La moda sovietica: lotta per la nascita di uno stile - giacomo lanzi "big jack"
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Indice 1. Introduzione ........................................................................................................... 3 2. La moda socialista: l’affermazione di un’identità con l’avvento del regime. ....... 7 2.1. L’utopia Bolscevica: primi dilemmi sull’abito nell’epoca post-rivoluzionaria. 7 2.2. Nadezhda Lamanova: l’apripista della moda russa. .....................................10 2.3. Il primo Piano Quinquennale e l’introduzione verso un nuovo concetto di moda e progresso. ..................................................................................................11 2.3.1. Stacanovisti: promotori del lavoro, promotori della moda. ...................12 2.4. Le Case della Moda e l’avvento della Seconda Guerra Mondiale. ...............13 3. L’influenza della Guerra Fredda nella Moda Sovietica ....................................... 21 3.1. La Guerra Fredda ..........................................................................................21 3.2. Interazioni tra la Moda e la Guerra Fredda ..................................................22 3.2.1. Chruščëv e l’abbandono dell’isolazionismo staliniano. ........................23 3.3. L’evoluzione della Guerra Fredda nella Moda .............................................26 3.3.1. L’occidente smuove nuovamente la moda socialista. ...........................27 3.4. La fine degli anni ’60: la moda occidentale influenza nettamente l’est Europa. ....................................................................................................................29 3.5. Slava Zaitsev: uno stilista influenza la moda, tornano i motivi etnici. .........31 3.6. “Do it yourself” e mercato nero. ..................................................................33 3.6.1. Cade il muro di Berlino e la moda diventa internazionale. ...................34 4. La Stampa: Il caso italiano di “Noi Donne” ........................................................ 47 4.1. Tra i due fuochi del socialismo e del capitalismo. ........................................47 4.2. “Noi Donne”: stampa femminile e lotta politica. .........................................48 4.3. Stampa nel Blocco Sovietico .........................................................................53 4.4. Considerazioni personali sulla stampa in Italia e la sua relazione con quella sovietica prima del 1989 .........................................................................................55 4.5. Vogue Russia: dal ’98 la moda occidentale si apre alle nazioni sovietiche. .57 Conclusioni ................................................................................................................. 65 5. Bibliografia .......................................................................................................... 67 5.1. Riviste ...........................................................................................................67 5.2. Sitografia .......................................................................................................67 2
1. Introduzione Il processo che ha portato la moda nell’Unione Sovietica è direttamente collegato all’evoluzione della situazione politica nel paese. Da quando l’impero zarista crolla e anche la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa viene meno, il popolo russo inizia la sua costruzione di un’identità che porta una certa dignità a chi aveva combattuto per la rivoluzione prima, e la guerra civile dopo. Nell’arco di quasi un secolo i costumi cambiano radicalmente, da una prima volontà di rinnovare drasticamente lo stile della società, si passa a una mediazione tra quello che erano i costumi al di fuori dei confini e le esigenze insite nella neonata Unione Sovietica. Da un regime decisamente duro come quello del periodo della “Grande Purga” (tardi anni ’30) si passa nuovamente a una periodo un poco più disteso, in cui le informazioni e i costumi provenienti dall’ovest venivano criticati, ma non completamente censurati, soprattutto per una nascente classe media che inizia a vedere la luce in quel periodo. Poi vengono gli anni della Cortina di Ferro, della Guerra Fredda e della corsa alla supremazia sull’occidente borghese e capitalista. Il popolo sovietico, comandato da un governo monopartitico si evolve per quanto riguarda lo stile, e lo fa in modo brillante. Nasce, cresce, muta e assume una sua dignità di essere riflesso del blocco sovietico. È interessante vedere come le scelte politiche che sono state effettuate durante l’arco di tempo tra gli anni ’20 agli anni ’90 abbiano influenzato sia lo sguardo sulla figura femminile e sulla sua funzione sociale, sia l’industria, seppur in minima parte. L’evolversi del discorso sullo stile sovietico ci condurrà ad analizzare gli avvenimenti storici e relazionarli con l’idea stessa di moda nell’est Europa. Il filo conduttore della trattazione sarà principalmente la Guerra Fredda, che avrà il merito di spingere le nazioni coinvolte al continuo miglioramento. Per affrontare il discorso nella sua totalità, dalla formazione iniziale di uno stile identitario fino allo stile evoluto degli ultimi anni, è indispensabile attingere a piene mani dagli studi sull’argomento effettuati da Djurdja Bartlett, ricercatrice a Londra, i 3
cui studi sulla relazione tra l’est Europa e la moda occidentale sono fondamentali e pressoché gli unici sull’argomento. Particolare attenzione è stata data alla stampa, a cui è dedicato un capitolo. Considerando la stampa come mezzo fondamentale per la divulgazione dell’ideologia socialista in Unione Sovietica, non poteva che ricoprire un ruolo speciale nell’evoluzione dello stile e della moda. Nella stampa italiana analizzata (Noi Donne, anni 1958 e 1962) si percepisce la volontà e la necessità di educare e costruire una donna italiana, emancipata, attiva politicamente e di buone maniere, analogamente alle riviste sovietiche degli stessi anni che dovevano sottostare, però, a un controllo di regime che non permetteva la stessa libertà di espressione di “Noi Donne”. Sul confronto tra la stampa Italiana e quella sovietica si incentra gran parte del quarto capitolo, dedicato alla stampa in generale. Per la trattazione sono state reperite alcuni numeri della rivista “Noi Donne” e dall’analisi dei contenuti si è dedotto ciò che è scritto. La rivista, ancora oggi esistente, è reperibile sulla rete, all’indirizzo www.noidonne.org, mentre per consultare i numeri cartacei degli anni esaminati è stata necessaria una ricerca bibliotecaria, svoltasi a Bologna, nella biblioteca della “Fondazione Gramsci”. In quanto rivista rappresentante dell’UDI (Unione Donne Italiane, www.udinazionale.org) gran parte dei numeri di archivio è reperibile anche presso la loro sede a Roma. Per poter approfondire il tema in questa trattazione sono state sfogliate le annate ’58 e ’62, per le quali sono stati scelti, rispettivamente, uno e due numeri, come rappresentativi del modello adottato in quegli anni. Infine è stato analizzato il caso di “Vogue Russia”, introdotto nel 1998, che ha avuto il merito di plasmare un ultima volta il popolo sovietico e iniziarlo a uno stile di vita decisamente in contrapposizione rispetto a quello che aveva vissuto per tutta la durata della guerra fredda. Lo sfarzo a cui i russi sono introdotti permette loro, o meglio alla classe di super ricchi che emerge dopo la crisi economica del 1998, di riscattare gli anni di ristrettezze economiche e di contrabbando dello stile, portando inoltre una ventata di aria fresca al mercato dei beni di lusso che troverà terreno fertile per crescere e far parlare di sé. 4
Tutte le immagini utilizzate a corredo della trattazione provengono da: Bartlett D., Fashion East: The Spectre that Haunted Socialism, The MIT Press, 2010. Si ringrazia la “Fondazione Gramsci Emilia Romagna” e il gentilissimo personale della sua biblioteca nella quale sono stati reperiti i numeri di “Noi Donne” analizzati. 5
2. La moda socialista: l’affermazione di un’identità con l’avvento del regime. La rivoluzione russa del 1917 fu un nuovo inizio per i paesi dell’Unione Sovietica. Dopo la rivoluzione di ottobre, infatti, i bolscevichi concentrarono i loro sforzi per segnare un netto distacco con il passato. Questo significò che ogni tradizione fu rigettata fino a spaccare completamente la continuità tra passato e presente. L’ambito della moda non fu tralasciato. Il costruttivismo russo fu la chiave per affrontare questa “rinascita” della nazione. L’artista costruttivista puntava alla realizzazione di un progetto estetico complessivo tralasciando l’evoluzione personale. Così nell’arte, e anche nella moda, si spinse per la gloria del regime, alla formazione della nazione, a un estetica che si sposasse con l’utopia bolscevica. Si accantonarono, quindi, le forme e geometrie frivole occidentali, in favore di un astrattismo geometrico che si sposasse bene con il nascente regime. Tuttavia possiamo considerare la nascita della moda sovietica come “ricerca di un tipo d’abito completamente nuovo” 1, nascente dal confronto tra il potere politico bolscevico e il NEP (New Economic Policy). Il primo, infatti, si opponeva alla moda, mentre il secondo la promuoveva, dando luogo a una ideologica e concettuale divisione che si manifestò per tutti gli anni 20 in Unione Sovietica (Fig. 2.1).2 2.1. L’utopia Bolscevica: primi dilemmi sull’abito nell’epoca post- rivoluzionaria. Nel 1921, a seguito di agitazione degli operai di Pietrogrado (odierna San Pietroburgo), il capo del governo russo, Vladimir Il'ič Ul'janov detto Lenin, introdusse una Nuova Politica Economica (NEP, New Economic Policy) al posto del cosiddetto “comunismo di guerra”. Il NEP introdusse nell’economia russa alcuni elementi del capitalismo permettendo ad alcuni contadini e imprenditori di 1 Djurdja Bartlett, Fashion East: the spectre that haunted socialism, MIT Press, 2010 2 Ivi pp. 14-26 7
arricchirsi, contravvenendo a un punto essenziale del credo comunista secondo il quale si doveva creare, dopo la rivoluzione, una società senza classi. Inutile dire che questa soluzione non piacque al Partito Comunista, che non perse tempo per far sentire la sua voce3. Fin dalla sua introduzione il NEP fu considerato una misura temporanea per risollevare il paese in seguito alla prima guerra mondiale e alla rivoluzione popolare del ’17. Fu abbandonato pochi anni dopo la morte di Lenin (1924) dal suo successore Josif Stalin appena questi ebbe il pieno controllo politico del paese nel 1929. Nonostante i dissapori di una parte della popolazione, il NEP fu una sorta di finestra verso l’occidente. Una fetta della popolazione seguiva con entusiasmo la direzione data dal piano economico filo-capitalista, in contrapposizione con questa emergente classe borghese di imprenditori entusiasti del NEP vi erano gli aderenti e simpatizzanti del Partito Comunista che vedevano in pericolo gli ideali per cui la Russia aveva affrontato una rivoluzione. Dissapori verso la nuova “classe NEP” venivano anche dall’ambito artistico, da parte dei costruttivisti che rigettavano l’idea dell’arte come elemento a sé stante e promuovevano la visione dell’arte come strumento per la “[…]realizzazione di un progetto estetico complessivo, coerente con il progetto politico dell’edificazione del socialismo”4. La visione costruttivista degli anni ’20 portò a manifesti e copertine di riviste che mostrano la donna come robusta, muscolosa, vestita con abiti da lavoro, pronta a combattere la borghesia occidentale. Queste rappresentazioni ci fanno capire come la moda, nella concezione occidentale, non aveva alcun posto nel nuovo mondo socialista. Le donne erano rappresentate con lunghe gonne nere, cinte da grembiuli rossi e con in testa dei foulard, bianchi o rossi. Dal modo in cui questi foulard erano legati si poteva capire la posizione della donna che lo indossava: se il nodo era posizionato sotto al mento, la donna rappresentata era una tradizionale contadina, mentre le moderne lavoratrici legavano il foulard dietro la nuca5. 3 Alberto Mario Banti, L’età contemporanea: dalla grande guerra ad oggi, Ed. Laterza, Bari, 2009 4 http://www.treccani.it/, vedi “costruttivismo”. 5 D. Bartlett, op. cit., p. 15 8
In quegli anni il costruttivismo fa da padrone nella realizzazione degli abiti e lo si può intuire dai lavori di artiste costruttiviste come Lyubov Popova e Varvara Stepanova che passarono da una rappresentazione della donna formosa a una più cubista, geometrica e appiattita, sia nel corpo che negli abiti. Il minimalismo utilizzato dalle due artiste, visto come una brusca virata rispetto ai motivi floreali tradizionali della moda occidentale, fu sostituito da uno stile più accettabile dal pubblico, su richiesta dell’industria tessile; la visione costruttivista comunque non poteva essere messa in pratica per via dei macchinari datati e della carenza dei materiali di cui l’industria tessile disponeva. Nonostante questo alcune loro creazioni arrivarono nei negozi senza però interagire con il target per cui furono pensati: il popolo socialista. Le influenze dell’ovest modernista erano ben presenti, grazie anche alla rivista, nata nel 1923, Atel’e (Atelier). La rivista ebbe una certa influenza e mostrava, attraverso fotografie, disegni e articoli un elevato livello di informazione riguardo alla moda occidentale. Vladimir ven Mekk nel suo articolo “Dress and Revolution” si sferra contro il concetto stesso di prozodezhda (l’abito da lavoro) - che invece era soggetto basilare per le creazioni della Popova e della Stepanova (Fig. 2.2 e 2.3) – asserendo che non poteva essere rilevante come vestito da tutti i giorni. Sosteneva inoltre che la rivoluzione negli abiti si sarebbe avuta solo dopo l’abbandono, da parte dei cittadini proletari, degli abiti tradizionali in favore della moda occidentale6. La Stepanova andava in forte contrasto con l’ideale occidentale, puntando sul comfort, sulla funzionalità e sulla polivalenza delle sue creazioni basate sulla prozodezhda. In quanto costruttivista le sue opere dovevano essere soprattutto funzionali e rispecchiare le necessità della nascente popolazione comunista. Diverso fu l’approccio della Popova, seppur simile alla Stepanova, se non altro per la medesima derivazione costruttivista. Le sue creazioni, infatti, si basavano su una via di mezzo tra l’eccessiva geometria e rigore costruttivista della Sepanova e l’esilità dei corpi presentati dalla moda occidentale, soprattutto parigina. Le creazioni della 6 Ivi pp. 26 - 36 9
Popova erano una rivisitazione dei vestiti a falde provenienti direttamente dalla cultura jazz occidentale, presentati in forme più vigorose 7. 2.2. Nadezhda Lamanova: l’apripista della moda russa. Una figura centrale per la nascente moda sovietica fu Nadezhda Lamanova (1861 – 1941), una delle poche stiliste sovietiche ad avere esperienza nel campo professionale, nonostante il brusco passaggio dall’aristocratico fatto-per-essere- ordinato al più democratico pronto-a-vestire, produsse importanti lavori sia pratici che teorici8. La Lamanova non aveva certo la creatività e l’inventiva della Popova o della Stepanova, ma riuscì a cogliere le esigenze dell’epoca per quanto riguarda la moda. Oltre che essere pronta a eliminare la visione stagionale della moda pur mantenendo il concetto di “bel vestito”, la stilista poteva fare affidamento sulla sua conoscenza delle tecniche di produzione ed esperienza pregressa nel campo. Questa combinazione di fattori fu la principale spinta del suo successo riuscendo anche a collaborare con successo alle iniziative statali: divenne infatti stilista haute couture ingaggiata del futuro Ministero dell’Educazione per fronteggiare l’estetica proposta dell’occidentalizzato NEP. Giocoforza fu la sua abilità nel coniugare le idee costruttiviste con la moda occidentale, ridisegnando lo stile occidentale rendendolo più vicino e accettabile dal socialismo. Lamanova tralasciò il concetto di prozodezhda in favore di abiti lunghi, ricamati in maniera semplice con motivi etnici, che parteciparono a ridisegnare l’eleganza, mantenendo una sobrietà e una semplicità tipici dettati dalle possibilità dell’industria tessile9. I motivi etnici sono un esempio della lungimiranza della Lamanova, infatti, con questo sobrio richiamo alla tradizione, reinventa l’abito alla moda occidentale 7 Ibidem 8 A Cura di A. Gleason, P. Kenez, R. Stites, Bolshevik Culture: Experiment and Order in the Russian Revolution, Ed. Indiana University Press, 1989 9 D. Bartlett, op. cit., pp. 37-44 10
attraverso elementi congeniali al popolo comunista, dando primi natali alla moda sovietica10 (Fig. 2.4 e 2.5). 2.3. Il primo Piano Quinquennale e l’introduzione verso un nuovo concetto di moda e progresso. Nel 1929 il regime stalinista introduce il primo piano quinquennale, abolendo il NEP e rigettando in parte le idee utopiche costruttiviste, a lungo dibattute in campo artistico nella metà degli anni ’20. Sembrerebbe che la radicale scissione con il passato, che i costruttivisti promuovevano, sia stata superata dal concetto di “reinvenzione” introdotto dalla Lamanova attraverso i suoi abiti e i motivi etnici. In fondo il socialismo non cercava la completa novità, ma forse solo una nuova visione sulla moda, diversa da quella occidentale, ma non completamente estranea. Nel 1932, lo studio di T. Armand, intitolato “Ornamenti nel Tessile”, conferma il ritorno di decorazioni tradizionali attraverso l’introduzione di pattern provenienti da diverse realtà storiche e geografiche. Tra tutti gli abiti del primo periodo sovietico, come già accennato, vengono lodate solo le decorazioni etniche della Lamanova11, a conferma della sua influenza e della sua ottima interpretazione dei desideri e bisogni della nascente società. Sul finire dei ’20, invece, quando ormai il NEP stava per essere abolito, la Stepanova rivede le sue idee costruttiviste radicali, riconoscendo l’importanza dello stile come elemento importante della modernità. All’inizio del primo piano quinquennale è proprio lei che annuncia quale sarà il futuro della moda: Sotto una programmata economia socialista, la moda assumerà una forma completamente differente e dipenderà non dalla competizione sul mercato ma dai miglioramenti e dalle razionalizzazioni nell’industria tessile e negli indumenti… Se lo scopo nella moda capitalista è sostanzialmente riflettere lo stato della società, allora nella società socialista la moda sarà la progressione verso sempre più perfette forme dei vestiti. Ogni scoperta in qualunque ramo della tecnologia guiderà 10 Ibidem 11 Ibidem 11
inevitabilmente verso un cambiamento nella forma 12 dell’abbigliamento . Il discorso dell’artista esprime esattamente il concetto che guiderà tutto il progresso in ogni ambito durante gli anni della guerra fredda. Una continua spinta al miglioramento, promossa dalla volontà intrinseca in ogni socialista di dimostrare quanto la loro società sia superiore rispetto a quella capitalista. Sarà così in ogni campo tecnologico, filosofico e artistico; la guerra fredda sarà il motore che spingerà l’Unione Sovietica verso nuove scoperte e traguardi tecnologici. 2.3.1. Stacanovisti: promotori del lavoro, promotori della moda. Il movimento stacanovista, nato verso la fine del ’35, con il secondo piano quinquennale appena iniziato e fortemente lodato dal regime stalinista, fu l’apice della produzione industriale forzata. Prende il nome da Aleksej Grigor'evič Stachanov (1906 – 1977) che nell’agosto del 1935 raggiunse una produzione individuale giornaliera mai raggiunta prima. Lui fu l’esempio, il resto dei lavoratori lo seguirono per incrementare la produzione, ottenere guadagni superiori e premi di produzione, incentivati dal regime a fare sempre meglio. Le donne stacanoviste, in particolare Marusia Makarova, diventarono famose perché reinvestivano gran parte del loro stipendio in abiti alla moda, promuovendo così non solo il movimento stacanovista ma anche lo stile russo. Su alcune riviste, come il giornale Izvestiia, il quotidiano Leningradskaia pravda (la verità di Leningrado) e ovviamente riviste più settoriali come Geroini sotsialistcheskogo truda (Eroi del lavoro socialista), incominciarono a comparire loro testimonianze e descrizioni delle loro giornate di shopping, dimostrando come una classe intera di lavoratori poteva vivere “alla moda” lavorando duramente, godersi la vita e partecipare attivamente alla crescita nazionale13. Nella vita di un popolo socialista la propaganda passa anche attraverso testimonianze come questa, che evidenziano sia la rapida crescita industriale, dovuta ai piani quinquennali, sia la felicità del popolo lavoratore. 12 D. Bartlett, op. cit., vedi p. 65 13 D. Bartlett, op. cit., pp. 68-71 12
2.4. Le Case della Moda e l’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Nonostante la crescente importanza che il regime e il popolo conferivano alla moda, rimaneva spesso il problema della produzione, che non sempre era possibile per mancanza di mezzi dell’industria. Verso la metà degli anni ’30 a Mosca era possibile trovare atelier in grado di offrire abiti sia già confezionati sia personalizzabili, e ovviamente prototipi. Il cosiddetto Dom Modelei (Casa dei Prototipi, lett. Anche Casa della Moda) raccoglieva artisti e stilisti, alcuni dei quali provenienti dalla collaborazione con la Lamanova, che seguivano sostanzialmente due direzioni di pensiero e di lavoro: la prima cercava di disegnare abiti che potessero essere prodotti dall’industria tessile di massa e che fossero rappresentativi della donna lavoratrice delle grandi città; l’altra direzione si concentrava sulla realizzazione di prototipi derivati dalla moda occidentale, molti dei quali non furono mai messi in produzione. La popolare rivista Robotnitsa (Donna Lavoratrice) riferì nel ’37 l’esperienza di Mariia Iurina, la quale, andata a Mosca per comprare qualche abito pronto per essere indossato, non trovò nulla di soddisfacente, anzi, le sembrò tutto molto standardizzato e senza gusto. Quando finalmente si imbatté in qualcosa di suo gusto in un Dom Modelei, scoprì che erano prototipi, ancora non prodotti. L’enfasi della narrazione cade sicuramente sul fatto che la produzione non rispecchia il nuovo stile che invece si poteva apprezzare nei prototipi e che era quello che usciva dall’eccessiva semplicità e poca fantasia dell’industria tessile dell’epoca. Non dobbiamo comunque stupirci, si tratta della situazione di un paese uscito da pochi anni da una guerra mondiale e da una civile, che ha visto cadere l’impero zarista e il rapido susseguirsi di piani per il rilancio dell’economia, prima il NEP e poi, con l’avvento del regime stalinista, i piani quinquennali. L’economia non è certo al suo culmine e le tensioni politiche sono dietro l’angolo. Nel ’39 la Germania nazista incomincia la sua marcia verso la Russia, in poco tempo la seconda guerra mondiale arriva verso il fronte orientale e non c’è più spazio per pensare alla moda, bisogna combattere. 13
Solo dopo la guerra, in cui la produzione si fermò, la moda sovietica riprese il suo cammino verso la sua affermazione. La stampa russa riprese a fare vedere al popolo ciò che lo stile sovietico stava creando. Robotnitsa con una tiratura eccezionale di qualche milione di copie, populista e vicina alle donne lavoratrici; Zhurnal mod (Giornale della moda, mensile), con tiratura molto più esigua, appena sufficiente per l’elite dei livelli regionali e nazionali, mostrava fotografie e disegni di abiti validati dal Obshchesoiuznyi dom modelei (Unione di tutte le case della moda, ODMO), allegando all’immagine anche il nome dello stilista e del casa per cui lavorava, dando una certa credibilità all’outfit proposto14 (Fig. 2.6 e 2.7). 14 Ivi pp. 71-77 14
Figura 2.1 Liubov’ Popova, abito di scena per lo spettacolo “Il Magnanimo”, 1922 15
Figura 2.2 Varvara Stepanova, disegno per un prodezhda. 1924 Figura 2.3 Varvara Stepanova, abito di scena per l’opera “La morte di Tarelkin”, 1922 16
Figura 2.4 Nadezhda Lemanova, abito dal catalogo “Arte Decorativa e industriale dell’URSS”, 1925 17
Figura 2.5 Copertina di Iskusstco odevat’sia, Leningrado, num. 4, 1928 18
Figura 2.6 “Cappotti di Pelliccia”, Zhurnal mod, Mosca, num. 1, 1945 19
Figura 2.7 Modelli, Zhurnal mod, Mosca, num. 2, 1950 20
3. L’influenza della Guerra Fredda nella Moda Sovietica 3.1. La Guerra Fredda La fine della seconda guerra mondiale lascia uno scenario spaccato tra due super potenze: gli USA governati da Truman e l’URSS in cui il regime staliniano continua a mantenere il potere. A questi due stati si affiancano, per il primo, le nazioni aderenti al Patto Atlantico e le nazioni amiche, e per il secondo quelle aderenti al Patto di Varsavia e nazioni amiche. La distanza ideologica tra occidente americano e oriente sovietico è enorme: uno si basa sulla democrazia e sulla libertà del cittadino e l’altro schieramento invece è un paese comunista a partito unico, praticamente una dittatura15. Come ebbe a dire Winston Churchill, leader britannico, nel marzo del 1946 parlando al Westmister College di Fulton (Missouri, USA): Da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico una “cortina di ferro” è discesa a separare il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali di antichi Stati dell’Europa centro-orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e le popolazioni che le circondano giacciono in ciò che devo chiamare sfera sovietica, e tutte sono sottoposte, in un modo o nell’altro, non solo all’influenza sovietica ma anche a un’altissima e in qualche caso crescente forma di controllo esercitata da Mosca16. A est e a ovest della cortina di ferro ci sono gli stati che per gli anni a venire prenderanno parte alla cosiddetta guerra fredda che porterà i due stati principalmente interessati a sforzarsi in ogni modo per superare l’altro in vari ambiti, poiché entrambi erano consci della devastazione che un’eventuale guerra nucleare avrebbe portato. Ovviamente questa continua corsa al miglioramento fece in modo che entrambe le fazioni crescano e si evolvano sensibilmente in molti campi: primo tra tutti, ovviamente, quello bellico, ma anche nello sport, nell’innovazione tecnologica e ideologica, solo per citarne alcuni. 15 A. M. Banti, op. cit., p.261-266 16 Ibidem 21
La moda in questo scenario ha un ruolo importante, soprattutto in uno stato come l’URSS che sul consenso dei suoi cittadini basa la sua potenza politica. Non si può infatti prescindere il consenso del popolo dal suo benessere, che passa anche attraverso i vestiti e il sentirsi bene dentro gli abiti che rappresentano il proprio popolo. Stalin morirà nel 1953, quando il “culto di Stalin” è al suo culmine. Esso infatti viene celebrato come un condottiero, un capo eroico che è stato capace di sconfiggere, da solo, i nazisti. La celebrazione del mito ha un certo successo e riesce in qualche modo a oscurare la durezza repressiva che caratterizza il regime anche negli anni successivi al secondo conflitto mondiale17. 3.2. Interazioni tra la Moda e la Guerra Fredda La produzione in ambito di moda non è mai stata completamente abbandonata. Dopo il 1948 una particolare attenzione alle tecniche e allo stile della moda fu quasi imposto ai paesi sovietici. I regimi dell’est Europa abbracciarono nuovamente la prima ideologia bolscevica e rigettarono la moda occidentale, asserendo che uno stile funzionale, semplice e senza differenze di classe derivasse da una seria ricerca scientifica e tecnologica18. La critica mossa alla moda occidentale era tale da definirla “senza gusto” e “anacronistica”. Molti giornali dei regimi dell’est, come l’ungherese Asszonyok (Donne), il tedesco Frau von Heute (Donne di Oggi) e il cecoslovacco Żena a móda (Donne e moda), si facevano difensori della donna lavoratrice, impedendole di vestire abiti così anacronistici e non salutari19. Un attacco così duro alla moda occidentale, basato sulla differenza stessa dell’ideologia della donna nei rispettivi stati, era in perfetta linea con la propaganda del regime. Questo, infatti, dichiarava cosa fosse buono e da mantenere, cosa andasse bene per il proprio popolo e cosa invece rendeva questo lasso e senza forza necessaria per elevare la propria nazione sopra i nemici occidentali. 17 Ibidem 18 Djurda Bartlett, Let Them Wear Beige: The Petit-bourgeois World of Official Socialist Dress, “Fashion Theory”, vol. 8, 2004, pp. 127-164. 19 D. Bartlett, Fashion East, op. cit., p. 84. 22
Non poche furono le critiche all’ideale della donna dell’ovest, tutte incentrate sulla loro debolezza, sulla pericolosità e inadeguatezza degli abiti, che lasciavano scoperte parti del corpo che esponevano la donna a malanni (il collo, per esempio), oppure sulla loro presunta scomodità sul lavoro (non scordiamo che il regime staliniano incentrava gran parte delle sue dichiarazioni sulla forza e potenza del lavoro). Insomma, per gli stati dell’est la donna idealizzata dalla moda dell’ovest era troppo magra, debole, non adatta a rappresentare con il duro lavoro il proprio paese. Quale che fosse la motivazione, la donna sovietica non era adatta alla moda proveniente dall’ovest. Vi era necessità, in linea con queste critiche, di “costruire” un nuovo ideale di donna, di “super donna”, che vestisse abiti comodi da lavoro, che non fosse frivola e che “ogni giorno volentieri, con entusiasmo e diligenza combattesse per la pace mondiale e la felicità di tutto il genere umano” 20 (Fig. 3.1). Così gli abiti promossi dalla moda sovietica si avvicinavano molto a quelli maschili, erano semplici, con colori non sgargianti, quasi privi di motivi fantasiosi, sicuramente improntati all’utilità e alla comodità della donna. Gli abiti mostrati da varie testate giornalistiche riflettevano queste particolarità: gonne lunghe e pesanti, giacche con spalline, camicette semplici, nulla di appariscente21. 3.2.1. Chruščëv e l’abbandono dell’isolazionismo staliniano. La moda di tutti i giorni, quella che si poteva comprare nei negozi ed era alla portata del popolo, continua la sua produzione e la sua promozione in linea con l’ideale socialista, della donna lavoratrice comoda nei suoi abiti da lavoro e felice di rappresentare, anche attraverso gli abiti che indossa, la nazione capeggiata da Stalin, di cui ricordiamo il mito che gli ha concesso di proseguire l’utopia socialista fino alla sua morte, nel 1953. Proprio da quell’anno, non a caso quando il capo del regime viene meno, piccole rivolte popolari vengono messe in atto un po’ in tutto l’est Europa contro la scarsa 20 Člověk dělá šaty (Gli uomini fanno i vestiti), Žena a móda, Praga (1950, n° 10) in D. Bartlett, op. cit. p. 109 21 D. Bartlett, Fashion East, op. cit., pp. 84-85 23
qualità della vita e contro la limitata libertà politica. Fanno capolino nelle riviste fotografie e immagini provenienti dalla moda occidentale, mostrando nuovamente un’ideale di donna che il regime aveva smontato durante gli ultimi anni, promuovendo invece una “nuova donna” sovietica. Ma questa “ondata di stile” dall’occidente che si manifesta attraverso i media non portò alcun miglioramento alla qualità degli abiti che si potevano trovare nei negozi, infatti ha avuto un ruolo puramente politico e rappresentazionale. Fu un modo per mostrare ai cittadini che la peggiore manifestazione di repressione, derivata dal mito stalinista, sarebbe presto sparita. La moda occidentale divenne un mito che avrebbe giocato un ruolo importante nella burocrazia22. A Stalin, dopo la sua morte, successe, dopo alcune difficoltà, Nikita Sergeevič Chruščëv (1894 – 1971); dopo aver stupito i delegati del XX congresso del Partito Comunista con il suo famoso “discorso segreto” (25 febbraio 1956) in cui denunciava il culto di Stalin e i crimini commessi durante la repressione messa in atto alla metà degli anni ’30 chiamata “Grande Purga”. Cruciale fu la sua ascesa che lo vide diventare capo del partito e del governo nel 1958. Egli, rigettando le idee eccessivamente dittatoriali di Stalin, aprì, seppur solo in parte, le frontiere all’occidente, facendo entrare in maniera più incisiva, la moda occidentale nelle riviste e nell’industria dell’Unione Sovietica. Ci fu un ritorno all’ideale tradizionale di donna, e una ricaduta nell’espressione sartoriale conservativa, che invece era stata condannata alcuni anni prima. Il ritorno al disprezzato modo di vestire borghese testimoniava il fallimento del regime nel produrre una genuina e innovativa moda socialista 23. L’emergente classe media, espressione vivente del fallimento dell’utopia socialista, aveva bisogno di essere vestita per “emergere” dalla classe lavoratrice. Riporto e commento un articolo pubblicato sulla rivista sovietica Zhurnal mod nel 1958: Abbiamo ripetutamente scritto che la scelta dei vestiti dovrebbe seguire le regole base: momento della giornata e circostanze particolari. Durante il giorno, per esempio, non è appropriato andare a trovare o ricevere ospiti in un vestito elegante da sera. In questa occasione è appropriato un abito rigorosamente elegante da giorno: di corta 22 D. Bartlett, Fashion East, op. cit., 86-98 23 Ibidem 24
lunghezza, scollatura alta o appena accennata, con maniche corte o lunghe…24 Già da queste righe intuiamo che la donna possiede e ha a disposizione più abiti, che organizza, almeno ipoteticamente, in base all’occasione o al momento della giornata. La rivista si sofferma anche su come dovrebbe essere un “abito da giorno”, focalizzandosi sulla funzione editoriale di educazione alla moda, oltre alla funzione di divulgazione delle informazioni. Si sta educando al buon gusto. Questo tipo di vestito non necessita di appesantimenti di gioielli, è meglio limitarsi a un pezzo solo: una spilla, una forcina o un braccialetto. Scarpe, cappello e guanti dovrebbero essere coordinati con un vestito di questo genere. Ovviamente tutto dovrebbe essere coordinato al colore25. Di nuovo, nel proseguire dell’articolo, si educa al buon gusto, attraverso l’uso dei colori e del tipo di ornamento da sfoggiare in linea con l’abito poco prima descritto. Da questa parte dell’articolo possiamo inoltre intuire, poiché l’autore lo dà per scontato, che siano a disposizione anche gioielli tra cui scegliere. È evidente che non si fa riferimento a una donna operaia che vive di quel poco che il regime le concede. Ripetiamo: un vestito che si indossa durante il giorno dovrebbe essere modesto e contenuto nelle apparenze. Matinèe, feste alle 13, cocktail e feste “a la furshet” tra le 17 e le 20 pomeridiane, richiedono un vestito più elegante da giorno e un piccolo cappello, che si suppone non venga tolto. L’abito da sera, realizzato in un tessuto espressivo e decorato che non è stato indossato durante il giorno, è necessario per grandi ricevimenti, premiere teatrali e concerto di gala, specialmente se avvengono dopo le 20. Anche se non necessario, l’abito da sera è caratterizzato da una scollatura più bassa, maniche corte e gonna lunga. Guanti di seta o merlettati possono essere aggiunti a un vestito del genere; la loro lunghezza dipende da quella delle maniche: più le maniche sono corte, più i guanti sono lunghi, e viceversa. Una piccola ed elegante borsa accompagna l’abito da sera. Leggere scarpe aperte con tacchi alti, o medi per donne più anziane, servono per quelle occasioni; le scarpe possono essere di seta, broccato, o di pelle dorata o argentata. Le scarpe da giorno non sono appropriate per gli abiti da sera. È permesso 24 Maskulii, in Zhurnal Mod, periodico, 1958, cit. in D. Bartlet, “Let Them Wear Beige: The Petit- bourgeois World of Official Socialist Dress”, op. cit., p. 129-130. 25 Ibidem 25
abbellire gli abiti con gioielli. Qui, come sempre, un senso della misura è benvenuto26. L’articolo si conclude con le linee guida basilari sui tipi di vestito da indossare durante le varie occasioni di tutti i giorni (Fig. 3.2, 3.3 e 3.4). Non mancano riferimenti a gioielli, materiali e modi di abbinare i vari accessori. Il pubblico piccolo borghese a cui questi articoli sono rivolti, è quello vicino alle cariche politiche, sia perché frequentanti gli stessi ambienti, sia perché decisamente in linea con le linee di governo. Non scordiamo che il regime persisteva, seppur con una durezza minore rispetto al peridio in cui vi era Stalin. La professoressa ricercatrice Djurdja Bartlet, chiama il fenomeno risultante tra l’incontro del socialismo e la moda occidentale: “abito ufficiale socialista” 27, il quale si comincia a delineare proprio dopo l’ascesa di Chruščëv al potere e il relativo nuovo modo di affrontare la moda. È in effetti con questo incontro di socialismo e occidente che la moda può esprimersi completamente, senza sottostare a forzate regole da un regime; in questi anni la moda sovietica attinge a piene mani sia dagli anni post bellici, a loro volta derivanti dal costruttivismo e dall’utopia socialista, ma anche dalla moda occidentale28. 3.3. L’evoluzione della Guerra Fredda nella Moda Con i cambiamenti politici e sociali che coinvolgono gli stati socialisti negli anni ’60, la relazione tra la società e il regime cambia e muta le sue “armi”: da dominazione attraverso il terrore, a dominazione informata da manipolazioni simboliche 29. Questo sostanzialmente volle dire che la politica non fu più strumento di controllo dalla vita di tutti i giorni, lo divenne invece una supervisione oculata sulle pratiche di consumo, tra cui la moda socialista. 26 Ibidem 27 Djurda Bartlett, “Let Them Wear Beige: The Petit-bourgeois World of Official Socialist Dress”, op. cit., pp. 128-129. 28 Ibidem 29 Kenneth Jovitt, New World Disorder: The Leninist Extintion, Berkeley: University of California Press, 1992 p. 99. 26
Sul finire degli anni ’50 riemergono a pieno titolo i saloni della moda specialmente nei paesi con regime socialisti del Centro Europa, derivanti soprattutto da una tradizione precedente alla Seconda Guerra Mondiale. Per citarne alcuni: in Cecoslovacchia, dove erano stati tutti nazionalizzati dopo il ’48, i due più famosi Podolska e Rosenbaum sono rinominati in Eva e Styl, e continuano a produrre, con discrezione, artigianalmente qualità e lusso; in Croazia il salone di Klára Rothschild organizzava ogni stagione sfilate di moda lussuosa completamente occidentalizzata, grazie alle sue conoscenze, la Rothschild poté viaggiare molto e ottenere tessuti di alta qualità30. Negli anni ’60, inoltre, si distinguono le pratiche sullo stile della Nomenklatura (lett. elenco di nomi) e sull’emergente élite professionale della nuova classe media. Nella Nomenklatura erano elencate le posizioni lavorative e di responsabilità più importanti per il regime; tali cariche dovevano essere approvate dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica ed erano inoltre organizzate in maniera gerarchica. Con il passare del tempo il termine viene usato per indicare le persone che ricoprivano tali cariche, identificando nell’immaginario collettivo, una classe sociale, che per definizione erano “approvate” dal sistema di regime stesso. Tale status, portava, seppur non ufficialmente, alcuni privilegi derivati dalla corruzione; non era, peraltro, necessario che gli iscritti alla lista rivestissero cariche politiche nel Partito Comunista. Inutile sottolineare che il popolo socialista disprezzava questo ordine di cose in cui, di fatto, si erano create classi e status sociali in contrapposizione con l’ideologia socialista. È innegabile, allo stesso tempo, che queste classi contribuirono a una nuova concettualizzazione dello stile che portò anche i saloni della moda nuovamente sulle pagine di riviste e periodici. 3.3.1. L’occidente smuove nuovamente la moda socialista. Come abbiamo visto, dalla rivoluzione del ’17 fino ai tardi anni ’40, la figura della donna e il suo immaginario fu destrutturato rigettando le idee occidentali per costruire un nuovo “modello” di donna più vicina agli ideali socialisti. Assieme a 30 Djurda Bartlett, “Let Them Wear Beige: The Petit-bourgeois World of Official Socialist Dress”, op. cit., pp. 131-135. 27
questo anche la borghesia subì lo stesso processo, il quale però, sul finire degli anni ’50, sembra non avere più senso, soprattutto vedendo che la società si stava organizzando in classi sociali, facendo emergere i piccoli e medio borghesi, le cariche politiche e la Nomenklatura, sopra la classe operaia. Viene così riconosciuta nuovamente l’importanza della moda borghese, anche se non in questi medesimi termini, ma ricodificata per vestire la modernità del regime e della classe media. Necessario tutto questo a livello politico in funzione della Guerra Fredda. L’est non poteva essere da meno dell’ovest. La classe media era necessaria per avere, nei paesi del patto di Varsavia, una classe che imitasse la controparte occidentale. I saloni della moda di cui ho accennato prima vengono riconosciuti come medium testimoni delle pratiche di stile e consumo che vestono i socialisti; non vengono più percepiti come testimoni della decadenza borghese ma come segno di uno stile di vita civilizzato. Gli stilisti dei vari saloni possono ora uscire allo scoperto riguardo alle influenze dell’ovest, giocando sulla valorizzazione dello stile copiato in chiave socialista. Ecco un altro esempio lampante di come si evolvesse la Guerra Fredda: se uno dei due schieramenti era in possesso di innovazioni tecnologiche che gli permettevano qualcosa, anche l’altro correva ad attrezzarsi per poter compiere le stesse cose. Così in campo tecnologico ma anche nell’ambito di stili di vita e costumi. Eventi imponenti come gli “Incontri sulla moda socialista”, nati effettivamente nel 1949 ma a cui presero parte tutti i paesi sotto regime socialista solo una decina di anni dopo, divennero quindi ambiziosi congressi che prendevano parte ogni anno in una diversa capitale dei paesi socialisti. Sono questi congressi che decretano, attraverso una giuria, quali siano i prototipi che verranno poi prodotti in massa 31 (Fig. 3.6). Durante questi incontri gli stilisti presentavano le loro creazioni in passerella. Erano invitate le cariche degli stati coinvolti e spesso diventava un momento di incontro tra di loro a livello politico. Non in tutte le edizioni le nazioni del blocco sovietico erano invitate attivamente: nell’edizione del 1953 del Concorso del Vestito, per 31 Ivi pp. 142-144 28
esempio, la Russia era in competizione con la Cecoslovacchia, Ungheria e la Germania dell’Est, mentre erano invitati come osservatori Polonia e Romania. Le immagini che furono pubblicate erano “una strana combinazione tra una sfilata di moda e un Congresso Comunista”32. La competizione si svolgeva in vari campi: il più appropriato uso del materiale, il minor spreco, la qualità tecnica e la realizzazione estetica della collezione33 (Fig. 3.5). Niente è lasciato al caso, gli abbinamenti tra soprabiti e vestiti, tra i colori, tra le scarpe e le borse e tra i cappelli e i guanti; tutto era in funzione delle esigenze della classe media. L’”abito ufficiale socialista” era nato ed era espressione estetica di quello che la Bartlett chiama “buon gusto socialista” 34. 3.4. La fine degli anni ’60: la moda occidentale influenza nettamente l’est Europa. È il 1967, gli stati dell’Unione Sovietica e tutto l’est Europa sentono già nell’aria la futura crisi del regime. La si percepisce nelle classi sociali, nell’ostilità tra proletariato e Nomenklatura, la si può ovviamente anche intuire dagli sguardi, sempre più numerosi, che si rivolgono verso l’occidente. Lo stile che si respira è fatto di “buon gusto” e di riviste che educano ad esso, di buone maniere di sempre superiore qualità e originalità delle collezioni moda presentate agli annuali saloni e negli atelier di Mosca. Purtroppo è solo immagine e propaganda. Nei negozi infatti sempre la bassa qualità dei materiali e la scarsa scelta sono le caratteristiche che purtroppo non mancano nelle collezioni in vendita al pubblico. In questo clima apparentemente tranquillo, in cui la moda dell’est può sfoggiare una sua propria ragione d’essere, costruita in anni di repressioni ed evoluzioni dello stile, l’est è pronto ad incontrare ufficialmente l’ovest in passerella. Si tiene nel ’67 il Festival Internazionale della Moda a Mosca, organizzato dall’Unione di tutte le Case della Moda (ODMO), in cui parteciperanno collezioni sia dell’ovest che dell’est Europa. La moda socialista osa il confronto diretto con l’occidente, almeno a un Festival. Oltre che le collezioni degli stati del blocco sovietico, si poterono vedere 32 D. Bartlett, Fashion East, op. cit., pp. 116-120 33 Idibem 34 Ivi p. 136 29
sulla passerella anche Chanel, Pierre Cardin, Yves Saint Laurent, Christian Dior e altre eccellenze dalla moda francese, tedesca, americana e inglese. Il festival durò per due settimane, il Palazzo dello Sport nella capitale sovietica si riempì con 10.000 presenze al giorno35. La giuria declama Coco Chanel per il suo classicismo come migliore trend, ma il gran premio va alla designer sovietica Tatiana Osmerkina per un abito chiamato “Russia”. Viene inoltre ufficialmente riconosciuta per la prima volta la minigonna 36. Questo incontro con l’occidente non fu una completa novità per l’est, infatti già da un paio d’anni le novità della moda occidentale avevano fatto capolino nelle riviste orientali, che avevano avuto modo di lodare e stimare le collezioni autunno / inverno ’66 / ’67 di Pierre Cardin e Saint Laurent: molto apprezzate soprattutto per l’aria giovane delle collezioni. Allo stesso tempo l’est ammirava anche lo stile “classico”: in una recensione dell’evento, per esempio, il periodico sovietico Fashion Journal dichiarò che “le «storiche» case della moda sono restate fedeli alla tradizione della classica eleganza francese”37. Questo, come suggerito prima, non cambia lo stato delle collezioni che si possono trovare nei negozi; mostra, invece, uno stile e un eleganza decisamente apprezzata nel blocco sovietico, ma che non è comunque riproducibile attraverso l’industria di cui si poteva disporre. Resta, quindi, solo un desiderio che non può essere, ufficialmente, esaudito. Con gli anni ’70 il sistema economico comunista adottato dai paesi sovietici si rivela incredibilmente inefficiente. La produzione industriale è portata avanti senza la minima cura per l’ambiente e le norme di sicurezza (culmine della situazione è il disastro di Chernobyl dell’86), creando livelli di inquinamento elevatissimo; il settore agricolo, che non è mai stato il punto forte del paese, negli anni ’70 – ’80 peggiora ulteriormente. Il dissenso del popolo è elevatissimo, anche perché questo periodo di crisi economica e sociale è caratterizzato da un irrigidirsi dei controlli della repressione della critica e dei dissensi38. Piano piano tutto il blocco sovietico 35 Natalya Chernyshova, Soviet Consumer Culture in the Brezhnev Era, Ed. Routledge, 2013, pp. 114- 115 36 D. Bartlett, “Let Them Wear Beige: The Petit-bourgeois World of Official Socialist Dress”, op. cit. p. 153 37 Ibidem 38 Banti A. M., op. cit., pp 389-391. 30
cade in un una grande crisi che arriva a una svolta solo nel 1985, quando Michail Gorbačëv (1931) diventa segretario del Partito Comunista e porta idee di rinnovazione e liberalizzazione. Pochi anni dopo, con la caduta del muro di Berlino nel 1989, l’est e l’ovest si incontrano definitivamente mettendo la parola fine alla Guerra Fredda. 3.5. Slava Zaitsev: uno stilista influenza la moda, tornano i motivi etnici. Nel 1962, dopo essersi diplomato all’Istituto Tessile di Mosca con pieni voti, Slava Zaitsev viene nominato direttore artistico della Mosoblsovnarhoz (Fabbrica di Abbigliamento Tecnico Sperimentale) 39. A Zaitsev viene commissionata una collezione di telogreika, abiti da lavoro tradizionali russi, che lo stilista interpretò presentando una collezione molto colorata, in antitesi al noioso grigio tradizionale, la quale attirò l’attenzione del periodico francese Paris Match40. Pochi anni dopo, nel ’65 presentò la sua nuova collezione a Mosca assieme a Pierre Cardin, Marc Bohan e Guy Laroche. Questa ondata di innovazione portata da Zaitsev lo condusse rapidamente a diventare il direttore artistico dell’ODMO, carica massima a cui poteva aspirare uno stilista in Russia41. A causa di un articolo pubblicato su Paris Match, che lo definiva il “Dior Rosso”, gli fu interdetto il viaggio all’estero per vent’anni, ma nonostante questo riuscì a essere considerato il più rispettato stilista in patria, i suoi abiti rappresentavano la moda sovietica nel resto del mondo 42 (Fig. 3.7 e 3.8). L’interdizione al viaggio all’estero era spesso usato come pena per chi dimostrava una simpatia eccessiva per gli stati dell’ovest. Il ragionamento di fondo era semplice, e perfettamente in linea con uno stato sotto regime: è rischioso, per la propaganda che filtrava le informazioni e le immagini in arrivo dagli stati oltre cortina, che una persona potesse vedere con i propri occhi cosa vi era al di fuori del paese. 39 D. Bartett, Fashion East, op. cit., pp. 226-235. 40 Ibidem 41 Ibidem 42 D. Bartlett, Let them Wear Beige, op. cit., pp.150-153 31
Analogamente alla Lamanova, anche lui introdusse nuovamente un uso del motivo etnico nelle sue creazioni che divennero così immediatamente riconoscibili e riconducibili a lui. Il suo stile era apprezzato sia in occidente che nell’Unione Sovietica: nel primo caso come rappresentazione di una cultura lontana ed esotica, nel secondo caso perché continuavano a rappresentare pienamente l’ideale socialista. In realtà il motivo etnico non era mai completamente sparito dalla moda sovietica, cambiò semplicemente, col tempo, valenza culturale. Se all’inizio, con la Lemanova, questo aveva assunto il ruolo di barriera contro gli stati occidentali, ora, con Zaitsev, assunse la valenza caratterizzante dello stile orientale nelle competizioni stilistiche al di fuori dell’Unione Sovietica43. Il regime non riusciva a contenere, a questo punto, l’apprezzamento per lo stile della moda dell’ovest. La classe media, ormai definitivamente instaurata nella società, e tacitamente riconosciuta, se non altro perché il regime non poteva ignorarla, inizia ad avere una sempre maggiore confidenza di se stessa e assieme a questa anche un’esigenza di ambizioni professionali e di consumo sempre superiori. Il controllo delle pratiche di consumo che il regime cercava di mettere in pratica non riusciva a stare al passo con i cambiamenti della classe stessa e così abiti ben fatti, eleganti e di qualità divennero un’esigenza importante. Esigenza però che non era possibile soddisfare nei comuni negozi, poiché ancora la scarsità di materiali e di qualità nella fattura affliggeva l’industria tessile44. La classe media doveva in qualche modo sopperire a questa mancanza e aveva alcune modalità per riuscirci: acquisire abiti durante i viaggi all’estero, i piccoli atelier indipendenti, che iniziarono a nascere sul finire degli anni ’80, e il “do it yourself”45 (Fig. 3.9). 43 Ibidem 44 D. Bartlett, Fashion East, op. cit. 45 Ivi p. 246-255. 32
3.6. “Do it yourself” e mercato nero. Tornando alla situazione della moda verso la fine degli anni ’60, la donna sovietica, si trova in mezzo a due fuochi e, in qualche modo, ancora una volta incoraggiata a fare del suo meglio per il proprio paese con quello che il paese può offrire, cioè, quasi nulla. Da una parte i negozi sguarniti e la scarsa qualità dell’industria tessile, dall’altra le riviste che mostravano invece una moda che non potevano vestire nella vita di tutti i giorni e che era, allo stesso tempo incoraggiata dal regime. Un bel problema, in effetti: il paese chiede di rappresentare qualcosa che il paese stesso non può tecnicamente produrre. In questo impasse le donne sovietiche ricorrono al cosiddetto do it yourself, alla pratica, cioè, di assemblare abiti alla moda e con stile partendo dalle materie prime e mettendoci la manodopera e la buona volontà. I cartamodelli che venivano usati erano presentati nelle riviste solo raramente, quando il regime voleva promuovere un cambio economico e politico radicale. Fu in realtà una colpo di genio per il regime, che non bastò certo per recuperare i disastri a cui erano arrivati, ma poteva aiutare a risollevare, in qualche modo, il morale delle donne: tali cartamodelli erano un medium ideale per promuovere abiti desiderabili, senza il problema del regime nella produzione di massa46. I modelli presentati erano a volte molto complessi, seppur originali ed eleganti, difficili da realizzare anche per una sarta esperta, disegnati con tecniche haute couture. La donna socialista, inoltre, era felice in abiti che sottolineassero la propria femminilità preferibilmente che l’ultima moda. Adatto allo scopo era lo stile senza tempo di Coco Chanel, infatti molte delle improvvisate sarte abbracciarono quello stile per le proprie creazioni casalinghe47 (Fig. 3.10). Per sopperire alla scarsità dell’offerta, al distacco nello stile richiesto dal consumatore e quello proposto dall’industria in continuo ritardo tecnologico, vennero proposti sempre migliori cartamodelli, per ottenere i quali riviste come la Jugoslava Svijet (Mondo) incominciarono a collaborare con riviste dell’ovest, in questo caso con Neue Mode (Nuova Moda) della Germania dell’Ovest. Un altro 46 Ibidem 47 Ibidem 33
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