La moda sovietica: lotta per la nascita di uno stile - giacomo lanzi "big jack"

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La moda sovietica: lotta per la nascita di uno stile - giacomo lanzi "big jack"
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 la moda sovietica:
lotta per la nascita di uno
            stile

         giacomo lanzi
           “big jack”
                                  1
La moda sovietica: lotta per la nascita di uno stile - giacomo lanzi "big jack"
Indice
1.  Introduzione ........................................................................................................... 3
2.  La moda socialista: l’affermazione di un’identità con l’avvento del regime. ....... 7
  2.1. L’utopia Bolscevica: primi dilemmi sull’abito nell’epoca post-rivoluzionaria.
         7
  2.2. Nadezhda Lamanova: l’apripista della moda russa. .....................................10
  2.3. Il primo Piano Quinquennale e l’introduzione verso un nuovo concetto di
  moda e progresso. ..................................................................................................11
     2.3.1. Stacanovisti: promotori del lavoro, promotori della moda. ...................12
  2.4. Le Case della Moda e l’avvento della Seconda Guerra Mondiale. ...............13
3. L’influenza della Guerra Fredda nella Moda Sovietica ....................................... 21
  3.1. La Guerra Fredda ..........................................................................................21
  3.2. Interazioni tra la Moda e la Guerra Fredda ..................................................22
     3.2.1. Chruščëv e l’abbandono dell’isolazionismo staliniano. ........................23
  3.3. L’evoluzione della Guerra Fredda nella Moda .............................................26
     3.3.1. L’occidente smuove nuovamente la moda socialista. ...........................27
  3.4. La fine degli anni ’60: la moda occidentale influenza nettamente l’est
  Europa. ....................................................................................................................29
  3.5. Slava Zaitsev: uno stilista influenza la moda, tornano i motivi etnici. .........31
  3.6. “Do it yourself” e mercato nero. ..................................................................33
     3.6.1. Cade il muro di Berlino e la moda diventa internazionale. ...................34
4. La Stampa: Il caso italiano di “Noi Donne” ........................................................ 47
  4.1. Tra i due fuochi del socialismo e del capitalismo. ........................................47
  4.2. “Noi Donne”: stampa femminile e lotta politica. .........................................48
  4.3. Stampa nel Blocco Sovietico .........................................................................53
  4.4. Considerazioni personali sulla stampa in Italia e la sua relazione con quella
  sovietica prima del 1989 .........................................................................................55
  4.5. Vogue Russia: dal ’98 la moda occidentale si apre alle nazioni sovietiche. .57
Conclusioni ................................................................................................................. 65
5. Bibliografia .......................................................................................................... 67
  5.1. Riviste ...........................................................................................................67
  5.2. Sitografia .......................................................................................................67

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La moda sovietica: lotta per la nascita di uno stile - giacomo lanzi "big jack"
1. Introduzione

Il processo che ha portato la moda nell’Unione Sovietica è direttamente collegato
all’evoluzione della situazione politica nel paese. Da quando l’impero zarista crolla e
anche la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa viene meno, il popolo
russo inizia la sua costruzione di un’identità che porta una certa dignità a chi aveva
combattuto per la rivoluzione prima, e la guerra civile dopo.

Nell’arco di quasi un secolo i costumi cambiano radicalmente, da una prima volontà
di rinnovare drasticamente lo stile della società, si passa a una mediazione tra
quello che erano i costumi al di fuori dei confini e le esigenze insite nella neonata
Unione Sovietica.

Da un regime decisamente duro come quello del periodo della “Grande Purga”
(tardi anni ’30) si passa nuovamente a una periodo un poco più disteso, in cui le
informazioni e i costumi provenienti dall’ovest venivano criticati, ma non
completamente censurati, soprattutto per una nascente classe media che inizia a
vedere la luce in quel periodo. Poi vengono gli anni della Cortina di Ferro, della
Guerra Fredda e della corsa alla supremazia sull’occidente borghese e capitalista.

Il popolo sovietico, comandato da un governo monopartitico si evolve per quanto
riguarda lo stile, e lo fa in modo brillante. Nasce, cresce, muta e assume una sua
dignità di essere riflesso del blocco sovietico.

È interessante vedere come le scelte politiche che sono state effettuate durante
l’arco di tempo tra gli anni ’20 agli anni ’90 abbiano influenzato sia lo sguardo sulla
figura femminile e sulla sua funzione sociale, sia l’industria, seppur in minima parte.
L’evolversi del discorso sullo stile sovietico ci condurrà ad analizzare gli avvenimenti
storici e relazionarli con l’idea stessa di moda nell’est Europa. Il filo conduttore della
trattazione sarà principalmente la Guerra Fredda, che avrà il merito di spingere le
nazioni coinvolte al continuo miglioramento.

Per affrontare il discorso nella sua totalità, dalla formazione iniziale di uno stile
identitario fino allo stile evoluto degli ultimi anni, è indispensabile attingere a piene
mani dagli studi sull’argomento effettuati da Djurdja Bartlett, ricercatrice a Londra, i

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cui studi sulla relazione tra l’est Europa e la moda occidentale sono fondamentali e
pressoché gli unici sull’argomento.

Particolare attenzione è stata data alla stampa, a cui è dedicato un capitolo.
Considerando la stampa come mezzo fondamentale per la divulgazione
dell’ideologia socialista in Unione Sovietica, non poteva che ricoprire un ruolo
speciale nell’evoluzione dello stile e della moda. Nella stampa italiana analizzata
(Noi Donne, anni 1958 e 1962) si percepisce la volontà e la necessità di educare e
costruire una donna italiana, emancipata, attiva politicamente e di buone maniere,
analogamente alle riviste sovietiche degli stessi anni che dovevano sottostare, però,
a un controllo di regime che non permetteva la stessa libertà di espressione di “Noi
Donne”.

Sul confronto tra la stampa Italiana e quella sovietica si incentra gran parte del
quarto capitolo, dedicato alla stampa in generale. Per la trattazione sono state
reperite alcuni numeri della rivista “Noi Donne” e dall’analisi dei contenuti si è
dedotto ciò che è scritto. La rivista, ancora oggi esistente, è reperibile sulla rete,
all’indirizzo www.noidonne.org, mentre per consultare i numeri cartacei degli anni
esaminati è stata necessaria una ricerca bibliotecaria, svoltasi a Bologna, nella
biblioteca della “Fondazione Gramsci”. In quanto rivista rappresentante dell’UDI
(Unione Donne Italiane, www.udinazionale.org) gran parte dei numeri di archivio è
reperibile anche presso la loro sede a Roma. Per poter approfondire il tema in
questa trattazione sono state sfogliate le annate ’58 e ’62, per le quali sono stati
scelti, rispettivamente, uno e due numeri, come rappresentativi del modello
adottato in quegli anni.

Infine è stato analizzato il caso di “Vogue Russia”, introdotto nel 1998, che ha avuto
il merito di plasmare un ultima volta il popolo sovietico e iniziarlo a uno stile di vita
decisamente in contrapposizione rispetto a quello che aveva vissuto per tutta la
durata della guerra fredda. Lo sfarzo a cui i russi sono introdotti permette loro, o
meglio alla classe di super ricchi che emerge dopo la crisi economica del 1998, di
riscattare gli anni di ristrettezze economiche e di contrabbando dello stile, portando
inoltre una ventata di aria fresca al mercato dei beni di lusso che troverà terreno
fertile per crescere e far parlare di sé.

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La moda sovietica: lotta per la nascita di uno stile - giacomo lanzi "big jack"
Tutte le immagini utilizzate a corredo della trattazione provengono da: Bartlett D.,
Fashion East: The Spectre that Haunted Socialism, The MIT Press, 2010.

Si ringrazia la “Fondazione Gramsci Emilia Romagna” e il gentilissimo personale
della sua biblioteca nella quale sono stati reperiti i numeri di “Noi Donne” analizzati.

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2. La moda socialista: l’affermazione di un’identità con l’avvento
                                    del regime.

La rivoluzione russa del 1917 fu un nuovo inizio per i paesi dell’Unione Sovietica.
Dopo la rivoluzione di ottobre, infatti, i bolscevichi concentrarono i loro sforzi per
segnare un netto distacco con il passato.

Questo significò che ogni tradizione fu rigettata fino a spaccare completamente la
continuità tra passato e presente.

L’ambito della moda non fu tralasciato. Il costruttivismo russo fu la chiave per
affrontare questa “rinascita” della nazione. L’artista costruttivista puntava alla
realizzazione di un progetto estetico complessivo tralasciando l’evoluzione
personale. Così nell’arte, e anche nella moda, si spinse per la gloria del regime, alla
formazione della nazione, a un estetica che si sposasse con l’utopia bolscevica. Si
accantonarono, quindi, le forme e geometrie frivole occidentali, in favore di un
astrattismo geometrico che si sposasse bene con il nascente regime.

Tuttavia possiamo considerare la nascita della moda sovietica come “ricerca di un
tipo d’abito completamente nuovo” 1, nascente dal confronto tra il potere politico
bolscevico e il NEP (New Economic Policy). Il primo, infatti, si opponeva alla moda,
mentre il secondo la promuoveva, dando luogo a una ideologica e concettuale
divisione che si manifestò per tutti gli anni 20 in Unione Sovietica (Fig. 2.1).2

           2.1. L’utopia Bolscevica: primi dilemmi sull’abito nell’epoca post-
                rivoluzionaria.

Nel 1921, a seguito di agitazione degli operai di Pietrogrado (odierna San
Pietroburgo), il capo del governo russo, Vladimir Il'ič Ul'janov detto Lenin,
introdusse una Nuova Politica Economica (NEP, New Economic Policy) al posto del
cosiddetto “comunismo di guerra”. Il NEP introdusse nell’economia russa alcuni
elementi del capitalismo permettendo ad alcuni contadini e imprenditori di

1   Djurdja Bartlett, Fashion East: the spectre that haunted socialism, MIT Press, 2010
2   Ivi pp. 14-26

                                                                                          7
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arricchirsi, contravvenendo a un punto essenziale del credo comunista secondo il
quale si doveva creare, dopo la rivoluzione, una società senza classi. Inutile dire che
questa soluzione non piacque al Partito Comunista, che non perse tempo per far
sentire la sua voce3.

Fin dalla sua introduzione il NEP fu considerato una misura temporanea per
risollevare il paese in seguito alla prima guerra mondiale e alla rivoluzione popolare
del ’17. Fu abbandonato pochi anni dopo la morte di Lenin (1924) dal suo
successore Josif Stalin appena questi ebbe il pieno controllo politico del paese nel
1929.

Nonostante i dissapori di una parte della popolazione, il NEP fu una sorta di finestra
verso l’occidente. Una fetta della popolazione seguiva con entusiasmo la direzione
data dal piano economico filo-capitalista, in contrapposizione con questa
emergente classe borghese di imprenditori entusiasti del NEP vi erano gli aderenti e
simpatizzanti del Partito Comunista che vedevano in pericolo gli ideali per cui la
Russia aveva affrontato una rivoluzione. Dissapori verso la nuova “classe NEP”
venivano anche dall’ambito artistico, da parte dei costruttivisti che rigettavano
l’idea dell’arte come elemento a sé stante e promuovevano la visione dell’arte
come strumento per la “[…]realizzazione di un progetto estetico complessivo,
coerente con il progetto politico dell’edificazione del socialismo”4.

La visione costruttivista degli anni ’20 portò a manifesti e copertine di riviste che
mostrano la donna come robusta, muscolosa, vestita con abiti da lavoro, pronta a
combattere la borghesia occidentale. Queste rappresentazioni ci fanno capire come
la moda, nella concezione occidentale, non aveva alcun posto nel nuovo mondo
socialista. Le donne erano rappresentate con lunghe gonne nere, cinte da grembiuli
rossi e con in testa dei foulard, bianchi o rossi. Dal modo in cui questi foulard erano
legati si poteva capire la posizione della donna che lo indossava: se il nodo era
posizionato sotto al mento, la donna rappresentata era una tradizionale contadina,
mentre le moderne lavoratrici legavano il foulard dietro la nuca5.

3 Alberto Mario Banti, L’età contemporanea: dalla grande guerra ad oggi, Ed. Laterza, Bari, 2009
4 http://www.treccani.it/, vedi “costruttivismo”.
5 D. Bartlett, op. cit., p. 15

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In quegli anni il costruttivismo fa da padrone nella realizzazione degli abiti e lo si
può intuire dai lavori di artiste costruttiviste come Lyubov Popova e Varvara
Stepanova che passarono da una rappresentazione della donna formosa a una più
cubista, geometrica e appiattita, sia nel corpo che negli abiti. Il minimalismo
utilizzato dalle due artiste, visto come una brusca virata rispetto ai motivi floreali
tradizionali della moda occidentale, fu sostituito da uno stile più accettabile dal
pubblico, su richiesta dell’industria tessile; la visione costruttivista comunque non
poteva essere messa in pratica per via dei macchinari datati e della carenza dei
materiali di cui l’industria tessile disponeva.

Nonostante questo alcune loro creazioni arrivarono nei negozi senza però interagire
con il target per cui furono pensati: il popolo socialista. Le influenze dell’ovest
modernista erano ben presenti, grazie anche alla rivista, nata nel 1923, Atel’e
(Atelier). La rivista ebbe una certa influenza e mostrava, attraverso fotografie,
disegni e articoli un elevato livello di informazione riguardo alla moda occidentale.
Vladimir ven Mekk nel suo articolo “Dress and Revolution” si sferra contro il
concetto stesso di prozodezhda (l’abito da lavoro) - che invece era soggetto basilare
per le creazioni della Popova e della Stepanova (Fig. 2.2 e 2.3) – asserendo che non
poteva essere rilevante come vestito da tutti i giorni. Sosteneva inoltre che la
rivoluzione negli abiti si sarebbe avuta solo dopo l’abbandono, da parte dei cittadini
proletari, degli abiti tradizionali in favore della moda occidentale6.

La Stepanova andava in forte contrasto con l’ideale occidentale, puntando sul
comfort, sulla funzionalità e sulla polivalenza delle sue creazioni basate sulla
prozodezhda. In quanto costruttivista le sue opere dovevano essere soprattutto
funzionali e rispecchiare le necessità della nascente popolazione comunista.

Diverso fu l’approccio della Popova, seppur simile alla Stepanova, se non altro per la
medesima derivazione costruttivista. Le sue creazioni, infatti, si basavano su una via
di mezzo tra l’eccessiva geometria e rigore costruttivista della Sepanova e l’esilità
dei corpi presentati dalla moda occidentale, soprattutto parigina. Le creazioni della

6   Ivi pp. 26 - 36

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Popova erano una rivisitazione dei vestiti a falde provenienti direttamente dalla
cultura jazz occidentale, presentati in forme più vigorose 7.

         2.2. Nadezhda Lamanova: l’apripista della moda russa.

Una figura centrale per la nascente moda sovietica fu Nadezhda Lamanova (1861 –
1941), una delle poche stiliste sovietiche ad avere esperienza nel campo
professionale, nonostante il brusco passaggio dall’aristocratico fatto-per-essere-
ordinato al più democratico pronto-a-vestire, produsse importanti lavori sia pratici
che teorici8.

La Lamanova non aveva certo la creatività e l’inventiva della Popova o della
Stepanova, ma riuscì a cogliere le esigenze dell’epoca per quanto riguarda la moda.
Oltre che essere pronta a eliminare la visione stagionale della moda pur
mantenendo il concetto di “bel vestito”, la stilista poteva fare affidamento sulla sua
conoscenza delle tecniche di produzione ed esperienza pregressa nel campo.
Questa combinazione di fattori fu la principale spinta del suo successo riuscendo
anche a collaborare con successo alle iniziative statali: divenne infatti stilista haute
couture ingaggiata del futuro Ministero dell’Educazione per fronteggiare l’estetica
proposta dell’occidentalizzato NEP. Giocoforza fu la sua abilità nel coniugare le idee
costruttiviste con la moda occidentale, ridisegnando lo stile occidentale rendendolo
più vicino e accettabile dal socialismo.

Lamanova tralasciò il concetto di prozodezhda in favore di abiti lunghi, ricamati in
maniera semplice con motivi etnici, che parteciparono a ridisegnare l’eleganza,
mantenendo una sobrietà e una semplicità tipici dettati dalle possibilità
dell’industria tessile9.

I motivi etnici sono un esempio della lungimiranza della Lamanova, infatti, con
questo sobrio richiamo alla tradizione, reinventa l’abito alla moda occidentale

7 Ibidem
8 A Cura di A. Gleason, P. Kenez, R. Stites, Bolshevik Culture: Experiment and Order in the Russian
Revolution, Ed. Indiana University Press, 1989
9 D. Bartlett, op. cit., pp. 37-44

10
attraverso elementi congeniali al popolo comunista, dando primi natali alla moda
sovietica10 (Fig. 2.4 e 2.5).

          2.3. Il primo Piano Quinquennale e l’introduzione verso un nuovo concetto di
               moda e progresso.

Nel 1929 il regime stalinista introduce il primo piano quinquennale, abolendo il NEP
e rigettando in parte le idee utopiche costruttiviste, a lungo dibattute in campo
artistico nella metà degli anni ’20. Sembrerebbe che la radicale scissione con il
passato, che i costruttivisti promuovevano, sia stata superata dal concetto di
“reinvenzione” introdotto dalla Lamanova attraverso i suoi abiti e i motivi etnici. In
fondo il socialismo non cercava la completa novità, ma forse solo una nuova visione
sulla moda, diversa da quella occidentale, ma non completamente estranea.

Nel 1932, lo studio di T. Armand, intitolato “Ornamenti nel Tessile”, conferma il
ritorno di decorazioni tradizionali attraverso l’introduzione di pattern provenienti
da diverse realtà storiche e geografiche. Tra tutti gli abiti del primo periodo
sovietico, come già accennato, vengono lodate solo le decorazioni etniche della
Lamanova11, a conferma della sua influenza e della sua ottima interpretazione dei
desideri e bisogni della nascente società.

Sul finire dei ’20, invece, quando ormai il NEP stava per essere abolito, la Stepanova
rivede le sue idee costruttiviste radicali, riconoscendo l’importanza dello stile come
elemento importante della modernità. All’inizio del primo piano quinquennale è
proprio lei che annuncia quale sarà il futuro della moda:

         Sotto una programmata economia socialista, la moda assumerà una
         forma completamente differente e dipenderà non dalla competizione
         sul mercato ma dai miglioramenti e dalle razionalizzazioni nell’industria
         tessile e negli indumenti… Se lo scopo nella moda capitalista è
         sostanzialmente riflettere lo stato della società, allora nella società
         socialista la moda sarà la progressione verso sempre più perfette forme
         dei vestiti. Ogni scoperta in qualunque ramo della tecnologia guiderà

10   Ibidem
11   Ibidem

                                                                                         11
inevitabilmente      verso         un      cambiamento          nella     forma
                            12
          dell’abbigliamento .

Il discorso dell’artista esprime esattamente il concetto che guiderà tutto il
progresso in ogni ambito durante gli anni della guerra fredda. Una continua spinta
al miglioramento, promossa dalla volontà intrinseca in ogni socialista di dimostrare
quanto la loro società sia superiore rispetto a quella capitalista. Sarà così in ogni
campo tecnologico, filosofico e artistico; la guerra fredda sarà il motore che
spingerà l’Unione Sovietica verso nuove scoperte e traguardi tecnologici.

                 2.3.1. Stacanovisti: promotori del lavoro, promotori della moda.
Il movimento stacanovista, nato verso la fine del ’35, con il secondo piano
quinquennale appena iniziato e fortemente lodato dal regime stalinista, fu l’apice
della produzione industriale forzata. Prende il nome da Aleksej Grigor'evič
Stachanov (1906 – 1977) che nell’agosto del 1935 raggiunse una produzione
individuale giornaliera mai raggiunta prima.

Lui fu l’esempio, il resto dei lavoratori lo seguirono per incrementare la produzione,
ottenere guadagni superiori e premi di produzione, incentivati dal regime a fare
sempre meglio. Le donne stacanoviste, in particolare Marusia Makarova,
diventarono famose perché reinvestivano gran parte del loro stipendio in abiti alla
moda, promuovendo così non solo il movimento stacanovista ma anche lo stile
russo. Su alcune riviste, come il giornale Izvestiia, il quotidiano Leningradskaia
pravda (la verità di Leningrado) e ovviamente riviste più settoriali come Geroini
sotsialistcheskogo truda (Eroi del lavoro socialista), incominciarono a comparire loro
testimonianze e descrizioni delle loro giornate di shopping, dimostrando come una
classe intera di lavoratori poteva vivere “alla moda” lavorando duramente, godersi
la vita e partecipare attivamente alla crescita nazionale13.

Nella vita di un popolo socialista la propaganda passa anche attraverso
testimonianze come questa, che evidenziano sia la rapida crescita industriale,
dovuta ai piani quinquennali, sia la felicità del popolo lavoratore.

12   D. Bartlett, op. cit., vedi p. 65
13   D. Bartlett, op. cit., pp. 68-71

12
2.4. Le Case della Moda e l’avvento della Seconda Guerra Mondiale.

Nonostante la crescente importanza che il regime e il popolo conferivano alla moda,
rimaneva spesso il problema della produzione, che non sempre era possibile per
mancanza di mezzi dell’industria. Verso la metà degli anni ’30 a Mosca era possibile
trovare atelier in grado di offrire abiti sia già confezionati sia personalizzabili, e
ovviamente prototipi. Il cosiddetto Dom Modelei (Casa dei Prototipi, lett. Anche
Casa della Moda) raccoglieva artisti e stilisti, alcuni dei quali provenienti dalla
collaborazione con la Lamanova, che seguivano sostanzialmente due direzioni di
pensiero e di lavoro: la prima cercava di disegnare abiti che potessero essere
prodotti dall’industria tessile di massa e che fossero rappresentativi della donna
lavoratrice delle grandi città; l’altra direzione si concentrava sulla realizzazione di
prototipi derivati dalla moda occidentale, molti dei quali non furono mai messi in
produzione.

La popolare rivista Robotnitsa (Donna Lavoratrice) riferì nel ’37 l’esperienza di
Mariia Iurina, la quale, andata a Mosca per comprare qualche abito pronto per
essere indossato, non trovò nulla di soddisfacente, anzi, le sembrò tutto molto
standardizzato e senza gusto. Quando finalmente si imbatté in qualcosa di suo
gusto in un Dom Modelei, scoprì che erano prototipi, ancora non prodotti.

L’enfasi della narrazione cade sicuramente sul fatto che la produzione non
rispecchia il nuovo stile che invece si poteva apprezzare nei prototipi e che era
quello che usciva dall’eccessiva semplicità e poca fantasia dell’industria tessile
dell’epoca.

Non dobbiamo comunque stupirci, si tratta della situazione di un paese uscito da
pochi anni da una guerra mondiale e da una civile, che ha visto cadere l’impero
zarista e il rapido susseguirsi di piani per il rilancio dell’economia, prima il NEP e poi,
con l’avvento del regime stalinista, i piani quinquennali. L’economia non è certo al
suo culmine e le tensioni politiche sono dietro l’angolo.

Nel ’39 la Germania nazista incomincia la sua marcia verso la Russia, in poco tempo
la seconda guerra mondiale arriva verso il fronte orientale e non c’è più spazio per
pensare alla moda, bisogna combattere.

                                                                                        13
Solo dopo la guerra, in cui la produzione si fermò, la moda sovietica riprese il suo
cammino verso la sua affermazione. La stampa russa riprese a fare vedere al popolo
ciò che lo stile sovietico stava creando.

Robotnitsa con una tiratura eccezionale di qualche milione di copie, populista e
vicina alle donne lavoratrici; Zhurnal mod (Giornale della moda, mensile), con
tiratura molto più esigua, appena sufficiente per l’elite dei livelli regionali e
nazionali, mostrava fotografie e disegni di abiti validati dal Obshchesoiuznyi dom
modelei (Unione di tutte le case della moda, ODMO), allegando all’immagine anche
il nome dello stilista e del casa per cui lavorava, dando una certa credibilità all’outfit
proposto14 (Fig. 2.6 e 2.7).

14   Ivi pp. 71-77

14
Figura 2.1 Liubov’ Popova, abito di scena per lo spettacolo “Il Magnanimo”, 1922

                                                                                   15
Figura 2.2 Varvara Stepanova, disegno per un prodezhda. 1924

     Figura 2.3 Varvara Stepanova, abito di scena per l’opera “La morte di Tarelkin”, 1922

16
Figura 2.4 Nadezhda Lemanova, abito dal catalogo “Arte Decorativa e industriale dell’URSS”, 1925

                                                                                                   17
Figura 2.5 Copertina di Iskusstco odevat’sia, Leningrado, num. 4, 1928

18
Figura 2.6 “Cappotti di Pelliccia”, Zhurnal mod, Mosca, num. 1, 1945

                                                                       19
Figura 2.7 Modelli, Zhurnal mod, Mosca, num. 2, 1950

20
3. L’influenza della Guerra Fredda nella Moda Sovietica

            3.1. La Guerra Fredda

La fine della seconda guerra mondiale lascia uno scenario spaccato tra due super
potenze: gli USA governati da Truman e l’URSS in cui il regime staliniano continua a
mantenere il potere. A questi due stati si affiancano, per il primo, le nazioni
aderenti al Patto Atlantico e le nazioni amiche, e per il secondo quelle aderenti al
Patto di Varsavia e nazioni amiche. La distanza ideologica tra occidente americano e
oriente sovietico è enorme: uno si basa sulla democrazia e sulla libertà del cittadino
e l’altro schieramento invece è un paese comunista a partito unico, praticamente
una dittatura15.

Come ebbe a dire Winston Churchill, leader britannico, nel marzo del 1946 parlando
al Westmister College di Fulton (Missouri, USA):

          Da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico una “cortina di ferro” è
          discesa a separare il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le
          capitali di antichi Stati dell’Europa centro-orientale. Varsavia, Berlino,
          Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste
          famose città e le popolazioni che le circondano giacciono in ciò che devo
          chiamare sfera sovietica, e tutte sono sottoposte, in un modo o
          nell’altro, non solo all’influenza sovietica ma anche a un’altissima e in
          qualche caso crescente forma di controllo esercitata da Mosca16.

A est e a ovest della cortina di ferro ci sono gli stati che per gli anni a venire
prenderanno parte alla cosiddetta guerra fredda che porterà i due stati
principalmente interessati a sforzarsi in ogni modo per superare l’altro in vari
ambiti, poiché entrambi erano consci della devastazione che un’eventuale guerra
nucleare avrebbe portato.

Ovviamente questa continua corsa al miglioramento fece in modo che entrambe le
fazioni crescano e si evolvano sensibilmente in molti campi: primo tra tutti,
ovviamente, quello bellico, ma anche nello sport, nell’innovazione tecnologica e
ideologica, solo per citarne alcuni.

15   A. M. Banti, op. cit., p.261-266
16   Ibidem

                                                                                       21
La moda in questo scenario ha un ruolo importante, soprattutto in uno stato come
l’URSS che sul consenso dei suoi cittadini basa la sua potenza politica. Non si può
infatti prescindere il consenso del popolo dal suo benessere, che passa anche
attraverso i vestiti e il sentirsi bene dentro gli abiti che rappresentano il proprio
popolo.

Stalin morirà nel 1953, quando il “culto di Stalin” è al suo culmine. Esso infatti viene
celebrato come un condottiero, un capo eroico che è stato capace di sconfiggere,
da solo, i nazisti. La celebrazione del mito ha un certo successo e riesce in qualche
modo a oscurare la durezza repressiva che caratterizza il regime anche negli anni
successivi al secondo conflitto mondiale17.

         3.2. Interazioni tra la Moda e la Guerra Fredda

La produzione in ambito di moda non è mai stata completamente abbandonata.
Dopo il 1948 una particolare attenzione alle tecniche e allo stile della moda fu quasi
imposto ai paesi sovietici. I regimi dell’est Europa abbracciarono nuovamente la
prima ideologia bolscevica e rigettarono la moda occidentale, asserendo che uno
stile funzionale, semplice e senza differenze di classe derivasse da una seria ricerca
scientifica e tecnologica18.

La critica mossa alla moda occidentale era tale da definirla “senza gusto” e
“anacronistica”. Molti giornali dei regimi dell’est, come l’ungherese Asszonyok
(Donne), il tedesco Frau von Heute (Donne di Oggi) e il cecoslovacco Żena a móda
(Donne e moda), si facevano difensori della donna lavoratrice, impedendole di
vestire abiti così anacronistici e non salutari19.

Un attacco così duro alla moda occidentale, basato sulla differenza stessa
dell’ideologia della donna nei rispettivi stati, era in perfetta linea con la propaganda
del regime. Questo, infatti, dichiarava cosa fosse buono e da mantenere, cosa
andasse bene per il proprio popolo e cosa invece rendeva questo lasso e senza forza
necessaria per elevare la propria nazione sopra i nemici occidentali.

17 Ibidem
18 Djurda Bartlett, Let Them Wear Beige: The Petit-bourgeois World of Official Socialist Dress,
“Fashion Theory”, vol. 8, 2004, pp. 127-164.
19 D. Bartlett, Fashion East, op. cit., p. 84.

22
Non poche furono le critiche all’ideale della donna dell’ovest, tutte incentrate sulla
loro debolezza, sulla pericolosità e inadeguatezza degli abiti, che lasciavano
scoperte parti del corpo che esponevano la donna a malanni (il collo, per esempio),
oppure sulla loro presunta scomodità sul lavoro (non scordiamo che il regime
staliniano incentrava gran parte delle sue dichiarazioni sulla forza e potenza del
lavoro).

Insomma, per gli stati dell’est la donna idealizzata dalla moda dell’ovest era troppo
magra, debole, non adatta a rappresentare con il duro lavoro il proprio paese.
Quale che fosse la motivazione, la donna sovietica non era adatta alla moda
proveniente dall’ovest.

Vi era necessità, in linea con queste critiche, di “costruire” un nuovo ideale di
donna, di “super donna”, che vestisse abiti comodi da lavoro, che non fosse frivola e
che “ogni giorno volentieri, con entusiasmo e diligenza combattesse per la pace
mondiale e la felicità di tutto il genere umano” 20 (Fig. 3.1).

Così gli abiti promossi dalla moda sovietica si avvicinavano molto a quelli maschili,
erano semplici, con colori non sgargianti, quasi privi di motivi fantasiosi,
sicuramente improntati all’utilità e alla comodità della donna. Gli abiti mostrati da
varie testate giornalistiche riflettevano queste particolarità: gonne lunghe e pesanti,
giacche con spalline, camicette semplici, nulla di appariscente21.

              3.2.1. Chruščëv e l’abbandono dell’isolazionismo staliniano.
La moda di tutti i giorni, quella che si poteva comprare nei negozi ed era alla portata
del popolo, continua la sua produzione e la sua promozione in linea con l’ideale
socialista, della donna lavoratrice comoda nei suoi abiti da lavoro e felice di
rappresentare, anche attraverso gli abiti che indossa, la nazione capeggiata da
Stalin, di cui ricordiamo il mito che gli ha concesso di proseguire l’utopia socialista
fino alla sua morte, nel 1953.

Proprio da quell’anno, non a caso quando il capo del regime viene meno, piccole
rivolte popolari vengono messe in atto un po’ in tutto l’est Europa contro la scarsa

20 Člověk dělá šaty (Gli uomini fanno i vestiti), Žena a móda, Praga (1950, n° 10) in D. Bartlett, op. cit.
p. 109
21 D. Bartlett, Fashion East, op. cit., pp. 84-85

                                                                                                        23
qualità della vita e contro la limitata libertà politica. Fanno capolino nelle riviste
fotografie e immagini provenienti dalla moda occidentale, mostrando nuovamente
un’ideale di donna che il regime aveva smontato durante gli ultimi anni,
promuovendo invece una “nuova donna” sovietica. Ma questa “ondata di stile”
dall’occidente che si manifesta attraverso i media non portò alcun miglioramento
alla qualità degli abiti che si potevano trovare nei negozi, infatti ha avuto un ruolo
puramente politico e rappresentazionale. Fu un modo per mostrare ai cittadini che
la peggiore manifestazione di repressione, derivata dal mito stalinista, sarebbe
presto sparita. La moda occidentale divenne un mito che avrebbe giocato un ruolo
importante nella burocrazia22.

A Stalin, dopo la sua morte, successe, dopo alcune difficoltà, Nikita Sergeevič
Chruščëv (1894 – 1971); dopo aver stupito i delegati del XX congresso del Partito
Comunista con il suo famoso “discorso segreto” (25 febbraio 1956) in cui
denunciava il culto di Stalin e i crimini commessi durante la repressione messa in
atto alla metà degli anni ’30 chiamata “Grande Purga”. Cruciale fu la sua ascesa che
lo vide diventare capo del partito e del governo nel 1958. Egli, rigettando le idee
eccessivamente dittatoriali di Stalin, aprì, seppur solo in parte, le frontiere
all’occidente, facendo entrare in maniera più incisiva, la moda occidentale nelle
riviste e nell’industria dell’Unione Sovietica.

Ci fu un ritorno all’ideale tradizionale di donna, e una ricaduta nell’espressione
sartoriale conservativa, che invece era stata condannata alcuni anni prima. Il ritorno
al disprezzato modo di vestire borghese testimoniava il fallimento del regime nel
produrre una genuina e innovativa moda socialista 23.

L’emergente classe media, espressione vivente del fallimento dell’utopia socialista,
aveva bisogno di essere vestita per “emergere” dalla classe lavoratrice. Riporto e
commento un articolo pubblicato sulla rivista sovietica Zhurnal mod nel 1958:

          Abbiamo ripetutamente scritto che la scelta dei vestiti dovrebbe seguire
          le regole base: momento della giornata e circostanze particolari.
          Durante il giorno, per esempio, non è appropriato andare a trovare o
          ricevere ospiti in un vestito elegante da sera. In questa occasione è
          appropriato un abito rigorosamente elegante da giorno: di corta

22   D. Bartlett, Fashion East, op. cit., 86-98
23   Ibidem

24
lunghezza, scollatura alta o appena accennata, con maniche corte o
       lunghe…24

Già da queste righe intuiamo che la donna possiede e ha a disposizione più abiti,
che organizza, almeno ipoteticamente, in base all’occasione o al momento della
giornata. La rivista si sofferma anche su come dovrebbe essere un “abito da
giorno”, focalizzandosi sulla funzione editoriale di educazione alla moda, oltre alla
funzione di divulgazione delle informazioni. Si sta educando al buon gusto.

       Questo tipo di vestito non necessita di appesantimenti di gioielli, è
       meglio limitarsi a un pezzo solo: una spilla, una forcina o un braccialetto.
       Scarpe, cappello e guanti dovrebbero essere coordinati con un vestito di
       questo genere. Ovviamente tutto dovrebbe essere coordinato al
       colore25.

Di nuovo, nel proseguire dell’articolo, si educa al buon gusto, attraverso l’uso dei
colori e del tipo di ornamento da sfoggiare in linea con l’abito poco prima descritto.
Da questa parte dell’articolo possiamo inoltre intuire, poiché l’autore lo dà per
scontato, che siano a disposizione anche gioielli tra cui scegliere. È evidente che non
si fa riferimento a una donna operaia che vive di quel poco che il regime le concede.

       Ripetiamo: un vestito che si indossa durante il giorno dovrebbe essere
       modesto e contenuto nelle apparenze. Matinèe, feste alle 13, cocktail e
       feste “a la furshet” tra le 17 e le 20 pomeridiane, richiedono un vestito
       più elegante da giorno e un piccolo cappello, che si suppone non venga
       tolto.

       L’abito da sera, realizzato in un tessuto espressivo e decorato che non è
       stato indossato durante il giorno, è necessario per grandi ricevimenti,
       premiere teatrali e concerto di gala, specialmente se avvengono dopo le
       20. Anche se non necessario, l’abito da sera è caratterizzato da una
       scollatura più bassa, maniche corte e gonna lunga. Guanti di seta o
       merlettati possono essere aggiunti a un vestito del genere; la loro
       lunghezza dipende da quella delle maniche: più le maniche sono corte,
       più i guanti sono lunghi, e viceversa. Una piccola ed elegante borsa
       accompagna l’abito da sera. Leggere scarpe aperte con tacchi alti, o
       medi per donne più anziane, servono per quelle occasioni; le scarpe
       possono essere di seta, broccato, o di pelle dorata o argentata. Le
       scarpe da giorno non sono appropriate per gli abiti da sera. È permesso

24 Maskulii, in Zhurnal Mod, periodico, 1958, cit. in D. Bartlet, “Let Them Wear Beige: The Petit-
bourgeois World of Official Socialist Dress”, op. cit., p. 129-130.
25 Ibidem

                                                                                                     25
abbellire gli abiti con gioielli. Qui, come sempre, un senso della misura è
       benvenuto26.

L’articolo si conclude con le linee guida basilari sui tipi di vestito da indossare
durante le varie occasioni di tutti i giorni (Fig. 3.2, 3.3 e 3.4). Non mancano
riferimenti a gioielli, materiali e modi di abbinare i vari accessori. Il pubblico piccolo
borghese a cui questi articoli sono rivolti, è quello vicino alle cariche politiche, sia
perché frequentanti gli stessi ambienti, sia perché decisamente in linea con le linee
di governo. Non scordiamo che il regime persisteva, seppur con una durezza minore
rispetto al peridio in cui vi era Stalin.

La professoressa ricercatrice Djurdja Bartlet, chiama il fenomeno risultante tra
l’incontro del socialismo e la moda occidentale: “abito ufficiale socialista” 27, il quale
si comincia a delineare proprio dopo l’ascesa di Chruščëv al potere e il relativo
nuovo modo di affrontare la moda.

È in effetti con questo incontro di socialismo e occidente che la moda può
esprimersi completamente, senza sottostare a forzate regole da un regime; in
questi anni la moda sovietica attinge a piene mani sia dagli anni post bellici, a loro
volta derivanti dal costruttivismo e dall’utopia socialista, ma anche dalla moda
occidentale28.

         3.3. L’evoluzione della Guerra Fredda nella Moda

Con i cambiamenti politici e sociali che coinvolgono gli stati socialisti negli anni ’60,
la relazione tra la società e il regime cambia e muta le sue “armi”: da dominazione
attraverso il terrore, a dominazione informata da manipolazioni simboliche 29.
Questo sostanzialmente volle dire che la politica non fu più strumento di controllo
dalla vita di tutti i giorni, lo divenne invece una supervisione oculata sulle pratiche di
consumo, tra cui la moda socialista.

26 Ibidem
27 Djurda Bartlett, “Let Them Wear Beige: The Petit-bourgeois World of Official Socialist Dress”, op.
cit., pp. 128-129.
28 Ibidem
29 Kenneth Jovitt, New World Disorder: The Leninist Extintion, Berkeley: University of California Press,

1992 p. 99.

26
Sul finire degli anni ’50 riemergono a pieno titolo i saloni della moda specialmente
nei paesi con regime socialisti del Centro Europa, derivanti soprattutto da una
tradizione precedente alla Seconda Guerra Mondiale. Per citarne alcuni: in
Cecoslovacchia, dove erano stati tutti nazionalizzati dopo il ’48, i due più famosi
Podolska e Rosenbaum sono rinominati in Eva e Styl, e continuano a produrre, con
discrezione, artigianalmente qualità e lusso; in Croazia il salone di Klára Rothschild
organizzava ogni stagione sfilate di moda lussuosa completamente occidentalizzata,
grazie alle sue conoscenze, la Rothschild poté viaggiare molto e ottenere tessuti di
alta qualità30.

Negli anni ’60, inoltre, si distinguono le pratiche sullo stile della Nomenklatura (lett.
elenco di nomi) e sull’emergente élite professionale della nuova classe media. Nella
Nomenklatura erano elencate le posizioni lavorative e di responsabilità più
importanti per il regime; tali cariche dovevano essere approvate dal Partito
Comunista dell’Unione Sovietica ed erano inoltre organizzate in maniera gerarchica.
Con il passare del tempo il termine viene usato per indicare le persone che
ricoprivano tali cariche, identificando nell’immaginario collettivo, una classe sociale,
che per definizione erano “approvate” dal sistema di regime stesso. Tale status,
portava, seppur non ufficialmente, alcuni privilegi derivati dalla corruzione; non era,
peraltro, necessario che gli iscritti alla lista rivestissero cariche politiche nel Partito
Comunista.

Inutile sottolineare che il popolo socialista disprezzava questo ordine di cose in cui,
di fatto, si erano create classi e status sociali in contrapposizione con l’ideologia
socialista. È innegabile, allo stesso tempo, che queste classi contribuirono a una
nuova concettualizzazione dello stile che portò anche i saloni della moda
nuovamente sulle pagine di riviste e periodici.

             3.3.1. L’occidente smuove nuovamente la moda socialista.
Come abbiamo visto, dalla rivoluzione del ’17 fino ai tardi anni ’40, la figura della
donna e il suo immaginario fu destrutturato rigettando le idee occidentali per
costruire un nuovo “modello” di donna più vicina agli ideali socialisti. Assieme a

30 Djurda Bartlett, “Let Them Wear Beige: The Petit-bourgeois World of Official Socialist Dress”, op.
cit., pp. 131-135.

                                                                                                    27
questo anche la borghesia subì lo stesso processo, il quale però, sul finire degli anni
’50, sembra non avere più senso, soprattutto vedendo che la società si stava
organizzando in classi sociali, facendo emergere i piccoli e medio borghesi, le
cariche politiche e la Nomenklatura, sopra la classe operaia.

Viene così riconosciuta nuovamente l’importanza della moda borghese, anche se
non in questi medesimi termini, ma ricodificata per vestire la modernità del regime
e della classe media. Necessario tutto questo a livello politico in funzione della
Guerra Fredda.

L’est non poteva essere da meno dell’ovest. La classe media era necessaria per
avere, nei paesi del patto di Varsavia, una classe che imitasse la controparte
occidentale. I saloni della moda di cui ho accennato prima vengono riconosciuti
come medium testimoni delle pratiche di stile e consumo che vestono i socialisti;
non vengono più percepiti come testimoni della decadenza borghese ma come
segno di uno stile di vita civilizzato. Gli stilisti dei vari saloni possono ora uscire allo
scoperto riguardo alle influenze dell’ovest, giocando sulla valorizzazione dello stile
copiato in chiave socialista.

Ecco un altro esempio lampante di come si evolvesse la Guerra Fredda: se uno dei
due schieramenti era in possesso di innovazioni tecnologiche che gli permettevano
qualcosa, anche l’altro correva ad attrezzarsi per poter compiere le stesse cose. Così
in campo tecnologico ma anche nell’ambito di stili di vita e costumi.

Eventi imponenti come gli “Incontri sulla moda socialista”, nati effettivamente nel
1949 ma a cui presero parte tutti i paesi sotto regime socialista solo una decina di
anni dopo, divennero quindi ambiziosi congressi che prendevano parte ogni anno in
una diversa capitale dei paesi socialisti. Sono questi congressi che decretano,
attraverso una giuria, quali siano i prototipi che verranno poi prodotti in massa 31
(Fig. 3.6).

Durante questi incontri gli stilisti presentavano le loro creazioni in passerella. Erano
invitate le cariche degli stati coinvolti e spesso diventava un momento di incontro
tra di loro a livello politico. Non in tutte le edizioni le nazioni del blocco sovietico
erano invitate attivamente: nell’edizione del 1953 del Concorso del Vestito, per

31   Ivi pp. 142-144

28
esempio, la Russia era in competizione con la Cecoslovacchia, Ungheria e la
Germania dell’Est, mentre erano invitati come osservatori Polonia e Romania. Le
immagini che furono pubblicate erano “una strana combinazione tra una sfilata di
moda e un Congresso Comunista”32. La competizione si svolgeva in vari campi: il più
appropriato uso del materiale, il minor spreco, la qualità tecnica e la realizzazione
estetica della collezione33 (Fig. 3.5).

Niente è lasciato al caso, gli abbinamenti tra soprabiti e vestiti, tra i colori, tra le
scarpe e le borse e tra i cappelli e i guanti; tutto era in funzione delle esigenze della
classe media. L’”abito ufficiale socialista” era nato ed era espressione estetica di
quello che la Bartlett chiama “buon gusto socialista” 34.

         3.4. La fine degli anni ’60: la moda occidentale influenza nettamente l’est
              Europa.

È il 1967, gli stati dell’Unione Sovietica e tutto l’est Europa sentono già nell’aria la
futura crisi del regime. La si percepisce nelle classi sociali, nell’ostilità tra
proletariato e Nomenklatura, la si può ovviamente anche intuire dagli sguardi,
sempre più numerosi, che si rivolgono verso l’occidente. Lo stile che si respira è
fatto di “buon gusto” e di riviste che educano ad esso, di buone maniere di sempre
superiore qualità e originalità delle collezioni moda presentate agli annuali saloni e
negli atelier di Mosca. Purtroppo è solo immagine e propaganda. Nei negozi infatti
sempre la bassa qualità dei materiali e la scarsa scelta sono le caratteristiche che
purtroppo non mancano nelle collezioni in vendita al pubblico.

In questo clima apparentemente tranquillo, in cui la moda dell’est può sfoggiare
una sua propria ragione d’essere, costruita in anni di repressioni ed evoluzioni dello
stile, l’est è pronto ad incontrare ufficialmente l’ovest in passerella. Si tiene nel ’67 il
Festival Internazionale della Moda a Mosca, organizzato dall’Unione di tutte le Case
della Moda (ODMO), in cui parteciperanno collezioni sia dell’ovest che dell’est
Europa. La moda socialista osa il confronto diretto con l’occidente, almeno a un
Festival. Oltre che le collezioni degli stati del blocco sovietico, si poterono vedere

32 D. Bartlett, Fashion East, op. cit., pp. 116-120
33 Idibem
34 Ivi p. 136

                                                                                         29
sulla passerella anche Chanel, Pierre Cardin, Yves Saint Laurent, Christian Dior e
altre eccellenze dalla moda francese, tedesca, americana e inglese. Il festival durò
per due settimane, il Palazzo dello Sport nella capitale sovietica si riempì con 10.000
presenze al giorno35.

La giuria declama Coco Chanel per il suo classicismo come migliore trend, ma il gran
premio va alla designer sovietica Tatiana Osmerkina per un abito chiamato “Russia”.
Viene inoltre ufficialmente riconosciuta per la prima volta la minigonna 36.

Questo incontro con l’occidente non fu una completa novità per l’est, infatti già da
un paio d’anni le novità della moda occidentale avevano fatto capolino nelle riviste
orientali, che avevano avuto modo di lodare e stimare le collezioni autunno /
inverno ’66 / ’67 di Pierre Cardin e Saint Laurent: molto apprezzate soprattutto per
l’aria giovane delle collezioni. Allo stesso tempo l’est ammirava anche lo stile
“classico”: in una recensione dell’evento, per esempio, il periodico sovietico Fashion
Journal dichiarò che “le «storiche» case della moda sono restate fedeli alla
tradizione della classica eleganza francese”37. Questo, come suggerito prima, non
cambia lo stato delle collezioni che si possono trovare nei negozi; mostra, invece,
uno stile e un eleganza decisamente apprezzata nel blocco sovietico, ma che non è
comunque riproducibile attraverso l’industria di cui si poteva disporre. Resta,
quindi, solo un desiderio che non può essere, ufficialmente, esaudito.

Con gli anni ’70 il sistema economico comunista adottato dai paesi sovietici si rivela
incredibilmente inefficiente. La produzione industriale è portata avanti senza la
minima cura per l’ambiente e le norme di sicurezza (culmine della situazione è il
disastro di Chernobyl dell’86), creando livelli di inquinamento elevatissimo; il
settore agricolo, che non è mai stato il punto forte del paese, negli anni ’70 – ’80
peggiora ulteriormente. Il dissenso del popolo è elevatissimo, anche perché questo
periodo di crisi economica e sociale è caratterizzato da un irrigidirsi dei controlli
della repressione della critica e dei dissensi38. Piano piano tutto il blocco sovietico

35 Natalya Chernyshova, Soviet Consumer Culture in the Brezhnev Era, Ed. Routledge, 2013, pp. 114-
115
36 D. Bartlett, “Let Them Wear Beige: The Petit-bourgeois World of Official Socialist Dress”, op. cit. p.

153
37 Ibidem
38 Banti A. M., op. cit., pp 389-391.

30
cade in un una grande crisi che arriva a una svolta solo nel 1985, quando Michail
Gorbačëv (1931) diventa segretario del Partito Comunista e porta idee di
rinnovazione e liberalizzazione. Pochi anni dopo, con la caduta del muro di Berlino
nel 1989, l’est e l’ovest si incontrano definitivamente mettendo la parola fine alla
Guerra Fredda.

         3.5. Slava Zaitsev: uno stilista influenza la moda, tornano i motivi etnici.

Nel 1962, dopo essersi diplomato all’Istituto Tessile di Mosca con pieni voti, Slava
Zaitsev viene nominato direttore artistico della Mosoblsovnarhoz (Fabbrica di
Abbigliamento Tecnico Sperimentale) 39.

A Zaitsev viene commissionata una collezione di telogreika, abiti da lavoro
tradizionali russi, che lo stilista interpretò presentando una collezione molto
colorata, in antitesi al noioso grigio tradizionale, la quale attirò l’attenzione del
periodico francese Paris Match40. Pochi anni dopo, nel ’65 presentò la sua nuova
collezione a Mosca assieme a Pierre Cardin, Marc Bohan e Guy Laroche. Questa
ondata di innovazione portata da Zaitsev lo condusse rapidamente a diventare il
direttore artistico dell’ODMO, carica massima a cui poteva aspirare uno stilista in
Russia41.

A causa di un articolo pubblicato su Paris Match, che lo definiva il “Dior Rosso”, gli
fu interdetto il viaggio all’estero per vent’anni, ma nonostante questo riuscì a
essere considerato il più rispettato stilista in patria, i suoi abiti rappresentavano la
moda sovietica nel resto del mondo 42 (Fig. 3.7 e 3.8).

L’interdizione al viaggio all’estero era spesso usato come pena per chi dimostrava
una simpatia eccessiva per gli stati dell’ovest. Il ragionamento di fondo era
semplice, e perfettamente in linea con uno stato sotto regime: è rischioso, per la
propaganda che filtrava le informazioni e le immagini in arrivo dagli stati oltre
cortina, che una persona potesse vedere con i propri occhi cosa vi era al di fuori del
paese.

39 D. Bartett, Fashion East, op. cit., pp. 226-235.
40 Ibidem
41 Ibidem
42 D. Bartlett, Let them Wear Beige, op. cit., pp.150-153

                                                                                        31
Analogamente alla Lamanova, anche lui introdusse nuovamente un uso del motivo
etnico nelle sue creazioni che divennero così immediatamente riconoscibili e
riconducibili a lui. Il suo stile era apprezzato sia in occidente che nell’Unione
Sovietica: nel primo caso come rappresentazione di una cultura lontana ed esotica,
nel secondo caso perché continuavano a rappresentare pienamente l’ideale
socialista.

In realtà il motivo etnico non era mai completamente sparito dalla moda sovietica,
cambiò semplicemente, col tempo, valenza culturale. Se all’inizio, con la Lemanova,
questo aveva assunto il ruolo di barriera contro gli stati occidentali, ora, con Zaitsev,
assunse la valenza caratterizzante dello stile orientale nelle competizioni stilistiche
al di fuori dell’Unione Sovietica43.

Il regime non riusciva a contenere, a questo punto, l’apprezzamento per lo stile
della moda dell’ovest. La classe media, ormai definitivamente instaurata nella
società, e tacitamente riconosciuta, se non altro perché il regime non poteva
ignorarla, inizia ad avere una sempre maggiore confidenza di se stessa e assieme a
questa anche un’esigenza di ambizioni professionali e di consumo sempre superiori.
Il controllo delle pratiche di consumo che il regime cercava di mettere in pratica non
riusciva a stare al passo con i cambiamenti della classe stessa e così abiti ben fatti,
eleganti e di qualità divennero un’esigenza importante. Esigenza però che non era
possibile soddisfare nei comuni negozi, poiché ancora la scarsità di materiali e di
qualità nella fattura affliggeva l’industria tessile44.

La classe media doveva in qualche modo sopperire a questa mancanza e aveva
alcune modalità per riuscirci: acquisire abiti durante i viaggi all’estero, i piccoli
atelier indipendenti, che iniziarono a nascere sul finire degli anni ’80, e il “do it
yourself”45 (Fig. 3.9).

43 Ibidem
44 D. Bartlett, Fashion East, op. cit.
45 Ivi p. 246-255.

32
3.6. “Do it yourself” e mercato nero.

Tornando alla situazione della moda verso la fine degli anni ’60, la donna sovietica,
si trova in mezzo a due fuochi e, in qualche modo, ancora una volta incoraggiata a
fare del suo meglio per il proprio paese con quello che il paese può offrire, cioè,
quasi nulla. Da una parte i negozi sguarniti e la scarsa qualità dell’industria tessile,
dall’altra le riviste che mostravano invece una moda che non potevano vestire nella
vita di tutti i giorni e che era, allo stesso tempo incoraggiata dal regime. Un bel
problema, in effetti: il paese chiede di rappresentare qualcosa che il paese stesso
non può tecnicamente produrre.

In questo impasse le donne sovietiche ricorrono al cosiddetto do it yourself, alla
pratica, cioè, di assemblare abiti alla moda e con stile partendo dalle materie prime
e mettendoci la manodopera e la buona volontà. I cartamodelli che venivano usati
erano presentati nelle riviste solo raramente, quando il regime voleva promuovere
un cambio economico e politico radicale. Fu in realtà una colpo di genio per il
regime, che non bastò certo per recuperare i disastri a cui erano arrivati, ma poteva
aiutare a risollevare, in qualche modo, il morale delle donne: tali cartamodelli erano
un medium ideale per promuovere abiti desiderabili, senza il problema del regime
nella produzione di massa46.

I modelli presentati erano a volte molto complessi, seppur originali ed eleganti,
difficili da realizzare anche per una sarta esperta, disegnati con tecniche haute
couture. La donna socialista, inoltre, era felice in abiti che sottolineassero la propria
femminilità preferibilmente che l’ultima moda. Adatto allo scopo era lo stile senza
tempo di Coco Chanel, infatti molte delle improvvisate sarte abbracciarono quello
stile per le proprie creazioni casalinghe47 (Fig. 3.10).

Per sopperire alla scarsità dell’offerta, al distacco nello stile richiesto dal
consumatore e quello proposto dall’industria in continuo ritardo tecnologico,
vennero proposti sempre migliori cartamodelli, per ottenere i quali riviste come la
Jugoslava Svijet (Mondo) incominciarono a collaborare con riviste dell’ovest, in
questo caso con Neue Mode (Nuova Moda) della Germania dell’Ovest. Un altro

46   Ibidem
47   Ibidem

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