ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE - TRIESTE SEZIONE DEL CLUB ALPINO ITALIANO

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ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE - TRIESTE SEZIONE DEL CLUB ALPINO ITALIANO
ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE – TRIESTE
                           SEZIONE DEL CLUB ALPINO ITALIANO
                    Commissione TAM – Tutela Ambiente Montano
                              18° Corso anno 2018/19

 ASPETTI STORICO-NATURALISTICI DEL BOSCO BAZZONI E DELL’AMBIENTE CIRCOSTANTE
PREMESSE
L’escursione si svolge immediatamente a meridione di Basovizza/Bazovica, nella zona compresa fra la S.S. N. 14,
proveniente da Trieste e che conduce al valico confinario di Pesek e, ancor più a sud, dalle due vaste cave,
“Italcementi” e “Scoria”, intervallate da un’accentuata e digradante ripida landa rupestre (“Stene”, “Breške stene”
e “Čukova stena”). Quest’ultima è costellata da impervie emersioni rocciose, talvolta a spettacolare pinnacolo, con
panoramici strapiombi sulla località di San Giuseppe/Ricmanje. L’ampia plaga, oggetto dell’escursione e nota
localmente come “Kotlice”, è rappresentata, in buona parte, da vasti ed ariosi prativi ondulati, ancora
regolarmente curati e falciati, nei quali s’avvalla qualche dolina, di non accentuata profondità, come ad esempio
quella, relativamente riposta, in località “Nadočice”, o l’altra denominata “Črbenjak”, ubicata poco a sud della
Foiba di Basovizza. Generalmente queste depressioni includono, sotto l’aspetto vegetazionale, alcune specie di
gran pregio floristico che, in tutta la regione carsica, trovano solamente in questi luoghi le condizioni
meteoclimatiche ottimali per potersi sviluppare in modo fiorente. Esse possono inoltre accogliere autentici
“Patriarchi Arborei”, quali vetusti cerri (Quercus cerris), annosi roveri (Quercus petraea) ed aceri minori o trilobi
(Acer monspessulanum), come ad esempio quello, veramente imponente e secolare (circa 220 anni d’età) che
rientra a ragione nei modelli arborei (“I Grandi Alberi”) segnalati nel Friuli Venezia Giulia. L’esemplare s’erge, assai
rigogliosamente, per un’altezza di quasi 15 m, denotando una circonferenza di circa 2,40 m, al N. 294 di
Basovizza.
Scarsamente qui presenti, a differenza di quanto succede negli altri dintorni di Basovizza e di San Lorenzo, sono
peraltro le raccolte d’acqua. Mancano gli stagni veri e propri per cui, per l’abbeverata della fauna selvatica locale,
sono state realizzate delle raccolte artificiali (vasche di cemento) oppure interrate vasche da bagno. Infrequenti
risultano pure le dimore temporanee agro-pastorali, chiamate più precisamente “capanne in pietra a secco” e
localmente note come “Partirške hiške” Esse appaiono molto più diffuse nelle altre adiacenze della località, come
ad esempio nel Bosco Igouza, alle falde del Cocusso o verso Gropada, a volte restaurate o realizzate ex novo, con
grande perizia, dal raffinato artista Vojko Ražem.
                                    Pochi risultano anche i fenomeni ipogei, seppur piuttosto conosciuti, quali il
                                    bistrattato “Pozzo dei Colombi” (42/33 VG), la “Cavernetta a Sud-Ovest di
                                    Basovizza” (825/3474 VG), la “Grotta sopra la Chiusa” (47/44 VG), e la “Grotta
                                    Nera” (43/140 VG) nella “Particella” del Bosco Bazzoni/Borovec. Si rammenta
                                    inoltre che proprio in questa plaga, a poche decine di metri a sud-est dalla strada
                                    statale N. 14, dopo la doppia curva e quasi accanto al Sentiero N. 1, s’apre (q.
                                    368 m) l’ingresso alto della “Grotta Impossibile” (ARVA 1, 6800/6300 VG).
                                    Dall’altra parte della strada, ad una sessantina di
                                    metri, è situata la “Grotta del Bosco dei Pini” (16
                                    R/18 VG, “Jama na Župnici”, “Jama na Gabrijeh”,
                                    “La 18”, la più classica delle grotte triestine).
                                    La fascia di territorio che s’estende a sud-ovest di
                                    Basovizza e che, sfiorando continuativamente la
                                    cava “Italcementi”, conduce al Bosco Bazzoni, è
                                    opportunamente costellata dalla segnaletica che
                                    invita a raggiungere la riposta “Particella”. Inoltre,
                                    nei punti strategici, essa offre all’escursionista una
                                    variegata ed esaustiva gamma di pannelli
illustrativi riguardanti gli aspetti storici e naturalisti del luogo. Inoltre, piantati al
suolo, sia in tempi recenti che in quelli passati, si possono individuare numerose
stele e cippi di vecchi confini. Alcuni, quelli più datati, presentano incisi numeri
romani (ad esempio, VI, VII, VIII); altri, di dimensioni ridotte e di più recente
posizionamento, hanno l’indicazione regionale con un numero progressivo (dal N. 1
sino al 70 ed oltre).

                                                    LA SORPRENDENTE DOLINA IN LOCALITA’ “NADOČICE”
                                          Mirabile appare, sotto l’aspetto vegetazionale, questa riposta ed ampia
                                          dolina che, circondata d’ariosi e pianeggianti distese prative, s’avvalla in
                                          località “Nadočice”. A partire dalla stagione primaverile, e sino a quella
                                          tarda autunnale, essa offre una vasta e pregiata gamma d’entità
                                          botaniche che raramente si possono rinvenire, così armoniosamente
                                          riunite, in altri siti del Carso triestino. Ed è soprattutto il pur ridotto
                                          versante meridionale, esposto a settentrione, ad offrire – oltre a quelle
                                          tipiche ed usuali, ma sempre distintive - alcune specie del tutto infrequenti
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sull’altipiano. Così si susseguono, nell’arco dell’anno, le fioriture della latrea (Latraea
squamaria), della speronella (Delphinium fissum), della valeriana tuberosa (Valeriana
tuberosa), dell’euforbia dolce (Euphorbia dulcis), dell’elabro nero (Veratrum nigrum) e
del cerfoglio bastardo (Chaerophyllum aureum). All’esterno della dolina, un centinaio
di metri ad ovest di essa, ancora presente seppur ridotta, esiste una stazione del
rarissimo ranuncolo illirico (Ranunculus illyricus). Questa entità, molto elegante e
soffusa da una mirabile tomentosità argentea e contraddistinta da fiori di colore giallo
zolfino, appare ormai in via d’estinzione dal territorio carsico ed esiste ancora
solamente in rarissime località carsiche (fra Basovizza e Pesek). A proteggere il
prezioso versante dolinare s’ergono, imponenti, alcuni esemplari di cerro (Quercus
cerris) e di rovere (Quercus petraea) che infondono, a tutto l’ambiente, una gradevole
ed arcana pacatezza d’animo.

              IL “POZZO DEI COLOMBI DI BASOVIZZA” (42/33 VG)
Il “Pozzo dei Colombi di Basovizza” (42/33 VG, localmente “Vojska” o “Vojaska jama”, “Jama v Kotelcah”) s’apre,
nella landa ormai ben incespugliata, poco distante dall’evidente pilo dell’Elettrodotto. Attualmente esso è recintato
e parzialmente mascherato dalla vegetazione (pini neri, frassini, scòtano). Di conseguenza, è possibile solo in
parte rendersi conto della profondità e della vastità della grotta. Nonostante le opposizioni di molti Gruppi
Speleologici, essa è stata riempita, in passato, con l’immissione di terra e di rifiuti di ogni genere: pertanto la
cavità, che era una delle più note e frequentate dei dintorni di Basovizza, non è più agevolmente accessibile. E’
stata parzialmente bonificata nel 1996 nell'ambito del Programma Interregionale relativo al Piano di risanamento
del bacino del Fiume Timavo.
Il dislivello complessivo della cavità è di 72 m con uno sviluppo globale di 115 m. Essa fu rilevata, inizialmente, da
Eugenio Boegan (Commissione Grotte “E. Boegan”) il 13.08.1893. Un successivo aggiornamento, datato
14.3.2005, fu eseguito da Giuseppe Baldo, pure della CG.E.B..

                                                 LA “CAVERNETTA A SUD-OVEST DI BASOVIZZA” (825/3474 VG)
                                                L’ipogeo in oggetto si trova in un piccolo ma marcato avvallamento di
                                                crollo, non distante dalla linea ad alta tensione che collega la zona
                                                industriale a Padriciano, ed in prossimità della carrareccia proveniente
                                                dalla Strada Statale N. 14 (biforcazione all'altezza della “Grotta nel
                                                Bosco dei Pini”, 16/18VG). Essa è accessibile da due ingressi: quello
                                                più ampio si trova sul versante orientale della dolinetta, nella quale si
                                                può agevolmente accedere mediante alcuni rozzi gradini calcarei
                                                nascosti dalla vegetazione. L’ingresso della caverna, con a lato un
                                                rigoglioso esemplare di fico (Ficus carica), è largo 6m ed alto 2 m; una
                                                breve pendenza porta in un'ampia stanza dalle pareti annerite,
                                                sormontata da due camini che sembrano chiusi. Un’erta ascesa tende
                                                invece al secondo ingresso, dall'imboccatura alta 90 cm e larga un paio
                                                di metri; una doppia ripida china, risalendo una trincea probabilmente
artificiale e perigliosa per il distacco di pietre, si materializza sul vicino prativo. Il tratto di trincea più meridionale
termina dinanzi ad un cunicolo, attualmente non accessibile, lungo poco più di un metro e alto pochi decimetri.
Nella cavità si possono notare tracce di scavi.
Il ridotto avvallamento, antistante l’imbocco della cavernetta, è interessante sotto l’aspetto botanico. Infatti vi si
sviluppano un paio di esemplari, ormai dall’aspetto arboreo, di tasso (Taxus baccata), con tutta probabilità inseriti
parecchi decenni addietro. Attualmente essi si sviluppano con buona vigorìa vegetativa conferendo all’ambiente un
senso di sereno distacco dalla frenetica quotidianità.

               PUNTO PANORAMICO CONTRADDISTINTO DA UN PITTORESCO “PINO SOLITARIO”
A breve distanza dalla precedente cavernetta, continuando a salire per
poche decine di metri verso la morbida sommità del rilievo che
ascende lateralmente, si giunge al cospetto di un unico esemplare di
pino (Pinus nigra) che, inconfondibile e pittoresco, si staglia nell’ariosa
landa circostante, permeata, nella precocissima stagione primaverile,
da un continuativo strato della pungente sesleria sottile (Sesleria
juncifolia). Ci si può allora qui opportunamente soffermare per alcuni
minuti, soprattutto per godere dell’ampio e sorprendente panorama
che il luogo offre, con grande appagamento, alla vista del curioso ed
attento escursionista. Si possono così ben riconoscere l’abitato di
Basovizza, sotto un’inattesa angolazione e, quindi, una nutrita gamma
di rilievi vicini e lontani, che s’ergono entro ed oltre il confine di Stato,
e ben noti al gitante triestino.
Si procede quindi, raggiungendo in breve il Sentiero Segnavie N. 1 con
la marcata deviazione che tende alla “Particella Sperimentale” del Bosco Bazzoni ed alla “Grotta Nera” che vi
sprofonda. Si avrà modo, durante l’avvicinamento, d’individuare alcuni cippi confinari in serie, in parte storici e
contrassegnati da numeri romani (VI, VII) ed in parte di recente posizionamento, a cura della Regione.
Disseminate lungo il tragitto, che si svolge in un’ombrosa boscaglia contraddistinta d’alcuni esemplari d’abete
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greco (Abies cephalonica) d’impianto, si trovano ubicate numerose tabelle illustrative che lumeggiano gli aspetti
storico-naturalistici (flora e fauna) del Bosco Bazzoni e della “Particella” che esso include.

                             LA “PARTICELLA SPERIMENTALE” DEL “BOSCO BAZZONI”
Un particolare ambiente, in cui sono conservate numerose essenze arboree di gran pregio storico e naturalistico, è
quello che si trova nei pressi di Basovizza, sul Carso triestino, e che viene notoriamente chiamato “Particella
Sperimentale” del Bosco Bazzoni, proprio in onore del Podestà Riccardo Bazzoni, sotto la cui Amministrazione fu
promossa la Legge d’Imboschimento. Già in passato l’ambiente era adibito a zona nella quale si sperimentavano
piantagioni e tecniche di coltivazione, soprattutto di conifere esotiche, quali ad esempio d’abete greco (Abies
cephalonica), d’abete rosso (Picea abies), di cedro (Cedrus deodara, C. atlantica), di tasso (Taxus baccata) e del
pino nero austriaco (Pinus nigra). Vi venivano selezionate le essenze che meglio si sarebbero adattate al clima
locale. Della “Particella”, contrassegnata con il N. di Cat. 1140 TAV. 2 di Basovizza, si hanno notizie, per la prima
volta, nel 1892. Sul cippo calcareo che testimonia l’esistenza del comprensorio boschivo, oltre alla data 1894, vi è
inclusa quella del 1888, che può essere con tutta probabilità riferita alla nascita del comprensorio stesso.
Dopo varie ed alterne vicende, culminate nel 1970 con la distruzione del bosco
(scomparvero ben 200.000 mq), in seguito all’apertura di una cava (concessione
da parte dell’allora Ispettorato delle Foreste alla Fabbrica Italcementi), tre soci
del Gruppo Speleologico San Giusto, Eliseo Osualdini, Pino Sfregola e Sergio
Peschier, proponevano nel 1978 la salvaguardia di ciò che rimaneva del Bosco
Bazzoni. L’anno seguente (1979) essi ottennero tale concessione dal Comune di
Trieste e dall’Azienda delle Foreste. Così la Particella venne ripristinata,
mantenuta in efficienza e valorizzata con opere di manutenzione. Furono
realizzati alcuni pittoreschi percorsi per i frequentatori che potevano così visitare i
più tipici ambienti carsici, nei quali si sviluppavano le specie maggiormente
significative del territorio. Della cura dell’appartata “Particella” si adoperò in vario
modo ed in massima parte, per parecchi decenni, Eliseo Osualdini, autentica
memoria storica e della “Particella” (nell’immagine qui a destra), affiancato dal
Gruppo Speleologico San Giusto, sodalizio che, dopo la scomparsa del vecchio
botanico-filosofo, prese interamente in gestione l’istituzione, impreziosita inoltre
dalla presenza, al fondo di una dolina, di una cavità, la Grotta Nera (Caverna
delle Selci, Grotta dei Lebbrosi, 43/140 VG). Fra le ulteriori specie che si sono conservate nel tempo, nella
Particella, si ricordano in particolare Chamaecyparis lawsoniana, Quercus petraea, Q. cerris, Fraxinus excelsior, F.
angustifolia, Phyllirea latifolia e Laburnum anagyroides.
Da quanto esposto, si può dedurre come la provincia di Trieste, fin dai tempi passati, abbia avuto una gran cura
per la flora e la vegetazione locale, tramite le numerosissime istituzioni storiche, naturalistiche e scientifiche che,
in vario modo, hanno contribuito a conservare nel tempo le numerose entità, anche di gran pregio botanico, che
essa include nei suoi variegati e singolari ambienti.

                                                     LE FELCI NELLA “PARTICELLA SPERIMENTALE”
                                     Nella Provincia di Trieste le Felci (Ordine Filicales) sono attualmente presenti in
                                     una ventina abbondante di specie. Tre di esse, l’erba rugginina (Asplenium
                                     trichomanes), la cedracca comune (Asplenium ceterach=Ceterach officinarum)
                                     e la ruta di muro (Asplenium ruta-muraria), sono largamente diffuse,
                                     sviluppandosi sia nell’ambito del comprensorio cittadino che, in maggior misura,
                                     in quello periferico e carsico.
                                     Asplenium trichomanes risulta, in particolare, la felce più frequente in assoluto
                                     nel territorio e ciò vale anche le cavità dell’altipiano, comparendo in tutte quelle
                                     d’interesse speleobotanico, che sono ora più di 150, sulle circa 2500
                                     attualmente catastate (6 %). Pure diffuso, ma limitatamente alle zone più
                                     termofile del territorio e talvolta pure agli ingressi delle cavità del Carso nord-
                                     occidentale più basse, risultano invece Asplenium ceterach ed Asplenium ruta-
                                     muraria. Comportamento poi abbastanza
                                     analogo a quest’ultima felce è quello
                                     evidenziato      dall’asplenio    adianto     nero
                                     (Asplenium adiantum-nigrum), ma con un
                                     maggior grado sia di termofilia che di rarità.
                                     Un gruppo di altre felci, comprendente il
                                     capelvenere       (Adiantum     capillus-veneris),
                                     l’asplenio gentile (Asplenium lepidum), la felce
                                     femmina (Athyrium filix-femina), la felce
maschio      (Dryopteris   filix-mas),    il  polipodio     meridionale   (Polypodium
cambricum/cambricum), la felce dilatata (Dryopteris dilatata), la felce setifera
(Polystichum setiferum) e la felcetta fragile (Cystopteris fragilis) risultano invece
molto rare, se non del tutto straordinarie, e conosciute soltanto per poche, o
addirittura singole, stazioni del territorio. Qualcuna di esse colonizza
eccezionalmente cavità carsiche.
Altre Filicales infine, come la lingua di cervo (Asplenium scolopendrium), trovano
il loro habitat esclusivamente in una quarantina di cavità carsiche (ma dalle quali
tendono generalmente e progressivamente a rarefarsi, soprattutto a causa della
variazione climatica in atto) e qualcun’altra ancora, come la felce aculeata
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(Polystichum aculeatum), oltre che ad essere presente in una cinquantina di cavità
                                 dell’altipiano triestino, la si può individuare in pochi altri ambiti del territorio,
                                 comunque condizionati a microclimi rigorosamente specifici. Relativamente
                                 frequenti appaiono, per contro sia la felce dolce (Polypodium vulgare), spesso
                                 sviluppantesi alla base dei tronchi delle essenze costituenti sia la boscaglia carsica-
                                 illirica che il bosco avanzato (in prevalenza a querce), sia il polipodio sottile
                                 (Polypodium interjectum), di dimensioni anche ragguardevoli e generalmente
                                 legato a pendii scoscesi di doline di crollo piuttosto profonde od a pareti
                                 strapiombanti di baratri, pozzi e voragini carsiche. In alcuni ambienti acidificati del
                                 Muggesano e del carsico Col dell’Agnello, a nord di Sgonico, trova talora favorevoli
                                 condizioni di crescita la felce aquilina (Pteridium aquilinum).
                                 Indagini e sopralluoghi, effettuati a più riprese nella “Particella Sperimentale” del
                                 Bosco Bazzoni, allo scopo d’individuare le felci che in esso si sviluppano, hanno
                                 consentito di rilevarne sei specie e precisamente: l’asplenio tricomane (Asplenium
                                 trichomanes), la ruta di muro (Asplenium ruta-muraria), la cedracca comune
                                 (Asplenium ceterach), la lingua di cervo (Asplenium scolopendrium), la felce
                                 maschio (Dryopteris filix-mas) e la felce dolce (Polypodium vulgare).

               PARTICOLARITA’ DELLA “PARTICELLA SPERIMENTALE DEL BOSCO BAZZONI”

LA “GROTTA NERA” - La “Particella Sperimentale” del
Bosco Bazzoni include numerose particolarità, sia
morfologiche (epigee ed ipogee) che naturalistiche, alcune
delle quali sono ben conosciute dai solerti frequentatori
dell’appartato e singolare ambiente. Fra queste, la
“Caverna di Basovizza” (43/140 VG, nota anche localmente
come “Pečina”, “Caverna delle Selci”, “Grotta dei Morti” e
“Caverna dei Lebbrosi”). La cavità, la cui imboccatura
s’apre alla quota di 396 m, è profonda 30 m con uno
sviluppo d’una sessantina scarsa di metri; è dotata d’un
pozzo interno di circa 6 m. Il primo rilievo fu opera di Silvio
Kobau, il 13 agosto 1893. Una successiva revisione fu
eseguita da Dario Marini e Mario Galli il 13 ottobre 1967 ed
un aggiornamento più recente venne effettuato da M.
Anselmi, Fu. Forti e R. Semeraro nel 2001. La caverna fu
inizialmente indagata da L. K. Moser ed il deposito può
essere fatto risalire all’epoca Neolitica. Nel 1912 Raffaello
Battaglia mise alla luce numerose selci, un lisciatoio d’arenaria ed uno zufolo ricavato da una falange d’ovino. Alla
fine della Seconda Guerra Mondiale nella caverna furono fatti esplodere (dal Gruppo Rastrellatori bombe e mine)
alcuni residuati bellici e tale fatto provocò lo stravolgimento del tratto iniziale e della volta del vacuo. Attualmente
la caverna è chiusa da un robusto cancello ma è possibile usufruire di visite guidate, previa prenotazione, oppure
recandosi all’ingresso ogni prima domenica del mese con cadenza oraria. All’interno sono state ricostruite quattro
stazioni preistoriche relative a frangenti di vita d’epoche diverse: Paleolitico Inferiore, P. Medio, Mesolitico e
Neolitico. Sulla cavità esiste una ricchissima bibliografia cui chi è interessato può ampiamente conformarsi.

ASPETTI BOTANICI E NATURALISTICI - La depressione che include la “Grotta Nera” è molto interessante sotto
l’aspetto botanico, soprattutto nella precoce stagione primaverile. Vi si possono individuare numerose specie
dell’ambiente fresco ed umido dolinare, con qualche specie veramente eccezionale, come ad esempio la sassifraga
dei muri (Saxifraga petraea), posta qui a dimora parecchi decenni addietro da Eliseo Osualdini. Ebbene, essa è
                                      tuttora presente in un paio di stazioni ed è riconoscibile dalle tipiche foglie
                                      basali, palmato-tripartite che, in numero consistente, fuoriescono da alcune
                                      fessurazioni della parete antistante l’ingresso della grotta. Quest’entità, che
                                      per poco vegeta al di fuori de Carso triestino, si trova infatti in vari
                                      complessi ipogei del territorio carsico sloveno (Postumiese, Circonio, Rio dei
                                      Gamberi, San Canziano) raggiungendo la minor distanza dai confini
                                      nazionali nell’Antro del Monte Chislizza (“Perkova Pečina”, 3308 VG/ 1361
                                      S), ad est della località di Sesana/Sežana. Tale ipogeo si trova infatti a soli
                                      4 km, in linea retta, dal territorio italiano, rappresentato dal Monte Franco,
                                      fra Trebiciano e Gropada. Sempre più raramente questa pianta fiorisce nella
                                      “Particella”: eccezionalmente, quando ciò avviene, è possibile allora
                                      ammirare la corolla dai petali bianchi candidi, allargati verso l’alto e più o
                                      meno bilobi.
                                      La depressione, nel versante esposto a sud, ospita invece alcune specie dai
                                      connotati termofili, mediterranei, quali ad esempio la fillirea (Phyllirea
                                      latifolia), il leccio (Quercus ilex) e l’euforbia di Wulfen (Euphorbia wulfenii).
                                      Se si esce dalla dolina e si scende nell’avvallamento di maggiori dimensioni
                                      attiguo, si ha l’occasione di individuare uno stagno. Contrassegnato dal N. di
                                      Catasto 116 (3.o Contributo relativo a “Gli stagni della Provincia di Trieste”
                                      (1985). L’origine della conca in cui si trova lo stagno risulterebbe dovuta al
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prelievo, in tempi passati, di terra rossa argillosa.
Per un periodo l’acqua scomparve e ciò era, con
tutta    probabilità,    dovuto      al    progressivo
avanzamento della vicina cava che avrebbe
provocato nuove fessurazioni e disostruito altre che
tamponavano l’acqua della raccolta acquea. In
tempi più recenti il fondo del bacino è stato
consolidato ed è pertanto possibile ora apprezzare
il considerevole e grazioso stagno. In questi ultimi
tempi è stato inoltre rimosso un grosso tronco che,
trasversalmente, occupava la superficie acquea
causando qualche problema nel doverlo superare. Tutto l’ambiente è permeato da una grande serenità: sono state
apposte alcune panchine per poter sostare e godere di questa tranquilla e riposta oasi naturale. Accanto, a pochi
metri di distanza, s’ergono parecchi maestosi esemplari di abete greco (Abies cephalonica) e di cedro dell’Atlante
(Cedrus atlantica). Numerose tabelle esplicative, opportunamente disposte, illustrano esaurientemente le vicende
storico-naturalistiche della “Particella”.

ULTERIORI PARTICOLARITA’
Usciti dalla “Particella” dal varco volto a meridione e sfiorando la cava (cippetto N. 1) per uno stretto passaggio, si
giunge quasi subito sull’aspro ciglione calcareo in prossimità di un notevole pilo dell’elettrodotto. Questo luogo,
                                                   oltremodo aperto, costituisce un vasto punto panoramico
                                                   soprattutto verso sud-est. La vista infatti spazia oltre che sulla
                                                   sottostante cava “Scoria”, su Sant’Antonio in Bosco/Boršt, sul
                                                   monte San Michele e su gran parte della Val Rosandra. Ben
                                                   evidente appare il Monte Carso/Vrh Griže ed i rilievi retrostanti,
                                                   ormai in Slovenia, di maggior altitudine. Più a destra l’occhio
                                                   abbraccia le località di Bagnoli della Rosandra/Boljunec, di Dolina e
                                                   di Caresana/Mačkolje e quindi la piana, dall’atmosfera ancestrale,
                                                   che s’estende sotto San Giuseppe della Chiusa/Ricmanje ed, in
                                                   lontananza, il Monte d’Oro. Si prosegue quindi verso ovest
                                                   seguendo un sentiero che tende verso la cava “Italcementi”. E’
                                                   allora possibile deviare leggermente sulla sinistra, in lieve declivio
                                                   ove la landa rupestre, ricca d’emersioni, mostra tutto il suo
                                                   fascinoso splendore. Numerose sono le specie tipiche di
                                                   quest’ambiente che, armoniosamente, s’avvicendano nel corso
delle stagioni e che sono impreziosite dall’odorosa salvia (Salvia officinalis), in evidente espansione in questi ultimi
tempi. Il panorama muta e si possono allora ben individuare il “Canale Navigabile” d’Aquilinia, le località del
Muggesano e la costa con la “Punta Sottile”, la “Punta Grossa” e Pirano in lontananza, con i vari monti di
Capodistria a fungere da cornice. Non mancano le discutibili Torri di Cattinara ed il complesso di Melara con alcuni
sobborghi di Trieste (Valmaura) ed, in fondo, la distesa marina con
il castello di Duino. Ed è sul margine più basso (che non
s’affronterà, in quanto relativamente esposto), che si trovano
alcune spettacolari emersioni calcaree e forma di pittoresco
pinnacolo. In una posizione aerea, a strapiombo, è inoltre posto il
“Cippo Boschivo VII”, che s’avrà modo d’apprezzare solamente
durante la proiezione in sede. Il ritorno avviene sfiorando in breve
la cava “Italcementi” (con qualche scorcio “lunare”), transitando
nei pressi della “Particella” e scendendo verso la Foiba di
Basovizza, immersi nell’ampia distesa prativa nota localmente
come “Njivice”. Una breve sosta al Cippo che ricorda Josef Ressel
(1793 – 1857) e si è, in capo a qualche minuto, al parcheggio dal
quale s’era iniziata, nella prima mattinata, l’escursione
naturalistica.

                                                                                                           ELIO POLLI

martedì 5 marzo ore 18.00 in sede XXX incontro di approfondimento del tema
domenica 10 marzo – Escursione a Basovizza – con mezzi propri

programma:
ore 8,00 – ritrovo in piazza Oberdan e formazione equipaggi
ore 8.30 – ritrovo al parcheggio presso la Foiba (esattamente di fronte al Campo Sportivo Zarja)
ore 8.45 – inizio dell’escursione didattica-naturalistica in direzione della “Particella Sperimentale” del Bosco
Bazzoni
ore 13.30 circa – conclusione dell’uscita – a seguire pranzo facoltativo a Lokev (SLO) rist. AMBASSADOR

                  quota di partecipazione per i Soci CAI non iscritti al 18° Corso TAM: 5 €
                   per i non soci CAI 14 € comprese le assicurazioni infortuni e Soccorso Alpino
ASSOCIAZIONE XXX OTTOBRE - TRIESTE SEZIONE DEL CLUB ALPINO ITALIANO
RICORDO DI ELISEO OSUALDINI (1923 – 2009)

Nella triste notte dello scorso 18 dicembre è venuto a mancare, all’età di 86 anni ed in seguito ad una lenta ma
inesorabile malattia, che lo aveva oltremodo svigorito sino a fargli perdere, negli ultimi tempi, la volontà di
continuare a vivere, Eliseo Osualdini. Apparteneva egli, a buon diritto, a quella genuina schiera di appassionati
botanici che la città di Trieste aveva più volte annoverato fra i suoi illustri cittadini.
La profonda e veemente passione per la botanica, la scientia amabilis per eccellenza, gli era germogliata e poi
esplosa fin dalla giovane età, allorché aveva iniziato ad indagare palmo a palmo l’aspro territorio che gli aveva
dato i natali, alla caparbia ricerca e determinazione delle piante e dei fiori che impreziosivano i variegati ambienti
della sua terra. Era nato il 2 marzo 1923 a Meduno, all’inizio della selvaggia Val Tramontina, in un ambiente
difficile e privo di agi, dove trascorse la sua prima gioventù. Trasferitosi quindi a Trieste, si unì felicemente in
matrimonio nel 1948. Lavorò per diversi anni in uno storico locale del centro (la “Chianti e Fossi” non più
esistente), per poi impiegarsi alla Snia, ove fu dipendente per un ventennio, sino all’età della pensione, conseguita
a 60 anni.
Continuava intanto, imperterrito e sviscerato, l’amore per le piante. Acquistata, non senza sacrifici,
un’efficientissima macchina fotografica, Eliseo aveva iniziato ad immortalare con rara maestria le splendide e più
venuste specie vegetali, non trascurando nel contempo quelle più umili che, di norma, rimangono obsolete dagli
studiosi di botanica. Nutriva una spiccata predilezione soprattutto per le orchidee, autentiche regine del mondo
vegetale. Memorabili sono, a tale proposito, le scoperte all’inizio della stagione primaverile di tali preziose entità in
alcuni fra i più riposti siti del giardino annesso alla Scuola Caprin, di cui ero docente, nel rione di Valmaura alla
periferia di Trieste.
Una volta giunto a scuola, ove pazientemente mi aspettava, mi conduceva con un entusiasmo di rara intensità
diritto sul luogo affinché ammirassi, assieme a lui, gli esemplari di Ophrys holoserica e apifera in piena antesi. Ed
intanto, attingendo dalla sua profonda esperienza e richiamandosi alla sua proverbiale saggezza, mi ragguagliava,
con esaltanti ricordi ed inediti aneddoti, sulle sorprendenti vicissitudini del mondo vegetale, aprendomi gli occhi ad
un mondo nuovo ed insospettato. Una volta sfiorite, le orchidee venivano “ricordate” da cartellini numerati e datati
che Eliseo aveva portato con sé, interrandoli nel punto preciso così da individuarne immediatamente l’ubicazione
l’anno seguente. Ero dunque in presenza di un autentico ed ammirevole feeling fra il “vecchio saggio” e le tanto
amate orchidee.
Finché le condizioni di salute glielo permisero, lo si vide scendere ogni giorno dalla sua vicina abitazione, pure
rigogliosamente compenetrata nel verde, sino alla scuola, sostenendosi pian piano al suo fido bastone ricavato da
un robusto corniolo. Era qui come uno di casa, una vera istituzione, benvoluto da tutto il personale scolastico: per
ore e ore scompariva, immergendosi nelle cure improrogabili del giardino che appariva, al visitatore, un autentico
gioiello botanico in ogni frangente dell’anno. Del tutto interessanti ed imperdibili erano, all’occasione, le sue lezioni
o le semplici chiacchierate in classe: aveva l’innata capacità di incuriosire gli allievi che lo ascoltavano in silenzio e
con la massima attenzione ponendogli alla fine domande a raffica cui l’acuto “filosofo della botanica” rispondeva
sempre con entusiasmo ed in modo esauriente.
Ma già negli anni precedenti Eliseo Osualdini aveva avuto a che fare con i giardini e gli ambienti botanici.
Innanzitutto con “Carsiana”, ove alla fine degli Anni ‘70 si aggiunse ai tre fondatori, collaborando con grande
passione ed esperienza sia all’arricchimento floristico sia all’esaustiva documentazione fotografica. Soprattutto nei
primi periodi, fisicamente ancora integro, trascorreva intere giornate in piena armonia con quell’incredibile oasi
carsica, impreziosita dalle numerose specie che vi si sviluppavano a loro agio, sia sulle assolate rocce calcaree
ammantate dalla vegetazione termofila, sia all’ombra dell’umida ed inquietante bocca della “Piccola Jablenza”
(“Pozzo 211/162 VG, fra Gabrovizza e Sgonico). Un occhio di riguardo era comunque sempre rivolto alla raccolta
della miriade di semi, di cui conosceva tutte le vicende germinative.
Da “Carsiana”, Eliseo Osualdini passò, alcuni anni dopo (1978), alla cura della “Particella Sperimentale del Bosco
Bazzoni” (846/3, 900 mq). Anche in questo ambiente, concesso nel 1979 dal Comune di Trieste e dall’Azienda
delle Foreste, si dedicò tenacemente anima e corpo ed, in breve tempo, contribuirà in modo determinante a
ripristinarlo ed a mantenerlo in efficienza, facendone un altro prezioso e singolare ambito naturalistico, visitato con
grande piacere ed interesse da botanici, da escursionisti e da semplici amanti del verde nelle loro corroboranti
visite all’altipiano carsico. Pure esso fu suddiviso nei vari ambienti vegetazionali, non mancando anche in questo
caso quello ipogeo, rappresentato dalla “Grotta Nera” (“Caverna delle Selci”, “Grotta dei Lebbrosi”, 43/140 VG)
nella quale, in tempi più recenti (il 21 ottobre 2006), veniva inaugurata la ricostruzione dell’ambiente in cui
vivevano i nostri progenitori.
Negli anni precedenti Osualdini aveva effettuato nella “sua” Particella la paziente cartellinatura delle specie
vegetali ed arboree presenti, arricchendo l’ambiente con numerose massime, tratte dal suo quotidiano e
perspicace repertorio filosofico, sulle quali il visitatore poteva ben riflettere. Era lì presente con qualsiasi tempo,
anche nella piena stagione invernale, con violente bufere di neve: ne era testimone la Vespa parcheggiata in un
ambiente candido e surreale, al margine della dolina con la grotta. Lo rievochiamo volentieri mentre, durante una
visita con una scolaresca, additava ai ragazzi la cima di un maestoso abete greco colpito dal fulmine, spiegandone
in maniera semplice e comprensiva tutte le cause di quell’evento naturale.
Ci piace ancora ricordare come, con il suo eccezionale istinto botanico, negli anni ’80 avesse scoperto e fotografato
nei dintorni di Poffabro (ad oriente del Monte Raut nelle Prealpi Carniche) una splendida sassifraga, la Saxifraga
mutata, specie risultata in seguito nuova per la Flora friulana; questo suo ritrovamento consentì di dedurre
interessanti valutazioni ecologiche e fitosociologiche nei confronti dell’entità stessa.
Un signore d’altri tempi, dunque, Eliseo. Se n’è andato in silenzio, in punta di piedi, lasciando in chi lo conosceva a
fondo una sincera mestizia ma anche la consapevolezza di aver frequentato una persona eccezionale nella sua
semplicità, serenità e competente disponibilità. Ricorderemo sempre le sue lezioni, sia botaniche che di vita, intrise
di lunga e saggia esperienza
Da Elio Polli: “PROGRESSIONE 56” - Anno XXXII, N. 1 (Gennaio-Dicembre 2009): 204-205.
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