento, a cura della Regione. Disseminate lungo il tragitto, che si svolge in un’ombrosa boscaglia contraddistinta d’alcuni esemplari d’abete
greco (Abies cephalonica) d’impianto, si trovano ubicate numerose tabelle illustrative che lumeggiano gli aspetti storico-naturalistici (flora e fauna) del Bosco Bazzoni e della “Particella” che esso include. LA “PARTICELLA SPERIMENTALE” DEL “BOSCO BAZZONI” Un particolare ambiente, in cui sono conservate numerose essenze arboree di gran pregio storico e naturalistico, è quello che si trova nei pressi di Basovizza, sul Carso triestino, e che viene notoriamente chiamato “Particella Sperimentale” del Bosco Bazzoni, proprio in onore del Podestà Riccardo Bazzoni, sotto la cui Amministrazione fu promossa la Legge d’Imboschimento. Già in passato l’ambiente era adibito a zona nella quale si sperimentavano piantagioni e tecniche di coltivazione, soprattutto di conifere esotiche, quali ad esempio d’abete greco (Abies cephalonica), d’abete rosso (Picea abies), di cedro (Cedrus deodara, C. atlantica), di tasso (Taxus baccata) e del pino nero austriaco (Pinus nigra). Vi venivano selezionate le essenze che meglio si sarebbero adattate al clima locale. Della “Particella”, contrassegnata con il N. di Cat. 1140 TAV. 2 di Basovizza, si hanno notizie, per la prima volta, nel 1892. Sul cippo calcareo che testimonia l’esistenza del comprensorio boschivo, oltre alla data 1894, vi è inclusa quella del 1888, che può essere con tutta probabilità riferita alla nascita del comprensorio stesso. Dopo varie ed alterne vicende, culminate nel 1970 con la distruzione del bosco (scomparvero ben 200.000 mq), in seguito all’apertura di una cava (concessione da parte dell’allora Ispettorato delle Foreste alla Fabbrica Italcementi), tre soci del Gruppo Speleologico San Giusto, Eliseo Osualdini, Pino Sfregola e Sergio Peschier, proponevano nel 1978 la salvaguardia di ciò che rimaneva del Bosco Bazzoni. L’anno seguente (1979) essi ottennero tale concessione dal Comune di Trieste e dall’Azienda delle Foreste. Così la Particella venne ripristinata, mantenuta in efficienza e valorizzata con opere di manutenzione. Furono realizzati alcuni pittoreschi percorsi per i frequentatori che potevano così visitare i più tipici ambienti carsici, nei quali si sviluppavano le specie maggiormente significative del territorio. Della cura dell’appartata “Particella” si adoperò in vario modo ed in massima parte, per parecchi decenni, Eliseo Osualdini, autentica memoria storica e della “Particella” (nell’immagine qui a destra), affiancato dal Gruppo Speleologico San Giusto, sodalizio che, dopo la scomparsa del vecchio botanico-filosofo, prese interamente in gestione l’istituzione, impreziosita inoltre dalla presenza, al fondo di una dolina, di una cavità, la Grotta Nera (Caverna delle Selci, Grotta dei Lebbrosi, 43/140 VG). Fra le ulteriori specie che si sono conservate nel tempo, nella Particella, si ricordano in particolare Chamaecyparis lawsoniana, Quercus petraea, Q. cerris, Fraxinus excelsior, F. angustifolia, Phyllirea latifolia e Laburnum anagyroides. Da quanto esposto, si può dedurre come la provincia di Trieste, fin dai tempi passati, abbia avuto una gran cura per la flora e la vegetazione locale, tramite le numerosissime istituzioni storiche, naturalistiche e scientifiche che, in vario modo, hanno contribuito a conservare nel tempo le numerose entità, anche di gran pregio botanico, che essa include nei suoi variegati e singolari ambienti. LE FELCI NELLA “PARTICELLA SPERIMENTALE” Nella Provincia di Trieste le Felci (Ordine Filicales) sono attualmente presenti in una ventina abbondante di specie. Tre di esse, l’erba rugginina (Asplenium trichomanes), la cedracca comune (Asplenium ceterach=Ceterach officinarum) e la ruta di muro (Asplenium ruta-muraria), sono largamente diffuse, sviluppandosi sia nell’ambito del comprensorio cittadino che, in maggior misura, in quello periferico e carsico. Asplenium trichomanes risulta, in particolare, la felce più frequente in assoluto nel territorio e ciò vale anche le cavità dell’altipiano, comparendo in tutte quelle d’interesse speleobotanico, che sono ora più di 150, sulle circa 2500 attualmente catastate (6 %). Pure diffuso, ma limitatamente alle zone più termofile del territorio e talvolta pure agli ingressi delle cavità del Carso nord- occidentale più basse, risultano invece Asplenium ceterach ed Asplenium ruta- muraria. Comportamento poi abbastanza analogo a quest’ultima felce è quello evidenziato dall’asplenio adianto nero (Asplenium adiantum-nigrum), ma con un maggior grado sia di termofilia che di rarità. Un gruppo di altre felci, comprendente il capelvenere (Adiantum capillus-veneris), l’asplenio gentile (Asplenium lepidum), la felce femmina (Athyrium filix-femina), la felce maschio (Dryopteris filix-mas), il polipodio meridionale (Polypodium cambricum/cambricum), la felce dilatata (Dryopteris dilatata), la felce setifera (Polystichum setiferum) e la felcetta fragile (Cystopteris fragilis) risultano invece molto rare, se non del tutto straordinarie, e conosciute soltanto per poche, o addirittura singole, stazioni del territorio. Qualcuna di esse colonizza eccezionalmente cavità carsiche. Altre Filicales infine, come la lingua di cervo (Asplenium scolopendrium), trovano il loro habitat esclusivamente in una quarantina di cavità carsiche (ma dalle quali tendono generalmente e progressivamente a rarefarsi, soprattutto a causa della variazione climatica in atto) e qualcun’altra ancora, come la felce aculeata
(Polystichum aculeatum), oltre che ad essere presente in una cinquantina di cavità dell’altipiano triestino, la si può individuare in pochi altri ambiti del territorio, comunque condizionati a microclimi rigorosamente specifici. Relativamente frequenti appaiono, per contro sia la felce dolce (Polypodium vulgare), spesso sviluppantesi alla base dei tronchi delle essenze costituenti sia la boscaglia carsica- illirica che il bosco avanzato (in prevalenza a querce), sia il polipodio sottile (Polypodium interjectum), di dimensioni anche ragguardevoli e generalmente legato a pendii scoscesi di doline di crollo piuttosto profonde od a pareti strapiombanti di baratri, pozzi e voragini carsiche. In alcuni ambienti acidificati del Muggesano e del carsico Col dell’Agnello, a nord di Sgonico, trova talora favorevoli condizioni di crescita la felce aquilina (Pteridium aquilinum). Indagini e sopralluoghi, effettuati a più riprese nella “Particella Sperimentale” del Bosco Bazzoni, allo scopo d’individuare le felci che in esso si sviluppano, hanno consentito di rilevarne sei specie e precisamente: l’asplenio tricomane (Asplenium trichomanes), la ruta di muro (Asplenium ruta-muraria), la cedracca comune (Asplenium ceterach), la lingua di cervo (Asplenium scolopendrium), la felce maschio (Dryopteris filix-mas) e la felce dolce (Polypodium vulgare). PARTICOLARITA’ DELLA “PARTICELLA SPERIMENTALE DEL BOSCO BAZZONI” LA “GROTTA NERA” - La “Particella Sperimentale” del Bosco Bazzoni include numerose particolarità, sia morfologiche (epigee ed ipogee) che naturalistiche, alcune delle quali sono ben conosciute dai solerti frequentatori dell’appartato e singolare ambiente. Fra queste, la “Caverna di Basovizza” (43/140 VG, nota anche localmente come “Pečina”, “Caverna delle Selci”, “Grotta dei Morti” e “Caverna dei Lebbrosi”). La cavità, la cui imboccatura s’apre alla quota di 396 m, è profonda 30 m con uno sviluppo d’una sessantina scarsa di metri; è dotata d’un pozzo interno di circa 6 m. Il primo rilievo fu opera di Silvio Kobau, il 13 agosto 1893. Una successiva revisione fu eseguita da Dario Marini e Mario Galli il 13 ottobre 1967 ed un aggiornamento più recente venne effettuato da M. Anselmi, Fu. Forti e R. Semeraro nel 2001. La caverna fu inizialmente indagata da L. K. Moser ed il deposito può essere fatto risalire all’epoca Neolitica. Nel 1912 Raffaello Battaglia mise alla luce numerose selci, un lisciatoio d’arenaria ed uno zufolo ricavato da una falange d’ovino. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale nella caverna furono fatti esplodere (dal Gruppo Rastrellatori bombe e mine) alcuni residuati bellici e tale fatto provocò lo stravolgimento del tratto iniziale e della volta del vacuo. Attualmente la caverna è chiusa da un robusto cancello ma è possibile usufruire di visite guidate, previa prenotazione, oppure recandosi all’ingresso ogni prima domenica del mese con cadenza oraria. All’interno sono state ricostruite quattro stazioni preistoriche relative a frangenti di vita d’epoche diverse: Paleolitico Inferiore, P. Medio, Mesolitico e Neolitico. Sulla cavità esiste una ricchissima bibliografia cui chi è interessato può ampiamente conformarsi. ASPETTI BOTANICI E NATURALISTICI - La depressione che include la “Grotta Nera” è molto interessante sotto l’aspetto botanico, soprattutto nella precoce stagione primaverile. Vi si possono individuare numerose specie dell’ambiente fresco ed umido dolinare, con qualche specie veramente eccezionale, come ad esempio la sassifraga dei muri (Saxifraga petraea), posta qui a dimora parecchi decenni addietro da Eliseo Osualdini. Ebbene, essa è tuttora presente in un paio di stazioni ed è riconoscibile dalle tipiche foglie basali, palmato-tripartite che, in numero consistente, fuoriescono da alcune fessurazioni della parete antistante l’ingresso della grotta. Quest’entità, che per poco vegeta al di fuori de Carso triestino, si trova infatti in vari complessi ipogei del territorio carsico sloveno (Postumiese, Circonio, Rio dei Gamberi, San Canziano) raggiungendo la minor distanza dai confini nazionali nell’Antro del Monte Chislizza (“Perkova Pečina”, 3308 VG/ 1361 S), ad est della località di Sesana/Sežana. Tale ipogeo si trova infatti a soli 4 km, in linea retta, dal territorio italiano, rappresentato dal Monte Franco, fra Trebiciano e Gropada. Sempre più raramente questa pianta fiorisce nella “Particella”: eccezionalmente, quando ciò avviene, è possibile allora ammirare la corolla dai petali bianchi candidi, allargati verso l’alto e più o meno bilobi. La depressione, nel versante esposto a sud, ospita invece alcune specie dai connotati termofili, mediterranei, quali ad esempio la fillirea (Phyllirea latifolia), il leccio (Quercus ilex) e l’euforbia di Wulfen (Euphorbia wulfenii). Se si esce dalla dolina e si scende nell’avvallamento di maggiori dimensioni attiguo, si ha l’occasione di individuare uno stagno. Contrassegnato dal N. di Catasto 116 (3.o Contributo relativo a “Gli stagni della Provincia di Trieste” (1985). L’origine della conca in cui si trova lo stagno risulterebbe dovuta al
prelievo, in tempi passati, di terra rossa argillosa. Per un periodo l’acqua scomparve e ciò era, con tutta probabilità, dovuto al progressivo avanzamento della vicina cava che avrebbe provocato nuove fessurazioni e disostruito altre che tamponavano l’acqua della raccolta acquea. In tempi più recenti il fondo del bacino è stato consolidato ed è pertanto possibile ora apprezzare il considerevole e grazioso stagno. In questi ultimi tempi è stato inoltre rimosso un grosso tronco che, trasversalmente, occupava la superficie acquea causando qualche problema nel doverlo superare. Tutto l’ambiente è permeato da una grande serenità: sono state apposte alcune panchine per poter sostare e godere di questa tranquilla e riposta oasi naturale. Accanto, a pochi metri di distanza, s’ergono parecchi maestosi esemplari di abete greco (Abies cephalonica) e di cedro dell’Atlante (Cedrus atlantica). Numerose tabelle esplicative, opportunamente disposte, illustrano esaurientemente le vicende storico-naturalistiche della “Particella”. ULTERIORI PARTICOLARITA’ Usciti dalla “Particella” dal varco volto a meridione e sfiorando la cava (cippetto N. 1) per uno stretto passaggio, si giunge quasi subito sull’aspro ciglione calcareo in prossimità di un notevole pilo dell’elettrodotto. Questo luogo, oltremodo aperto, costituisce un vasto punto panoramico soprattutto verso sud-est. La vista infatti spazia oltre che sulla sottostante cava “Scoria”, su Sant’Antonio in Bosco/Boršt, sul monte San Michele e su gran parte della Val Rosandra. Ben evidente appare il Monte Carso/Vrh Griže ed i rilievi retrostanti, ormai in Slovenia, di maggior altitudine. Più a destra l’occhio abbraccia le località di Bagnoli della Rosandra/Boljunec, di Dolina e di Caresana/Mačkolje e quindi la piana, dall’atmosfera ancestrale, che s’estende sotto San Giuseppe della Chiusa/Ricmanje ed, in lontananza, il Monte d’Oro. Si prosegue quindi verso ovest seguendo un sentiero che tende verso la cava “Italcementi”. E’ allora possibile deviare leggermente sulla sinistra, in lieve declivio ove la landa rupestre, ricca d’emersioni, mostra tutto il suo fascinoso splendore. Numerose sono le specie tipiche di quest’ambiente che, armoniosamente, s’avvicendano nel corso delle stagioni e che sono impreziosite dall’odorosa salvia (Salvia officinalis), in evidente espansione in questi ultimi tempi. Il panorama muta e si possono allora ben individuare il “Canale Navigabile” d’Aquilinia, le località del Muggesano e la costa con la “Punta Sottile”, la “Punta Grossa” e Pirano in lontananza, con i vari monti di Capodistria a fungere da cornice. Non mancano le discutibili Torri di Cattinara ed il complesso di Melara con alcuni sobborghi di Trieste (Valmaura) ed, in fondo, la distesa marina con il castello di Duino. Ed è sul margine più basso (che non s’affronterà, in quanto relativamente esposto), che si trovano alcune spettacolari emersioni calcaree e forma di pittoresco pinnacolo. In una posizione aerea, a strapiombo, è inoltre posto il “Cippo Boschivo VII”, che s’avrà modo d’apprezzare solamente durante la proiezione in sede. Il ritorno avviene sfiorando in breve la cava “Italcementi” (con qualche scorcio “lunare”), transitando nei pressi della “Particella” e scendendo verso la Foiba di Basovizza, immersi nell’ampia distesa prativa nota localmente come “Njivice”. Una breve sosta al Cippo che ricorda Josef Ressel (1793 – 1857) e si è, in capo a qualche minuto, al parcheggio dal quale s’era iniziata, nella prima mattinata, l’escursione naturalistica. ELIO POLLI martedì 5 marzo ore 18.00 in sede XXX incontro di approfondimento del tema domenica 10 marzo – Escursione a Basovizza – con mezzi propri programma: ore 8,00 – ritrovo in piazza Oberdan e formazione equipaggi ore 8.30 – ritrovo al parcheggio presso la Foiba (esattamente di fronte al Campo Sportivo Zarja) ore 8.45 – inizio dell’escursione didattica-naturalistica in direzione della “Particella Sperimentale” del Bosco Bazzoni ore 13.30 circa – conclusione dell’uscita – a seguire pranzo facoltativo a Lokev (SLO) rist. AMBASSADOR quota di partecipazione per i Soci CAI non iscritti al 18° Corso TAM: 5 € per i non soci CAI 14 € comprese le assicurazioni infortuni e Soccorso Alpino
RICORDO DI ELISEO OSUALDINI (1923 – 2009) Nella triste notte dello scorso 18 dicembre è venuto a mancare, all’età di 86 anni ed in seguito ad una lenta ma inesorabile malattia, che lo aveva oltremodo svigorito sino a fargli perdere, negli ultimi tempi, la volontà di continuare a vivere, Eliseo Osualdini. Apparteneva egli, a buon diritto, a quella genuina schiera di appassionati botanici che la città di Trieste aveva più volte annoverato fra i suoi illustri cittadini. La profonda e veemente passione per la botanica, la scientia amabilis per eccellenza, gli era germogliata e poi esplosa fin dalla giovane età, allorché aveva iniziato ad indagare palmo a palmo l’aspro territorio che gli aveva dato i natali, alla caparbia ricerca e determinazione delle piante e dei fiori che impreziosivano i variegati ambienti della sua terra. Era nato il 2 marzo 1923 a Meduno, all’inizio della selvaggia Val Tramontina, in un ambiente difficile e privo di agi, dove trascorse la sua prima gioventù. Trasferitosi quindi a Trieste, si unì felicemente in matrimonio nel 1948. Lavorò per diversi anni in uno storico locale del centro (la “Chianti e Fossi” non più esistente), per poi impiegarsi alla Snia, ove fu dipendente per un ventennio, sino all’età della pensione, conseguita a 60 anni. Continuava intanto, imperterrito e sviscerato, l’amore per le piante. Acquistata, non senza sacrifici, un’efficientissima macchina fotografica, Eliseo aveva iniziato ad immortalare con rara maestria le splendide e più venuste specie vegetali, non trascurando nel contempo quelle più umili che, di norma, rimangono obsolete dagli studiosi di botanica. Nutriva una spiccata predilezione soprattutto per le orchidee, autentiche regine del mondo vegetale. Memorabili sono, a tale proposito, le scoperte all’inizio della stagione primaverile di tali preziose entità in alcuni fra i più riposti siti del giardino annesso alla Scuola Caprin, di cui ero docente, nel rione di Valmaura alla periferia di Trieste. Una volta giunto a scuola, ove pazientemente mi aspettava, mi conduceva con un entusiasmo di rara intensità diritto sul luogo affinché ammirassi, assieme a lui, gli esemplari di Ophrys holoserica e apifera in piena antesi. Ed intanto, attingendo dalla sua profonda esperienza e richiamandosi alla sua proverbiale saggezza, mi ragguagliava, con esaltanti ricordi ed inediti aneddoti, sulle sorprendenti vicissitudini del mondo vegetale, aprendomi gli occhi ad un mondo nuovo ed insospettato. Una volta sfiorite, le orchidee venivano “ricordate” da cartellini numerati e datati che Eliseo aveva portato con sé, interrandoli nel punto preciso così da individuarne immediatamente l’ubicazione l’anno seguente. Ero dunque in presenza di un autentico ed ammirevole feeling fra il “vecchio saggio” e le tanto amate orchidee. Finché le condizioni di salute glielo permisero, lo si vide scendere ogni giorno dalla sua vicina abitazione, pure rigogliosamente compenetrata nel verde, sino alla scuola, sostenendosi pian piano al suo fido bastone ricavato da un robusto corniolo. Era qui come uno di casa, una vera istituzione, benvoluto da tutto il personale scolastico: per ore e ore scompariva, immergendosi nelle cure improrogabili del giardino che appariva, al visitatore, un autentico gioiello botanico in ogni frangente dell’anno. Del tutto interessanti ed imperdibili erano, all’occasione, le sue lezioni o le semplici chiacchierate in classe: aveva l’innata capacità di incuriosire gli allievi che lo ascoltavano in silenzio e con la massima attenzione ponendogli alla fine domande a raffica cui l’acuto “filosofo della botanica” rispondeva sempre con entusiasmo ed in modo esauriente. Ma già negli anni precedenti Eliseo Osualdini aveva avuto a che fare con i giardini e gli ambienti botanici. Innanzitutto con “Carsiana”, ove alla fine degli Anni ‘70 si aggiunse ai tre fondatori, collaborando con grande passione ed esperienza sia all’arricchimento floristico sia all’esaustiva documentazione fotografica. Soprattutto nei primi periodi, fisicamente ancora integro, trascorreva intere giornate in piena armonia con quell’incredibile oasi carsica, impreziosita dalle numerose specie che vi si sviluppavano a loro agio, sia sulle assolate rocce calcaree ammantate dalla vegetazione termofila, sia all’ombra dell’umida ed inquietante bocca della “Piccola Jablenza” (“Pozzo 211/162 VG, fra Gabrovizza e Sgonico). Un occhio di riguardo era comunque sempre rivolto alla raccolta della miriade di semi, di cui conosceva tutte le vicende germinative. Da “Carsiana”, Eliseo Osualdini passò, alcuni anni dopo (1978), alla cura della “Particella Sperimentale del Bosco Bazzoni” (846/3, 900 mq). Anche in questo ambiente, concesso nel 1979 dal Comune di Trieste e dall’Azienda delle Foreste, si dedicò tenacemente anima e corpo ed, in breve tempo, contribuirà in modo determinante a ripristinarlo ed a mantenerlo in efficienza, facendone un altro prezioso e singolare ambito naturalistico, visitato con grande piacere ed interesse da botanici, da escursionisti e da semplici amanti del verde nelle loro corroboranti visite all’altipiano carsico. Pure esso fu suddiviso nei vari ambienti vegetazionali, non mancando anche in questo caso quello ipogeo, rappresentato dalla “Grotta Nera” (“Caverna delle Selci”, “Grotta dei Lebbrosi”, 43/140 VG) nella quale, in tempi più recenti (il 21 ottobre 2006), veniva inaugurata la ricostruzione dell’ambiente in cui vivevano i nostri progenitori. Negli anni precedenti Osualdini aveva effettuato nella “sua” Particella la paziente cartellinatura delle specie vegetali ed arboree presenti, arricchendo l’ambiente con numerose massime, tratte dal suo quotidiano e perspicace repertorio filosofico, sulle quali il visitatore poteva ben riflettere. Era lì presente con qualsiasi tempo, anche nella piena stagione invernale, con violente bufere di neve: ne era testimone la Vespa parcheggiata in un ambiente candido e surreale, al margine della dolina con la grotta. Lo rievochiamo volentieri mentre, durante una visita con una scolaresca, additava ai ragazzi la cima di un maestoso abete greco colpito dal fulmine, spiegandone in maniera semplice e comprensiva tutte le cause di quell’evento naturale. Ci piace ancora ricordare come, con il suo eccezionale istinto botanico, negli anni ’80 avesse scoperto e fotografato nei dintorni di Poffabro (ad oriente del Monte Raut nelle Prealpi Carniche) una splendida sassifraga, la Saxifraga mutata, specie risultata in seguito nuova per la Flora friulana; questo suo ritrovamento consentì di dedurre interessanti valutazioni ecologiche e fitosociologiche nei confronti dell’entità stessa. Un signore d’altri tempi, dunque, Eliseo. Se n’è andato in silenzio, in punta di piedi, lasciando in chi lo conosceva a fondo una sincera mestizia ma anche la consapevolezza di aver frequentato una persona eccezionale nella sua semplicità, serenità e competente disponibilità. Ricorderemo sempre le sue lezioni, sia botaniche che di vita, intrise di lunga e saggia esperienza Da Elio Polli: “PROGRESSIONE 56” - Anno XXXII, N. 1 (Gennaio-Dicembre 2009): 204-205.
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