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HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 ANNO 2018 - Notizie dal 24 settembre al 30 settembre notizie e informazioni SULL’africa e, in particoLare, SULLa SomaLia E sui paesi del corno d’africa, raccolte da agenzie, gruppi, istituzioni, CON pareri, considerazioni ed osservazioni SOMMARIO Pag. 02 - 24 set. Somalia, raid Usa contro Shebab: almeno 18 combattenti uccisi Pag. 02 - 24 set. Ad ottobre visita di Conte in Eritrea ed Etiopia Pag. 04 - 24 set. Congo: la UNHCR non ha soldi per i rifugiati ma in Europa si preoccupano della UNRWA Pag. 04 - 24 set. Mozambico – Jihadisti all’attacco: 12 morti Pag. 05 - 24 set. Missioni militari italiane nel mondo: dove sono, cosa fanno, quanto costano Pag. 07 - 25 set. Yemen: rischio colera per oltre 5 mln di bambini Pag. 08 - 25 set. Un ponte aereo in corso tra Russia e base aerea in Siria Pag. 09 - 25 set. Somalia: Puntland, guardia presidenziale uccisa in sparatoria a Bosaso Pag. 09 - 26 set. Etiopia-Eritrea: Arabia Saudita allunga mani su Corno d’Africa Pag. 10 - 26 set. Kenya: uccisi 10 miliziani al Shabaab nella contea di Lamu Pag. 10 - 26 set. Emergenza a Tripoli Pag. 12 - 27 set. Gli ultimi mesi in Somalia Pag. 13 - 27 set. Pace, stabilità e cooperazione in tutto il Corno d’Africa Pag. 14 - 27 set. Etiopia: violenze ad Addis Abeba, bilancio sale 28 morti e 2.500 arresti Pag. 14 - 27 set. Tunisia. Cresce la presenza militare USA e aumentano le proteste Pag. 15 - 27 set. Onu: presidente del Ruanda Kagame, Unione africana sia più rappresentata Pag. 15 - 27 set. Somalia, prestito Banca mondiale da 80 mln, il primo in 30 anni Pag. 16 - 28 set. Malati mentali “posseduti dai demoni” in Somaliland curati con esorcismi Pag. 18 - 28 set. Da Ue 70 milioni a Fao, più forte l'alleanza contro la fame Pag. 19 - 28 set. Somalia: esplodono due ordigni nella regione di Ghedo, due morti e sei feriti Pag. 19 - 28 set. Somalia: Ue approva pacchetto di 100 milioni di euro a sostegno del bilancio statale Pag. 19 - 29 set. Kenya: presidente Kenyatta all’Onu, globalizzazione alimenta corruzione a spese dell’Africa Pag. 19 - 29 set. Puntland: tre condanne a morte per appartenenza ad al-Shabaab e ISI Pag. 20 - 29 set. Angola. Isabel dos Santos cita il presidente angolano João Lourenço Pag. 20 - 30 set. Congo RD - Il cobalto permetterà il decollo economico del Paese? Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 1
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 24 set. Somalia, raid Usa contro Shebab: almeno 18 combattenti uccisi L’esercito americano ha bombardato ieri posizioni di combattenti islamici somali Shebab affiliati ad al- Qaeda, nel Sud della Somalia, uccidendone almeno 18: secondo le autorità locali si è trattato di un attacco aereo per “legittima difesa”. “Le forze statunitensi hanno condotto un attacco per legittima difesa contro i combattenti Shebab a 50 chilometri a Nord-Ovest di Kismayo”, nel Sud del Paese, si legge in un comunicato del comando americano per l’Africa. “Il raid aereo statunitense è stato compiuto contro i combattenti, dopo che gli Stati Uniti e i loro partner sono stati attaccati”. Il raid ha avuto luogo “in coordinamento con il governo federale somalo”, si legge nella nota. “Attualmente stimiamo che 18 terroristi siano stati uccisi nell’incursione, e altri due terroristi sono stati uccisi dalle forze somale” durante uno scontro a fuoco, si conclude nelal nota. 24 set. Ad ottobre visita di Conte in Eritrea ed Etiopia La notizia non può che destare clamori, ma al tempo stesso grande soddisfazione fra quanti, da anni, auspicavano un recupero del rapporto fra l’Italia e i paesi del Corno d’Africa, che ad essa sono stati legati da una lunga storia coloniale. Nella prima metà di ottobre, presumibilmente intorno all’11, il premier Conte si recherà infatti in Etiopia, per un incontro bilaterale col nuovo premier Abiy Ahmed, ed in seguito andrà anche in Eritrea, per un appuntamento di alto livello col presidente Isaias Afewerki. L’impressione che si trae da questa mossa è che la diplomazia e la politica italiana si muovano con prudenza, ma anche con sicurezza. La pace fra Etiopia ed Eritrea è stata annunciata e quindi ufficializzata bilateralmente lo scorso 8-9 luglio, ma in seguito si sono avuti ulteriori incontri fra Abiy Ahmed e Isaias Afewerki, e ad un certo punto sono stati coinvolti anche i presidenti di Somalia e di Gibuti, con l’obiettivo di portare avanti un piano di pacificazione ed integrazione regionale valido per tutti gli attori del Corno d’Africa. Una settimana fa, infine, a Gedda, in Arabia Saudita, alla presenza del re Salman, è stata firmata la dichiarazione di pace definitiva. Salman aveva agito come mediatore, assistito dal segretario generale dell’ONU Antonio Guterres e del presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamated. Non vanno tuttavia sottovalutati, in questa lunga storia, gli sforzi condotti dal sottosegretario USA Yamamoto, dato che l’Amministrazione Trump ha sicuramente recitato un ruolo decisivo nella transizione politica avvenuta in Etiopia, così come quelli della Cina, che ha una fondamentale voce in capitolo in tutta la regione in termini economici e commerciali, e che aveva annunciato di voler ridurre gli investimenti in Etiopia qualora quest’ultima non avesse regolarizzato la situazione bellica e politica con l’Eritrea. Se l’Eritrea aveva infatti firmato gli Accordi di Algeri nel 2000, l’Etiopia allora guidata da Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 2
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 Meles Zenawi non l’aveva fatto, ed anzi aveva continuato ad occupare militarmente le aree di confine eritree in violazione al diritto internazionale: una situazione ormai decisamente non più sostenibile, e che infatti il nuovo premier Abiy Ahmed, non appartenente alla vecchia forza di governo etiopica (il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray) ha voluto immediatamente sanare. Al momento attuale l’Etiopia è il secondo interlocutore per l’Italia in termini di cooperazione all’interno del Continente Africano, ma ci sono ancora enormi margini di miglioramento, derivanti anche dall’integrazione pacifica con l’Eritrea e la Somalia. Poche settimane fa anche il ministro degli esteri tedesco è venuto in visita ad Asmara, capitale dell’Eritrea, attratto dalle grandi possibilità garantite dalla nuova pace. A tal proposito, proprio ieri si è discusso anche al Consiglio di Sicurezza ONU, per l’ennesima volta, sulla necessità che si rimuovano le sanzioni contro l’Eritrea ispirate da Obama nel 2009 e nel 2011, e che ancora restano in vigore malgrado la pace nata fra i paesi del Corno d’Africa. Sono stati sottolineati e lodati i grandi progressi ottenuti in tutta la regione, con Asmara che oggi è il cuore di una pace e di un processo di cooperazione regionale che lega fra di loro i quattro paesi dell’Africa Orientale. La naturale conseguenza è che si proceda quindi a rimuovere, quanto prima possibile, queste assurde sanzioni, volute all’epoca da Obama ed adottate dall’ONU, dietro false accuse e prove fabbricate, relative ad un coinvolgimento dell’Eritrea nell’operato degli al-Shabaab in Somalia che è stato rapidamente smontato e sbugiardato. E’ dunque doveroso, in questo senso, che l’Italia si faccia carico anch’essa, proprio per i tanti legami che l’associano all’Eritrea, di portare avanti il messaggio di abolire le sanzioni. In presenza di tali sanzioni, infatti, nessun progetto di cooperazione con l’Occidente e l’Italia in primis potrà mai decollare. A tale scopo è iniziata già una battaglia parlamentare. L’On. Paolo Grimoldi della Lega, presidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, per esempio ha dichiarato: “Il mutamento della situazione politica richiede l’eliminazione delle sanzioni contro l’Eritrea, sanzioni che alimentano solo la povertà e l’emigrazione verso l’Europa. Per questo ho chiesto in un’interrogazione parlamentare rivolta al Ministro per gli Affari Esteri, e presentata insieme ai deputati leghisti Matteo Bianchi e Alberto Ribolla, quali iniziative il Ministro intenda assumere e promuovere riguardo, sia in ambito nazionale che europeo e internazionale”. All’interno dell’interrogazione, Grimoldi sottolinea che “la recente elezione del nuovo premier etiope Abiy Ahmed ha costituito un elemento di svolta positivo per il miglioramento dei rapporti tra Etiopia, Eritrea e Somalia. Ahmed e Isaias Afewerki, presidente dell’Eritrea, hanno firmato congiuntamente, in data 9 luglio 2018, una dichiarazione di pace e di amicizia basata sulla formalizzazione della fine del conflitto e la promozione di una stretta cooperazione in ambito culturale, sociale, economico, politico e di sicurezza, con l’obiettivo di riagganciare i rapporti diplomatici e ripristinare il commercio, le comunicazioni e i collegamenti. Tale dichiarazione di pace è motivo sufficiente per attivarsi al fine di cessare le sanzioni indette nel 2009 e nel 2011, peraltro motivate da presunte interferenze eritree in Somalia; tali sanzioni sono estremamente severe e impediscono una qualsiasi fattiva collaborazione fra Eritrea, in primo luogo, e l’Europa, e a maggior ragione l’Italia, non solo in materia di cooperazione economica o di commercio, ma anche e soprattutto di controllo del fenomeno migratorio”, aggiungendo quindi che “il 70% di coloro che giungono nell’Unione europea dichiarandosi eritrei, in realtà, provengono soprattutto da altri Paesi limitrofi (Etiopia, Somalia e Sudan), ciò in conseguenza proprio delle sanzioni del 2009 e 2011, perché sulla loro scia l’Unione europea ha attuato una politica di «fare i ponti d’oro» a qualsiasi eritreo che abbandonasse il Paese, promettendogli rifugio politico e incentivando così la migrazione di giovani eritrei verso l’Europa, in particolare l’Italia, ma soprattutto di cittadini di Paesi limitrofi che, in assenza di documenti, sanno d’aver tutto da guadagnare a dichiararsi cittadini eritrei”. L’auspicio è che dunque sulla base della lotta per abolire le sanzioni, possa crearsi fra Italia ed Eritrea (e a ricaduta anche con tutti gli altri paesi del Corno d’Africa) una collaborazione ed un’amicizia a tutto tondo, che investa tutti quei settori necessari alla salute di un comune futuro e di un mutuo benessere. Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 3
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 24 set. Congo: la UNHCR non ha soldi per i rifugiati ma in Europa si preoccupano della UNRWA Il coordinatore dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), Catherine Wiesner, sarà da lunedi nella Repubblica Democratica del Congo, in particolare nella provincia del Kivu meridionale, al fine di rendersi conto della situazione di oltre 46.000 rifugiati burundesi residente in questa parte del paese. Lo ha annunciato il portavoce nazionale della UNHCR, Joseph Mankamba, in una conferenza stampa, specificando che la Wiesner visiterà sia i siti dove sono alloggiati i rifugiati burundesi, circa 46.000 persone, che quelli dove sono ospitati rifugiati interni congolesi, che sono diverse centinaia di migliaia. Catherine Wiesner avrà la possibilità di verificare di persona le gravissime condizioni in cui vivono i rifugiati del Congo a causa del sottofinanziamento della UNHCR dovuto al taglio dei finanziamenti deciso da diversi Paesi nei confronti dell’unico organismo internazionale che si occupa di rifugiati e che non solo li assiste sul posto ma cerca in tutti i modi di farli rientrare nei loro luoghi di origine. E in questo contesto stupisce che l’Unione Europea pensi a come fare per aumentare i loro finanziamenti alla UNRWA, l’illegale agenzia ONU per i palestinesi, dopo i tagli decisi dall’Amministrazione Trump, quando la vera agenzia ONU per i rifugiati, appunto la UNHCR, è in così gravi difficoltà economiche e non riesce a far fronte al proprio lavoro. Il caso del Congo non è nemmeno isolato. La stessa situazione si registra nel Nord Uganda dove vi sono centinaia di migliaia di rifugiati sud-sudanesi accatastati in campi profughi che non rispettano nemmeno le più basilari norme igieniche e dove scarseggia il cibo. Poi in Somalia e Kenya dove i somali sono milioni abbandonati a loro stessi. In Europa si parla tanto di come fare per fermare la marea umana di disperati che fuggono dai teatri di guerra, ma poi non si aiuta la UNHCR che serve proprio a questo mentre si sommergono di milioni i finti profughi palestinesi. 24 set. Mozambico – Jihadisti all’attacco: 12 morti Almeno 12 persone sono state uccise giovedì 20 settembre durante un attacco di sospetti jihadisti nel villaggio settentrionale di Paqueue, nel Mozambico, nella regione di Cabo Delgado. «Dieci persone sono state colpite da armi da fuoco e due arse vive dopo che 55 case erano state bruciate. Una persona è stata decapitata dopo essere stata uccisa», spiegano all’Afp i testimoni. Da mesi, un gruppo di militanti islamisti opera nella regione ricca di gas naturale conducendo numerosi attacchi. Secondo uno studio recente, i jihadisti sarebbero arrivati in Mozambico dalla costa dell’Africa orientale. Sono, in larga parte, seguaci del religioso musulmano Aboud Rogo Mohammed (accusato di sostenere al Shabaab in Somalia). Dopo la morte del leader nel 2012, i miliziani si sono trasferiti a Sud. Inizialmente, hanno creato un nucleo operativo a Kibiti, in Tanzania, e poi hanno attraversato il fiume Ruvuma a Cabo Delgado nel 2015. Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 4
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 24 set. Missioni militari italiane nel mondo: dove sono, cosa fanno, quanto costano L’Italia è generalmente percepita come un paese pacifico o quantomeno non impegnato in prima linea nei conflitti mondiali. In realtà il nostro paese da almeno 35 anni partecipa costantemente a diverse missioni internazionali, nell’ambito di mandati ONU, Nato o UE. Di che tipo di missioni si tratta? Quanto costano? Che risultati ottengono? Le principali missioni militari italiane all’estero fino ad ora Nel 1982, per la prima volta dalla fine della seconda guerra mondiale, un reparto armato italiano veniva mandato fuori dai confini nazionali, sotto mandato ONU, con compiti di peacekeeping, ossia per lo svolgimento di operazioni volte al mantenimento della pace messe in atto con il consenso delle parti, nella guerra civile in Libano. Furono poi due missioni in particolare a consolidare il nuovo ruolo “interventista” italiano: la prima guerra del Golfo contro l’Iraq, a cui l’Italia partecipò inviando 1950 soldati sul terreno più otto cacciabombardieri Tornado e la nave missilistica Zeffiro, e la missione Ibis in Somalia (1992-1994), in cui persero la vita 14 italiani, tra cui l’inviata di guerra Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin. Da allora le Forze Armate italiane (che includono l’Esercito, la Marina, la Guardia di Finanza e i Carabinieri, a cui a volte si aggiunge per alcuni missioni la Polizia di Stato) sono state presenti in diversi teatri di guerra, tra cui la missione in Kosovo nella ex Jugoslavia, in Afghanistan e in Iraq al seguito delle coalizioni militari guidate dagli Stati Uniti, con l’obiettivo della “lotta al terrore” dichiarata da Bush dopo l’attentato di Al Qaeda alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001. Proprio in Iraq l’Italia ha pagato il maggior contributo in termini di caduti: 33, tra cui i 13 soldati italiani che persero la vita a Nassiriya vittime di un attentato suicida. A parte queste missioni militari italiane nel mondo più note, dal sito dell’Esercito Italiano si evince che il nostro paese ha inviato nel corso degli anni personale militare e logistico praticamente in tutto il mondo: Albania, Bosnia, Ciad, Macedonia, Georgia, Haiti, Marocco, Mozambico, Namibia, Pakistan, Palestina, India, Ruanda, Somalia, Sudan. Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 5
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 Le missioni militari italiane nel mondo oggi. Proprio con lo scopo di dare continuità alle missioni militari italiane all’estero, lo scorso gennaio il Parlamento ha approvato lo stanziamento dei fondi per il rifinanziamento di quelle in corso più ulteriori sei nuove missioni internazionali, tra cui: vedi scheda a lato. La missione in Libia, la più costosa, ha l’obiettivo di fornire supporto al Governo di Accordo nazionale libico, quella in Tunisia di supportare le forze armate per un loro sviluppo. La missione NATO fa riferimento alla costruzione di un sistema di difesa aereo e missilistico comune tra gli stati membri, mentre la missione in Niger ha l’obiettivo di combattere il traffico internazionale di essere umani (di fermare i migranti, in pratica), che era stata sospesa ma sarà probabilmente ripresa in questi giorni. In totale i numeri delle missioni militari italiane nel mondo per il 2018 sono: oltre seimila unità impiegate, 1.400 mezzi terrestri, 60 mezzi aerei e 20 navali. Tra le missioni con il maggior numero di risorse umane (e più costose) figurano la partecipazione alla Coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh in Iraq (1.100 risorse), la missione ONU in Libano (1.072 risorse), le missioni NATO in Afghanistan (800 risorse) e Kosovo (538 risorse), e la missione UE nel Mediterraneo (470 risorse). Per coprire le missioni militari italiane all’estero per i primi nove mesi del 2018, sono stati stanziati circa 900 milioni di euro, ripartiti in questo modo: Rispetto al 2017 (1,2 miliardi per 12 mesi) la cifra è sostanzialmente la stessa ma con una diversa ripartizione: le risorse per le missioni in Africa passano dal 9% al 16% complessivo mentre quelle per l’Asia diminuiscono dal 58% al 51%, a causa di una riduzione dell’impegno militare in Medio Oriente, in particolare in Iraq e in Afghanistan, che dovrebbe bilanciare l’aumento della presenza in Africa. Le nuove missioni, come afferma il documento approvato alla Camera, “si concentrano in un’area geografica – l’Africa – ritenuta di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali. La tipologia degli interventi previsti è principalmente focalizzata sulle attività di elevato impatto per la sicurezza e la stabilità internazionali, quali quelle di capacity building a favore di paesi maggiormente impegnati nella lotta al terrorismo e ai traffici illegali internazionali”. Le forze italiane, come visto, svolgono diversi compiti: formazione alle polizie locali, operazioni di peacekeeping, lotta al terrorismo e ai traffici illegali internazionali, sminamento di aree, sorveglianza a siti considerati di interesse nazionale (ad esempio piattaforme dell’ENI). Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 6
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 Missioni militari italiane nel mondo: uno strumento davvero utile? Impegnata nelle aree più calde del pianeta dal punto di vista geopolitico, l’Italia ha consolidato grazie alle missioni militari internazionali un ruolo che la pone tra le protagonisti delle scena politica internazionale. Anche se in tutto alcune missioni sono costate molto negli anni (8 miliardi di euro quella in Afghanistan, 3 miliardi quella in Iraq) le missioni internazionali rappresentano tuttavia solo il 5% di tutto il budget della Difesa annuale, pari a circa 25 miliardi di euro, che posizionano l’Italia al dodicesimo posto mondiale per spese militari per il 2018. Secondo il Rapporto Milex sulle spese militari, ci troviamo di fronte ad “una situazione paradossale per cui, invece di avere uno strumento militare dimensionato in base alle esigenze strategiche e operative, abbiamo uno strumento evidentemente sovradimensionato che diventa economicamente sostenibile solo grazie alle missioni all’estero, che diventano così un’esigenza irrinunciabile”. In pratica, le missioni militari italiane nel mondo – che sono coperte da budget specifici – vengono utilizzate anche per tenere in piedi economicamente il sistema di difesa italiano, che senza questi contributi diventerebbe insostenibile. Di fronte a questo scenario, e considerando le nuove emergenze soprattutto sul fronte migranti dal Mediterraneo, vale la pena chiedersi se non sarebbe meglio investire una parte di queste ingenti risorse in progetti di cooperazione allo sviluppo per il miglioramento delle condizioni socio-economiche dei paesi di partenza in ambiti come l’istruzione, la sanità, l’imprenditoria locale. Nelle prossime settimane, nel dibattito parlamentare per il rifinanziamento delle missioni militari italiane nel mondo, il nuovo Governo sarà chiamato a pronunciarsi anche su questi aspetti. 25 set. Yemen: rischio colera per oltre 5 mln di bambini La devastante guerra civile in Yemen sta causando centinaia di migliaia di morti, ma in seguito all’attacco al porto di Hodeidah – canale di accesso fondamentale per gli aiuti umanitari – la situazione è ulteriormente peggiorata, e oltre 5 milioni di bambini rischiano ora di morire per la carestia e le epidemie in agguato. Lo riferiscono Save The Children e Oxfam. "Le vedevo le ossa, e non potevo fare niente per lei. Non avevo soldi per il trasporto: ho dovuto farmi prestare dei soldi per portare mia figlia in ospedale, è lontanissimo dal nostro villaggio. Non abbiamo cibo: la mattina un po’ di pane col tè, e a pranzo patate e pomodori. Di solito, io non mangio: cerco di tenere tutto per i miei bambini". E' la drammatica testimonianza di una madre yemenita vittima della dilagante carestia in un Paese sempre più devastato dalla guerra. Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 7
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 25 set. Un ponte aereo in corso tra Russia e base aerea in Siria Il ministero della Difesa della Federazione Russa ha riferito che il 17 settembre sono andati persi i contatti con l'aereo russo Il-20 di ritorno nella base aerea di Khmeimim. Secondo il dicastero militare, il velivolo con un equipaggio di 14 persone a bordo si trovava a 35 chilometri dalle coste siriane nel Mediterraneo. Secondo il ministero della Difesa, nello stesso momento 4 caccia F-16 israeliani bombardavano obiettivi siriani a Latakia. I rottami del velivolo sono stati trovati nel Mar Mediterraneo a 27 chilometri a ovest dalla città di Baniyas. Gli occupanti sono tutti morti. Negli ultimi anni Israele opera sul "fronte nord" quasi senza sosta. Dopo che a febbraio le difese aeree siriane hanno abbattuto un F-16 israeliano, Tel Aviv ha continuato ad invadere il paese siriano, con operazioni che stanno diventando sempre più pericolose. La risposta all’incidente che ha coinvolto un IL-20 russo in Siria potrebbe essere la restrizione della zona di volo per l’aviazione israeliana in territorio siriano. Il governo Israele spera che Mosca si limiterà alla chiusura del cielo per una settimana e non ricorra a ulteriori sanzioni, come il divieto di voli vicino alle loro basi nel nord della Siria, in quanto questo bloccherebbe l'accesso all'aviazione israeliana ai territori a nord di Damasco. Inoltre, tali misure possono portare alla creazione di zone sicure per le forze governative siriane e gli Hezbollah, così come potrebbero dare la possibilità all'Iran di rafforzare le loro posizioni nella regione. Secondo il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman i rapporti tra Israele e Russia sono in buone condizioni e Israele si sente a disagio a causa della tragedia. Il ministero della Difesa russo ha detto che aerei israeliani hanno deliberatamente creato una situazione di pericolo e considera le azioni di Israele provocatorie e ostili.Il presidente russo Vladimir Putin ha promesso l'adozione di contromisure atte a garantire una maggiore sicurezza alle proprie forze armate e alle strutture in Siria. Lo stesso giorno, Putin in una conversazione telefonica con Netanyahu, ha invitato il primo ministro israeliano a non consentire situazioni come quella che ha portato al disastro dell'aereo russo. Il Cremlino ritiene che l'abbattimento dell'Il-20 nei cieli al largo di Latakia, in Siria, "non può non danneggiare" le relazioni russo-israeliane. A dichiararlo il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov, che però non ha precisato se il presidente russo abbia discusso la questione delle consegne degli S-300 con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ma ha aggiunto che "su questa conversazione, abbiamo riferito tutto ciò che è stato ritenuto necessario". Peskov è comunque stato soprendentemente esplicito sui rapporti e sulle conseguenze dell'abbattimento, che pur essendo avvenuto a causa di un colpo sferrato dalla contraerea siriana, Mosca ha attribuito ad azioni "codarde" di Israele, ossia al fatto che gli F-16 usassero l'Il-20 da scudo. "Naturalmente, secondo i nostri esperti militari, la causa della tragedia sono azioni deliberate dei piloti israeliani - ha detto Peskov - che certo non possono non danneggiare le nostre relazioni, e soprattutto questo sta costringendo la parte russa a prendere ulteriori misure efficaci per garantire la sicurezza delle nostre truppe in Siria". Peskov ha inoltre sottolineato che le misure russe, compreso l'oscuramento delle comunicazioni e trasmissioni radar per i velivoli da attacco provenienti dal Mediterraneo, sono soltanto mirate a proteggere il contingente russo che sull'Ilyushin ha perso 15 uomini. "Per tutti dovrebbe essere evidente la necessità di azioni di protezione”. Gli aerei cargo dell’Aviazione militare russa intanto stanno arrivando quasi senza sosta nella base aerea di Latakia e le notizie segrete dell’Intelligence stanno informando di questi arrivi. Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 8
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 Le informazioni provengono da persone che sono fisicamente sul terreno all’interno della Siria. Si tratta di informazioni di prima mano provenienti da fonti dell’Intelligence di un paese che non può, naturalmente essere citato. La Russia in due settimane consegnerà alla Siria il moderno complesso di difesa aerea S-300 , ha detto il Ministro della Difesa Sergey Shoigu. "È in grado di intercettare aerei su un raggio di oltre 250 chilometri e colpire contemporaneamente diversi bersagli aerei", ha detto. Secondo Shoygu, l'S-300 rafforzerà significativamente le capacità di combattimento della difesa aerea siriana. Il Ministro ha ricordato che la Russia nel 2013 aveva sospeso le forniture a Damasco del complesso S-300, ma che ora la situazione è cambiata, e non per colpa di Mosca. Inoltre, la Russia fornirà alla Siria moderni sistemi di controllo automatizzati per le strutture di comando della difesa aerea. "Ciò garantirà la gestione centralizzata di tutte le forze militari siriane, il monitoraggio della situazione aerea e la distruzione assicurata degli obiettivi. Il fine principale sarà garantire l'identificazione di tutti gli aerei russi con i sistemi di difesa aerea siriani", ha sottolineato Shoygu. Le supposizioni più probabili sono quelle che il comando militare russo, dopo l’abbattimento dell’aereo da ricognizione II-200, stia provvedendo a far arrivare in Siria tutti i sistemi e le attrezzature per dotare il paese arabo di un apparato di difesa aerea a prova di intromissione. Se la supposizione risulterà corretta, è probabile che nei prossimi giorni la Siria disponga di una “blindatura” del proprio spazio aereo che impedirà definitivamente le incursioni degli aerei del regime israeliano e della coalizione USA. Il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov ha completato quindi il suo intervento, rispondendo alla domanda se la decisione di fornire alla Siria il complesso S-300 va a ledere le relazioni tra Russia e Israele, avvisando che la Russia è guidata esclusivamente dagli interessi connessi con la sicurezza del suo personale. Pertanto le predisposizioni di sicurezza e difesa non sono dirette contro paesi terzi, hanno lo scopo esclusivo di proteggere i nostri militari ".,. 25 set. Somalia: Puntland, guardia presidenziale uccisa in sparatoria a Bosaso Una guardia presidenziale dello Stato semi-autonomo del Puntland, in Somalia, è stata uccisa e un’altra è rimasta ferita in una sparatoria avvenuta oggi nella città di Bosaso. Lo riferisce il sito d’informazione “Garowe Online”, secondo cui la sparatoria è avvenuta nei pressi di un centro commerciale. L’agguato non è stato rivendicato, ma fonti della polizia lo attribuiscono al gruppo jihadista al Shabaab. 26 set. Etiopia-Eritrea: Arabia Saudita allunga mani su Corno d’Africa Ora la pace tra Etiopia ed Eritrea sembra esserci davvero, con la firma a Gedda, il 16 settembre, di un trattato che non è un estemporaneo esercizio diplomatico, ma il punto di approdo di un processo tanto rapido quanto solido. Intanto perché a metterci la faccia non sono solo il premier di Addis Abeba Abiy Ahmed e il presidente dell’Asmara Isaias Afewerki, ma anche i ‘registi’ sauditi – re Salman bin Abdulaziz e il giovane e influente principe ereditario Mohammed bin Salman – e testimoni del calibro del segretario generale dell’Onu Antonio Guterres e del presidente della Commissione dell’Unione africana Moussa Fazi Mahmat, oltre al ministro degli Esteri degli Emirati Abdullah bin Zayed Al Nahyan. E se il comunicato diffuso da Riad per annunciare l’evento parla, un po’ vagamente, del “ ripristino di normali relazioni fra i due Paesi, sulla base degli stretti legami geografici, storici e culturali”, la sostanza dei fatti c’è tutta e la discesa in campo dell’Arabia Saudita è a suo modo una garanzia, oltre che un’ipoteca sul futuro dei due Paesi e dell’intero Corno d’Africa. Che Etiopia ed Eritrea facessero sul serio sul fronte della riconciliazione, a vent’anni dalla sanguinosa guerra di confine del 1998 che non era mai del tutto finita, era apparso chiaro con la trionfale visita ad Asmara del premier di Addis Abeba, Abiy Ahmed, l’8 luglio e con la ripresa delle relazioni diplomatiche il giorno successivo. Un passaggio chiave dopo le aperture del giovane leader riformista che nel discorso di insediamento, il 2 aprile, aveva usato toni concilianti nei confronti dell’ Eritrea e il successivo 6 giugno aveva Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 9
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 dichiarato la cessazione dello stato di emergenza e l’accettazione dell’Accordo di pace firmato ad Algeri nel 2000 e rimasto fino a quel momento lettera morta. A spingere verso la pace il giovane leader (42 anni) di Addis Abeba con un disegno di stabilizzazione del Paese che passa attraverso la ripresa economica e la necessità di attrarre investimenti internazionali e di cui parte fondamentale è il ripristino di quello sbocco al mare storicamente rappresentato dal porto eritreo di Massaua, ma che passa anche attraverso la soluzione del problema dei profughi: centinaia di migliaia di eritrei in fuga da condizioni economiche drammatiche e dalla violazione sistematica dei diritti umani ammassati nei campi dell’Etiopia, che costituiscono una emergenza permanente. Afewerki da parte sua, in un sussulto di pragmatismo, è riuscito a cogliere probabilmente l’ ultima occasione per non passare alla storia come il responsabile del collasso economico del suo Paese e di una spirale repressiva senza uscita che ha fruttato all’Asmara il bando internazionale e pesanti sanzioni. Le tappe successive hanno scandito la volontà di mettere fine a una situazione non più sostenibile e il risultato è stato un disgelo a passo di marcia in meno di due mesi: il ripristino delle linee telefoniche interrotte da vent’anni, la ripresa dei voli, la riapertura dell’ambasciata etiopica nella capitale Eritrea e, l’11 settembre, la riapertura delle frontiere. Ma al di là della questione umanitaria e delle opportunità economiche, i dividendi della pace possono rilanciare il ruolo strategico del Corno d’Africa nel grande gioco della regione dove, con la regia dell’accordo di Gedda, l’Arabia saudita ha segnato un punto a suo favore, certamente in funzione anti iraniana. Anche alla luce della partita che Riad sta giocando sulla sponda opposta del Mar Rosso, in Yemen, a capo di una coalizione araba che – nonostante la potenza di fuoco messa in campo – non riesce a venire a capo della ribellione Houthi sostenuta da Teheran contro il presidente filo saudita Mansur Hadi. Sempre sotto lo sguardo vigile dell’Arabia Saudita è partita, ai primi di settembre, la mediazione della presidenza etiopica per normalizzare i rapporti tra Eritrea e Gibuti, dopo un lungo periodo di dispute di confine. Dal nuovo corso nel Corno non resta fuori neppure l’instabile Somalia, come dimostra l’incontro ad Asmara ai primi di settembre tra Ahmed, Afewerki e il presidente somalo Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo e la firma di un accordo di cooperazione a tre. Lo stesso giorno, la prima volta dopo vent’anni, una nave etiopica è arrivata nel porto eritreo di Massaua, per ripartire con un carico di 11.000 tonnellate di zinco destinato alla Cina. Una rotta dal forte simbolismo: l’interesse di Pechino per l’area non è una novità, ma un Corno stabile e pacificato può diventare uno snodo chiave lungo quella nuova Via della Seta, e il suo enorme volume d’affari, che è una delle più grandi scommesse strategiche dell’ ‘imperatore’ Xi Jinping. 26 set. Kenya: uccisi 10 miliziani al Shabaab nella contea di Lamu Almeno dieci miliziani del gruppo jihadista somalo al Shabaab sono morti in un raid effettuato nelle prime ore di questa mattina dalle forze armate keniote nella contea di Lamu, nel sud-est del Kenya. Lo rende noto un comunicato delle forze armate keniote, secondo cui tre militari sono rimasti feriti nell’operazione. Le milizie al Shabaab hanno intensificato negli ultimi mesi le loro irruzioni in territorio keniota dopo che nel settembre 2015 l’esercito del Kenya ha lanciato l'operazione "Linda Boni", con l'obiettivo di stanare i miliziani di al Shabaab nella foresta di Boni, situata al confine tra Kenya e Somalia, diventata la roccaforte del gruppo a seguito dell’avanzata delle forze armate keniote nella regione. Lo scorso anno, in risposta ai frequenti attacchi jihadisti nel nord del Kenya, alcuni deputati del parlamento di Nairobi hanno minacciato di armare le popolazioni locali per permettere loro di difendersi autonomamente. 26 set. Emergenza a Tripoli Gli scontri in corso a Tripoli hanno avuto ripercussioni e riguardano l'intero “sistema centralizzato libico” e le fonti di finanziamento a livello nazionale. Ci sono due milioni di stipendiati dallo Stato su sei milioni di abitanti. Oggi la gente in Libia non ne può più e questo ha un impatto diretto anche sui gruppi armati. Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 10
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 In Libia ci sono diverse milizie. Bisogna distinguendo tra milizie “autentiche” (cioè radicate sul territorio) e quelle “non autentiche” (ovvero dipendenti dall'estero). Le milizie meno autentiche devono sparire, mentre le altre dovrebbero essere assorbite. Non è una vicenda locale, ma riguarda la capitale di un sistema molto centralizzato. Tutte le fonti di finanziamento sono infatti a Tripoli. Il disarmo delle oltre 100 milizie presenti in Libia è sempre stata la priorità per i numerosi Primi ministri che si sono via via succeduti dalla morte di Muammar Gheddafi, nell'ottobre del 2011. Tra i Paesi occidentali coinvolti nel deludente processo di stabilizzazione della Libia, ma anche tra gli stessi politici libici, l'opinione è sempre stata largamente condivisa: la condizione per avviare un paese uscito da 42 anni di regime – e sommerso dalle armi - a una credibile transizione democratica è, e deve essere, il ripristino della sicurezza. Tutti ci hanno provato. Chi più seriamente, chi meno. Nessuno ci è riuscito. Senza un esercito nazionale ben armato e compatto, capace di esercitare una funzione deterrente, chiunque abbia a disposizione una milizia può reclamare una fetta di potere. E qualora non fosse accontentato, potrebbe ricorrere alle armi per far deragliare l'agognato processo di transizione. Ciò che è accaduto diverse volte negli ultimi anni. Ciò che è accaduto anche recentemente a Tripoli, teatro di un'offensiva particolarmente violenta da parte di milizie ostili al Governo. Se questa è la” nuova Libia” in cui dovrebbero svolgersi le elezioni presidenziali e politiche tra soli tre mesi, un voto fortemente voluto dal presidente francese Emmanuel Macron, c'è da augurarsi che vengano posticipate il più in là possibile. Fayez Serraj, il premier del Governo di accordo nazionale è sempre riuscito a domare le rivolte, è innegabile che la sua autorità è sempre stata piuttosto debole. Non può far affidamento su di un esercito compatto ma su un coacervo di milizie che forgiano alleanze per poi disfarle nell'arco di pochi mesi. E che rispondono prima agli interessi dei loro capi tribù che a quelli del Governo. Non è un caso che in diverse città della Cirenaica i redditizi business del contrabbando di armi e della tratta di esseri umani siano gestiti congiuntamente da gang criminali e da milizie. A lanciare l'ultima offensiva contro il “Governo che non governa” è stata la Settima Brigata, una milizia di stanza nelle città di Tarhuna, a sud della capitale. La ragione ufficiale della sua rivolta contro le formazioni fedeli a Serraj sarebbe quella di porre fine al potere delle “milizie corrotte” e riportare l'ordine nella capitale”. Per cercare di riportare la calma ed evitare uno scontro ancora più aperto (le vittime potrebbero essere state oltre 300) Serraj si è appellato domenica alla potente milizia di Misurata, il cui appoggio al Governo di accordo nazionale non è però mai stato così solido come si pensasse. Non è un caso se la milizia di Misurata faccia parte di quel gruppo di 13 potenti gruppi armati – tra cui Zintan, Janzour e Gharyan – che si rifiutarono di partecipare alla conferenza internazionale sulla Libia organizzata a fine maggio dall'Eliseo, firmando un documento in cui respingevano le «interferenze straniere» contro la sovranità della Libia. Allora torniamo indietro a quella conferenza – un'iniziativa unilaterale - tanto voluta dal presidente francese che aveva irritato la diplomazia italiana. Era fin troppo evidente che invitare i quattro uomini più potenti della Libia (Serraj, il generale Kalifa Haftar, suo acceso rivale e signore incontrastato della Cirenaica, il presidente del Consiglio di Stato, Khaled al-Mishri, esponente di punta dei Fratelli musulmani, anche lui nemico di Haftar, e il presidente del Parlamento di Tobruk, Aguilah Salah Issa) non significava far sedere allo stesso tavolo tutte le diverse anime della Libia. L'intesa raggiunta era molto ambiziosa: unificare le istituzioni, tra cui la strategica Banca Centrale, indire elezioni già in dicembre (accorpando le parlamentari alle presidenziali), formare un esercito nazionale. Ma il fatto che non fosse stata nemmeno firmata dai presenti – si trattava solo di un “impegno” – relegava questo “successo” all'ennesima dichiarazione di intenti in attesa della prova dei fatti. I fatti sono arrivati. Ma non come sperava Macron. Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 11
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 Per quanto Parigi si ostini a far rispettare il calendario elettorale, in questo infuocato contesto lo svolgimento delle elezioni appare fuori luogo. Organizzare elezioni senza istituzioni rischia di peggiorare la situazione. Un trasferimento del potere necessita di un contesto istituzionale coerente e ordinato che garantisca possa avvenire in modo pacifico. In altre parole deve essere supportato da un sistema giudiziario efficiente, un sistema in cui sia dato spazio al dissenso e che garantisca la sicurezza ai cittadini, consentendo loro di esprimere un voto libero senza temere per la propria via. E‘ peraltro fondamentale un quadro di legalità in cui siamo delineati con precisione i poteri, le responsabilità, le regole. Infine non si può prescindere da un genuino impegno da parte di tutti gli attori coinvolti ad accettare i risultati che usciranno dalla urne. A tre mesi dalle elezioni di tutto ciò non c'è traccia. Non è stato nemmeno raggiunto un accordo su quale sia la base costituzionale per queste elezioni. Se si farà ricorso alla legislazione vigente o se sarà necessaria scrivere quella Nuova Costituzione, il cui referendum continua ad essere rinviato. In questo infuocato contesto le elezioni rischiano di approfondire, e non sanare, le già profonde divisioni tribali e claniche . Allora è legittimo porsi una domanda. E se i violenti scontri di questi giorni a Tripoli fossero scaturiti anche da gruppi armati contrari alle elezioni e timorosi di venire esclusi dal processo di transizione e dalla spartizione delle ricche risorse nazionali? Giusto, petrolio e gas. Non c'è ancora un'idea chiara su come saranno amministrate e distribuite le ricchissime risorse energetiche dell'ex regno di Gheddafi. Non è un dettaglio. Ed il fatto che a Macron sfuggano questi … dettagli ha un solo significato. Si tratta di un altro dilettante allo sbaraglio. Ormai in Italia siamo esperti di tali campioni. 27 set. Le vicende politiche degli ultimi mesi in Somalia Nuove criticità sono emerse nel rapporto tra il presidente Farmajo, quale vertice dell’Autorità centrale federale, e gli Stati membri, apertamente in contrasto con la sua politica estera. Le tensioni accumulate negli ultimi mesi tra le Autorità federali di Mogadiscio e gli Stati Membri Federali, causate dalla divisione interna al blocco sunnita nel Golfo Persico (per un maggiore approfondimento, si rimanda a un precedente articolo), non accennano a diminuire, anzi le parti in campo sono decise a portare avanti le rispettive ragioni senza guardarsi indietro. Infatti, nel mese di aprile, il presidente Mohamed Abdullahi Mohamed “Farmajo” ha voluto dare diversi segnali circa la propria capacità di tenere le redini del Paese. Il primo ha avuto come destinatario Abu Dhabi: l’8 aprile alcuni membri delle forze di sicurezza governative somale hanno temporaneamente bloccato a terra un aereo civile emiratino con a bordo 47 membri delle forze di sicurezza e personale diplomatico, e poi hanno preso in custodia un’ingente somma di denaro, ben 9,5 milioni di dollari, presenti a bordo del velivolo. A nulla è servita la giustificazione fornita dall’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti, presente all’aeroporto Aden Adde di Mogadiscio, secondo cui i fondi erano destinati al pagamento degli emolumenti di 2.407 soldati somali. La reazione della Monarchia del Golfo è arrivata a stretto giro di posta: il 15 aprile il Ministero degli Affari Esteri di Abu Dhabi, con un comunicato ufficiale, ha chiuso tutti i programmi di addestramento delle truppe somale in atto fin dal 2014. Inoltre, la struttura ospedaliera Sheikh Zayed Hospital, fondata dagli Emirati a Mogadiscio e che fornisce prestazioni mediche gratuite alla popolazione in difficoltà, ha sospeso qualsiasi attività fino a data da destinarsi. Fuori Mogadiscio, però, la popolarità del Presidente è fortemente influenzata soprattutto a causa dei forti contrasti in atto con gli Stati Federali, che continuano a incolparlo di non riuscire a proteggere la popolazione dagli attacchi di Al-Shabaab e di aver preso posizione nella disputa tra Qatar, Emirati e Arabia Saudita in maniera unilaterale, senza consultare gli Stati Federali. Questi aspetti hanno caratterizzato le tesi conclusive dell’Inter State Cooperation Conference, evento giunto alla sua seconda edizione, che si è tenuto a Baidoa, dove i Presidenti dei cinque Stati Federali – Puntland, Galmudug, HirShabelle, Southwest e Jubbaland – si sono incontrati per discutere delle recenti problematiche sorte con il Governo centrale , in particolare in merito aòlle Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 12
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 risorse emiratine che sono venute a mancare a seguito della scelta politica della presidenza ella repubblica. Oltre alle sopraccitate motivazioni, i rapporti tra le rappresentanze degli Stati Regionali e Mogadiscio non sono propriamente idilliaci, a causa, principalmente, delle pesanti interferenze nelle questioni locali denunciate dai primi nei confronti dell’establishment governativo. In conclusione, la frattura tra Governo centrale e Stati federali dovrà essere ricomposta per il bene del Paese, anche se, date le ingenti influenze extra-nazionali alle quali sono soggette le parti, i tempi per la riconciliazione potrebbero essere più lunghi del previsto. Un’ottima occasione per smentire tali timori potrebbe essere rappresentata dal processo di revisione costituzionale indispensabile per le elezioni “one person one vote” programmate per il 2020, con le due parti in causa che dovranno sedersi intorno a un tavolo e dialogare nel breve periodo. A tal proposito potrebbe essere utile un intervento diplomatico dell’Italia, data la comprovata neutralità nella questione e il rapporto di fiducia di cui gode con le Autorità somale. 27 set. Pace, stabilità e cooperazione in tutto il Corno d’Africa La notizia dello scorso luglio della pace fra Eritrea ed Etiopia ha colto di sorpresa non solo gli osservatori esterni e l’opinione pubblica internazionale, ma anche gli stessi eritrei ed etiopici. Come è noto, il governo eritreo ha sempre mantenuto la posizione secondo la quale l’unica pace possibile sarebbe stata realizzabile soltanto con la piena accettazione senza precondizioni da parte di Addis Abeba dei termini dell’Accordo di Algeri del dicembre 2000 e della decisione della Commissione sui confini del 2002 istituita sulla base di quell’Accordo. Nel corso degli ultimi 18 anni, Meles Zenawi prima e Hailemariam Desalegn poi avevano sempre posto, come precondizione, il “dialogo” alla decisione della Commissione che all’inizio era stata accettata e sottoscritta da entrambe le parti come definitiva e vincolante, cioè come inappellabile, ma che Addis Abeba non aveva mai voluto onorare innescando così uno situazione permanente di tensione e di “non pace, non guerra” che ha a lungo caratterizzato i rapporti dei due Paesi. L’atteggiamento e la politica dell’Etiopia sono cambiati con l’elezione del dottor Abiy Ahmed alla carica di primo ministro. La sua coraggiosa accettazione senza precondizioni seguita da passi concreti a soli due mesi dal suo insediamento e la pronta risposta del presidente Isaias Afwerki hanno reso possibile una pace che per due decenni è sembrata impossibile. Tra i due Paesi è finalmente iniziata una stagione di pace, di reciproca fiducia e di cooperazione che era mancata con Meles e Desalegni. L’intesa tra i due leader e la normalizzazione dei rapporti tra l’Eritrea e l’Etiopia sta avendo effetti positivi su tutto il Corno d’Africa. Tant’è vero che sono già stati coinvolti nel processo anche i leader della Somalia, del Sud Sudan e di Djibouti. Dopo la firma dell’accordo bilaterale del 9 luglio scorso, ad Asmara sono stati firmati importanti accordi di amicizia e cooperazione bilaterali e trilaterali. Una delegazione tripartitica composta dai ministri degli esteri di Eritrea, Etiopia e Somalia si è recata a Djibouti per coinvolgere anche quel Paese nel processo in atto. Eritrea e Djibouti hanno deciso di porre fine pacificamente alla tensione durata dieci anni. Nel Corno d’Africa si sta aprendo una stagione per lo sviluppo politico, socio-economico e culturale sostenibile e, quindi, per l’integrazione regionale a beneficio di tutti i popoli dell’area accomunati non solo dalla posizione geografica dei loro Paesi, ma anche dalle loro vicende storiche recenti e meno recenti, dalle similitudini culturali e religiose nonché da interessi destino comuni. Per quanto riguarda l’Eritrea e l’Etiopia, l’Accordo del 9 luglio è già in fase di attuazione: oltre ai provvedimenti noti, il ritiro delle truppe e la rimozione delle barriere e dei posti di blocco lungo tutto il confine e, quindi, la libera circolazione delle persone e delle merci, …. sono già una realtà. Inoltre, sono già al lavoro commissioni bilaterali e trilaterali (Eritrea-Etiopia-Somalia) con il compito di facilitare e accelerare il processo. Secondo l’ambasciatore eritreo a Roma ora più che mai sarebbe opportuna una maggiore vicinanza dell’Italia all’Eritrea così come agli altri paesi della regione, non solo per trovare insieme una soluzione alle note questioni migratorie ma anche per le varie possibilità di cooperazione e sviluppo che si potrebbero generare. Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 13
HDIG ONLUS HUMANITARIAN DEMINING ITALIAN GROUP Gruppo Italiano di Sminamento Umanitario C.F.97191910583 L’auspicio è che l’Europa, e in particolare un’Italia forte della sua conoscenza storica e della sua vicinanza ai popoli della regione, possano svolgere un ruolo costruttivo mirante non soltanto al consolidamento del processo di pacificazione appena iniziato, ma anche al sostegno di un processo di sviluppo sostenibile secondo una strategia condivisa con i Governi della regione. 27 set. Etiopia: violenze ad Addis Abeba, bilancio sale 28 morti e 2.500 arresti È di 28 morti il bilancio dei disordini scoppiati fra il 12 e il 17 settembre scorsi nella capitale etiope Addis Abeba. Lo ha reso noto in conferenza stampa il commissario di polizia di Addis Abeba, Degfie Bedi, secondo cui più di 2.500 persone sono state arrestate in relazione alle violenze, provocate da un gruppo organizzato di dimostranti che hanno commesso una serie di omicidi e saccheggi in diverse aree della città, in particolare nel sobborgo di Burayu, ad ovest di Addis Abeba. Il precedende bilancio era di 23 morti e oltre 200 arresti. In risposta alle violenze, centinaia di persone sono scese in piazza nei giorni successivi contro quelli che il primo ministro Abiy Ahmed ha definito degli “attacchi vili contro cittadini innocenti, che mettono in pericolo l’unità del paese”. I dimostranti hanno accusato i gruppi giovanili della popolazione oromo di aver preso di mira altri gruppi etnici del sud del paese che si sono stabiliti negli ultimi anni nella regione dell’Oromia. Le violenze sono scoppiate in concomitanza con il ritorno in patria dei militanti del Fronte di liberazione oromo (Olf), che il mese scorso ha firmato un accordo di riconciliazione con il governo etiope che prevede la cessazione delle ostilità. In base all’accordo, firmato ad Asmara dal presidente dell'Olf, Dawd Ibsa, e dal governatore dello stato regionale di Oromia, Lemma Megersa, il gruppo di opposizione ha accettato di proseguire la sua attività politica in Etiopia attraverso mezzi pacifici, mentre le due parti hanno concordato anche l’istituzione di un comitato congiunto per attuare l'accordo. L’organizzazione non governativa Amnesty International ha condannato gli arresti di massa effettuati dalle autorità etiopi in seguito alle violenze che hanno colpito la capitale etiope Addis Abeba, sostenendo che “minacciano la nuova era” inaugurata dal primo ministro Abiy Ahmed. “Dopo aver fatto negli ultimi mesi un encomiabile tentativo di svuotare le carceri del paese di detenuti arbitrari, le autorità etiopi non devono riempirle nuovamente arrestando arbitrariamente e trattenendo cittadini senza alcuna accusa. Secondo il direttore di Amnesty per l'Africa orientale, il Corno d’Africa e i Grandi laghi, Joan Nyanyuki. “La maggior parte delle persone sono state arrestate per reati percepiti che non sono riconosciuti reati secondo il diritto internazionale, come fumare narghilè o consumare khat. Le persone arrestate per aver partecipato a proteste nei recenti scontri etnici devono essere rilasciate immediatamente e incondizionatamente”, ha aggiunto Nyanyuki, rinnovando l’appello al governo di Addis Abeba perché riaffermi il suo impegno per una “nuova era” di rispetto e difesa dei diritti umani. 27 set. Tunisia. Cresce la presenza militare USA e aumentano le proteste Gli Stati Uniti starebbero espandendo il proprio ruolo nelle operazioni della Tunisia contro i militanti islamici nei pressi dei confini occidentali del paese, scatenando pesanti polemiche politiche nello stato nordafricano. Il National Interest all’inizio di settembre riportava una notizia di un sito di veterani Usa, Task & Purpose, che membri del Corpo dei Marines Usa erano stati coinvolti in una battaglia nel 2017 in un paese nordafricano, non nominandolo, combattendo con forze partner contro militanti di al-Qaeda; per la rivista la nazione potrebbe essere la Tunisia, perché gli eventi citati in una serie di motivazioni di Sede operat., via degli Avieri, 00143 RM, fiscal code: 97191910583 Per segnalazioni ed informazioni: tel.+39.348.6924401; tel.+39.339.2940560, facebook: hdig.ong website: www.hdig.org ; e-mail: riccardo.galletti@hdig.org, mario.pellegrino@hdig.org; IBAN Banca Friuladria (ag.Thiene-VI): IT43 M 053 3660 7900 0004 6284703 14
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